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Autore: Neamh Moonstar    02/02/2023    0 recensioni
La giovane Ann adora fermarsi a leggere nella calda e polverosa libreria del signor Fell. Una volta è persino riuscita a farsi prestare un libro, e già questo avrebbe dovuto farle sospettare che qualcosa non andava.
Quando il distinto e gentile libraio sparisce nel nulla e nessuno ne parla, però, tutto prende una piega inaspettata. Tra loschi figuri sotto le finestre, un pub che chiude dall'oggi al domani, pettegolezzi e una punta di stregoneria, Ann si ritroverà a scoprire qualcosa di incredibile su sé stessa, sul mondo e su un serpente.
°°
Outsider POV/Giallo
Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    «Beh, che dire» commentò Zac mettendosi le mani sui fianchi. «Un posticino adorabile.»

Erano all'entrata di un vicolo. Alla loro destra c'era la porta sul retro del ristorante di sushi che dava sulla strada, a sinistra un cassonetto della spazzatura.

I vicoli di Londra possono essere divisi in due categorie: quelli carini, pieni di finestrelle, porticine e bici accostate ai muri; e quelli lugubri, grigiastri, poco illuminati, probabilmente luogo d'incontro di disadattati e malviventi. Ovviamente, quello che avevano davanti apparteneva alla seconda categoria.

    Ann si guardò attorno, abbandonando il casco accanto al motorino di Zac. «Eppure il posto è questo, posso assicurartelo.»

Avevano seguito la pista che lei stessa aveva indicato man mano che si facevano strada per le vie della capitale inglese. Erano capitati non troppo lontano da Soho in una strada bazzicatissima che nessuno dei due percorreva spesso, guidati dall'essere malandato che si era annidato nel corpo di Ann.

    «Non lo metto in dubbio» la rassicurò lui. «Solo... Cosa stiamo cercando, esattamente?»

Ottima domanda. Qualunque fosse il loro obbiettivo, si trovava lì, tra il traffico alle loro spalle e la viottola che si estendeva davanti ai loro occhi. Le strette pareti di mattoni non avevano né un segno, né un particolare che potesse dire loro qualcosa, nulla di nulla. Erano soli in mezzo ai rumori della città e all'umidità costante.

    «Non so come funzioni» riprese lui, «ma Fell non ti ha detto niente?»

    «Non è che mi parla» spiegò Ann, «è sempre più un gioco di sensazioni.»

    «E hai sensazioni particolari su questo posto?»

    «No. So solo che dobbiamo essere qui per qualche motivo.»

Zac emise un: "mh" e fece volare lo sguardo sul pavimento, sui muri, persino verso i tetti. Poi adocchiò il bidone dei rifiuti, uno di quelli grossi e grigi che adoperavano i ristoranti o le attività di grandi dimensioni. Aveva delle ruote al di sotto e, quando il rosso vi si avvicinò, Ann capì subito cosa volesse fare.

    «Ti aiuto» annunciò, andando a spingere dal lato opposto a quello del cugino - il quale si era invece messo a tirare.

Non fu semplice, quel bestione pesava parecchio - e puzzava da morire - ma presto riuscirono a scostarlo abbastanza da scoprire il pezzo di muro che vi si celava dietro.

Con un sospiro, Ann si massaggiò le braccia già doloranti e diede un'occhiata al punto scoperto. Subito sussultò, indietreggiando di qualche passo e mettendosi una mano sulla bocca.

    Zac la raggiunse di colpo: «Cosa? Che c'è?» Chiese ansioso, prima di buttare l'occhio a sua volta e sbiancare. «Non dirmi che è ciò che penso che sia...» Sussurrò.

Tra il terreno e il muro si estendevano alcune macchie scure e gocciolanti che nemmeno la pioggia era riuscita a cancellare del tutto. L'effetto era quello che si sarebbe ottenuto lanciando scolare un po' di vernice contro una parete per poi lasciare che si asciugasse da sé. Il peggio sembrava essersi abbattuto proprio sulla pavimentazione, laddove si estendeva una bella chiazza nerastra dai vaghi riflessi bordeaux.

