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Autore: Cress Morlet    10/02/2023    12 recensioni
[Mercoledì/Xavier]
Fare sesso con lei non ti ha aiutato.
Assolutamente no.
Non ti ha aiutato, ti ha rovinato e guarda ora come sei costretto a raggomitolare i tuoi sentimenti tra pugni e bende insanguinate.
Tu credevi che così saresti guarito.
Che stupido.
Sei stato tremendamente stupido. Ti sei rovinato con le tue stesse mani. E, adesso, sei perso e basta.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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totutre

NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO CARVE







We are no just art for Michelangelo to carve
He can't rewrite the agro of my furied heart
I'll wait on mountain tops in Paris, cold
Je ne veux pas mourir tout seule
(Bloody Mary, Lady Gaga)







Senti un nodo allo stomaco che potrebbe attorcigliarsi intorno alle trame della tua anima - da risucchiarti ogni respiro e scorticarti la cute della pancia.

Una nausea talmente tanto potente da costringerti a bloccarti dal tuo incessante camminare in tondo. Sudore freddo che ti scorre sulla nuca e giù fra le scapole.
Non busserà mai.
Ti stringi il nodo allo stomaco e vorresti strappartelo da dentro e gettarlo dalla finestra. Aspettare nella tua stanza si sta trasformando in una tortura indicibile.
Aspettare lei - l’illusione di un uomo senza speranze.
In gola sabbia arida e sporca. Un martello nelle tempie e tasti di pianoforte che ticchettano il flusso dei tuoi pensieri.
Mercoledì.
Ti avvicini alla tua porta e pensi che tu sei una falena con le ali macchiate di inchiostro e che brucerai sfiorando le ragnatele dei raggi solari - e che sei patetico.
E poi pensi al suo viso mentre riassettava la gonna stretta intorno alle sue gambe - dimenticata a terra e troppo vicino ai tuoi piedi, ti sei sentito a disagio - e al modo in cui le sue labbra si erano serrate in una muta condanna contro di te. Ti aveva lasciato senza una risposta e con le guance rosse, il passo affrettato.
Ti amo, hai pensato non appena lei ha sfiorato i cardini della porta. 
Non ti ha guardato. Non ha sentito di certo i tuoi pensieri.
Ti amo, scusami. E lo hai sussurrato alle ombre dei suoi dipinti e a null’altro.


