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Autore: berettha    22/01/2023    1 recensioni
Storia di come Remus Lupin si innamorò di Sirius Black, per la seconda volta.
“Remus li amava così tanto, che le parole erano inutili qualche volta.
E se fosse servito a tenerli al sicuro, avrebbe divorato il mondo, crudo.
Si sarebbe trasformato e con le sue grosse fauci da lupo lo avrebbe masticato, accartocciato, ingoiato. Tutto, per loro.”
Only the gods dwell forever in sunlight, capitolo quattro.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Note: Se pensate di aver già letto questa fic... è perché è così. L’avevo già pubblicata, ma non mi convinceva e allora ho ricominciato da capo. 
Una sua “bozza” è stata pubblicata anche sul gruppo facebook Hurt/Comfort Italia, (questo il link del gruppo: https://www.facebook.com/groups/337102974212033) per la Countdown Challenge di Capodanno 22/23, se vi interessasse leggerla. 😊 Una scena è invece stata presa da un’altra mia fic, questa volta scritta per il gruppo facebook Non Solo Sherlock (https://www.facebook.com/groups/366635016782488). 
Quindi eccola di nuovo: in tutto il suo splendore! Rivisitata e corretta e riscritta un milione di volte. Un po’ song fic, un po’ slice of life. Pure un po’ di Hurt/Comfort perché ci sta sempre bene. Il titolo e i nomi dei capitoli sono tratti dall’epopea di Gilgamesh. 
E che dire?  
Spero vi piaccia, come alla fine è piaciuta a me. C’ho messo anima e corpo, in questa fic, tutto l’amore di cui ero capace: e spero si senta, fino in fondo. <3  
Grazie mille a chiunque spenderà qualche minuto per leggerla o per lasciare un commentino. <3 

 

 

Capitolo 1. L’amico mio che amo, è diventato argilla. E io non sono come lui? 

Somewhere in Germany, but I can't place it 
Man, I hate this part of Texas 
Close my eyes, fantasize 
Three clicks and I'm home… 

La villa di Grimmauld Place era rimasta chiusa dieci anni.  
A quattro anni dall’incarcerazione del figlio maggiore, la vecchia Walburga aveva finalmente tirato le cuoia, lasciando l’elfo domestico, Kreacher, a custodia della casa. 
Se pensavano, i quadri alle pareti, di vedere ben presto la porta principale aprirsi per lasciar entrare Regulus, capirono presto di essersi sbagliati di grosso: per anni, l’unico rumore, fu quello dei passi pesanti dell’elfo, che si trascinava da una stanza all’altra borbottando da solo, tenendo stretto al petto un vecchio e pacchiano medaglione verde smerarlo. Se invece erano fortunati, potevano sporgersi quanto potevano dalle cornici argentate per osservare qualche Doxy mangiarsi le tende del salotto. Ad un certo punto un brutto temporale aveva spaccato il rosone della soffitta e da quello che rimaneva dell’intricato simbolo dei Black dipinto nel vetro, erano entrati Mollicci e Ghoul, assieme a qualche piccione dall’aria confusa. 

