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Autore: Ode To Joy    09/02/2023    2 recensioni
[BakuTodo]
[DabiHawks]
[Past- BakuDeku]
Touya davvero non lo capiva.
“Perché continui a provarci tanto ostinatamente con me?”
Tutti avevano gettato le armi, dichiarandolo una causa persa, un fallimento. Tutti. I due uomini più importanti della sua vita per primi.
E ora arrivava questo fanciullo, che aveva il suo stesso viso ma non lo conosceva affatto.
Un estraneo. Suo fratello.
“Perché quando ti guardo vedo me,” rispose Shouto, con voce rotta. “Perché qualcuno mi ha salvato, nonostante io non stessi chiedendo aiuto.”
“Tu non mi conosci, Shouto.”
“Nemmeno tu conosci me. Ma mi conoscerai, stanne certo.”

[...]
A seguito di una guerra vinta a caro prezzo, il Principe Shouto viene cacciato dalla corte di suo padre perché aspetta un figlio da Katsuki, il Drago di cui è Cavaliere. Cerca rifugio dal fratello maggiore, esiliato otto anni prima, che ha rinunciato al nome della loro famiglia per divenire Dabi.
[Fantasy AU]
[Questa storia partecipa al Writober 2022 di Fanwriter.it]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dabi, Hawks, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Mpreg, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note: strizzatina d’occhio a Evangelion per il titolo di questo capitolo.
Prompt: “Relax. Nothing is under control”


XXI

You Are (Not) Alone

 

Take the moment and taste it
You've got no reason to be afraid
You're on your own, kid
Yeah, you can face this
You're on your own, kid
You always have been
[“You're on your own, kid” - Taylor Swift]



 

Di norma, l’investitura di un nuovo Campione o Primo Cavaliere veniva accompagnata da vivaci festeggiamenti che animavano la corte dell’Alto Trono per giorni. Hawks ricevette il suo titolo nelle fredde terre degli Himura, al castello che era stato culla della dinastia dei Signori del Ghiaccio, nel bel mezzo di una guerra contro gli invasori del Nord.

Enji decise di onorarlo comunque, se non altro per concedere agli uomini dell’esercito una breve distrazione dal campo di battaglia. 

Per l’occasione, si presentarono tutti in armatura cerimoniale e le poche dame presenti, figlie della regione settentrionale, furono oggetto d’interesse di gran parte degli uomini presenti.

Touya non vedeva né i loro abiti variopinti, né i mantelli rossi dei soldati della Corona. Sedeva alla destra del Re in una sala del trono che era grande la metà di quella in cui era cresciuto, mentre tutti gli invitati l’attraversavano per inchinarsi al cospetto suo e di suo padre, ma per lui non era diverso da uno spazio vuoto.

Non udiva la musica della piccola orchestra e se qualcuno osava tanto da rivolgersi direttamente a lui, fosse anche un servo che domandava se avesse ancora voglia di bere, lo ignorava e obbligava il sovrano a rispondere per lui.

Quando suo padre trovò il coraggio di chiamare il suo nome, il banchetto era ormai finito - il Principe non aveva toccato cibo - e le danze erano entrate nel vivo.

“Touya, devi mangiare qualcosa,” disse Enji.

Il Principe lo ignorò.

“Sei pallido,” insistette il sovrano. “E il tuo viso porta i segni della stanchezza…”

Ogni parola era un’unghia che si conficcava nel palmo di Touya, mentre stringeva i pugni tanto da sentire le ossa scricchiolare.

“Touya, parlami.”

Enji cercò di toccarlo, ma il fanciullo ritrasse il braccio.

“Tu vuoi che sia il tuo Principe della Corona, no?” 

Mentre si rivolgeva al padre, gli occhi di Touya erano più freddi delle terre che li ospitavano.

“Eccomi qui, seduto al tuo fianco. Abbi la decenza di non chiedermi altro.”

Aveva indossato gli abiti del colore della casata di sua madre da solo, ma non ricordava di averlo fatto. Aveva fatto scivolare ogni bottone nella propria asola come un burattino privo di anima, guidato da chissà quali mani. Forse quelle del rancore.

Era troppo orgoglioso per dire a suo padre che non mangiava perché i crampi della fame erano una buona distrazione dal dolore che lui e Keigo gli avevano inferto, o che non dormiva perché, non appena cercava l’oblio del sonno, tutto gli crollava di nuovo addosso e passava la notte a piangere e soffocare le urla nel cuscino. 

Sì, stava male. Stava male come mai gli era successo in vita sua e se questo serviva a punire il Re e il suo nuovo Primo Cavaliere, allora che si vedesse, che tutti lo vedessero.

La musica s’interruppe di colpo e la folla danzante si divise in due. Quando l’annunciatore all’ingresso della sala del trono fece il nome del Primo Cavaliere, Hawks era già arrivato a metà della pista da ballo.

Era l’uomo più potente del regno, dopo il Re, a soli quindici anni e nemmeno si presentava in tempo ai festeggiamenti in suo onore. Poi era Touya quello drammatico.

Fece un veloce cenno a suo padre, come per chiedere il permesso ad avvicinarsi.

Data la sua approvazione, il Re si alzò dal trono e, mentre si allontanava per lasciarli soli, fece cenno all’orchestra di continuare a suonare.

Fosse stato Touya a chiedere una simile cortesia, suo padre non avrebbe mosso un muscolo. Ma lui e Hawks erano sempre stati molto bravi nell’allearsi per renderlo miserabile. 

Ora serviva che il Principe della Corona smettesse di fare i capricci e il sovrano era troppo codardo anche solo per provare.

Hawks, al contrario, fu molto temerario nel suo modo di porsi. Appoggiò entrambe le mani sui braccioli del trono e si chinò su Touya. In quel modo, per muoversi, il Principe avrebbe dovuto spingerlo via.

