NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO CARVE
We are no just art for Michelangelo to carve
He can't rewrite the agro of my furied heart
I'll wait on mountain tops in Paris, cold
Je ne veux pas mourir tout seule
(Bloody Mary, Lady Gaga)
Senti
un nodo allo
stomaco che potrebbe attorcigliarsi intorno alle trame della tua anima
- da
risucchiarti ogni
respiro e scorticarti la cute della pancia.
Una
nausea talmente tanto potente da costringerti
a bloccarti dal tuo incessante camminare in tondo. Sudore freddo che ti
scorre
sulla nuca e giù fra le scapole.
Non
busserà mai.
Ti
stringi il nodo allo stomaco e vorresti
strappartelo da dentro e gettarlo dalla finestra. Aspettare nella tua
stanza si
sta trasformando in una tortura indicibile.
Aspettare
lei - l’illusione
di un uomo senza
speranze.
In
gola sabbia arida e sporca. Un martello nelle
tempie e tasti di pianoforte che ticchettano il flusso dei tuoi
pensieri.
Mercoledì.
Ti
avvicini alla tua porta e pensi che tu sei una
falena con le ali macchiate di inchiostro e che brucerai sfiorando le
ragnatele
dei raggi solari - e
che sei patetico.
E
poi pensi al suo viso mentre riassettava la
gonna stretta intorno alle sue gambe - dimenticata a terra e troppo
vicino ai
tuoi piedi, ti sei sentito a disagio - e al modo in cui le
sue labbra si erano
serrate in una muta condanna contro di te. Ti aveva lasciato senza una
risposta
e con le guance rosse, il passo affrettato.
Ti amo, hai pensato
non appena lei ha sfiorato i
cardini della porta.
Non
ti ha guardato. Non ha sentito di certo i tuoi
pensieri.
Ti amo, scusami. E
lo hai sussurrato alle ombre dei suoi
dipinti e a null’altro.
Abbassi
la mano sulla maniglia e ti sembra il tuo
polso pesi piombo - cade
pesante e la porta si schiude, uno spiraglio che è un
il respiro di una lucciola.
Non
sai il motivo. Non comprendi cosa ti stia spigendo a lasciare la stanza
- forse la stanchezza
dell'attesa del patibolo, forse la smania di bruciare il catrame sulle
tue ali da falena.
E
poi te ne rendi conto e il tuo sguardo si
trasforma. Mercoledì.
Scorgi
una treccia scura e poi smalto nero su
pelle di porcellana. Tanto pallida da apparire come uno spettro antico
rimasto
imprigionato nei rancori di una gotica dimora. Tanto bella da spingerti
ad
osservare il modo in cui la luna si riflette nei suoi occhi e sul suo
viso
placido. Estremamente calmo.
“Mercoledì.”
Solo
il suo nome riesci ad articolare. Tutto il
resto ti rimane incastrato tra gli incisivi e le labbra screpolate.
Forse
qualcosa sfugge lungo gli angoli della tua bocca e ti disegna
un’espressione di
stupore sul tuo volto.
E
sai che lei è davvero lì - dinanzi a te,
stringendo ancora il suo zaino e con gli stessi vestiti di qualche ora
fa.
Lei
non sembra sentire il tuo tormento e il modo
in cui tante parole si stanno ammassando nella tua gola e premono per
uscire,
scivolando sulla tua lingua.
Lei
considera semplicemente il suo nome un invito e compie un
passo senza dire nulla. Tu allarghi lo spiraglio della porta e
lei sguscia da sotto il tuo braccio posato sullo stipite.
Mercoledì.
L’unico pensiero coerente che la tua
mente riesce a colorare in mezzo alle ragnatele.
“Mercoledì.
Da quanto eri lì fuori?”
Non
ti ascolta. Si ferma al centro della tua
camera e si guarda intorno con aria cinica - come se si aspettasse altri
dipinti o qualcosa altro con cui attaccarti con un mezzo sorriso sulle
labbra.
Tu
sei ancora vicino alla porta e ti chiedi come
strappare la nuova distanza che si è creata tra voi. Come
sia possibile che in
poche ore si sia creato qualcosa di sbagliato e come aggiustare il
ponte traballante tra di voi.
Mi
hai baciato. Hai
lasciato che ti toccassi, lo volevi, lo volevi anche tu.
“Se
permetti avrei bisogno io di sottoporti un
quesito.”