Per un attimo, i cugini rimasero in silenzio. Nessuno dei due ebbe il coraggio di dire cosa sembrasse ciò che avevano davanti, per quanto ovvio potesse essere.

    Fu Zac a rompere la quiete: «Che cos'è successo qui?» Chiese, tremando appena.

Ann non rispose. Sembravano i rimasugli di una scena del crimine e la sua mano volò quasi istintivamente al ventre, dicendole che la ferita doveva aver avuto origine lì, sì. Ma come?

    «Non saranno stati loro...» Sussurrò sovrappensiero.

    «Chi?» Chiese Zac, ancora fissando il muro. «I demoni del lampione?»

    «Forse è per questo che girano per il nostro quartiere. Devono finire il lavoro.»

    Il rosso sbarrò gli occhi, volgendosi totalmente verso la cugina. «Il loro lavoro è dentro di te, Ann. Se lo scoprono, è te che ammazzano.»

    Giusto. Nonostante la gravità della situazione, però, Ann riuscì a mantenere la calma in un modo che non sarebbe riuscita a spiegarsi. Semplicemente, fece un bel respiro profondo e guardò Zac con quella che sperò essere determinazione. «Cerchiamo altri indizi, allora. E in fretta.»

Lui non parve del tutto convinto, ma Ann lo conosceva abbastanza da sapere che tenerlo occupato lo avrebbe distratto dal farsi prendere dall'ansia. Lo osservò fare un cenno di assenso e mettersi a perlustrare i dintorni, rimanendo sempre nei pressi del bidone.

    «I demoni lasciano tracce?» Chiese accendendo la torcia del cellulare.

    Lei fece spallucce: «Non ne ho idea.»

L'unica traccia visibile erano quelle linee irregolari di, presumibilmente, sangue che si facevano strada sulla parete davanti ai suoi occhi. Ma vero è che leggere i libri di Arthur Conan Doyle e guardare CSI non ti rendono un investigatore - fatto di cui Ann si accorse molto presto.

Non sapeva bene dove sbattere la testa e Aziraphale aveva deciso bene di smettere di "parlarle" proprio quando erano arrivati a destinazione. Si chiese se ci fosse un modo per conversarci, così come Zac aveva suggerito, ma il loro era un dialogo a senso unico in cui lei poteva solo stare a sentire.

In mancanza di idee, si avvicinò al muro. Ne sfiorò la superficie ruvida e umida con i polpastrelli, e solo allora notò una cosa particolare. In mezzo al bordeaux si intravedevano sottili e leggermente luccicanti linee dorate.


**


    «Sei da solo, eh? Ottima decisione» sogghignò Hastur, perforandolo con gli orribili occhi vuoti che si ritrovava.

Avrebbe preferito non rivederlo. Credeva di aver chiuso con tutta quella storia; sperava di potersi costruire una vita, adesso. E invece si era ritrovato tra le mani una lettera minatoria talmente intrisa di Inferno da fargli male alle dita; lettera che gli ordinava di recarsi lì: nel vicolo accanto ad uno dei suoi ristoranti preferiti. Ironia della sorte o subdolo giochetto? Non avrebbe saputo dirlo.

    «Vediamo di risolvere la cosa pacificamente» rispose solo. Tremava leggermente, le mani parzialmente nascoste dalle maniche della sua giacca preferita, e qualcosa gli disse che i due demoni davanti a lui lo avevano già notato.

A dirla tutta, tecnicamente erano due; nella pratica era circondato da un gruppo di cloni dalla capigliatura improbabile e lo sguardo di chi ha la vittoria in pugno.

Una parte di lui gli stava urlando di fuggire, che non avrebbe dovuto essere lì, che non sarebbe dovuto venire da solo... Ma aveva faticato troppo per guadagnarsi la sua libertà. Non avrebbe certo mollato così.


Il demone dalla pelle grigiastra si infilò le mani nelle tasche con finta nonchalance. Sembrava fin troppo tranquillo, il che poteva significare una sola cosa.

    «Sappiamo tutto» annunciò infatti. «È bastato osservarvi.»