“Balla con me,” disse, secco. 

Non vi era entusiasmo in quegli occhi dorati. Sembrava diventato di colpo più grande, come se l’investitura lo avesse privato di colpo della vivacità della sua giovinezza. Lo avevano vestito da Lord, lo avevano pettinato in modo da privarlo di quella sua aria da ragazzino un po’ ribelle e un po’ sbruffone.

Touya rispose al suo sguardo e non seppe chi aveva davanti. Anche il linguaggio del corpo era diverso, più incisivo. Che fossero amanti lo sapevano anche ai confini più remoti del regno, ma, appena due giorni prima, mai Hawks si sarebbe imposto su di lui in quel modo pubblicamente. La sua investitura non solo giustificava la loro relazione, ma la incoraggiava.

Touya sorrise, beffardo.

“Mi stai impartendo un ordine, Primo Cavaliere?”

Hawks si fece indietro, forse rendendosi conto di aver esagerato. 

“Mi fareste l’onore di ballare con me, mio Principe?” 

Gli porse la mano. Un tempo avevano riso di quelle formalità, ora nessuno dei due si divertiva. 

“Sono già il trofeo di mio padre, almeno fino a che mio fratello non sarà abbastanza grande per essere esposto,” disse Touya. “Non ho intenzione di essere anche il tuo.”

“Vuoi che ti preghi?” Hawks piegò il braccio sinistro dietro la schiena e chinò il capo. “Balla con me, Touya.”

Il Principe rivolse lo sguardo altrove. 

“Non sei più tenuto a inginocchiarti di fronte a me, Primo Cavaliere.” 

“Non mi hai mai chiesto di farlo,” gli ricordò Hawks.

“Perché non c’erano titoli tra noi,” ribatté Touya. “Ma ora hai fatto tuo sia quello di Bugiardo che di Traditore. Congratulazioni.”

Non intendeva rimanere lì un minuto di più.

La folla non smise di danzare per farlo passare. Se si accorsero di lui, furono bravi a ignorarlo.

Hawks lo raggiunse a metà della sala, lo afferrò per un braccio e lo tirò in mezzo alla pista da ballo.

“Pensi che sia cieco al tuo dolore?” Gli domandò il Cavaliere, tenendolo stretto a sé. “Credi davvero che abbia barattato la tua felicità con la mia personale ambizione?”

Touya gli artigliò le braccia.

“Parli come se la tua investitura a Primo Cavaliere sia stata una punizione,” sibilò, tanto vicino alla bocca dell’altro fanciullo che avrebbe potuto baciarlo, ma non aveva altro che veleno per lui. “Volevi essere il braccio destro del Re, Keigo. Lo hai sempre voluto.”

Hawks fece aderire il palmo alla sua guancia.

“Ho giurato di servire questa Corona, quella di tuo padre, quella che sarà tua,” disse, solenne. “La mia lealtà nei suoi confronti non toglie nulla a te”

“Non mi toglie nulla?” Ripeté Touya, con un filo di voce. “Sei stato investito di un titolo che sarebbe dovuto essere mio. Il Re mi ha fatto richiamare dai confini del regno perché, parole sue, voleva presentare il suo nuovo Primo Cavaliere. Che cosa avrei dovuto pensare, Keigo? Che il mio stesso padre volesse farmi assistere, impotente, mentre mi toglieva quel poco che mi è rimasto per darlo a te?”

Hawks allontanò la mano dal viso del Principe, scottato.

“Hai passato la notte prima dell’investitura con me.” Se Touya avesse avuto altre lacrime da versare, avrebbe pianto. “Mi hai toccato con devozione, sapendo quello che tu e mio padre mi avreste fatto il giorno dopo.”

C’era una differenza sostanziale tra il Re e il fanciullo che era appena divenuto il suo Primo Cavaliere: se Enji era inflessibile nel mostrare qualsiasi senso di colpa, Hawks non lo nascondeva. Ma il fanciullo dalle ali scarlatte era sempre stato bravo in un'arte che a Touya sfuggiva completamente: piegare il cuore alla ragione.

“Ho bisogno che tu sia ragionevole, Touya,” disse e, pur essendo già stato respinto, prese il viso dell’Erede tra le mani. “Se mai un uomo osasse mettere in discussione il tuo valore, io e tuo padre non avremmo pietà di lui, ma non possiamo vivere nel terrore che ti faccia del male per dimostrare di essere forte.”

Era un ritornello vecchio di anni, ma Touya aveva cominciato ad ascoltarlo davvero solo di recente.

Sei solo, gli stava dicendo Hawks. Stai combattendo questa battaglia per conto tuo e non puoi vincerla.

“Se mai un uomo osasse…” Ripeté, trapassando il Cavaliere con quegli occhi di ghiaccio. “Allora perché non affondi le tue piume nel petto del Re, mentre tu ardi tra le sue fiamme?” Rise, un suono arido, cupo. “Sai cosa mormorano i Lord? Dicono che, per la prima volta in generazioni, potrebbe esserci la nascita di un erede prima di un’incoronazione. Ecco cosa tu e mio padre avete fatto di me. Il Principe delle Fiamme Blu è stato maledetto con un corpo troppo debole per il suo potere, ma può servire la Corona nell’ombra, come ha fatto sua madre, mentre il suo fratellino e il suo amante, pupilli del Re, si prendono tutto ciò che gli era stato promesso.”

“Non sei maledetto, Touya,” ribatté Hawks. “Sei solo-“

“Debole?” Concluse il Principe. “Sfortunato? Cosa, Keigo?”

Il Cavaliere non rispose.

“Ti piace essere un rapace addomesticato, appollaiato sulla spalla del Re?” Touya non era mai stato gentile, ma ora non gli restava che la crudeltà. “Io preferisco bruciare, piuttosto che passare il resto della vita nella gabbia di mio padre.”