Abbassi la mano sulla maniglia e ti sembra il tuo polso pesi piombo - cade pesante e la porta si schiude, uno spiraglio che è un il respiro di una lucciola.
Non sai il motivo. Non comprendi cosa ti stia spigendo a lasciare la stanza - forse la stanchezza dell'attesa del patibolo, forse la smania di bruciare il catrame sulle tue ali da falena.
E poi te ne rendi conto e il tuo sguardo si trasforma. Mercoledì.
Scorgi una treccia scura e poi smalto nero su pelle di porcellana. Tanto pallida da apparire come uno spettro antico rimasto imprigionato nei rancori di una gotica dimora. Tanto bella da spingerti ad osservare il modo in cui la luna si riflette nei suoi occhi e sul suo viso placido. Estremamente calmo.
“Mercoledì.”
Solo il suo nome riesci ad articolare. Tutto il resto ti rimane incastrato tra gli incisivi e le labbra screpolate. Forse qualcosa sfugge lungo gli angoli della tua bocca e ti disegna un’espressione di stupore sul tuo volto.
E sai che lei è davvero lì - dinanzi a te, stringendo ancora il suo zaino e con gli stessi vestiti di qualche ora fa.
Lei non sembra sentire il tuo tormento e il modo in cui tante parole si stanno ammassando nella tua gola e premono per uscire, scivolando sulla tua lingua.
Lei considera semplicemente il suo nome un invito e compie un passo senza dire nulla. Tu allarghi lo spiraglio della porta e lei sguscia da sotto il tuo braccio posato sullo stipite.
Mercoledì. L’unico pensiero coerente che la tua mente riesce a colorare in mezzo alle ragnatele.
“Mercoledì. Da quanto eri lì fuori?”
Non ti ascolta. Si ferma al centro della tua camera e si guarda intorno con aria cinica - come se si aspettasse altri dipinti o qualcosa altro con cui attaccarti con un mezzo sorriso sulle labbra.
Tu sei ancora vicino alla porta e ti chiedi come strappare la nuova distanza che si è creata tra voi. Come sia possibile che in poche ore si sia creato qualcosa di sbagliato e come aggiustare il ponte traballante tra di voi.
Mi hai baciato. Hai lasciato che ti toccassi, lo volevi, lo volevi anche tu.
“Se permetti avrei bisogno io di sottoporti un quesito.”
Il suo tono ti smuove qualcosa dentro. Eppure hai l’assurda speranza che le sue parole e le tue risposte possano arginare l’oceano immenso in cui tu stai miserevolmente affogando. Ti stacchi dalla porta e ti muovi verso il comodino. Stai annuendo mentre rifletti e ti aggrovigli nei tuoi pensieri confusi. Afferri due album da disegno e ne getti uno in un cassetto. Troppo calmo, troppo esposto e troppo disperato - che errori stupidi.
“Certo. Dimmi.”
“Cosa hai provato quando mi sono presentata al ballo con Tyler?”
Chiudi con forza il secondo cassetto e delle matite sfuggono, cadono a terra. Tu ti chini a raccoglierle e stringi i pugni.
“Lo sai bene cosa ho provato.”
“Sentimento di possesso? Furia omicida? Tossico desiderio?”
Fammi un favore. Togliti l’amuleto e fammela dimenticare.
“Tristezza. Ero molto triste, Mercoledì.”
“Quindi non eri geloso?”
È un’immagine che ti perseguita. E che stranamente hai scelto di non dipingere mai. Neanche di abbozzarla o di tratteggiare con una matita sbeccata.
Il modo in cui il vestito nero aveva fasciato i suoi fianchi. Una sposa con i capelli stretti in un’acconciatura da sciogliere solamente la notte e tra delle lenzuola bianche e umide - le tue dita avrebbero snocciolato a terra ogni forcina in un tintinnio di legno simile ad un canto nuziale.
La pelle pallida da baciare e da mordere.
Dietro l’orecchio, la giugulare e sotto il mento. Il palmo della mano, l’incavo del gomito e poco sopra la spalla. Il polpaccio, i tendini tesi del ginocchio e tra le cosce.
L’aveva osservata passeggiare tra gli altri studenti, muoversi a passo svelto sulla pista da ballo e danzare. La musica aveva piegato il suo corpo in pose d’estasi.
Lui aveva dovuto fare un passo indietro.
Questo desiderio mi sta uccidendo.
“Sì. Lo ero.”
Lei abbassa il mento insieme allo sguardo. Ti lascia in bilico un secondo e poi si stringe nelle spalle - e tu sei già caduto.
“E cosa hai provato? Nello specifico.”
“È crudele. Persino per te.”
Non sai dove nascondere le mani. Lasciarle lungo i fianchi ti sembra un peso. Porle nelle tasche dei pantaloni ti curva un po’ la schiena, sottraendoti aria. Ma tremano.
Di ansia e dolore mescolati ad un battere troppo veloce del cuore.
“Sono coerente. Non c’è niente in me per cui io possa piacere a te.”
Perché dovresti piacermi?
Il ricordo della tua domanda si assottiglia tra di voi come una lama di ghiaccio e sangue. Scava nell’addome di entrambi e lascia te con uno strano senso di colpa.
“Ero ferito. Continuavi a dire che io ero il mostro e dicevi che avevo cercato di fare del male a Eugene. Mi calpestavi in ogni modo.”
Lei allarga le spalle e arriccia le labbra - c’è disgusto che cola dalle sue guance.
“Io questo sono. Non mi assumo la responsabilità del tuo avermi idealizzata. Non sono i tuoi dipinti. E non sono buona.”
“Hai paura?”
Noti che la tua domanda la costringe a stringere i denti.
“Come, prego?”
“Stai cercando di litigare. Mi attacchi. Mi fai domande di cui conosci la risposta. Cerchi di provocare uno scontro. Di cosa hai paura?”
Non ti farò mai del male e non farò mai nulla che tu non voglia. Non sono quel tipo d’uomo. Non sono neanche un uomo. Sono un ragazzino innamorato che non sa cosa farne di questo sentimento, che era impreparato a tutto questo.
Le tue parole sono appallottolate su un foglio di carta e ingoiate con la forza. Mercoledì distrugge la distanza tra di voi e calpesta ogni altra frase che eri in procinto di pronunciare. Si blocca a due passi da te e lascia cadere lo zaino a terra.
“Abbiamo tutta la notte. Abbiamo un letto.
Scimmiotta le tue parole e tu senti un calore diffuso tra il collo e le guance. Un calore che ti invade lo sterno non appena vedi che lei compie tre passi indietro e si sdraia di schiena sul tuo letto. Ti osserva un momento e poi gira il viso verso il soffitto.
“Tu conosci la pratica. Io la teoria. Possiamo procedere.”
E la osservi. Che ti attende per pochi secondi. Che poi si rialza a sedere un momento per sfilarsi la giacca della divisa. Che quella macchia nera di tessuto cade a terra e ti sembra un presagio di distruzione, simbolo che non ti offrirà mai altro. Osservi che non ha la cravatta e ha solo una camicetta. Che si sta sfilando scarpe e calze eliminando ogni possibile intimità che avreste potuto avere. Che ti sfida con orgoglio e che forse ha paura, ma non te lo dirà mai. Che posa nuovamente la schiena sul tuo letto e che non ti guarda e così tu pensi che di una morte bisogna morire.
Questa non è peggiore di tante altre.
Lo so che amarti mi sta uccidendo. E che così sia.