Aziraphale si morse l'interno della guancia, cercando di non far trasparire ulteriore nervosismo. Sapevano che quel giorno sarebbe arrivato, solo non così presto...

Avevano effettivamente allentato la corda negli ultimi tempi. Certo, all'inizio avevano provato a vivere con nonchalance, ma c'era sempre una specie di tacito accordo in cui uno guardava a destra e l'altro a sinistra mentre passeggiavano; si infilavano nei posti più lontani dal centro con la scusa di andare a mangiare in un posto nuovo, prendevano scorciatoie senza accorgersene - guidati un po' dal timore e un po' dall'abitudine.

Poi la tensione si era progressivamente sciolta, un passo alla volta, lentamente ma inesorabilmente. Era diventato tutto fin troppo facile, fin troppo tranquillo, fin troppo felice. C'era calma. Troppa calma.

Nulla è per sempre. La loro speranza era sempre stata quella di rimanere una specie di caso a parte, un nucleo a sé stante. Sapevano di avere sempre qualche occhio addosso, ma speravano che le cose si fermassero lì.

Quanto ci sbagliavamo.

    Con un respiro profondo ma - almeno sperava - ben camuffato, Aziraphale squadrò il suo indesiderato interlocutore. «Bene, e allora?» Chiese, ostentando una sicurezza che non aveva assolutamente.

    L'altro fece spallucce: «Beh, sei fortunato. Avrei potuto spifferare tutto ai piani bassi, ma ho deciso di tenermi la scoperta per me. Diciamo che l'ho fatta diventare una questione personale.»

L'angelo alzò un sopracciglio e diede una rapida occhiata ad uno dei cloni attorno a lui. Non sembrava molto "personale", ma decise di non sottolineare quel particolare. Piuttosto, cercò di analizzare quella scomoda situazione. Un duca dell'Inferno non si sarebbe mai preso il disturbo se non fosse stato importante, ma soprattutto: non si sarebbe mai sognato di tenere nascosta una cosa del genere ai suoi superiori. Qualcosa non quadrava.

    «Non me la racconti giusta» mormorò. Doveva prendere tempo, sì... Ma tempo per fare cosa, esattamente? Era bloccato in quel vicolo.

    «Da che pulpito» sogghignò Hastur. «Allora siamo in due.»

L'aria si era improvvisamente fatta pesante. Aziraphale conosceva fin troppo bene quella sensazione.

Guai in arrivo.

Fortunatamente, aveva già una mezza idea su cosa fare nel caso le cose si fossero messe particolarmente male. Sperava ovviamente di non arrivare mai a quel punto, ma ormai la situazione stava per degenerare.


Il duca si mise una mano nella tasca e vi tirò fuori un'arma piccola e apparentemente leggera. Sembrava in tutto e per tutto un coltello dalla lama vagamente incandescente.

Avevano effettivamente scoperto tutto, in un modo o nell'altro. Sapevano come fargli male davvero e non avrebbero esitato.

    Il demone parve rendersi conto del suo cambio d'espressione. Giocherellò con la lama senza smettere un secondo di sorridere. «Per il bene tuo e di quello del tuo fidanzatino,» sputò, «ti consiglio di metterti al muro, angioletto.»

Stava ovviamente bluffando: dopo di lui, sarebbero andati da Crowley in ogni caso - e chissà come sarebbe andata a finire. Eppure Aziraphale continuava a sentire che qualcosa non quadrava. Era un rumore sordo agli angoli della sua coscienza, una vocina che gli suggeriva che quella che stava per consumarsi non era semplice vendetta o ripicca per la mancata fine del mondo.

C'era altro. Che cosa? Non ne aveva idea. Dubitava seriamente che avesse a che fare con il piccolo "incidente" con l'acqua santa a casa di Crowley. I demoni non fanno certamente amicizia tra di loro - o comunque, non tanto da vendicarsi a vicenda.

    Il biondo scosse la testa: «Perchè scomodarsi tanto? Le cose non cambieranno di certo.»

In un certo senso, l'equilibrio era stato rotto cinque anni prima. Certo, la tregua aveva i giorni contati, ma anche volendo ritornare sotto l'attenzione dei superiori, questi ultimi sapevano di avere a che fare con due casi estremamente particolari. Si sarebbero davvero azzardati ad arrivare a tanto?

