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Autore: CervodiFuoco    02/02/2023    1 recensioni
[Willow]
[Willow]La storia racconta del ritorno a Tir Asleen dei membri della compagnia di avventurieri protagonisti della prima stagione della serie TV "Willow". La regina Sorsha decide di indire una settimana di festeggiamenti con giochi, musica e cibarie, i cui protagonisti saranno proprio quelli della serie stessa. Esploro sia il lato spassoso dell'avvenimento, sia quello psicologico che per ogni personaggio può significare il "tornare a casa" dopo l'avventura vissuta, il tutto ricreando la stessa atmosfera leggera, ironica ma avventurosa della serie, con la speranza di divertire ma anche trasmettere qualcosa di speciale. Buona lettura!
Genere: Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5. Spirito di gruppo

 

«Gyaaaaaah!» ruggì Boorman.

Uno scheletro in carne e ossa – o meglio, in ossa e basta, gli stringeva i polsi e lo bloccava sul posto, le dita ossute a cingergli la pelle. Ma Boorman era un uomo alto e grosso, e con una ginocchiata in pieno petto si liberò dello scheletro mandandolo in frantumi.

Ne arrivò subito un altro. Il terzo. Già, quello di prima era il secondo. Una volta entrato nel Percorso, Boorman si era trovato rinchiuso in una sottospecie di tugurio lungo e squadrato con delle strane luci che svolazzavano qui e là e un’apertura sbarrata da una lastra di roccia dall’altro lato. Non appena vi aveva messo piede, dal terreno era sbucata una mano scheletrica che lo aveva fatto inciampare.

Il terzo scheletro uscì dal terreno come gli altri e gli corse incontro. Boorman iniziava ad essere stufo di quella storia e, più che combattere, voleva capire come uscire dal vicolo cieco. Tuttavia non sapeva nemmeno cosa effettivamente richiamava gli scheletri: la sua presenza? O stava facendo qualcosa di preciso che non avrebbe dovuto fare? Ma non stava facendo nulla, a parte camminare…

Le luci. Come pigre lucciole obese, quelle luci si muovevano a rilento nell’aria pesante, in ordine caotico. Boorman mollò un cazzotto a tutta forza sul muso del terzo scheletro, ma non bastò e dovette assestargli un calcione in petto perché anche il resto del corpo smettesse di muoversi. «E vattene!» si lamentò. Dunque osservò attentamente le luci, ora immobile. Attese. Silenzio.

«Jade!» urlò Kit lontana – ma non poi tanto. «Sono qui, Kit!» di rimando Jade. Boorman se ne fregò. Perfettamente immobile, teneva d’occhio le luci. Più nessuno scheletro. Tutto fermo. L’uomo inarcò un sopracciglio trionfante. Se non toccava le luci, gli scheletri non apparivano!

Dopo altri istanti d’immobilità, un ingranaggio pesante scattò e rotolò dentro alla parete alle sue spalle. E la lastra rocciosa venne rialzata, liberando il passaggio.

«Ah-ha!» esultò Boorman.

 

 

La fessura nella quale Airk si era infilato per entrare nel labirinto si era rivelata molto più lunga di quanto si fosse immaginato. Passare al di là fu un sollievo. Ma solo per poco.

Non c’era pavimento davanti a lui, bensì una lunga vasca piena di fanghiglia. Per attraversarla avrebbe dovuto saltare su degli enormi globi che galleggiavano in essa, quattro in sequenza. Non avevano un aspetto stabile.

Convincendosi di potercela fare, Airk si diede lo slancio e saltò per raggiungere il primo globo. Constatò che era piuttosto scivoloso sotto la suola degli stivali e, se non si fosse accucciato, sarebbe finito dritto nella vasca. Si buttò in avanti e usò anche le mani; dopo un po’ di rimbalzi e galleggiamenti pericolanti, il palloncino gigante si bloccò. Forse era ancorato sul fondo per mezzo di una corda.

Per il secondo sarebbe stato molto più divertente… perché non poteva prendere alcuna rincorsa. Gli toccava alzarsi sui piedi e, mantenendo l’equilibrio, compiere il salto perfetto.

