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Autore: CedroContento    08/02/2023    2 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Al tempo non ero stato in grado di dirlo - sai, il pezzetto d’ascia che mi si era incastrato in testa mi ha impedito di parlare per molto tempo, era frustrante - ma mi fece uno strano effetto rivedere Dale dopo tanti anni. Nei miei ricordi era una città caotica, piena di vita. Quella che avevamo lì davanti invece era una tomba. Una tomba triste e abbandonata a sgretolarsi su di sé, lassù, tutta sola”. 
 
Bifur
 
 
Erano passati presto dall’essere prigionieri al diventare graditi ospiti, perché nonostante fossero ad Esgaroth da meno di dodici ore, ciò che Thorin aveva visto gli era bastato e avanzato per sapere esattamente cosa avrebbe dovuto dire ai cittadini della città sospesa sul lago per conquistare la loro benevolenza. Gli era bastato sedurre e stordire gli abitanti di quello squallido posto con promesse di ricchezza, promesse di abbondanza.
 
“Ricordo questa città al tempo della sua grandezza,” aveva esordito, innanzi alla platea che si era riunita davanti alla casa del Governatore, dove i nani erano stati condotti in catene. “Flotte di navi attraccate al porto, colme di sete e gemme preziose. Questa non era una città abbandonata sul lago, questo era il centro di tutto il commercio del Nord. Io garantirei il ritorno di quei giorni, riaccenderei le grandi fornaci dei nani e farei fluire benessere e denaro di nuovo dalle sale di Erebor!”
 
Senza sorprendersi, aveva osservato come le sue parole facevano, una dopo l’altra, centro negli animi di quei poveretti, come le lance che avevano puntate addosso si erano leggermente abbassate, come la tensione si era sciolta. 
 
Solo a quel punto aveva spostato il suo sguardo sul Signore di Pontelagolungo, e aveva sferrato l’attacco finale: “Se riusciremo, tutti condivideremo le ricchezze della Montagna. Questo posso prometterlo”.
 
Il Governatore lo aveva soppesato in silenzio per tutto il tempo, ma il suo tacere non aveva preoccupato affatto Thorin. Conosceva le persone come lui, conosceva la natura degli uomini, e sapeva già come sarebbe andata a finire quella faccenda. 
 
“E allora io vi dico… benvenuti, miei cari amici!” Il Signore di Esgaroth aveva spalancato le grasse braccia, facendo tintinnare la quantità spropositata di bracciali e catene d’oro che aveva ai polsi, e aveva aperto loro le porte di casa sua. 
 
Per la gioia dei nani, stanchi e come al solito affamati, venne organizzato all’istante un ricco banchetto per quella sera. In onore di Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna. 
 
“Un Re tornerà alla montagna Solitaria e i fiumi scorreranno di nuovo pieni d’oro!” brindarono gli uomini di Esgaroth, quella sera. 
 
Thorin era riuscito a risolvere la situazione a proprio vantaggio in modo veloce e senza alzare un dito, ma quando prese posto per unirsi ai festeggiamenti era comunque di pessimo umore, e il chiasso attorno alla tavolata non faceva che peggiorare il suo nervoso. Nervoso da imputarsi al fatto che aveva discusso con Bilbo, appena poco prima di cena. 
 
Thorin non era pronto a lasciar correre ciò che avevano fatto le guardie nell’armeria; aveva deciso di pretendere giustizia per la violenza inaudita con la quale i soldati avevano trattato lo hobbit, in particolare. Voleva che il Governatore gliene rendesse conto, voleva che chi aveva fatto del male a Bilbo pagasse. 
 
Ma quando aveva fatto l’errore di dirlo a Bilbo, quello lo aveva pregato di non farlo, sostenendo che in fin dei conti lui stava bene, era solo qualche graffio e la cosa più importante era che avevano risolto le cose in modo pacifico. 
 
Thorin non aveva voluto sentire ragione, e l’avrebbe sicuramente spuntata, se alla fine anche Balin non si fosse messo in mezzo. In due erano riusciti a persuaderlo a lasciar correre il torto subito e Thorin aveva dovuto arrendersi, andando contro la propria stessa natura, considerando che in vita sua aveva ucciso per molto meno. Si era fatto convincere solo per amore di Bilbo, che non chiedeva altro che un attimo di pace, ma non era per niente contento della cosa. 
 
