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Autore: Ladyriddle    12/02/2023    4 recensioni
Sono lontani i tempi in cui James, il terribile, animava le feste, rischiando di far saltare la tavola e di far impazzire sua madre. James Sirius Potter è ora uno studente di Medimagia con la testa sulle spalle e tanti sogni da realizzare. Tutto sembra andare alla grande col cibo di nonna Molly e la musica di Celestina Warbeck ad accompagnare la reunion natalizia, ma poi…
[Questa storia partecipa al “New Generation Contest” indetto da Roxanne Potter/Veronique97 sul forum Ferisce più la penna.]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Vari personaggi | Coppie: James Sirius/ Teddy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Foglie di magnolia e fiori di ciliegio'
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Disclaimer: i personaggi di Harry Potter non mi appartengono.
Pairing: James Sirius/Teddy Lupin | James Sirius/Altro personaggio
Rating: Giallo
Generi: Slice of life.
Note: Dopo la Seconda Guerra Magica/pace; linguaggio volgare;
    Missing Moment Vaiolo di Drago (capitolo 107), 
    leggibile singolarmente, un unico chiarimento a fine capitolo, nelle note finali
Avvertimenti: Questa storia partecipa al “New Generation Contest” indetto da RoxannePotter/Veronique97  sul forum ‘Ferisce più la penna.’


 
Buon Natale (a te e famiglia)
 
A Loey,
la tua dedica e la tua dolcezza
mi hanno commossa.


James aveva sempre amato il Natale alla Tana, la bislacca casa dei Weasley che, coi suoi tetti traballanti e i comignoli fumanti, anche nel mondo dei maghi sembrava sfidare le regole della gravità. La Tana accoglie tutti, ripeteva nonna Molly. E lo faceva: accoglieva tutti davvero, che fossero Weasley o meno, l’importante era che avessero stomaco di ferro e orecchie d’acciaio.
    Molly Weasley, ad ogni anno che passava, aggiungeva un nuovo filo grigio tra i capelli ramati, ma i grembiuli a fiori macchiati di cibo erano sempre gli stessi e lo erano anche i suoi abbracci: calorosi e materni. A James sembrava sempre che a lui riservasse quelli più lunghi, ma nonna Molly aveva il potere di far sentire ognuno di loro come se fosse il suo preferito.
    James lo sentiva nel modo in cui, ogni volta che si sottolineava quanto poco somigliasse a Harry Potter o a uno qualsiasi dei Weasley, affermava con orgoglio che lui era la copia sputata dei suoi fratelli: come Fabian nell’aspetto, identico a Gideon nel carattere.
    “Oh, James.” Dovette chinarsi per permetterle di abbracciarlo, e quando lo strinse, James sentì quell’odore familiare di sugo, arrosto e torta di mele che associava alla Tana. “Ma guardati, guardati!”
    “Di’, nonna, a chi somiglio?” La voce si perse in un sussurro nel clamore della famiglia che si riuniva.
    “Oh, caro!” Lei lo fissava dal basso, doveva essersi rimpicciolita o forse era lui ad essersi allungato ancora. “Tu non somigli a nessuno, se non a te stesso. Guardati,” ripetè, lisciandogli il maglione scuro che aveva indossato quella mattina. “Un ometto. E presto sarai Guaritore” squittì orgogliosa.
    James rise. “Nonna, ho appena cominciato gli studi. Mi ci vorranno anni e anni e anni.”
    Lei gli diede un colpetto. “Passeranno presto, vedrai. Sono così fiera.”
    “Non lo avresti mai detto, vero?”
    “Certo che sì: lo sapevo che non saresti diventato un volgere giocatore di Quidditch. Tu sei molto, molto più ambizioso.” Gli fece l’occhiolino, allontanandosi per dedicarsi a Lucy. Non prima di borbottare un “proprio come Gideon” che gli tese un sorriso tanto lungo che avrebbe potuto spezzarsi.
    Quello lo fece sentire grande davvero. Era sempre stato James il Terribile. Il bambino che aveva fatto disperare sua madre, il ragazzino inquieto e insoddisfatto che aveva fatto penare suo padre, il giovane arrabbiato col mondo che tanta sofferenza aveva causato a se stesso. E adesso tornava alla Tana – quella Tana che accoglie tutti – non più come l’acerbo figlio di Harry Potter alla perenne ricerca delle attenzioni di suo padre, che trovava un modo per odiare ognuna di quelle teste rosse e che imbastiva sorrisi falsi e fingeva di essere ciò che non era, ma come un giovane uomo con una strada ben chiara, con sogni vividi e col cuore sereno.