Fu ciò che tentò di fare. Atterrò sul secondo globo e per un pelo mancò di ruzzolare su un fianco solo grazie alla memoria automatica del corpo sviluppata in tanti allenamenti di combattimento. Si trovava ora a pancia in giù con braccia e gambe divaricate su quel secondo pallone a galla sull’acqua, intento a riflettere sulla prossima mossa, quando alzò gli occhi: e li vide, i viticci. Dal soffitto pieno di rampicanti e fogliame scendevano dei rametti, ed erano vivi, animati. Si muovevano come minuscole braccia dalle dita affilate. Prima che Airk potesse fare o dire alcunché se non abbassare le palpebre rassegnato, quei viticci raggiunsero il pallone su cui era appollaiato. Lo trapassarono e quello esplose con un forte rumore di scoppio.

 

 

«Jade!»

«Sono qui, Kit!»

Jade era sicura di aver visto Kit entrare nella stanza nella quale si era trovata quasi senza accorgersene, prima che il soffitto si richiudesse su se stesso e calasse la più totale oscurità. Adesso era, o erano, totalmente al buio e senza punti di riferimento. Non aveva avuto il tempo di capire cosa fosse dove: l’intrusione di Kit nel suo campo visivo l’aveva colta troppo di sorpresa.

«Dove sei?» chiese a bassa voce. «Mi senti?»

«Certo che ti sento» ribatté un po’ acida Kit. «Vieni avanti, sono qui.»

Senza la certezza che il pavimento sotto i piedi la sostenesse, Jade avanzò. Passi brevi, ponderati, tacco-punta. Mani aperte avanti. Meglio non rischiare…

E toccò qualcosa. Stoffa. Morbido.

«Ehi!»

«Uh?»

«Jade.»

«Cosa? Ah, sei qui.»

Si cercarono le braccia, poi le mani. Sospirarono forte.

«Questo gioco fa schifo» esalò Kit.

Jade non rispose. Batteva le palpebre ma non vedeva niente. Anche l’udito sembrava fuori uso lì dentro, perché i rumori prodotti dagli altri erano cessati.

«Qualche idea su come uscire?» disse Kit.

Jade si prese un istante prima di rispondere. «No… non so com’è fatta la stanza.»

«Da dove sei arrivata?»

«Come faccio a spiegartelo?»

«Ah, non lo so, provaci. Magari ci è d’aiuto.»

«Mi sono arrampicata su una scala di corda, poi mi sono appesa a una liana e ho dondolato fino a un’apertura. Mi ha portata qui. Tu?»

«Una liana?»

«Si.»

«Quindi al soffitto ci sono quelle liane e le foglie anche da dove sei arrivata tu?»

«Si, credo di si.»

«Lo credi o lo sai?»

«Non ho guardato il soffitto tutto il tempo, Kit. Ma credo di si.»

I loro respiri echeggiavano in maniera innaturale, troppo per le dimensioni che erano certe avesse l’ambiente in cui si trovavano.

«Aspetta un secondo» mormorò Kit. E staccò le mani dalle sue.

Ci fu un frush-frush.

«Jade! Alza le mani.»

«Eh?»

«Alza le mani sopra la testa e senti.»

Jade obbedì e alzò le mani sopra la testa. Avvertì il tocco di foglie e steli rigidi.

«Mh. Cosa dovrebbe voler dire?»

Ci fu un frushhhh più forte. Mentre della roba cadeva in testa a Jade, sopra di loro si aprì uno spiraglio di luce.

«Tira! Tira le piante, dobbiamo aprirci noi un varco!» gridò Kit. Jade la vide nella penombra accanto a sé, intenta ad acciuffare una manciata di quelle liane che venivano giù dall’alto.

Ci si mise anche lei. Ne strinse un gruppetto fra le dita e tirò più forte che poté: quelle opposero ben poca resistenza e si fecero estirpare. Altra luce dissipò l’oscurità.

Kit sorrideva sollevata. E anche Jade. Fecero qualche passo per raggiungere altre piante.

Ed ecco che il pavimento si aprì sotto i loro piedi. Buche. Entrambe caddero nel vuoto.