Thorin vuotò in un unico sorso il calice di vino che aveva davanti e alzò la testa per cercare lo hobbit all’altro estremo della tavolata, deciso a tornare sulla questione. Quando non lo trovò, seduto vicino a Bofur dove lo aveva lasciato, le sue gambe scattarono d’istinto. Bilbo aveva il dono di riuscire sempre a svignarsela non visto a suo piacimento, e la cosa era molto fastidiosa. Comunque non poteva essere andato lontano, così Thorin lasciò la stanza rumorosa e si avventurò per i locali immersi nel silenzio della grande casa del Governatore. 
 
Avanzò piano lungo i corridoi semibui, illuminati solo dalla luce della luna che filtrava dalle finestre - per quanto la sporcizia che si era accumulata sui vetri concedesse alla luce di passare. Dei tappeti altrettanto sporchi, che in tempi migliori dovevano essere costati una piccola fortuna, coprivano i pavimenti scricchiolanti, almeno erano utili a garantirgli di spostarsi con estrema discrezione. 
 
Svoltò un angolo e pensò di aver fatto centro notando una porta semichiusa da cui usciva uno spicchio di luce. Andò in quella direzione, ma capì presto che Bilbo non doveva essere lì dentro - almeno se lo augurava - perché quelle che arrivarono alle sue orecchie furono le voci del Signore di Esgaroth - il loro anfitrione - di Alfrid e di Bard. 
 
Quest’ultimo, quell’infame maledetto, stava giusto parlando in quel momento: “Morte, ecco cosa ci porterà il nano. Fuoco di drago e rovina. Se quella bestia verrà risvegliata, distruggerà tutti noi!” 
 
Thorin strinse i pugni. L’ipocrita che non era altro stava cercando in ogni modo di mandare a monte i suoi programmi, quando era stato proprio lui stesso a lasciarsi corrompere per accompagnarli nella sua adorata città in grande segretezza. Evidentemente, ora che non rappresentavano più una bella fonte di guadagno, era pronto a sbarazzarsi di loro. 
 
Avrebbe avuto voglia di entrare e farlo tacere una volta per tutte, ma si costrinse a stare fermo, pensando che forse poteva valere la pena di sentire anche il resto del discorso. 
 
“Tu e la tua stupida profezia,” sibilò acidamente Alfrid. “Quasi certamente quel pugno di nani morirà nel tentativo di raggiungere la Montagna senza nemmeno riuscire a metterci piede. Lascia che intanto la gente creda a ciò che vuole credere”. 
 
“Sono tutte baggianate,” convenne il Governatore. 
 
“Le vecchie leggende dopotutto offrono speranza, può essere utile incoraggiarle, abbiamo poco o nulla da perdere,” rincarò il suo braccio destro. 
 
“E in compenso la mia popolarità non è mai stata così alta!” si rallegrò ancora il Signore di Pontelagolungo, vanesio. 
 
“Avete dimenticato ciò che è successo a Dale?” insistette Bard. “È stato solo per la cieca ambizione di un Re della Montagna. Non possiamo commettere lo stesso errore!”
 
“Non dobbiamo essere troppo frettolosi a dare la colpa. Non dimentichiamo che è stato il tuo antenato, Girion, che fallì nell’impresa di uccidere la bestia. Freccia dopo freccia mancò il bersaglio,” fece il Governatore, come se quella constatazione potesse in qualche modo dimostrare quanto in torto fosse il chiattaiolo. “E in ogni caso non c’è nessun noi. Il capo sono io, e ho già preso la mia decisione. Ora vattene!”
 
Thorin udì Bard sospirare e subito dopo dei passi pesanti pestare furiosamente il pavimento. Non accennò a spostarsi nemmeno di un millimetro da dove si trovava, non aveva mai temuto un faccia a faccia con un rivale. Anzi. 
 
Il chiattaiolo sobbalzò quasi impercettibilmente ritrovandoselo davanti, ma si ricompose presto. “Non hai alcun diritto di entrare in quella Montagna,” disse a denti stretti, puntando lo sguardo caparbio in quello di Thorin. Lo avrebbe ostacolato fino a quando avesse avuto vita, questo il nano lo capì subito. 
 