“Mercoledì.”
Sei in piedi al lato del letto e cogli un fremito delle ciglia. Senti mirra e incenso nelle tue narici e poi qualcosa di conturbante che ti rende sdrucciolevole ogni possibile azione.
“Esprimiti liberamente.”
Ti siedi vicino al suo fianco destro e la sua ostinazione a non guardarti ti spinge a sdraiarti e a guardare il soffitto insieme a lei - e come è piccolo questo letto per entrambi.
Ti domandi perché lei voglia fare sesso con te, perché è vicina e non si scosta, cosa prova. 
“Io ti amo davvero.”
Mercoledì sospira e forse sbuffa.
“È irrilevante.”
Ti sta pugnalando fino a spezzarti le ossa delle costole in più punti. Senti il suono e senti il caldo ripugnante del sangue che sgorga in lunghi rivoli neri. E non ti importa.
Le cerchi la mano chiusa a pugno e la stringi.
“Ti amo davvero.”
“Il sesso è un’unione carnale che non richiede partecipazione emotiva.”
Ti sfugge una risata dalla bocca piena di sangue e senti il pugnale schiantarsi a terra.
“E purtroppo io ti amo. Ti amo, Mercoledì. E ti amo troppo. Sono patetico. Vorrei scegliere di non amarti. Vorrei non amarti e non averti mai amato. Invece ti amo. Ti amo. Dio, quanto ti amo, ti amo e ti amo, ti amo. Ti amo, sempre ti amo e ti amo. Ti amo e non smetterò mai. Quindi finiscimi e basta.”
Ti volti. Lei ti sta già guardando e non sai da quanto tempo ha smesso di osservare il soffitto e non ti interessa. Mentre stai ancora parlando le trovi le labbra schiuse e la baci. E ritorna.
Quella passione che aveva travolto entrambi soltanto poche ore prima - insieme alla disperazione e alla certezza di non essere amato e al dolore della perdita di una parte di te stesso.
Hai le mani tra i suoi capelli e strette intorno alla sua nuca. Le sollevi il viso e lei sembra lasciarsi divorare da te, una semplice illusione - ti sfida con la sua lingua, nel modo in cui ti accarezza e poi ti sfiora le labbra in tocchi sottili e come lei cambia il suo ritmo e costringe te a seguirla.
Ha schiuso le labbra e ha schiuso le gambe, girandosi di lato e posando la coscia contro il tuo fianco. Senti calore ovunque.
Lei si spinge contro di te e una tua mano scende dalla sua nuca al suo bacino.
Non sai se vuoi spingerla ancora di più contro di te o fermarla.
E le tue dita non trovano pace e dal bacino percorrono la linea della gonna e con i polpastrelli sentono il bottone e la cerniera da slacciare e tirare giù. Lo fai veloce mentre lei si solleva e ti aiuta a sfilarla.
Lo sai che è la sua prima volta. Nasconde l’inesperienza con gesti accorti e tu le chiedi di rallentare mentre ti sta spogliando. Lasci che ti sfili il pantalone e che poi ti spinga sopra di lei.
Troppo veloce, troppo veloce, hai solo adesso iniziato a baciarla.