Dieci anni dopo la morte della Signora Black, altrettanti da quella del giovane Regulus, la porta padronale scricchiolò sommessamente, mentre veniva spinta in avanti dalla mano tremante di Sirius. I quadri si destarono improvvisamente, bisbigliando tra di loro. Kreacher ebbe paura, e si nascoste dietro il lavandino della cucina, disturbando una nidiata di ratti che corsero in ogni direzione squittendo. Un Doxy, arrabbiato per la luce del giorno che entrò assieme ai nuovi ospiti, si librò in aria per qualche secondo prima di schiantarsi accecato contro un elaborato candelabro a forma di serpente.  
“Questo posto mette i brividi.” Sussurrò alla destra di Remus Tonks, sporgendosi da dietro la sua spalla per vedere meglio. 
“Shh!” La zittì Malocchio, la bacchetta puntata verso il corridoio buio davanti a loro. “Lumos! 
Alla sua sinistra, invece, Remus percepiva il nervosismo di Sirius. 
“Non c’è nessuno, Moody, posso assicurartelo.”  
“Non si è mai troppo sicuri in tempi di guerra.”  
Era stato Sirius stesso a proporre la sua casa che gli diede i natali come quartier generale dell’Ordine, ma adesso che si trovava lì, pallido e sudato, Remus aveva l’impressione che avrebbe preferito tornarsene ad Azkaban.  
“Almeno là non c’era la cara mamma riprodotta in dimensioni originali che ti fissava.” Bofonchiò, come se gli avesse letto nel pensiero.  
La bacchetta di Malocchio aveva illuminato il quadro che si trovava alla fine del corridoio, davanti alle scale: una donna, vestita coi colori di Black, stava russando al suo interno, i tratti duri e severi anche con il favore del sonno.  
“Beh, almeno è spaziosa.” Tonks si era staccata dal gruppo, avvicinandosi alle scale per andare a controllare il piano superiore. Erroneamente, la catena che portava attaccata ai passanti dei jeans si legò al baldacchino di pesanti tendaggi e se li trascinò dietro per svariati metri, accorgendosi del disastro solo quando il bastone che le teneva su cadde con un frastuono spaventoso, nel silenzio tombale di villa Black. 
Walburga si destò all’improvviso, drizzandosi in piedi come se potesse uscire dal quadro per fiondarsi contro gli Auror. 
Sudici dal sangue sporco, adoratori di babbani, come osate inzozzare la casa appartenuta ai miei avi...”  
Scusa Sirius, scusa scusa scusa.” Urlava Tonks sopra agli strilli della Signora Black, cercando rimettere il bastone dove si trovava prima, mentre Sirius lanciava maledizioni e contro incantesimi contro il quadro, che sembrava ululare oscenità più forte ad ogni Silencio. 
“Vecchia megera, anche da morta devi fare queste scenate! Silencio! Cazzo!” 
Come hai osato tornare con questa feccia, sporco traditore, accompagnato da quella schifosa creatura...” Batteva i pugni contro la tela, la bocca schiumava di rabbia.  
Remus puntò la bacchetta dritta di fronte a sé, spostando Sirius con un gesto della mano.  
Stupeficium! 
La donna cadde all’indietro, contro il nero dello sfondo del dipinto.  
Colloportus.” Il baldacchino si richiuse, sollevando una nuvola di polvere. 
Tonks si stava ancora scusando sommessamente, rossa in volto e con lo sguardo basso.  
Sirius invece si voltò verso di lui. “Grazie.” Disse solo. 
Alzò le spalle. “Dovere.” 
Con un tuffo al cuore, notò che si accarezza il fianco dove Remus lo aveva toccato per spingerlo da parte. 

Si ricordava un tempo in cui con Sirius era stato veramente felice.  
Ad Hogwarts, sicuramente. Ricordava con affetto le volte che aveva aspettato che i loro compagni di stanza si addormentassero, prima di scivolare nel suo letto. Baci umidi, infantili, le mani che non riuscivano stare al loro posto per gli ormoni dell’adolescenza.  
Adesso gli faceva paura.  
La febbricitante frenesia che lo aveva posseduto due anni prima, quando la Mappa aveva rivelato il puntino di Peter Minus che correva per i corridoi di Hogwarts e quello di Sirius nella Stramberga, era andata scemando sempre di più, fino a provare imbarazzo per come si era comportato, mettendo in pericolo i propri studenti. 
Qualunque cosa ci fosse stata tra di loro, il tempo e le bugie l’avevano corrosa. Perché non hai detto niente, in tutto questi anni? Perché il dolore ti ha reso così cieco da voler perdere anche me? Perché, perché, perché? Potevi scappare, tornare da me, spiegarmi, cosa hai aspettato? Avrebbe voluto urlargli.  
Avrebbe voluto spingerlo contro al muro, schiaffeggiarlo per togliergli quella finta arroganza che portava come una maschera davanti a tutti, e chiedergli come mai per lui, non ne era valsa la pena. Era forse la vendetta un sentimento più forte dell’amore? 
Ma sapeva che una mossa del genere, oltre a costargli qualche costola –non sembrava ancora essersi ripreso dall'esperienza della prigionia, non lo aveva mai visto così magro- non avrebbe portato a nessun beneficio, quindi si limitava a ronzargli intorno non più del necessario, solo quando l’Ordine lo richiedeva.   
D’altro canto, Sirius, che un tempo era stato così bravo a leggergli dentro, non riusciva a percepire questi suoi sentimenti, e sembrava deciso ad orbitargli intorno il quanto più possibile, come se la sua vicinanze presente avesse potuto colmare la distanza che si era creata in tutti quegli anni: si sedeva vicino a lui, gli sfiorava accidentalmente il ginocchio col suo, si voltava a cercare la sua approvazione quando proponeva qualche piano d’attacco, nonostante fossero sempre così pazzi che venivano bocciati prima ancora che riuscisse a finire di parlare. 
Lui lo cercava, in mezzo a tutti gli Auror, e Remus abbassava sempre lo sguardo per primo, colpevole di fronte ai suoi occhi grigi. Quando Sirius allungava la mano verso la sua, Remus la spostava, come se fosse stata ricoperta di Strozzalupo. Nonostante continuasse a ripetersi che no, quello che c’era era perso per sempre e che mai avrebbe potuto tornare, in fondo sapeva che aveva paura di vederlo disciogliersi in fumo, se solo avesse osato sfiorarlo. 
Far cadere le difese per poi perderlo, una seconda volta, sarebbe stato troppo. 
Quindi si allontanava, ogni volta, e continuava a respingerlo. 