Il
suo tono ti smuove qualcosa dentro. Eppure hai
l’assurda speranza che le sue parole e le tue risposte
possano arginare
l’oceano immenso in cui tu stai miserevolmente affogando. Ti
stacchi dalla
porta e ti muovi verso il comodino. Stai annuendo mentre rifletti e ti
aggrovigli nei tuoi pensieri confusi. Afferri due album da disegno e ne
getti
uno in un cassetto. Troppo calmo, troppo esposto e troppo disperato - che
errori stupidi.
“Certo.
Dimmi.”
“Cosa
hai provato quando mi sono presentata al
ballo con Tyler?”
Chiudi
con forza il secondo cassetto e delle matite
sfuggono, cadono a terra. Tu ti chini a raccoglierle e stringi i pugni.
“Lo
sai bene cosa ho provato.”
“Sentimento
di possesso? Furia omicida? Tossico
desiderio?”
Fammi
un favore. Togliti l’amuleto e fammela
dimenticare.
“Tristezza.
Ero molto triste, Mercoledì.”
“Quindi
non eri geloso?”
È
un’immagine che ti perseguita. E che stranamente
hai scelto di non dipingere mai. Neanche di abbozzarla o di
tratteggiare con
una matita sbeccata.
Il
modo in cui il vestito nero aveva fasciato i
suoi fianchi. Una sposa con i capelli stretti in
un’acconciatura da sciogliere
solamente la notte e tra delle lenzuola bianche e umide - le tue dita
avrebbero
snocciolato a terra ogni forcina in un tintinnio di legno simile ad un
canto
nuziale.
La
pelle pallida da baciare e da mordere.
Dietro
l’orecchio, la giugulare e sotto il mento.
Il palmo della mano, l’incavo del gomito e poco sopra la
spalla. Il polpaccio,
i tendini tesi del ginocchio e tra le cosce.
L’aveva
osservata passeggiare tra gli altri
studenti, muoversi a passo svelto sulla pista da ballo e danzare. La
musica aveva piegato il suo corpo in pose d’estasi.
Lui
aveva dovuto fare un passo indietro.
Questo
desiderio mi sta uccidendo.
“Sì.
Lo ero.”
Lei
abbassa il mento insieme allo sguardo. Ti
lascia in bilico un secondo e poi si stringe nelle spalle - e tu sei già caduto.
“E
cosa hai provato? Nello specifico.”
“È
crudele. Persino per te.”
Non
sai dove nascondere le mani. Lasciarle lungo i
fianchi ti sembra un peso. Porle nelle tasche dei pantaloni ti curva un
po’ la
schiena, sottraendoti aria. Ma tremano.
Di
ansia e dolore mescolati ad un battere troppo
veloce del cuore.
“Sono
coerente. Non c’è niente in me per cui io
possa piacere a te.”
Perché
dovresti piacermi?
Il
ricordo della tua domanda si assottiglia tra di
voi come una lama di ghiaccio e sangue. Scava nell’addome di
entrambi e lascia
te con uno strano senso di colpa.
“Ero
ferito. Continuavi a dire che io ero il
mostro e dicevi che avevo cercato di fare del male a Eugene. Mi
calpestavi in
ogni modo.”
Lei
allarga le spalle e arriccia le labbra - c’è
disgusto che cola dalle sue guance.
“Io
questo sono. Non mi assumo la responsabilità
del tuo avermi idealizzata. Non sono i tuoi dipinti. E non sono
buona.”
“Hai
paura?”
Noti
che la tua domanda la costringe a stringere i
denti.
“Come,
prego?”
“Stai
cercando di litigare. Mi attacchi. Mi fai
domande di cui conosci la risposta. Cerchi di provocare uno scontro. Di
cosa
hai paura?”
Non
ti farò mai del male e non farò mai nulla che
tu non voglia. Non sono quel tipo d’uomo. Non sono neanche un
uomo. Sono un
ragazzino innamorato che non sa cosa farne di questo sentimento, che
era impreparato a tutto questo.
Le
tue parole sono appallottolate su un foglio di
carta e ingoiate con la forza. Mercoledì distrugge la
distanza tra di voi e
calpesta ogni altra frase che eri in procinto di pronunciare. Si blocca
a due
passi da te e lascia cadere lo zaino a terra.
“Abbiamo
tutta la notte. Abbiamo
un letto.”
Scimmiotta
le tue parole e tu senti un calore
diffuso tra il collo e le guance. Un calore che ti invade lo sterno non
appena
vedi che lei compie tre passi indietro e si sdraia di schiena sul tuo
letto. Ti
osserva un momento e poi gira il viso verso il soffitto.