 

 

«Metti il piede là, Elora! No, no! Non su quella, quell’altra! Alla tua destra, alla tua destra!» strillava Graydon, ancora appeso al soffitto.

Elora si trovava sotto di lui, con un piede sull’estremità emersa di un palo e un piede su un’altra. Faceva volteggiare sghemba le braccia ai lati del busto per non perdere l’equilibrio, mentre delle creature dalla forma ignota volavano all’impazzata fuori e dentro l’acqua, come dei minuscoli delfini. Però più perfidi, e più brutti. Ce n’erano tantissimi.

Elora si spinse in avanti, ma troppo precipitosamente. Coi piedi ancora fermi su due pali diversi, piantò le mani su un terzo, il più vicino, e rischiò per un pelo di finire in acqua. Quei cosi acquatici ora le rimbalzavano addosso con tanti piccoli splat vischiosi per poi precipitare di nuovo di sotto.

Graydon scosse il capo ricciuto. «Te l’avevo detto di lasciarmi perdere. Di andare avanti.»

«Non ti lascio qui, Graydon!»

Il ragazzo la guardò. Elora era bloccata in una posa assurda, e pure buffa. Che si trasse in salvo incolume dalle acque paludose del Percorso era pressoché impossibile. E anche nel caso ci fosse riuscita, i viticci probabilmente avrebbero preso anche lei. Lui aveva indugiato troppo ed era stato preso.

«Ci sarà un modo per passare» gemette Elora. I muscoli cominciavano a tremarle.

«Si» fece Graydon. «Saltare da un palo all’altro abbastanza velocemente da non farsi prendere dalle piante o dalle ranocchie perfide.»

«Ma è assurdo. Sono venute fuori non appena mi sono mossa. E poi con me le piante non hanno attaccato.» E, mentre lo diceva, capì. «Ma certo...»

«Cosa?»

«Willow non ha detto che non dobbiamo cadere in acqua. Ha soltanto detto che se lo avessimo fatto ce ne saremmo pentiti.»

Ci fu un istante durante il quale il cervello di Graydon elaborò quell’informazione. «No, Elora, aspetta!»

Ma Elora aveva già lasciato la presa. Splunf! Finì nella fanga di pancia.

Fu disgustoso. L’acqua era vischiosa e opaca, e vi galleggiava dentro del pulviscolo. Senza perdersi d’animo Elora mosse le braccia e si mise a nuotare. Le ranocchie-delfino perfide fendevano l’acqua a velocità supersonica circondandola da ogni parte, ma non la sfioravano nemmeno. Le stavano addirittura alla larga. Continuò con una certa fatica a nuotare, schivando i pali quando apparivano sulla sua traiettoria, finché non raggiunse una parete. Si spinse in alto per riemergere.

Con una boccata d’aria rumorosa Elora riempì i polmoni, poi si issò sulla soglia che conduceva oltre quella dannata sala. Si trovava ancora prona sul pavimento, ansimante e sgocciolante, quando Graydon mugolò: «Elora?»

«Si?» fece lei, esausta. La nuotata in quell’acqua così densa l’aveva sfinita.

«Ehm...»

La ragazza si voltò. E vide i rospi-delfini saltare come dei forsennati, concentrati in un unico punto sotto Graydon. Sembravano assolutamente determinati a raggiungerlo, dando forma a un nugolo compatto e impazzito. Era come vedere una frotta di zanzare, solo più grandi e bagnate.

La rossa protese una mano e strizzò gli occhi. Doveva aiutarlo… doveva usare la magia. Ma era troppo stanca. Non ci sarebbe riuscita. Inutile. Per quanto si sforzasse, essere all’altezza del suo nome era troppo difficile...

D’un tratto una delle pareti della sala esplose. Una nuvola di polvere e detriti venne proiettata ovunque. Ne emerse Boorman, coperto da capo a piedi di quella stessa polvere incolore. Reggeva un martello enorme fra le mani, la faccia sfigurata dallo sfinimento.

«Davvero questo non è il centro?!» sbottò.

 

 

«Boorman! Aiuta Graydon!» lo implorò Elora.