Così successe anche quel giorno a Grimmauld Place, dopo che zittirono il quadro di sua madre. 
“Forza, abbiamo due piani da controllare.” Li richiamò all’attenzione Moody, la bacchetta sempre sollevata di fronte a lui.  
La casa faceva davvero schifo. L’odore di muffa, umidità e animali permeava le narici di Remus, ma quello dell’argento che sembrava si trovasse in ogni angolo riusciva lo stesso a farlo sentire male. 
Lampade in argento, argenteria su ogni superficie piana disponibile, pure le rifiniture delle rilegature dei libri in biblioteca. 
Remus soffocò un conato quando aprì uno dei cassetti della cucina, rivelando una grandissima collezione di posate in argento purissimo: la loro aura lo investì in pieno petto, cogliendolo alla sprovvista. 
Sirius gli fu subito al fianco, poggiandogli una mano sulla schiena. “Tutto bene?”  
“Sì, sì, è -è l’argento.. Io non-”  
Con un colpo di bacchetta, le tramutò in latta e la nausea iniziò piano a piano a scomparire. “Dico davvero, stai bene?”  
“Sono io che dovrei chiederlo a te, Felpato.”  
Sirius lo osservò di sottecchi, curiosando distrattamente con la bacchetta all’interno del cassetto. “Oh. Sto bene anche io, sì.”  
Remus si dondolò da un piede all’altro. “Deve essere dura. Tornare qua.”  
“No, va bene. Almeno adesso serve a qualcosa.” 
Ti prego vattene non ce la faccio a sentirti così vicino. 
Mi dispiace però per tutto l’argento, sarà difficile da eliminare completamente.” Riprese. 
“Non importa.” 
“Sì invece, non voglio che tu ti ferisca... O che tu stia male. Se scegli una camera inizio subito a sbarazzarmene.”  
Oh.  
“Sirius, io non abiterò qui, lo sai vero?”  
Lo sentì agitarsi, grattarsi nervoso la nuca.  
“No?”  
“No. Ho una stanza a Diagon Alley e-”  
“Certo, certo. Fai bene.” Lo interruppe, uscendo dalla stanza.  
Remus osservò la sua schiena andarsene. 

. ⋅ ˚̣- : ✧ : – ⭒ ⊹ ⭒ – : ✧ : -˚̣⋅ . 