“Io sono l’unico ad averlo,” ribatté, tenendogli fieramente testa. Se voleva guerra, guerra avrebbe avuto. 
 
Bard lo sorpassò urtandolo di proposito. Thorin non raccolse la provocazione, non era ancora il momento. Il tempo per restituire al chiattaiolo pan per focaccia sarebbe arrivato, prima o poi, e se c’era una cosa che Thorin sapeva fare era aspettare. 
 
Quando sentì che anche il Governatore il suo tirapiedi stavano uscendo, si decise a proseguire; meno doveva avere a che fare con gente così falsa e viscida e meglio era, c’era un limite a quello che poteva sopportare la sua pazienza. 
 
Trovò Bilbo all’aperto, affacciato ad un terrazzino che dava su di uno stretto canale. Le acque tranquille brillavano sotto di lui, riflettendo le stelle. 
 
Mosse un passo nella sua direzione e il legno scricchiolò sotto i suoi stivali facendo alzare a lo hobbit la testa di scatto. 
 
Thorin avvertì un moto di rabbia stringergli la bocca dello stomaco, nell’istante stesso in cui guardò il volto di Bilbo, livido per una buona metà, ma si costrinse a domarla. Ricordò all’istante cosa lo aveva indotto ad arrendersi, quando avevano discusso. Vedere Bilbo così fragile era disarmante, e lo faceva sentire fragile a sua volta. Non voleva essere lui la causa di altre preoccupazioni. 
 
“Thorin,” lo salutò lo hobbit, abbozzando un sorriso che non arrivò agli occhi. 
 
“Scusa, non volevo spaventarti. Cosa ci fai qui al freddo?” 
 
“L’aria dentro cominciava a farsi opprimente.” 
 
Thorin annuì. “Anche per me”. 
 
Raggiunse Bilbo alla ringhiera, e quando gli fu accanto non poté impedirsi di sfiorargli l’occhio gonfio e viola. Si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo, per non essere riuscito a tenerlo al sicuro. 
 
“Sono tutti così? Gli uomini,” chiese piano lo hobbit. Non si sottrasse al suo tocco e Thorin gliene fu grato. 
 
“Quelli che ho incontrato nella mia vita sì, la maggior parte sono così.” 
 
“Allora devo rallegrarmi di averci avuto poco a che fare,” fece Bilbo, arricciando il naso. 
 
Thorin si lasciò scappare un sorriso quando lo toccò il pensiero che nemmeno un occhio nero riusciva ad intaccare la sua bellezza, che veniva fuori in particolare quando si indignava per qualcosa - e in effetti quello capitava spesso. Non ricordava di aver mai amato tanto qualcuno, tanto da riconoscerne e volerne scoprire ogni sfumatura. Amare tanto da far male, quando si fermava a pensarci troppo. 
 
“Mi dispiace,” disse Bilbo all’improvviso. “Ho combinato un gran pasticcio nell’armeria”. 
 
Tu ti senti in colpa?!” Si sforzò di reprimere il fastidio che gli causava quell’idea assurda, stupida, anche se ormai sapeva che era tipico di Bilbo incolparsi per qualsiasi sfortuna capitasse loro; una cosa che odiava, per quanto gli fosse possibile odiare un tratto di lui. “Sono io quello che dovrebbe chiederti scusa. Hanno preso te solo per ferire me, mi sono lasciato tradire reagendo e ti hanno fatto questo”. 
 
Bilbo scosse la testa e Thorin notò i suoi occhi riempirsi di lacrime. Lo afferrò all’istante, lo strinse forte, in parte per impedire anche a sé stesso di andare in pezzi. Gli avvolse il viso tra le mani e gli posò un bacio sulla fronte, fermando lì le proprie labbra, mentre lo tratteneva a sé e silenziosamente lo implorava di credere a quanto gli diceva, e magari di darsi tregua, una volta tanto. 
 