L’uomo non ci mise molto ad analizzare la situazione. Mentre gli occhi scuri studiavano con un certo ribrezzo i delfini-rospo miniaturizzati, la sua mano calò al cinturone, ne staccò una sferetta metallica e la gettò al centro della vasca. Quella deflagrò liberando una fiammata pazzesca che mise fuori gioco le bestiacce.

«Ma sei pazzo??» strillò isterico Graydon. Gli fumavano le sopracciglia.

Le creature acquatiche erano sparite. Non una stava più tentando di uscire dall’acqua.

«Forza, fuori di qui» disse Boorman. Gettato in terra il martellone, si staccò dalla schiena una specie di zattera monoposto e la depose senza troppa cura sulla superficie dell’acqua. Poi ci salì sopra con cautela e utilizzando le mani per remare si spinse in avanti.

Elora era a bocca aperta, confusa per troppe cose. «Ahm… come ti sei procurato quella roba?»

«Entrate privilegiate» disse fiero Boorman. «Entrate privilegiate. Dai, Graydon, dammi la mano.» Porgeva la sua in alto, dove quella del ragazzo scendeva giù. Le piante al soffitto non dovevano aver gradito molto le fiamme perché si stavano lentamente ritirando: giusto in tempo perché il ragazzo venisse rilasciato e finisse tra le braccia di Boorman.

«Aaw» esclamò Elora, raddolcita da quella scena. Si era inginocchiata sul terreno e si strizzava i capelli bagnati.

«Mettimi giù!» disse irrequieto Graydon.

«Certo. Altrimenti chi rema fino all’altro lato?» ribatté l’uomo.

E insieme i tre varcarono l’uscita da quella stanza infernale.

 

 

Il centro del Percorso a Ostacoli consisteva in una saletta anonima, spoglia e vuota, chiusa da pareti pallide e disadorne. La solita vegetazione faceva capolino dal soffitto attenuando la luce solare, già poca di per sé. Nel mezzo un piccolo pilastro cilindrico faceva da supporto a un’anfora di terracotta.

Graydon, Elora e Boorman si trovavano su una delle quattro soglie che permettevano di entrare. Guardinghi, studiavano l’ambiente. Dal momento che l’acqua nella quale Elora si era tuffata puzzava in un modo orribile, gli altri due se ne stavano un po’ a distanza – anche se era piuttosto inutile, il tanfo arrivava lo stesso.

«Il pavimento sembra a posto, qui» osservò Graydon.

«Si, beh, dovreste fare una qualche magia voi, per assicurarci che sia davvero a posto» commentò sbrigativo l’uomo barbuto.

Non faceva una piega. Elora aprì una mano e pronunciò delle parole magiche.

«Ilanor Vinanna Polar! Ilanor Vinanna Polar!»

«Come se le inventerà, poi?» bisbigliò Boorman, avvicinandosi all’orecchio di Graydon. Quello soffocò una risata.

Un raggio magico partì dalle dita della rossa e si diramò per il pavimento della sala come una ragnatela luminosa. Ci fu un tremito e parve che la sostanza stessa di cui erano fatti i muri crepitasse. Non accadde nulla.

Attesero per sicurezza ancora un po’, ma non stava davvero succedendo niente.

«Ok. Graydon, ora prova tu» consigliò Elora.

Graydon annuì ed estrasse il fidato flauto. Con un poco di concentrazione, anche lui sparò un fulmine incantato che andò a colpire la pavimentazione bianchiccia, rimbalzò contro le pareti e si protese ovunque con un leggero scricchiolio elettrico. Poi scomparve.

«A posto» disse Graydon. «Direi che possiamo andare.» E fu il primo a mettere piede dentro.

Silenzio. Solo i piedi di lui che strascicavano appena sulla sabbiolina a terra. Dunque anche Elora e Boorman gli furono dietro, circospetti più che mai. I tre si arrestarono davanti all’anfora sul piedistallo: Boorman al centro, Elora a sinistra e Graydon a destra.

«Beh» fece il ladro. «Se non vi dispiace, ragazzi…» e si proiettò in avanti a braccio teso, pronto a guadagnarsi l’oggetto bramato.