Non appena la musica s’interruppe, il Principe si staccò dal Primo Cavaliere. Forse Hawks chiamò il suo nome, ma Touya non si voltò.

Era solo.

Aveva dato tutto se stesso a due uomini che gli avevano voltato le spalle.

Ci aveva creduto, era stato tradito. 

Ora era solo. 

“Non c’è più nulla che possa farti del male,” disse a se stesso.

Intanto piangeva.

 

-9 anni dopo- 

 

Il giorno in cui ebbe inizio l'evacuazione, Neito si svegliò circondato dal caos.

“Mi dispiace per questo brusco risveglio,” disse un fanciullo della servitù, aprendo tutte le tende della sua camera. “Dovete vestirvi e dovete farlo in fretta, ordini del Re.”

“Che cosa?”

Non ricevette risposta. Abbagliato dalla luce del sole e intontito dal modo improvviso in cui era tornato cosciente, Neito impiegò diversi istanti per aprire gli occhi e rendersi conto di quello che stava accadendo intorno a sé. Se non avesse sentito le parole ordini del Re, si sarebbe messo a urlare. Non vi era un solo servitore nei suoi alloggi, ma molti di più e tutti avevano fretta di prendere la sua roba da armadi e scaffali per riporla alla bene e meglio in dei bauli che non aveva mai visto prima.

“Che diavolo sta succedendo?” Domandò, non appena riuscì a mettersi in piedi,  ma non con la voce incisiva che avrebbe dovuto usare.

“Il Re ha dato ordine di evacuare tutta la corte, mio giovane signore.” Il fanciullo che gli aveva dato il buongiorno - se così si poteva chiamare - fu così gentile da porgerli gli abiti di cui aveva bisogno per rendersi presentabile.

Certo che nessuno stesse badando a lui, Neito si liberò degli abiti da notte e si vestì velocemente.

“Siamo sotto attacco?” S’informò.

Decisioni tanto estreme venivano prese solo in caso di pericolo imminente, uno di quelli da cui non si sapeva come difendersi. Nemmeno per l’ultima battaglia contro l’Unione delle Ombre si era arrivati a tanto.

Che cosa poteva mai essere accaduto per spaventare il Re in quel modo?

Il fanciullo della servitù abbassò lo sguardo. 

“Non so rispondervi,” ammise. “So solo che il nostro sovrano vuole tutte le Casate e i nobili minori residenti a corte in viaggio entro il tramonto.”

“In viaggio verso dove?”

“La servitù parla di una residenza reale ai confini della regione delle Montagne Rubino.”

“Le Montagne Rubino…” 

Era la terra di Izuku e Katsuki, un angolo della Cintura Vulcanica Maggiore dominato dal Clan Bakugou. 

“Mio signore…” Il fanciullo gli toccò il braccio, preoccupato, forse perché il suo viso non lasciava intendere nulla di buono.

Neito non ebbe il tempo di consolarlo, attraversò la stanza con ampi passi e fu lieto di trovare la sua scrivania come l’aveva lasciata. Prese un foglio di carta, intinse la penna d’oca nell’inchiostro e cominciò a scrivere in fretta e furia.

“Ragazzo, chiamami un messaggero,” ordino, mentre metteva nero su bianco quello che stava accadendo. Il suo resoconto era povero di dettagli, ma c’era quanto bastava al Primo Cavaliere per permettergli di capire la situazione.

“Temo non sia possibile,” disse il giovane servo. “Vi è l’inferno per i corridoi della corte e trovare un messaggero-”

“Ho capito! Ho capito!” Neito piegò la lettera in tre parti e la infilò nella tasca interna della giacca. Doveva trovare Hitoshi.

Non appena prese la direzione della porta, il fanciullo si allarmò.

“Non è sicuro, mio signore. Aspettate qui fino a che non saremo pronti a-”

Neito non gli diede ascolto e quando mise piede nel corridoio, si rese conto di quanto era davvero grave la situazione. Vi erano persone in ogni angolo e tutte erano impegnate a trasportare qualcosa - bauli per lo più. In mezzo a tutto quel marasma, i nobili li si riconosceva perché erano gli unici con le mani libere e il tempo per lamentarsi a gran voce.

“Il Re è completamente impazzito!”
“Svuotare un’intera corte per semplice paranoia e per andare dove? Il più vicino possibile a quei mostri sputafuoco!”

Neito poteva dar quasi loro ragione. Quasi.

Il fatto che i Principi Shouto e Katsuki fossero spariti dalla corte senza motivo e senza informare neanche i loro amici più intimi non faceva molto per giovare alla causa del Re. Se Neito aggiungeva a quello tutto ciò che lui e Hitoshi sapevano del Primo Cavaliere, allora c’erano tutti gli ingredienti necessari per un complotto di corte.

Ma c’era un dettaglio che era impossibile ignorare: nessuno si stava ribellando.

La nobiltà minore poteva esprimere il proprio malumore lungo tutti i corridoi del castello, ma questo non impediva loro di esortare la servitù a preparare i loro bagagli più in fretta.

Neito non aveva abbastanza elementi per decidere se il Re fosse veramente impazzito o meno, ma se tutti stavano eseguendo i suoi ordini, significava che il Concilio Ristretto era dalla sua parte.

E se le Casate dell’Alto Trono credevano ancora in Enji Todoroki, gli altri non potevano fare altro che chinare la testa e ubbidire.

“Neito!” 

Si sentì afferrare il braccio e quando sollevò lo sguardo, gli sfuggì un sorriso.

“Hitoshi, cercavo proprio te… Oh, sei in compagnia.”

Una bambina dai lunghi capelli argentei, con un piccolo corno sul lato sinistro della fronte, stringeva la mano di Hitoshi, come se da questo dipendesse la sua vita.

“Buongiorno, piccola Eri,” la salutò Neito, sfoderando il sorriso più amichevole del suo repertorio. 