Il passo avanti di Hastur parlò per lui.

Ci siamo davvero sbagliati?


Parlare, conversare, cercare di mettere pace a parole... Non aveva mai funzionato. Sotto sotto, non si aspettava certo un cambiamento.

A dirla tutta, non si era mai aspettato un finale diverso. Per questo aveva preparato tutto preventivamente. Per questo aveva pensato a più piani di scorta.


Una mano lo tirò violentemente contro il muro alla sua sinistra. L'istinto stava per portarlo a lamentarsi, anche perché era già la seconda volta che veniva trattato in quel modo - di nuovo, non avrebbe saputo dire se fosse ironia della sorte o meno.

Stavolta, però, non se la sarebbe cavata con un pugno nello stomaco.

I suoi aguzzini non dissero più una parola. C'era un'ipotetica ombra negli occhi di Hastur, il quale aveva improvvisamente smesso di scherzare. Semplicemente, guardò Aziraphale dritto negli occhi e, con un unico e ben calcolato movimento del braccio, affondò la lama nel ventre della sua vittima, trapassandone il guscio come fosse burro fuso.

La punta infuocata dell'arma andò a recidere l'aura altrimenti immacolata dell'angelo, il quale non emise un suono, non un lamento, niente. Strinse solo gli occhi e lasciò che il duca rimovesse la lama per afferrargli il bavero e costringerlo a mettersi di faccia contro la parete umida. Poteva sentire il suo sangue scorrere tra le fughe dei mattoncini e scivolare verso terra.

Il dolore arrivò in ritardo, quasi come se non si fosse accorto che ormai era il suo turno di colpire. Il bruciore seguì subito dopo, inondando l'area ferita e preparandosi a migrare tra le scapole di Aziraphale, laddove Hastur aveva adesso poggiato la punta della sua piccola e letale arma.

Era un gesto simbolico: da lì partivano le sue perennemente nascoste ali. Erano il punto più debole e facile da colpire, tanto che era lì che si doveva puntare in caso di scontri.

Forse avrebbe dovuto reagire. Se si fosse impegnato, avrebbe potuto incenerire sia Hastur che il suo improbabile collega. Ne era perfettamente capace: era nato per quello, in fondo.

Ma no, non lo aveva fatto che una volta e da allora aveva deciso che non ne valeva la pena. Aveva altro in mente.

Anche se forse Crowley non lo avrebbe mai perdonato.


E così rimase immobile e tremante, la guancia pressata contro il muro e gli occhi serrati. Le gambe presero a tremargli e l'aura a lamentarsi al posto suo, ma non si mosse. Sentì la lama iniziare lentamente a perforargli la giacca - non senza una punta di stizza - e quasi iniziò a pregare di morire prima che l'operazione finisse.

Qualcosa non va, continuava a ripetersi. Qualcosa non va, qualcosa non-


La presa che lo teneva in posizione si allentò di colpo.

Cadde a terra e si girò sulla schiena, confuso. Aprì gli occhi, ma il cielo ricoperto di nubi sopra di lui sembrava un'ammasso di chiazze confuse. Udì dei suoni, una grossa e lunga ombra si fece strada in mezzo al suo campo visivo, ma non riuscì a capire cosa stesse accadendo.


Qualcosa non va, si disse. Poi il mondo cadde nell'oscurità.


**


Ann sbatté gli occhi un paio di volte, confusa. Aveva ancora le dita attaccate al muro e attorno a lei si udiva ancora il viavai frenetico della città. Si voltò: Zac stava ancora scandagliando l'area con la torcia del cellulare intanto che si grattava la testa, più confuso di lei.

Non sembrava essersi accorto di niente.

Da quanto era lì? Quanto tempo era effettivamente passato?

Senza sapere che dire, la ragazza aggrottò le sopracciglia e - quasi d'istinto - prese il cellulare dalla tasca. Nessuno l'aveva più richiamata, ma ormai si stava facendo tardi e ancora dovevano aprire il negozio per Mary.