“Tu
conosci la pratica. Io la teoria. Possiamo
procedere.”
E
la osservi. Che ti attende per pochi secondi. Che poi si rialza a
sedere un momento
per sfilarsi la giacca della divisa. Che quella macchia nera di tessuto
cade a
terra e ti sembra un presagio di distruzione, simbolo che non ti
offrirà mai altro. Osservi che non ha la cravatta e
ha solo una camicetta. Che si sta sfilando scarpe e calze eliminando
ogni
possibile intimità che avreste potuto avere. Che ti sfida
con orgoglio e che forse ha paura, ma non te lo
dirà mai. Che posa nuovamente la schiena sul
tuo letto e che non ti guarda e così tu pensi che di una
morte bisogna morire.
Questa
non è peggiore di tante altre.
Lo
so che amarti mi sta uccidendo. E che così sia.
“Mercoledì.”
Sei
in piedi al lato del letto e cogli un fremito
delle ciglia. Senti mirra e incenso nelle tue narici e poi qualcosa di
conturbante che ti rende sdrucciolevole ogni possibile azione.
“Esprimiti
liberamente.”
Ti
siedi vicino al suo fianco destro e la sua
ostinazione a non guardarti ti spinge a sdraiarti e a guardare il
soffitto
insieme a lei - e come
è piccolo questo letto per entrambi.
Ti domandi perché lei
voglia fare sesso con te, perché è vicina e non
si scosta, cosa prova.
“Io
ti amo davvero.”
Mercoledì
sospira e forse sbuffa.
“È
irrilevante.”
Ti
sta pugnalando fino a spezzarti le ossa delle
costole in più punti. Senti il suono e senti il caldo
ripugnante del sangue che
sgorga in lunghi rivoli neri. E non ti importa.
Le
cerchi la mano chiusa a pugno e la stringi.
“Ti
amo davvero.”
“Il
sesso è un’unione carnale che non richiede
partecipazione emotiva.”
Ti
sfugge una risata dalla bocca piena di sangue e
senti il pugnale schiantarsi a terra.
“E
purtroppo io ti amo. Ti amo, Mercoledì. E ti
amo troppo. Sono patetico. Vorrei scegliere di non amarti. Vorrei non
amarti e
non averti mai amato. Invece ti amo. Ti amo. Dio, quanto ti amo, ti amo
e ti
amo, ti amo. Ti amo, sempre ti amo e ti amo. Ti amo e non
smetterò mai. Quindi
finiscimi e basta.”
Ti
volti. Lei ti sta già guardando e non sai da
quanto tempo ha smesso di osservare il soffitto e non ti interessa.
Mentre stai
ancora parlando le trovi le labbra schiuse e la baci. E ritorna.
Quella
passione che aveva travolto entrambi
soltanto poche ore prima - insieme
alla disperazione e alla certezza di non
essere amato e al dolore della perdita di una parte di te stesso.
Hai
le mani tra i suoi capelli e strette intorno
alla sua nuca. Le sollevi il viso e lei sembra lasciarsi divorare da
te, una
semplice illusione - ti
sfida con la sua lingua, nel modo in cui ti accarezza e
poi ti sfiora le labbra in tocchi sottili e come lei cambia il suo
ritmo e costringe
te a seguirla.
Ha
schiuso le labbra e ha schiuso le gambe,
girandosi di lato e posando la coscia contro il tuo fianco. Senti
calore
ovunque.
Lei
si spinge contro di te e una tua mano scende
dalla sua nuca al suo bacino.
Non
sai se vuoi spingerla ancora di più contro di
te o fermarla.
E
le tue dita non trovano pace e dal bacino
percorrono la linea della gonna e con i polpastrelli sentono il bottone
e la
cerniera da slacciare e tirare giù. Lo fai veloce mentre lei
si solleva e ti
aiuta a sfilarla.
Lo
sai che è la sua prima volta. Nasconde
l’inesperienza con gesti accorti e tu le chiedi di rallentare
mentre ti sta
spogliando. Lasci che ti sfili il pantalone e che poi ti spinga sopra
di lei.
Troppo veloce, troppo veloce, hai solo adesso iniziato a baciarla.
“Aspetta,
aspetta.”
Sono
le uniche parole che riesci a pronunciare nel
momento in cui lei cerca di sfilare via gli ultimi indumenti di
entrambi - ha
cercato di farlo in un gesto veloce mentre tu eri premuto contro di lei
a
baciarle lo sterno, partendo dalle spalle e poi giù sul
tessuto del reggiseno e
al centro del suo addome, a morderle cuore e ossa e pelle.