Hitoshi lo spinse verso la parete per evitare a tutti e tre di venir investiti dalla folla di servi impazziti.

“Hai saputo?” Domandò il giovane dagli occhi perennemente scavati.

“Ho saputo,” confermò Neito. “Beh… Per quel poco che si sa…”

“E che cosa abbiamo intenzione di fare?”
“Rilassati. Nulla qui sembra essere sotto controllo, inutile stressarci troppo.” Il biondo tirò fuori dalla tasca interna della giacca la missiva che aveva scritto poco prima. “Ecco perché dobbiamo far intervenire qualcuno che può fare la differenza.”

Hitoshi guardò Eri, assicurandosi che non stesse ponendo troppa attenzione alla loro conversazione. Non gli piacque vedere che continuava a guardarsi intorno con gli occhi spalancati per la paura, ma era un bene che non fosse abbastanza presente a se stessa per rendersi conto di quello che stavano facendo. Era già tanto che contro quella parete nessuno li stesse urtando.

“Dobbiamo trovare un messaggero,” disse Hitoshi.

“Oh, ma davvero?”

“Non è il momento di fare l’idiota, Neito.”
“Avanti, sta avvenendo la fine del mondo, permettimi di sdrammatizzare.”

“Non dirlo neanche per scherzo...”

La fine del mondo c’era già stata ed erano sopravvissuti, non era verosimile ripetere l’esperienza a meno di due anni di distanza. 

Non avevano già combattuto e perso abbastanza?

“Dov’è il Maestro Aizawa?” Domandò Neito, di nuovo serio.

“Nella Sala del Consiglio.”

“Oh, allora ho intuito giusto: il Concilio Ristretto appoggia la decisione del Re.”

Hitoshi gli lanciò uno sguardo eloquente.

“Pensi che un simile inferno si possa scatenare per il capriccio di un uomo solo, anche se un Re?”

Il biondo scrollò le spalle.

“La chiamano monarchia assoluta per un motivo.”
“Esiste un Concilio Ristretto per un motivo,” ribatté Hitoshi.

“E il Maestro che ha detto?”

“Nulla. Non siamo gli unici a tenere dei segreti qui, solo quelli meno indicati a farlo.”

Neito capiva cosa intendeva, ma c’erano diversi motivi per cui il Primo Cavaliere li aveva ritenuti adatti a quel compito: erano della nuova generazione, appoggiavano Shouto più del sovrano attualmente in carica e non occupavano ruoli di prestigio all’interno della corte, pur essendo vicino a una o due persone che lo facevano.

“Questa è l’ultima volta,” disse Neito, sventolando la missiva, come per fare aria e se stesso e al suo complice. “Dove andremo, non potremo essere di aiuto a Hawks.”

Hitoshi storse la bocca in una smorfia. 

“Sarebbe anche ora che Hawks tornasse a far vedere la sua faccia da queste parti.”

“Hai ragione.” Neito scrollò le spalle. “Ma è facile giudicare senza riuscire a vedere tutto il disegno. Bando alle ciance, troviamo un messaggero, prima che ci trascinino via.”

“I messaggeri sono tutti nelle cucine.”
Entrambi i ragazzini abbassarono lo sguardo di colpo. 

Eri rispose loro con un timido sorriso: “nelle prime ore del giorno, tutti i nobili hanno scritto ai parenti lontani per informarli dell’evacuazione. Per questo hanno radunato i messaggeri tutti in un posto: li dividono a seconda delle regioni da raggiungere, così da coprire un’area più vasta in meno tempo.” Di colpo, arrossì, come se avesse parlato troppo. “Così mi ha spiegato il Maestro…” Aggiunse timidamente.

Neito e Hitoshi si scambiarono uno sguardo.

“Alle cucine,” disse quest’ultimo, con voce monocorde.

“Alle cucine,” confermò il primo.




 

La Regina fu raggiunta dall’ordine del suo consorte alle prime luci dell’alba, insieme al resto della corte. Le sue dame di compagnia le parlarono tenendo lo sguardo basso, evidentemente imbarazzate e l’atmosfera divenne ancora più pesante quando la sovrana chiese di vedere i suoi figli - gli unici due che le erano rimasti.

“La Principessa Fuyumi e il Principe Natsuo sono partiti questa notte,” la informarono.

E Rei decise che aveva sopportato anche troppo.

Animata dall’ira, si vestì completamente da sola e quando l’entourage di dame fece per seguirla fuori dai suoi appartamenti, ordinò loro di restare dov’era e lasciarla da sola.

Attraversò l’intero castello per arrivare dove doveva.

La servitù si era già riversata nei corridoi per dare inizio all’evacuazione ma, nonostante la fretta che quel giorno animava ognuno di loro, s’inchinarono al suo cospetto e la lasciarono passare.

Arrivata alla Sala del Consiglio, ne spalancò le porte senza bussare.

Diverse paia di occhi furono su di lei in un istante, ma Rei tenne la testa alta, rispondendo allo sguardo di un solo uomo.

Enji era in piedi, al capo del tavolo che più era lontano dall’ingresso della stanza. Era occupato a dire qualcosa al Maestro Aizawa - alla sua sinistra - e al vecchio Campione - alla sua destra. Bastò la presenza di sua moglie a zittire lui e tutti gli altri.

Una volta superata la sorpresa, tutti i signori delle Casate si alzarono e salutarono la Regina nel modo più opportuno.

Ancora una volta, Rei li ignorò totalmente.

Ed Enji si arrese.

“Signori, lasciatemi solo con mia moglie,” ordinò. “Prima che questo giorno finisca, voglio che questo Concilio si riunisca un’ultima volta. Sarete gli ultimi a lasciare questa corte.”

Nessun nobile obiettò. Se ne andarono in fretta, ma in modo composto.