Gli accarezzò le guance e il collo scoperto. Sempre più spesso le sue mani sentivano l’urgenza di toccare la sua pelle, aveva bisogno e la voglia di sentirla a contatto con la propria, di sentirne il calore, di sentire il suo cuore che batteva. E posando i palmi delle mani sul suo petto, Thorin scoprì che in quel momento il cuore di Bilbo batteva velocissimo, proprio come il suo. 
 
Fu Bilbo ad alzare la testa e a cercare la sua bocca, a baciarlo per primo. Thorin si fece trovare pronto, perché la verità era che non pensava ad altro da giorni, da quando ne aveva avuto il primo assaggio sulle rive del Fiume Selva. 
 
Contraccambiò, lentamente e dolcemente, ma quando Bilbo si lasciò sfuggire un versetto di piacere, avvertì una scossa di desiderio percorrergli il corpo e aumentò l’intensità del bacio, il respiro sempre più veloce. 
 
Le mani di Bilbo risalirono lungo il suo petto, si intrecciarono alla sua barba, gli sfiorarono il collo, facendogli fremere le terminazioni nervose, annebbiandogli definitivamente la testa. L’unico pensiero che riusciva a formulare era che voleva di più. Voleva tutto. 
 
“Entriamo?” chiese d’impeto. 
 
Bilbo annuì, gli occhi velati di desiderio, e senza aspettare un secondo di più Thorin lo alzò di peso, facendolo ridere; la sua risata fu come un balsamo su una ferita. 
 
Lo trasportò nella camera che avevano riservato a lui solo. Ignorarono il letto di legno marcio e maleodorante che era sistemato in un angolo buio, vicino a una finestra da cui entravano un mucchio di spifferi. Spostarono invece tutte le coperte e i cuscini che trovarono davanti al caminetto acceso, dove poi si accoccolarono, stretti l’uno all’altro.
 
Da quel momento non parlarono molto, se non qualche parolina dolce mormorata tra un bacio e l’altro. Un “Ti voglio” sussurrato mentre si liberavano a vicenda dell’ingombro dei vestiti.
 
Thorin esplorò ogni centimetro del corpo di Bilbo, con le mani, con la bocca, beandosi di averlo lì, completamente avvinto, fremente e decisamente eccitato, come scoprì premendosi contro di lui, accarezzandolo dove era certo di procurargli più piacere. 
 
La sua mano si intrufolò sotto la sua camicia, nei suoi pantaloni, e prima che potesse rendersene conto lo aveva spogliato completamente. Ogni gemito dello hobbit gli causava una fitta di eccitazione che gli risaliva dall’inguine, dritto alla testa. 
 
Bilbo era in assoluto la cosa più bella che avesse mai visto. La sua pelle era morbida e candida, e per qualche oscuro motivo ancora riusciva a profumare di sapone come quando l’aveva conosciuto. C’era una dolcezza che non aveva mai provato nel modo in cui ricambiava i suoi baci e lo toccava, con una tenerezza di cui Thorin nemmeno sospettava di aver bisogno, ma a cui, giurò a sé stesso, non avrebbe mai più rinunciato. 
 
Doveva avere Bilbo, lo voleva solo per sé, non aveva mai voluto tanto qualcosa. E quando sentì che non poteva più resistere, gli aprì le gambe e se lo prese.
 
 
Bilbo venne svegliato da un leggero bussare.
 
“Thorin, sei sveglio?” chiese la voce di Dori, dall’altra parte della porta. 
 
Aveva la guancia appoggiata al petto di Thorin. Il suo corpo era incandescente, lo aveva tenuto al caldo tutta la notte; per fortuna, perché il fuoco nel caminetto si era quasi spento e la stanza era gelida. 
 
“Sì, arrivo subito,” disse Thorin, stiracchiandosi e poggiando un bacio a stampo sulle labbra di Bilbo, che alzò la testa sorridendo e si strinse a lui ancora un pochino, in cerca di altro calore. 
 
“Va bene,” seguì un attimo di silenzio, ma Dori dovette ripensarci e aggiunse: “Dimenticavo, non è che hai visto Bilbo? Non riusciamo a trovarlo”. 
 
“Bilbo è qui con me,” rispose senza esitazione Thorin, lasciandosi sfuggire un sorriso mentre Bilbo nascondeva la testa sotto le coperte per l’imbarazzo.
 