Elora e Graydon lo acciuffarono nello stesso istante e lo bloccarono. Si guardarono negli occhi, improvvisamente allarmati, mentre si sforzavano di immobilizzare l’uomo, impresa non facile dato che era molto più alto e forte di loro. Poi Graydon ebbe l’idea vincente di fargli lo sgambetto, e quello ruzzolò al suolo gemendo.

«Vai, Elora, prendila!»

La fanciulla non obbedì.

«Elora

«No.» Lei scosse il capo rosso. «Così non è giusto.»

Graydon si era buttato addosso a Boorman nel tentativo di mantenerlo bloccato. «Prendila

«No» si rifiutò di nuovo Elora, triste e sconfitta.

Con un ruggito da orso in calore, Boorman si liberò di Graydon spostandolo di lato, si erse in piedi e si fiondò sull’anfora a dita spiegate. La prese e la sollevò dalla sua postazione.

«Ho vinto! Ho vintoooo!» strepitò, più infuriato che felice, l’anfora sollevata sopra i capelli disordinati e sporchi un po’ di tutto. Rifilò ai due ragazzi un’espressione da invasato, il respiro corto.

«Molto bene» echeggiò sinistra ma amichevole la voce di Willow. Arrivava da… boh? «La prova è finita! Complimenti a tutti. Restate dove siete, veniamo a prendervi.»

 

 

Il sole stava ormai tramontando dietro i colli tingendo di rosso il cielo. L’aria si era fatta più fredda. Una parte del pubblico se n’era andata, ma la maggior parte era rimasta ad assistere al termine del gioco.

I sei concorrenti stavano eretti davanti a Sorsha, uno di fianco all’altro. Airk, Jade e Kit erano usciti prima dal percorso, ma a loro adesso si era unita anche Elora e i quattro erano avvolti ognuno in una pesante coperta per asciugarsi dalle acque torbide nelle quali erano caduti. Airk appariva assente; Jade, perplessa; Kit, furiosa; Elora, afflitta.

Graydon, se avesse voluto, avrebbe potuto fulminare sul posto Boorman: fortuna che non era un mago oscuro. Si limitava a guardarlo con fastidio represso. E di tanto in tanto si voltava verso Elora con dispiacere e trasporto.

«Complimenti al vincitore del secondo gioco, il Percorso a Ostacoli. Boorman!» annunciò Sorsha. Anche lei dava i primi segni di averne abbastanza di quella giornata impegnativa.

Seguì un forte applauso e Boorman che sollevava l’anfora in segno di trionfo davanti alla folla, raggiante.

«Tuttavia.» La voce squillante e chiara di Willow fece da chiusura all’applauso e trasse a sé l’attenzione di chiunque fosse presente. Se ne stava tranquillo a lato di Sorsha, col suo bastone. Però stavolta mostrava un sorriso soddisfatto, dolce. «Abbiamo visto tutti cosa è successo. Possiamo dire che… il primo posto va a Thraxus Boorman. Per il coraggio, l’abilità e l’ottimo intuito.»

Altro breve applauso. La gente era troppo curiosa di sapere come avrebbe continuato Willow. L’unico a non sembrare (più) completamente soddisfatto era Boorman.

«Il secondo posto… va a Elora Danan. Per aver dimostrato bontà d’animo, altruismo, spirito di gruppo. Qualità di cui ognuno di noi avrebbe più bisogno, e che siamo fieri di aver visto in te.» C’era un non so che di paterno nei modi del Nelwin. Aveva scandito con calma e precisione le parole, guardando dritto verso Elora. Lei rimase interdetta e stupita un attimo, per poi aprirsi in un sorriso e accogliere il rumorosissimo applauso degli spettatori, mentre si portava impacciata i capelli bagnaticci dietro le orecchie.

Anche Sorsha e gli altri ragazzi manifestarono il loro assenso. Lo stesso Boorman, posata l’anfora, batté le mani e gli sorrise da dietro la barba.

 

Terzo posto: Graydon, per lo spirito altruistico dimostrato.

Quarto posto: Jade.

Quinto posto: Kit.

Sesto posto: Airk.

   
 
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