Il Re si rivolse a sua moglie solo dopo che furono rimasti soli.

“Sei in collera,” notò, per nulla sorpreso. Avvicinò la propria sedia al tavolo: quella non era una conversazione che poteva permettersi di affrontare seduto.

“In collera?” Ripeté Rei, gelida, restando sulla porta. “Una volta per tutte, che cosa stai cercando di fare?”

Enji si limitò ad esporre l’ovvio.

“Questo luogo non è sicuro e non voglio che la mia gente resti qui.”

“Questa è la corte dell’Alto Trono,” ribatté Rei. “Questa fortezza è inespugnabile, nemmeno All For One è arrivato qui.”

“Questo luogo è un bersaglio,” la corresse Enji, mantenendo una calma che aveva cominciato a mostrare solo nell’ultimo anno. “Per tanto, tutto ciò che di prezioso vi è qui deve essere messo al sicuro. Al primo posto, vi è la mia famiglia.”

“La tua famiglia…”

Rei attraversò la stanza con ampie falcate, il fruscio del suo abito azzurro assomigliava un tamburo di guerra e quando raggiunse il marito, la sua espressione confermò che era pronta a combatterne una, contro di lui.

“È la terza volta nella mia vita che mi sveglio nella mia casa e non ho idea di dove siano i miei figli!” Urlò, non dando alcuna importanza al titolo dell’uomo che aveva davanti o al fatto che avesse lasciato la porta aperta.

Non le importava di essere discreta. 

Se doveva umiliare il sovrano davanti a dei servi di passaggio per avere delle risposte, lo avrebbe fatto senza esitare.

Questa volta, a differenza dell’esilio di Touya e della repentina partenza di Shouto, Enji fu svelto a rassicurarla.

“Fuyumi e Natsuo sono al Castello Rosso,” le disse, stringendole le spalle. “Sono al sicuro lì. Ho già fatto trasferire parte della servitù e uno squadrone armato alcune settimane fa. Non accadrà loro nulla.”

“Il Castello Rosso…” Ripeté perplessa la Regina. “Tra le dimore reali è quella più vicina alla Cintura Vulcanica Maggiore.”

“Alle Montagne Rubino, per l’esattezza,” puntualizzò il sovrano. “Non è un castello grande quanto questo, ma molte Casate hanno delle residenze in quella regione. In questo modo, la corte non si disperderà del tutto e chi è dotato di poteri potrà continuare a darsi man forte e a proteggere la nostra gente.”

“Proteggere da cosa?” Domandò Rei, prendendo le distanze da lui.

Voleva capire, ma davvero non ci riusciva. Da quando Enji aveva mandato via Shouto per il suo bene, a lei era completamente sfuggita la logica dietro il suo modo di pensare, alle sue azioni. Il Concilio Ristretto lo appoggiava, questo era chiaro, ma lei era stanca di rimanere nell’ombra.

“Quel castello è il più vicino al Nido dei Bakugou,” notò, portando gli occhi grigi sulla mappa disegnata sul tavolo. “Shouto è lì?”

Enji scosse la testa.

“No, non in questo momento.”

“Che significa non in questo momento?”

“Ho motivo di credere che Hawks lo porterà lì, non appena saprà cosa sta succedendo.”

“Hawks è con lui?”

Erano settimane che Rei non vedeva il Primo Cavaliere a corte, nemmeno al fianco di suo marito, ma non si era mai fermata a chiedersi il perché. Nonostante il giovane dalle ali scarlatte fosse molto vicino alla sua famiglia, non aveva molti rapporti con lei.

“Shouto è al sicuro,” disse Enji. “E non è da solo, Katsuki lo protegge e non solo lui. Questo è tutto quello che posso dirti.”

Rei scosse la testa.

“Non mi accontento di questo.”

“Rei, so che non è facile fidarsi di me-”

“Mi è impossibile fidarmi di te in queste condizioni!”

Enji la guardò, incapace di replicare. Alle loro spalle c’erano troppi anni di oscurità perché ora potessero capirsi e, il sovrano ne era certo, se Rei avesse saputo la verità, non ci sarebbe stato modo di farla partire dalla corte dell’Alto Trono. L’odio era il mezzo più sicuro per convincerla a lasciare la loro casa e raggiungere Natsuo e Fuyumi.

In quanto a Shouto e Touya, era tutto nelle mani di Hawks e non esisteva nessun altro uomo a cui avrebbe affidato la vita dei suoi figli. 

“Lascerai questo castello entro il tramonto,” ordinò il Re alla sua consorte, con voce ferma. “Non accetto obiezioni.”

Ma Rei aveva smesso da tempo di farsi intimorire dal suo atteggiamento imperativo.

“C’è sempre stata una distanza incolmabile tra me e te,” disse lei, la voce addolcita da un’amarezza antica, maturata in anni di matrimonio infelice. “Da fanciulla, quando mi promisero a te, mi dissero che quando sarebbero arrivati i bambini, ci saremmo avvicinati, avremmo imparato ad amarci. Quando è nato Touya, ho quasi creduto che fosse possibile…”

Enji la ricordava bene la nascita del loro primogenito, il terrore di dare alla luce un figlio solo per seppellirlo e la consapevolezza che la sua giovane moglie non sarebbe sopravvissuta a un simile dolore, dopo che il suo fragile corpo aveva subito tanta sofferenza. 

Ma Touya era nato ostinato.

I suoi primi vagiti avevano avuto lo stesso suono di una marcia trionfale, ma Enji non glielo aveva mai raccontato.

“Ora sappiamo entrambi che non si può dare una simile responsabilità a una creatura appena nata,” aggiunse Rei.

Il sovrano non poteva che concordare.

“Ma venticinque anni sono tanti, Enji,” continuò lei, avanzando verso il marito di un paio di passi. “E quello che vedo nei tuoi occhi… Che cos’è che ti affligge? Di che cosa hai tanta paura da credere che il modo più sicuro di agire sia affrontarlo da solo?”