“Ah…” fece Dori. “Be’, vedete di sbrigarvi”.
 
“Thorin! Sei impazzito?!” esclamò Bilbo, quando fu certo che nessuno fosse più in ascolto. 
 
“Che c’è? Io non ho assolutamente nulla di cui vergognarmi,” replicò il nano, rigirandosi appena e avvolgendo Bilbo tra le braccia. 
 
Thorin lo guardò con tanta tenerezza che Bilbo dimenticò all’istante quanto era appena stato sfacciato, e anche tutti i propri disagi. 
 
Cominciava ad avere freddo, il suo stomaco reclamava del cibo e l’occhio gli pulsava dolorosamente, ma non si era mai sentito tanto felice. 
 
 
Dopo una ricca colazione i nani si erano riuniti tutti nell’atrio del palazzo del Governatore. 
 
Le autorità, alla fin fine, avevano messo l’armeria a loro completa disposizione e ognuno di loro era stato dotato di armature ed armi; non delle più moderne e ben tenute, ma che potevano ancora tornare utili se ti apprestavi a scalare una montagna e risvegliare un drago. 
 
Scendendo gli ultimi gradini della scala principale, Bilbo notò che Dwalin stava passando ad Ori un sacchettino tintinnante, accompagnandolo ad un grugnito.
 
“Non avrete scommesso di nuovo?” chiese, una volta che si fu unito al gruppo. 
 
Credeva che i nani avessero dato fondo a tutti i propri averi quando si era trattato di dover pagare Bard, come aveva fatto lui, ma evidentemente non era così. Li esaminò sospettoso, chiedendosi quanti gruzzoletti nascosti avessero in realtà ancora addosso. 
 
“Sì,” fece Ori, “E a proposito, grazie. Non ne ho dubitato nemmeno un istante!” aggiunse tutto allegro.
 
“Grazie?” ripeté Bilbo, interdetto. “Aspetta, qual era l’oggetto della scommessa?” chiese, sentendo il viso che andava in fiamme.
 
“Bene. Se ci siamo tutti andiamo,” li interruppe Thorin, battendo una volta le mani per avere l’attenzione di tutti. 
 
“In realtà siamo a corto di uno. Dov’è Bofur?” chiese Fili.
 
“Dobbiamo trovare la porta prima del calare del sole, non abbiamo tempo da perdere. Se è rimasto indietro lo lasceremo qui, non possiamo permetterci ulteriori ritardi. E comunque può pensarci Kili a trovarlo”.
 
“Cosa?” sobbalzò quello, sentendosi nominare. “Cosa intendi dire?” 
 
Bilbo guardò preoccupato il giovane nano, che se possibile sembrava messo addirittura peggio di lui. Delle gocce di sudore gli imperlavano la fronte e aveva il fiato corto, come se avesse appena corso fin lì da Gran Burrone. In più era così pallido che sembrava un pezzo di pergamena. Era evidente che non stava affatto bene. 
 
“Tu rimani. Dobbiamo andare veloci, ci rallenteresti,” disse Thorin, in un tono che non lasciava spazio ad obiezioni. 
 
“Voglio esserci quando quella porta si riaprirà!” protesta in ogni caso Kili. 
 
Dalla sua espressione a metà fra la rabbia e il dispiacere, Bilbo capì che percepiva quella come una punizione per il pasticcio che aveva combinato nell’armeria, ma sapeva che non era nell’intenzione di Thorin. Teneva molto a Kili, e voleva restituirlo a sua sorella con entrambe le gambe, se possibile. 
 
“Resta qui, riposa. Ci raggiungi quando guarisci,” aggiunse Thorin, con più gentilezza, ma irremovibile. 
 
“Siamo cresciuti con le storie della Montagna, storie che tu ci hai raccontato. Non gli puoi togliere questo!” si intromise Fili, che tuttavia si lasciò tradire da uno sguardo preoccupato alla gamba del fratello. 
 
“Fili, un giorno sarai Re e capirai,” lapidò la questione Thorin. 
 