    Sospirò e guardò il rosso: «Dovremmo andare» disse solo, la voce incerta.

Ciò che aveva visto continuava a ballarle davanti agli occhi. Era come se fosse stata lì a guardare la scena dagli occhi del protagonista. Le era sembrato di essere davanti allo schermo del cinema o davanti alla scena di un thriller ben scritto, di quelli che rimangono per settimane dietro alle vetrine delle librerie. Esattamente come quello trovato al pub.

    Zac annuì: «Beh, sappiamo dov'è il posto. Possiamo sempre tornarci all'occorrenza» disse, facendo spallucce. Poi squadrò meglio la cugina e aggrottò la fronte: «Qualcosa non va?»

Qualcosa non va.

    Ann si passò le mani sulle braccia, dando una veloce occhiata alle chiazze sul muro. «So cos'è successo» annunciò senza troppi giri di parole. «Ti dirò tutto al negozio.»

    Zac sbarrò gli occhi, puntandole un dito contro la pancia: «Te lo ha detto lui?» Chiese, evidentemente incapace di stupirsi ulteriormente, ormai.

    «Più o meno. Te l'ho detto: non parla.»

    Il rosso emise un poco convinto: "mh", storcendo il naso. «Beh, allora poteva anche evitare di farmi andare avanti e indietro per un vicolo con una torcia in pieno giorno. Meno male che non è passato nessuno.»

Ad Ann scappò un sorriso. In effetti, lei impalata davanti ad un muro e lui che girovagava attorno ad un cassonetto... doveva essere una scena esilarante - e forse un po' inquietante. Di certo non avevano bisogno anche di sguardi indiscreti, perciò ringraziò la loro buona stella che nessuno - nonostante la folla alle loro spalle - avesse deciso di indagare ulteriormente. Un vero e proprio miracolo.

    «E comunque,» aggiunse Zac, avviandosi verso il motorino, «capisco le sue condizioni, ma Fell dovrebbe trattarti meglio. Sei di nuovo pallida come un cencio.»


Fu una voce dietro di lui a rispondere.

    «Il ragazzo non ha tutti i torti.»

Ann spostò velocemente lo sguardo e il suo cuore perse un battito. Andò subito ad afferrare Zac per il cappotto, tirandolo a sé e portandolo quindi il più possibile lontano dall'inatteso intruso.

Il rosso, dapprima confuso, si lasciò strappare via da colui che, solo adesso, riuscì a vedere per bene.

I cugini rimasero l'uno accanto all'altra, impietriti. Ann, soprattutto, sentì un brivido percorrerle la spina dorsale.


Davanti a loro, comparso probabilmente come la prima volta che lo avevano visto, se ne stava il demone dalla pelle scura e la capigliatura improbabile. Li guardava con le braccia incrociate al petto e un sorrisino divertito. Alle sue spalle, Londra continuava a vivere come nulla fosse.

Erano invisibili come il pub e la libreria. Tutti i luoghi che avevano avuto a che fare con quella storia parevano svanire nel nulla, e con loro le persone al loro interno.

Ovviamente, il demone era lo stesso del lampione, lo stesso che Ann aveva visto nella sua visione-barra-flashback. Lo stesso che aveva contribuito alla ferita invisibile che adesso sembrava quasi pulsare imperterrita nel suo ventre.


    Con uno sbuffo beffardo, il nuovo arrivato li squadrò dall'alto in basso. «Sapete cosa si dice delle anime tormentate?» Disse, gesticolando scherzosamente con le dita mentre pronunciava le ultime parole.

Il silenzio piombò per un lunghissimo secondo, ricadendo come una cupola di vetro tra i tre.

Il demone scosse la testa, come sorpreso dal fatto che i ragazzi non sapessero la risposta. «Che tornano sempre nel luogo del delitto» continuò infine. «Se avessi saputo che era vero, non avremmo perso tanto tempo a cercare.»


Ann sentì il respiro mancarle. Zac si mise davanti a lei, un protettivo braccio davanti alle sue spalle come ad intimare al demone di non muoversi. C'era un velo di paura nei suoi occhi e la ragazza non poteva certo biasimarlo.


Erano in trappola.

   
 
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