L’unica risposta che ricevette fu il silenzio, mentre lo sguardo di suo marito le chiedeva scusa in silenzio. Per non poterle dire la verità? Per l’orribile storia che avevano scritto insieme? Per tutto quello che avevano sofferto i loro figli?

Rei non lo seppe mai, ma non dubitò neanche per un istante che quel rammarico fosse sincero.

“Ordina alla tua corte quello che vuoi,” disse, risoluta. “Se pensi di fare di testa tua e di restare da solo in questo, ricordati che mi hai incoronato tua Regina.”

Enji scosse la testa.

“Rei, sii ragionevole-”

“Abbiamo smesso di essere ragionevoli da tempo,” lo zittì Rei. “Non ci resta che l’orgoglio.”

Se ne andò a testa alta come era arrivata.

 

***

 

Non aveva più smesso di piovere e, nella notte, il vento si era alzato tanto che Touya aveva l’impressione che, prima dell’alba, avrebbe spazzato via il casino, loro all’interno e tutto il resto.

Ogni volta che uno scricchiolio sospetto raggiungeva le sue orecchie, guardava il soffitto, come se temesse di vederselo crollare addosso da un momento all’altro. Non era una paranoia infondata: l’unica cosa a dividerli dalla tempesta erano le vecchie - in parte marce - travi di legno del pavimento del secondo piano. 

Dovevano andarsene da lì, era un imperativo che non ammetteva negoziazioni. Sapeva già che convincere Shouto a tornare a casa sarebbe stata una seccatura, ma Touya avrebbe portato pazienza solo fino al secondo capriccio, poi lo avrebbe trascinato di peso alla corte dell’Alto Trono. In alternativa, poteva spingere il Drago a caricarselo in spalla e risparmiarsi metà della fatica. Restava Hawks, che avrebbe guardato alla proposta con sospetto. Poco male, Keigo Takami poteva essere il Primo Cavaliere del Re, ma poteva poco contro un Drago alleato con un Todoroki.

Mentre i pensieri si susseguivano, uno dietro l’altro, Touya sentì le palpebre farsi pesanti. Al suo fianco, Shouto si mosse e si ritrovò a fissare il soffitto per la seconda volta. Da bambino gli era capitato spesso di condividere il letto con altre persone - Keigo più di ogni altro, ma anche Fuyumi e Natsuo - ma otto anni di totale solitudine non passano senza lasciare segni. Dopo quello a cui era sopravvissuto, il suo corpo non gli permetteva di godere davvero del contatto fisico, ma non era più abituato ad avere qualcuno tanto vicino come lo era suo fratello in quel momento. 

E Shouto sembrava soffrire della sua stessa difficoltà.

La pancia che cresceva rendeva i movimenti del fanciullo goffi, pesanti e il solo rigirarsi tra le coperte fece scricchiolare la struttura di legno. Touya rimase in silenzio, aspettando che gli occhi eterocromatici incontrassero i suoi.

Shouto sussultò.

“Non riesci a dormire?” Domandò.

“Difficile, con la tempesta che scuote la casa e tu che fai lo stesso con il letto,” rispose il maggiore, sarcastico.

Shouto si adagiò sul cuscino, una mano vicino al viso. Era evidente che non era prossimo a cedere al sonno.

“Che cosa ti tormenta?” Indagò Touya.

“Potrei chiedere la stessa cosa a te.”

Le luci nel caminetto illuminavano la stanza di una luce tenue ma calda, appena sufficiente perché i due fratelli potessero guardarsi negli occhi.

“Per avere tormenti, dovrei prima tenere a qualcosa,” ribatté il Principe Esiliato. “Tu, invece, sei un miscuglio pericoloso di paura, rabbia e dolore. Tutti compressi in un autocontrollo che porta il marchio a fuoco di nostro padre.”

Shouto inspirò profondamente dal naso.

“Sono un Principe senza corte, con un bambino in grembo che è Erede di due popoli rivali, braccato da un nemico che ha quasi distrutto il mondo come noi lo conosciamo,” disse. “Non ho paura, Touya. Sono terrorizzato.”

Il maggiore inarcò le sopracciglia.

“Sei un Todoroki,” puntualizzò, come se il nome di cui erano entrambi portatori fosse la soluzione alle sue afflizioni. “Il solo che è diventato Cavaliere di un Drago.”

Il gelo rese taglienti gli occhi del minore.

“Ti sembra che Katsuki mi consideri il suo Cavaliere?”

“Oh… È con lui che sei arrabbiato.”

“Non fingere di non averlo capito.”

“Credevo che il tuo animo fosse troppo gentile per provare rancore verso il padre di tuo figlio,” lo canzonò Touya.

“Non è rancore,” obiettò Shouto. “È delusione…”

“E insicurezza,” aggiunse il maggiore. 

Shouto non provò a negare.

“Non ho desiderato Katsuki quando era di Izuku,” raccontò. “Erano promessi, non avrei mai osato…”

“Erano promessi...” Era un dettaglio che a Touya non era ancora stato rivelato. “Pensavo fossero amici d’infanzia.”

“È una storia contorta,” tagliò corto Shouto. “Non ha senso che te la racconti io, non mi appartiene.”

Touya aveva creduto che quella tra lui e Keigo lo fosse, ma era evidente che poteva esservi una presenza più ingombrante tra due amanti di un padre ossessivo e potente.

“Izuku è morto, Shouto,” disse Touya, con tono pragmatico. 

“E io continuo a pensare che la sua vita sia stata il prezzo per quella di mio figlio.”

Il Principe Esiliato alzò gli occhi al cielo. 

“Ricordi il gioco delle tre carte che ti ho raccontato?” Non aspettò che il fratello rispondesse. “Vedi un figlio mio e di Hawks in giro?”