“Come sarebbe a dire che devo rimanere rinchiuso qua dentro?!”  
Sirius battè il pugno sul tavolo, furibondo. Kreacher, che era uscito dal suo buco solo qualche ora prima, si rituffò al suo interno maledicendo il suo nuovo padrone per come trattava gli averi della madre “Traditore, bruto, una vergogna per la mia cara Signora, la mia Carissima Signora, se vedesse chi è seduto a questo tavolo, quale oscena creatura osa sedersi dove sedeva Padron Regulus...”. 
Arthur torturò il capello di lana che teneva tra le mani. “Black, non è sicuro, potrebbero riconoscerti. Sei ancora in fuga per il Ministero, cerca di essere ragionevol-”  
“Ragionevole?!”  
Remus lasciò cadere la testa sul tavolo, affondandola tra le sue mani. “Arthur ha ragione Felpato, non è sicuro per te...”  
“Oh sta zitto, Rem, non mi importa di cosa è sicuro o meno, là fuori si combatte e non rimarrò qua dentro a fare le pulizie con l’elfo.”  
Rem? 
Non gli aveva più rivolto la parola, dal disguido di quel pomeriggio: non aveva provato a sedersi vicino a lui, rubando il posto all’ultimo a qualche membro dell’Ordine, aveva mangiato la sua minestra in silenzio, senza alzare gli occhi verso Remus, neanche una volta.  
Scoprì che, per quanto indesiderate fossero state le sue premure fino ad allora, un po’ gli mancavano.  
Ma era meglio così: nessuno si sarebbe più fatto male.  
“Se non vuoi farlo per te stesso, pensa ad Harry! Non ha già perso abbastanza?” Si intromise Molly, le mani sui fianchi e un’espressione furiosa sul volto. Remus ebbe quasi paura per Sirius, era veramente livida.  
Forse fu l’argomento “Harry” che addolcì i toni della tavola, o forse Sirius si rese conto che combattere contro un intero plotone di Auror non era una mossa saggia, ma si calmò, sprofondando all’indietro sulla sedia, le braccia incrociate sul petto e un’espressione nera quasi quanto quella che aveva assunto Molly poco prima.  
Anche Arthur si lasciò cadere sulla sua sedia, lasciando a Malocchio l’onore di illustrare i piani di guardia per Harry. 
La riunione si concluse, parecchie ore dopo: ognuno aveva svariate ore da passare a Privet Drive per sorvegliare e proteggere il ragazzo, sempre in coppia con qualcuno in caso servissero rinforzi.  
Remus aveva il lunedì e il giovedì, assieme a Shacklebolt e Tonks.  
Quella sera, sdraiato sul suo letto a buon mercato di un losco b&b a Diagon Alley, pensò che andava bene tutto sommato. Era disoccupato, nuovamente, e forse un po’ di lavoro gli avrebbe fatto bene. Gli era mancato sentirsi utile.  

Da qualche parte in Scozia, Hogwarts, 1971. 
“A me puoi dirlo, comunque.”  
“Non devo proprio dirti niente!” Remus, capelli tagliati corti e viso imbronciato, si rivolse a Sirius incrociando le braccia al petto.  
“Perché no? Non sono come Peter, tengo la bocca chiusa.” Replicò Sirius, a testa in giù dal suo baldacchino. Aveva le scarpe sul cuscino, i capelli lunghi legati in malo modo con la cravatta. Tutte intorno a lui, le pergamene ancora intonse su cui avrebbe dovuto scrivere il tema per Trasfigurazione, per la maggior parte tutte accartocciate e con gli angoli rovinati. Remus, invece, il tema l’aveva già finito, e solo per questo si era offerto gentilmente di aiutarlo: sicuramente, non si era aspettato un interrogatorio. 
“Ti sei fatto male?” Insisté, squadrando le due finissime cicatrici sul volto dell’amico: erano ancora poche, piccole, quasi non le notavi se non ci prestavi troppa attenzione o se il sole non ci picchiava su diretto.  
“Non voglio dirtelo.” Ribatté invece, arrabbiato, il giovane Lupin.  
Sirius socchiuse gli occhi, e lo guardò serio. “Ti hanno... ti hanno fatto male...? I tuoi genitori?”  
“Perché avrebbero dovuto farmi male?” È lui, adesso, a squadrare Sirius, sorpreso. 
“Qualche volta lo fanno i genitori, no? Per punirti. Quando sei cattivo.”  
“I miei genitori non mi puniscono quando sono cattivo.”  
“Oh.” Si passarono qualche momento di silenzio, i due bambini, guardandosi come se si vedessero davvero per la prima volta.  
“Possiamo continuare Trasfigurazione?” Disse infine Sirius. 
“Va bene.”  

   
 
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