A quel punto fu chiaro ai due fratelli che per quanto avessero protestato non l’avrebbero mai spuntata. Kili imprecò sottovoce, Fili invece non aggiunse altro, se non che sarebbe rimasto con suo fratello. A quel punto Oin si offrì come volontario per badare a loro, a Kili in particolare, e quando finalmente uscirono dalla porta principale, erano quattro in meno del dovuto. 
 
Trovarono una gran folla ad accoglierli. L’intera Esgaroth voleva assistere alla partenza dei nani che marciavano alla volta della riconquista di Erebor. Il Governatore tenne un sentitissimo discorso e le trombe trillarono allegre, mentre si imbarcavano su una modesta imbarcazione, pronti ad affrontare la traversata del lago. 
 
“Hai fatto la cosa giusta,” disse Bilbo a Thorin, prendendogli una mano, intuendo quanto fosse stato difficile per lui negare a Kili di seguirlo. Aveva dovuto rinunciare lui stesso alla gioia di avere i propri nipoti vicino a sé. 
 
“Lo spero,” sorrise amaramente Thorin, restituendo la stretta. 
 
Durante le prime ore di viaggio, la compagnia fu silenziosa e il morale rimase basso a causa delle recenti separazioni. L’incombere della Montagna Solitaria sulle loro teste non faceva che aumentare la tensione e l’aspettativa. Il momento stava arrivando, dopo tutta quella strada c’erano quasi. 
 
Navigarono per mezza giornata sulle acque scure di Lago Lungo. L’obiettivo era raggiungere la foce del Fiume Fluente che avrebbero risalito. Di lì in poi li avrebbe attesi una camminata di diverse ore. 
 
Thorin impose loro un passo sostenuto, e presto Bilbo rimase indietro, ma almeno era in compagnia di Balin, il quale sostenne che una decina di anni prima era stato in grado di fare quella strada di corsa e in metà del tempo. 
 
Bilbo procedette affondando quanto più possibile il collo nel bavero della giacca. L’aria era fredda, e si stava alzando un venticello fastidioso che pungeva la pelle e gli faceva fischiare le orecchie. La montagna sembrava non finire mai; dietro ogni salita o collina se ne presentava un’altra, ancora più grande, ancora più ripida. Più salivano di quota più l’erba si diradava. I cespugli erano spariti, c’erano solo alberi spezzati e anneriti. 
 
“Che silenzio,” osservò Bilbo, fermandosi un istante a riprendere fiato, quando raggiunsero una piana. 
 
Erano già saliti parecchio di quota e da quell’altezza poteva vedere l’intero lago ai suoi piedi, e Pontelagolungo proprio in mezzo ad esso. 
 
“È la Desolazione del Drago,” disse Balin, approfittando volentieri della scusa per fare una pausa. “Non è sempre stato così. Una volta quelle colline erano piene di boschi e tra gli alberi cantavano gli uccelli.” 
 
“Aspetta, è questo lo spiazzo di cui parlava Gandalf?” realizzò d’un tratto Bilbo. “Non ha detto di attenderlo qui? A nessun cost-”
 
“Tu lo vedi?” li interruppe improvvisamente la voce di Thorin, che probabilmente era tornato indietro per vedere che fine avessero fatto. “Il sole è già a mezzodì, non c’è più tempo. Siamo da soli”. 
 
Thorin ormai si era fatto così impaziente che Bilbo sapeva che sarebbe stato impossibile discutere con lui, quindi annuì senza nemmeno tentare di farlo ragionare. Poteva capire il suo stato d’animo, dopotutto erano anni che aspettava quel giorno, ma avrebbe preferito che le sue emozioni non offuscassero il suo buonsenso. E aspettare Gandalf per affrontare un drago sputa fuoco sarebbe decisamente stato un atto di buonsenso, per come la vedeva lui. Sperò che Gandalf fosse ad attenderli più avanti, che gli avesse già individuati e stesse aspettando il momento migliore per entrare in scena. In fin dei conti era uno stregone, e gli stregoni comparivano sempre e solo quando intendevano farlo, glielo aveva detto Gandalf stesso. 
 
Ci vollero altre due ore di camminata per superare le rovine della città di Dale e Collecorvo, sul quale resistevano ancora le macerie della vecchia torre di guardia eretta dai nani centinaia di anni prima.
 