“Quello era un gioco, Izuku era reale,” obiettò Shouto.

“Si tratta sempre di un e se…” Insistette Touya, premendo la punta dell’indice contro il naso del fratello minore. “Io sono stato esiliato e Izuku è morto. Mio figlio non esisterà mai e il tuo nascerà questo inverno. Sono fatti, Shouto e con i fatti si scrive la storia.”

Il diciassettenne scansò la mano dal suo viso.

“Fatti…” Mormorò. “Vuoi un fatto? Non ho cercato questo bambino. Ne vuoi un altro? Katsuki è rude nei modi, ma ha un animo nobile.”

“Non continuare, Shouto.” Touya si stiracchiò tra le coperte e poi si massaggiò la fronte, come se avesse il mal di testa. “Sei talmente prevedibile da essere noioso. Pensi che sia al tuo fianco per dovere e non per amore? Bene, affrontalo.”

Shouto si alzò su di un gomito e scosse la testa.

“Non posso strappargli un sentimento che non prova.”

“Non ti deve importare nulla dei suoi sentimenti,” ribatté Touya. “Lascia stare l’amore, non è reale. L’orgoglio, invece, sì. Ricordargli chi sei, digli quello che vuoi. Se è troppo per lui, non me ne hai bisogno.”

Sotto le coperte, il Principe di Fuoco e Ghiaccio si accarezzò la pancia. Ingoiò a vuoto.

“Questo significa accettare il rischio del rifiuto,” concluse, con voce rotta.

Suo fratello fissò il soffitto e non gli rispose.

“Sono già stato rifiutato da nostro padre, Touya,” disse Shouto, la voce appena tremolante. Il messaggio tra le righe era chiaro: era rimasto in piedi dopo che il genitore gli aveva voltato le spalle, ma non avrebbe retto un secondo colpo.

Touya dissentiva.

“E sei ancora vivo,” ribatté, tornando a guardare suo fratello negli occhi. “La favola è finita. Sei solo, principino.” Era una storia che conosceva già, perché ne era stato il protagonista a sua volta. “Ma sei abbastanza forte d’affrontarlo.” Gli diede la schiena. “Adesso dormi,” concluse, secco.

Ma Shouto non aveva finito.

“Ho freddo…”

E allora congela, pensò Touya, poi allungo la mano all’indietro perché suo fratello l’afferrasse. Era una posizione scomoda, ma sottolineava che c’era ancora una distanza tra loro. 

Distanza che Shouto non sembrava intenzionato a rispettare, dato che non si limitò a stringergli la mano. No, prese a giocare con le sue dite, poi fece aderire il palmo al suo.

“Hai le dita più lunghe delle mie,” commentò il minore.

Touya lo ignorò, rispolverando una vecchia tecnica che aveva fatto sua durante l’adolescenza, nei rari momenti in cui Shouto aveva avuto occasione di trottererargli attorno. Se non gli avesse dato attenzioni, si sarebbe stufato e lo avrebbe lasciato in pace.

Quando le dita del diciassettenne cominciarono a tracciare il confine netto tra la pelle ustionata del polso e quella sana del dorso della mano, Touya ricordò che come strategia non era mai stata molto efficace.

“Che cosa stai facendo?” Non si disturbò a nascondere l’insofferenza.

“Che cosa senti?” Domandò Shouto di rimando.

Touya non poté evitare di lanciargli un’occhiata da sopra la spalla e quando trovò gli occhi eterocromatici pronti ad attenderlo, seppe che il fanciullo aveva perlomeno intuito che le fiamme blu lo avevano danneggiato più di quanto mostrasse.

“Sento che mi stai toccando,” rispose il Principe Esiliato, stendendosi sulla schiena.

“La mia mano è fredda o calda?”

“Non lo so.”

Non aveva senso perdere tempo a coprire una verità che, in fin dei conti, non lo rendeva più miserabile di quanto già fosse.

La pietà negli occhi di Shouto non lo sorprese ma gli diede fastidio.

“Smettila subito,” lo redarguì, sottraendo la mano alla sua stretta. “Porti i morsi del fuoco anche tu. Dovresti sapere che è un potere impietoso.”

Per tutta risposta, Shouto gli prese il polso e fece aderire il palmo del fratello al lato ustionato del suo viso.

“Io sento il tuo calore,” disse. “Ma tu non riesci a sentire il mio.”

Touya fu tentato di scottarlo, ma si limitò a ritrarre la mano una seconda volta. 

“Ti ho detto di smetterla.”

Ma Shouto fu svelto a capire le implicazioni pericolose di quella sua condizione.

“Significa che non percepisci nemmeno la forza delle tue stesse fiamme,” disse. “Quando usi il tuo potere, non ti rendi conto se ti fai del male. Per questo sanguini.”

“Nessun dolore, nessuna afflizione, Shouto,” tagliò corto il maggiore.

“È pericoloso,” insistette il Principe di Fuoco e Ghiaccio.

“Quando diverrò cenere, penso che me ne accorgerò.”

“Non dirlo neanche per scherzo.”

Anche se continuava a tenere un tono di voce basso, Shouto era in agitazione. Touya se ne accorse dalla sua espressione: se non stava bene prima, saperlo in costante pericolo di vita a causa del suo stesso potere contribuì a farlo stare peggio.

“Non è una novità che il mio corpo mi tradisca,” disse il maggiore, non comprendendo il motivo di tanto malanimo. “È la cruda realtà alla base della mia personale tragedia. Lo sai, lo hai sempre saputo. Sei nato per questo.”

Shouto strinse le labbra e volse lo sguardo al soffitto: stava per mettersi a piangere.

E Touya davvero non lo capiva.

“Perché continui a provarci tanto ostinatamente con me?” 