    James si lasciò baciare, stringere, scompigliare i capelli.
    “Ehi, Jam, accidenti, ma stai mangiando?”
    “James, ho sentito dire che l’Accademia a Montreal è una delle più dure…”
    “Non ci credo che ti fai congelare il culo in Canada, cugino.”
    James rideva, piuttosto compiaciuto per l’attenzione, per gli sguardi stupiti di alcuni, ammirati di altri. Mise su un’aria modesta mentre rispondeva che sì, l’Accademia per le Arti Magiche curative era davvero tosta ma gli piaceva soprattutto perché non importava a nessuno che fosse il figlio di Harry Potter o che venisse da una lunga discendenza di eroi di guerra. Era una matricola come un’altra che studiava e si dava da fare. Forse non era il mago più brillante o intelligente del suo anno, ma tra tutti era il più testardo e questo faceva tutta la differenza del mondo.
    “Chiederai il trasferimento al San Mungo?” domandò zia Hermione.
    James si strinse nelle spalle, impacciato. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto in Canada, ma non poteva immaginare un altro anno lontano… “Sì, penso di sì.”
    Fece il bravo, davvero. Scambiò qualche parola con chiunque gli si avvicinasse – persino con zio Percy – e si lasciò abbracciare da sua madre. Certo, avrebbe potuto essere meno rigido e stringerla forte, ma era ancora troppo arrabbiato e deluso per il divorzio con suo padre.
    Sua madre si allontanò dalla sua guancia. “Amore, perché non torni a casa?”
    Come se si potesse chiamare casa un luogo dove nessuno di loro viveva. “Preferisco stare a Grimmauld Palace, mamma.”
    “James, ti prego. È solo per le vacanze, tutti insieme…”
    “Come la bella famiglia che non siamo più.” Non avrebbe voluto dirlo, non in quel modo e non la vigilia di Natale, ma era stata lei a cominciare, e James il Terribile era ancora lì, da qualche parte.
    L’aveva ferita, lo vide dalla curva della sua bocca e dal modo in cui gli occhi le si spensero. Qualcosa gli si contorse nel petto: lui era il più grande e in teoria il più maturo, ma soprattutto era quello che stava sempre dalla parte della mamma. Ma in quella cosa no, e gli dava fastidio la saggezza di Lily, l’assoluta indifferenza stoica di Albus e persino l’atteggiamento pacifico di suo padre. Era giusto che ci fosse qualcuno che ricordasse a tutti loro che quella cosa era una gran merda!
    Intercettò uno sguardo di suo padre – Non mi rendi le cose facili, sembrava dire – e uno triste di Lily – Ti prego, James, è Natate, gli rimbombò la sua vocina nella testa.
    Ammorbidì la voce. “Magari ne riparliamo, va bene?” disse, sfiorandole una spalla.
    Sua madre se lo fece bastare, stringendoselo più a sé, e James la lasciò fare.
     Dall’altra parte della stanza, suo padre gli rivolse un piccolo sorriso grato; Lily gli fece un occhiolino.
    Si sentì ancora addosso lo sguardo di Lily, più teso e preoccupato, quando Ted arrivò alla Tana seguito da Victoire. Doveva ammetterlo: a quello non era preparato. Si era aspettato che uno dei due o entrambi disertassero la cena ma erano lì, mano nella mano, e una vecchia ferita, non del tutto rimarginata, prese a pizzicare fastidiosamente.
    Nonostante ciò, stirò un sorriso e salutò Victoire. Lei si avvicinò al suo zigomo, senza sfiorarlo e passò oltre, lasciando dietro di sé la delicata essenza del suo profumo. E poi, fu un secondo.
    James incrocio lo sguardo di Ted e il filo rosso che li aveva sempre legati tirò appena, come a ricordargli che era sempre lì.
   Per mesi aveva evitato di pensare a lui; all’inizio era stato un semplice esercizio: lo aveva chiuso in una scatola e lasciato in un angolo del suo cuore, poi era stato più semplice, automatico.
   Ma adesso Ted era lì e nei suoi occhi James lesse tutte le parole che non si erano detti, le colpe, le scuse, il rimpianto e i ricordi che richiamò a sé, formando un Patronus che lo proteggesse da tutto quello.
    Sentì il cuore saltare un battito e fece forza, quasi violenza su se stesso, per chiudere quella scatola e riporla nel giusto posto: quello del passato.
    Ted schiuse le labbra, ma James desiderò evitarlo e afferrò Albus per un braccio, tirandolo a sé, facendosi scudo con suo fratello. Era giusto così. Entrambi avevano scelto le loro strade e adesso dovevano subirne le conseguenze. Anche quello, del resto, significava diventare grandi.