Lei
ha il respiro accelerato e tu sei diviso in
due opposte tensioni. Vorresti guardarla quando le tue dita discendono
e
schiudono le sue gambe e si insinuano dentro di lei e
cominciano a
muoversi lentamente - lente
e lente, prima un dito e poi due in movimenti lenti
e lenti e così lenti che il suo bacino ti asseconda in modo
sgraziato e
irregolare.
Ma
non riesci a sollevare lo sguardo.
Dapprima
hai il viso nascosto contro il suo petto
e sul suo seno che - non
riesci a controllarti, non ci riesci - vorresti soltanto
baciare, invece mordi, divori.
C’è
l’impronta dei tuoi denti sulla sua pelle,
vicino all’aureola e sul costato. Li noti di sfuggita e non
ti blocchi,
continui ad alternare la tua lingua con i tuoi incisivi fino a quando
ai suoi gemiti non si uniscono note di sottile dolore. Inizi
di nuovo con baci dolci,
assapori la sua pelle mentre le tue dita scelgono un ritmo diverso,
più veloce. E all’improvviso non ti basta e vuoi
di più, vuoi
sentirla ancora e ancora e di più.
Mordi
piano e la senti, senti che trema.
Ma
poi nascondi il volto contro il suo collo per ascoltare meglio il suo
respiro. È disarticolato, come se volesse
pronunciare parole che non ti sussurrerà mai e che rimangono
incatenate alla
sua giugulare. Il suo bacino segue i movimenti dei tuoi polpastrelli e
si lascia accogliere dal tuo
palmo, le gambe tremano e stropicciano le lenzuola. La senti che ti
stringe -
anche le sue cosce ti
stringono il braccio e i suoi respiri sono solo gemiti
che ti sembrano strozzati.
E
le sue mani si aggrappano alle tue spalle e la
sua schiena si inarca e tu non puoi più scegliere. Sollevi
il viso dalla curva del suo
collo e i suoi occhi sono spalancati. Non riesci a cogliere la sua
espressione, la sua bocca si preme subito contro la
tua.
Così
la senti e la senti e
la senti tutta.
Stretta
e calda intorno alle tue dita.
Dolce
sulla tua lingua.
Morbida
la sua pelle che accarezza la tua.
E
la vuoi, la vuoi - solo
questo nei tuoi pensieri
disarticolati, senza più coerenza.
Hai
i polpastrelli umidi di lei. La sua saliva
sulle labbra e sulla gola, le sue unghie che lasciano segni sulle tue
spalle e
non ti basta. Non
è niente. Non basta, no.
“Ti
voglio.”
Pensi
che lo hai detto. Pensi di averlo fatto e
non ne sei sicuro. Lei ti sta spogliando, il suo respiro nelle tue
orecchie. E tu sei sopra il suo corpo e non
credi di poterti fermare più. Stai pensando tante cose e non
sai cosa stai
pronunciando ad alta voce e cosa stai sussurrando in un voto
imperscrutabile e
segreto.
Ti
amo.
“Dimmi
che mi ami.”
Mercoledì.
“Dimmi
che ha valore per te.”
Penso
che morirò.
“Menti.
Raccontami tutte le bugie che vuoi.
Dimmelo solo una volta.”
“Xavier.”
Una
delle sue gambe ciondola fuori dal materasso.
Te ne rendi conto mentre ti stai spingendo dentro di lei e con una mano
la
afferri sotto il ginocchio e la porti sul tuo fianco. Dentro di lei ti
senti
strappare il ventre e ti chiedi se trema per la posizione o per il
dolore - ma
mentre sei dentro di lei sei ebbro e ti chiedi se non sia per
l’emozione.
Pronunci
piano il suo nome.
“Mercoledì.
Mercoledì.”
Ti
aggiusti piano dentro di lei - come
fai ad
essere dentro di lei - e ti sfugge un gemito gutturale di
cui ti vergogni.
“Mercoledì.”
Lei ti stringe la mano. E tu non ti rendi conto di cosa ti dice.
Angolo
autrice
E da un capitolo siamo passati a due. Da due a tre. Quindi sì, la storia deve ancora essere conclusa. Spero vi stia piacendo, i vostri commenti aiuterebbero tantissimo. Specifico che i titoli dei capitoli sono i versi della canzone The Loneliest dei Maneskin. Vi ringrazio per l'accoglienza e che l'attesa sia valsa la pena :)