Raggiunsero le pendici della Montagna appena a pomeriggio inoltrato, dalla via sud, ritrovandosi proprio davanti all’ingresso principale. Da lì deviarono a sinistra, girandoci attorno per raggiungere il fianco Occidentale, che a quanto diceva la mappa era il punto in cui era situato il passaggio segreto. 
 
Quando ormai dovevano essere vicini a destinazione, Thorin cominciò a sondare con lo sguardo le pareti di roccia e a rigirarsi nervosamente la mappa tra le mani, cercando dettagli che evidentemente non conteneva. Bilbo fu certo che si era perso, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.
 
Al colmo della frustrazione, ad un certo punto, il Principe dei nani fece per appallottolarla, ma fortunatamente Dwalin, con fare altrettanto spazientito, gliela strappò di mano con un grugnito e la esaminò da sé. 
 
Bilbo, in ogni caso, era contento di avere un altro pretesto per fermarsi. Le gambe gli facevano malissimo per lo sforzo, e la combinazione di aria fredda e fiatone gli aveva mandato i polmoni in fiamme. Se non altro il gelo gli aveva anche anestetizzato la faccia. 
 
Si sistemò su una roccia e si guardò attorno, con una mano sul petto, cercando di regolarizzare il respiro. Fu allora che lo notò: come un solco che squarciava la parete di roccia alla sua destra da cima a fondo. Sembrava proprio una stretta scalinata. 
 
“Potrebbe essere quello che cerchiamo?” chiese, alzando la voce per farsi sentire.   
 
Gli occhi di tutti i nani scattarono prima verso di lui e poi nella direzione che aveva indicato. 
Con rinnovato entusiasmo, tutti convennero che sicuramente dovevano andare per di là. 
 
“Hai occhi acuti, mastro Scassinatore,” disse Thorin avvicinandoglisi, l’euforia a stento trattenuta nella voce. 
 
Solo il giorno prima Bilbo si sarebbe sentito soddisfatto e fiero di sé per essere stato d’aiuto, ma in quel momento c’era qualcosa che proprio non gli tornava. Non riusciva a rallegrarsi; si sentiva pensieroso, insicuro riguardo tutto. Imputava quelle sensazioni al fatto che il momento di fare ciò per cui era stato assunto si avvicinava, forse cominciava ad essere teso solo per quello. Ma in un angolino della sua testa una vicina continuava a bisbigliare incessantemente che c’era dell’altro a cui doveva fare attenzione, che c’era qualcosa di completamente sbagliato in quel che stava facendo. O in quel che aveva fatto la notte prima? 
 
Thorin fece per dargli un buffetto sulla guancia. Bilbo si ritrasse, senza sapere bene perché e pentendosi subito della reazione insensata. Thorin per fortuna non se ne accorse e andò avanti.
 
“Ormai sei il suo orgoglio, Bilbo,” lo raggiunse Balin, fermandosi al suo fianco e osservando sconsolato il ripido sentiero che li attendeva. 
 
Bilbo annuì distrattamente, senza togliere gli occhi dal suo bel Principe che si metteva in testa al gruppo. “Ma cosa accadrebbe se dovessi deluderlo?” chiese, se a Balin o a sé stesso non lo sapeva. Forse a entrambi. 
 
Balin ignorò il segnale di partenza di Thorin e si sedette accanto a Bilbo. “Sai, io non so cosa troverai in quella montagna, ma sappi che non c’è nessun disonore nel tirarsi indietro. Non devi andare se non vuoi,” disse il vecchio nano. 
 
“Non posso tirarmi indietro, Thorin non me lo perdonerebbe mai,” rispose Bilbo, domandandosi quanto di ciò che provava avesse davvero intuito Balin. Verosimilmente molto. “Devo almeno provarci”.
 
“Be’, io credo in te, mio caro mastro Baggins,” disse Balin, alzandosi con un sospiro di fatica e mettendosi in fila dietro ai suoi compagni. 
 
Bilbo invece rimase fermo dov’era, a chiedersi se era mal riposta la fiducia di tutti loro, quella di Balin, o quella di Thorin.

Perché lui non aveva la più vaga idea di quello che stava facendo. 
 

 
   
 
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