“Aspetta, aspetta.”
Sono le uniche parole che riesci a pronunciare nel momento in cui lei cerca di sfilare via gli ultimi indumenti di entrambi - ha cercato di farlo in un gesto veloce mentre tu eri premuto contro di lei a baciarle lo sterno, partendo dalle spalle e poi giù sul tessuto del reggiseno e al centro del suo addome, a morderle cuore e ossa e pelle.
Lei ha il respiro accelerato e tu sei diviso in due opposte tensioni. Vorresti guardarla quando le tue dita discendono e schiudono le sue gambe e si insinuano dentro di lei e cominciano a muoversi lentamente - lente e lente, prima un dito e poi due in movimenti lenti e lenti e così lenti che il suo bacino ti asseconda in modo sgraziato e irregolare.
Ma non riesci a sollevare lo sguardo.
Dapprima hai il viso nascosto contro il suo petto e sul suo seno che - non riesci a controllarti, non ci riesci - vorresti soltanto baciare, invece mordi, divori. 
C’è l’impronta dei tuoi denti sulla sua pelle, vicino all’aureola e sul costato. Li noti di sfuggita e non ti blocchi, continui ad alternare la tua lingua con i tuoi incisivi fino a quando ai suoi gemiti non si uniscono note di sottile dolore. Inizi di nuovo con baci dolci, assapori la sua pelle mentre le tue dita scelgono un ritmo diverso, più veloce. E all’improvviso non ti basta e vuoi di più, vuoi sentirla ancora e ancora e di più.
Mordi piano e la senti, senti che trema.
Ma poi nascondi il volto contro il suo collo per ascoltare meglio il suo respiro. È disarticolato, come se volesse pronunciare parole che non ti sussurrerà mai e che rimangono incatenate alla sua giugulare. Il suo bacino segue i movimenti dei tuoi polpastrelli e si lascia accogliere dal tuo palmo, le gambe tremano e stropicciano le lenzuola. La senti che ti stringe - anche le sue cosce ti stringono il braccio e i suoi respiri sono solo gemiti che ti sembrano strozzati.
E le sue mani si aggrappano alle tue spalle e la sua schiena si inarca e tu non puoi più scegliere. Sollevi il viso dalla curva del suo collo e i suoi occhi sono spalancati. Non riesci a cogliere la sua espressione, la sua bocca si preme subito contro la tua.
Così la senti e la senti e la senti tutta.
Stretta e calda intorno alle tue dita.
Dolce sulla tua lingua.
Morbida la sua pelle che accarezza la tua.
E la vuoi, la vuoi - solo questo nei tuoi pensieri disarticolati, senza più coerenza.

Hai i polpastrelli umidi di lei. La sua saliva sulle labbra e sulla gola, le sue unghie che lasciano segni sulle tue spalle e non ti basta. Non è niente. Non basta, no.
“Ti voglio.”
Pensi che lo hai detto. Pensi di averlo fatto e non ne sei sicuro. Lei ti sta spogliando, il suo respiro nelle tue orecchie. E tu sei sopra il suo corpo e non credi di poterti fermare più. Stai pensando tante cose e non sai cosa stai pronunciando ad alta voce e cosa stai sussurrando in un voto imperscrutabile e segreto.
Ti amo.
“Dimmi che mi ami.”
Mercoledì.
“Dimmi che ha valore per te.”
Penso che morirò.
“Menti. Raccontami tutte le bugie che vuoi. Dimmelo solo una volta.”
“Xavier.”
Una delle sue gambe ciondola fuori dal materasso. Te ne rendi conto mentre ti stai spingendo dentro di lei e con una mano la afferri sotto il ginocchio e la porti sul tuo fianco. Dentro di lei ti senti strappare il ventre e ti chiedi se trema per la posizione o per il dolore - ma mentre sei dentro di lei sei ebbro e ti chiedi se non sia per l’emozione.
Pronunci piano il suo nome.
“Mercoledì. Mercoledì.”
Ti aggiusti piano dentro di lei - come fai ad essere dentro di lei - e ti sfugge un gemito gutturale di cui ti vergogni.
“Mercoledì.” 
Lei ti stringe la mano. E tu non ti rendi conto di cosa ti dice.







Angolo autrice

E da un capitolo siamo passati a due. Da due a tre. Quindi sì, la storia deve ancora essere conclusa. Spero vi stia piacendo, i vostri commenti aiuterebbero tantissimo. Specifico che i titoli dei capitoli sono i versi della canzone The Loneliest dei Maneskin. Vi ringrazio per l'accoglienza e che l'attesa sia valsa la pena :)

   
 
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