Tutti avevano gettato le armi, dichiarandolo una causa persa, un fallimento. Tutti. I due uomini più importanti della sua vita per primi.

E ora arrivava questo fanciullo, che aveva il suo stesso viso ma non lo conosceva affatto.

Un estraneo. Suo fratello.

“Perché quando ti guardo vedo me,” rispose Shouto, con voce rotta. “Perché qualcuno mi ha salvato, nonostante io non stessi chiedendo aiuto.”

Se il pensiero di svegliare il Drago e Hawks non lo avesse allettato così poco, Touya si sarebbe messo a ridere,

“Non ti sto chiedendo di salvarmi, Shouto,” disse, con una malinconia che sapeva di rassegnazione. “Penso che nostro padre te lo abbia insegnato: è inutile tendere una mano a chi non vuole essere aiutato.”

“È inutile anche obiettare con chi non ti ascolta,” ribatté Shouto e, nonostante i suoi occhi fossero pieni di lacrime, cercò quelli di suo fratello. “Ho smesso di ascoltare nostro padre a cinque anni, figurati se comincio a farlo con te dopo pochi mesi.”

A quel punto, Touya dovette coprirsi la bocca con una mano per non scoppiare a ridere sul serio. 

“Tu non mi conosci, Shouto,” disse, alla fine dell’attacco d’ilarità - o forse era isteria. 

“Nemmeno tu conosci me,” ribatté il più giovane. “Ma mi conoscerai, stanne certo.”

Lo sguardo di Touya s’indurì. 

“La tua è una minaccia?”

Shouto ignorò la domanda. 

“Dammi la mano,” disse, poi la prese da sé, portandosela in grembo. “C’è un modo per infondere il calore del tuo potere a lui?”

Touya non rispose immediatamente, per una frazione di secondo la sua mente si spense completamente. Era la prima volta che toccava la pancia di suo fratello.

“Non capisco che cosa intendi,” disse, solo perché restando in silenzio sarebbe passato da completo idiota.

Shouto si asciugò una lacrima galeotta con la manica.

“Ho paura che il bambino sia morto dentro di me,” confessò, “che non sia sopravvissuto a quello che il mio corpo ha subito al Castello Vecchio.”

Touya s’irrigidì ancor più di prima. 

“Non lo sentì più muovere?”

“Non l’ho mai sentito.”

Il Principe Esiliato si prese la libertà di abbassare le coperte: la pancia era visibile ma non così grande, forse era solo troppo presto perché il bambino scalciasse. Provò a ricordare come era andata coi suoi fratelli, per fare un confronto: di Fuyumi non poteva rammentare nulla, di Natsuo aveva solo qualche immagine vaga, mentre di Shouto ricordava ogni cosa. Chissà se qualcuno era stato abbastanza crudele da raccontare al minore dei suoi fratelli quanto tutti avessero sofferto la sua gravidanza. Tutti. Il Re per l’ansia di non riuscire ad avere il suo erede perfetto, la Regina perché distrutta dal quarto figlio in meno di un decennio e Touya perché, ormai arrivato ai suoi sette anni, aveva pienamente compreso il meccanismo attraverso cui lo si stava sostituendo. 

“Tu in estate scalciavi,” disse Touya con sicurezza, perché Fuyumi non lo aveva lasciato vivere finché non aveva messo la mano sulla pancia della mamma per sentirlo a sua volta. “Tuo figlio dovrebbe nascere nel tuo stesso periodo perciò…”

“L’estate sta finendo.” Shouto era sull’orlo di una crisi di pianto.

“Sì, ma tu sei il quarto,” aggiunse Touya, come se stesse riflettendo ad alta voce. “Il confronto non ha senso.”

Shouto lo guardò, perplesso.

“Perché?”

Touya ricambiò l’espressione.

“I primi figli si sentono sempre dopo di quelli che seguono. La Regina non ti ha mai raccontato niente?”

Al minore dispiacque sentirlo riferirsi a lei col suo titolo nobiliare.

“È nostra madre, Touya.”

“È anche la Regina. Davvero non ti ha raccontato nessun aneddoto sulle sue gravidanze?”

“L’ho persa a otto anni e l’ho ritrovata a quindici. Non c’è stato molto tempo. So solo che non è stato facile per lei mettere al mondo me e te.”

“Già da lì dovevano capire molte cose…” Commentò Touya, sarcastico.

“So che Fuyumi è nata su insistenza della mamma,” disse Shouto. 

“Sì, papà ha assistito alla mia nascita e si è messo paura. Che uomo audace!” 

“Tu e mamma siete quasi morti…” 

“E otto anni dopo, la Regina ha replicato il dramma con te.” Touya ricordava di essersi nascosto sotto il letto con le mani premute contro le orecchie, pur di non sentire le urla di sua madre. A suo fratello non lo avrebbe mai raccontato. “Ricordo che i curatori parlarono d’icompatibilità di poteri. Noi abbiamo ereditato il fuoco di nostro padre, il corpo della Regina n’è stato indebolito. Già di suo non vanta una costituzione robusta.”

Come il suo primogenito.

“Per venire al mondo sono quasi morto.” A sedici anni, Touya aveva ripetuto l’esperienza, ottenendo un risultato di gran lunga meno glorioso. “Otto anni dopo, tu sei venuto alla luce correndo lo stesso rischio.”

Shouto si accarezzò la pancia, sfiorando la mano di suo fratello.

“Dovrebbe essere una rassicurazione?”

Touya scrollò le spalle.

“La prima cosa che abbiamo fatto è stato sfidare la morte e vincere,” disse. “Tuo figlio ha il nostro sangue. È stupido pensare che si faccia sconfiggere da un po’ di ghiaccio.” Contrasse le dita sulla pancia di tuo fratello in una sorta di carezza, poi gli diede le spalle una seconda volta. “Dormi finché te lo permette.”


 
   
 
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