    “Non potrei immaginare scenario più delizioso,” mormorò Albus, gli occhi verdi assottigliati che lenti si posavano tutt’intorno, a schedare parole, movimenti, fatti. Suo fratello detestava i momenti di aggregazione familiare, le risate, i convenevoli, i colori, condividere qualsiasi cosa, anche solo lo spazio vitale, come diceva lui. “Dobbiamo proprio restare, vero?”
    “È Natale, Al,” gli ricordò, rammentandolo anche a se stesso. Lo sguardo fisso su qualunque cosa non fosse Ted, Victoire o la mamma.
    Per buona pace di tutti, sua nonna aveva impostato la radio sulla stazione dedicata a Celestina Warbeck. Persino zia Fleur, mentre si affaccendava a incastrare tutte le sedie intorno al tavolo, prese a canticchiare le parole di una vecchia canzone.
    “Forza, forza.” Nonno Arthur richiamò l’attenzione su di sé. Aveva appellato una polverosa bottiglia di Winsky Incendiario e tanti bicchierini spaiati. Il brindisi della vigilia era la tradizione, ma bere era riservato solo ai ‘grandi’. Quell’anno, per la prima volta, James ebbe un bicchiere scheggiato da un lato.
    “Direi che quest’anno sia giusto che il brindisi lo faccia qualcun altro,” annunciò il nonno, allungando un braccio verso Ted e Victoire.
    Porca merda. Quella era la cosa a cui era meno preparato in assoluto, ma James incassò con un sorriso il fatto che fossero tornati insieme – evidente dal momento in cui erano arrivati alla Tana mano nella mano – e si unì al brindisi generale quando annunciarono il matrimonio per la primavera successiva.
    “È peggio di quanto potessi immaginare.” Mormorò, in modo che potesse ascoltarlo solo Albus.
    “Sta’ zitto, James,” borbottò suo fratello con aria mortifera. “Tu hai un bicchiere in mano.” 
      “Tu non bevi.”
    “Ma potrei cominciare adesso,” sibilò, appiattendo le labbra. Conoscendolo, James sapeva che fosse infastidito dalla mancanza di spazio, dal calore della casa e da tutte quelle ciance. E da Ted, ovviamente. Albus lo aveva sempre detestato e James aveva passato la vita a chiedersi perché, poi aveva capito. Suo fratello era sempre stato troppo attento, troppo intelligente e aveva capito bene, forse persino prima di lui, quale fosse l’equazione tra James e Ted. 
    James gli diede una pacca lieve, veloce, come sempre erano tutti i loro contatti fisici. “È Natale, Al,” cantilenò, fintamente allegro, guardando verso Ted e Victorie, conscio che di lì a poco sarebbe toccato a lui congratularsi.
    Victoire ebbe il buongusto di ignorarlo, ma Ted no. Sembrava che avesse aspettato quel momento da quando era arrivato, forse da tutta la vita, e James era un Grifondoro, nonostante tutto.
    “Jamie.” Ted era l’unico che lo chiamava così. Lo fissò in quel suo modo strano. “Come stai?” Domandò perché nonostante tutto e tutti, Ted ritagliava sempre un momento per lui, anche adesso, quando avrebbe dovuto pensare a Victoire. E in quella stanza, satura di odori, persone e chiacchiere, a James sembrò di essere per un secondo infinito solo con Ted.
    Avrebbe potuto mentire, ma non ne era mai stato capace e Ted lo avrebbe scoperto in un momento. “Sono stato meglio,” ammise, ma per la prima volta non si riferiva solo a lui.
    Ted sorrise ed era quello – più dei baci, le risate e le lenzuola umide –, che più gli mancava: il poter essere Teddy e Jamie, senza tutti i casini che poi avevano messo su.
    James gli mise una mano su una spalla, lo sentì tendersi a quel tocco, ma non la ritrasse né lui si sottrasse.“Congratulazioni.” Di nuovo, fu sincero. Sperò che potesse essere felice. Che lo potessero essere entrambi. “Non mi chiederai di farti da testimone, vero?” Ed eccola di nuovo lì, l’ombra di James il Terribile. Quello che diceva cose sceme e imbarazzanti.
    Ma Ted rise, e James sapeva che era anche quello uno dei motivi per cui ancora lo amava. Perché sì, dopo tanti anni di autentico dolore, almeno sapeva che Ted lo amava ancora. Anche se in un modo strano e un po’ malato.
     “No, non sono così masochista, Jamie.”
    Anche James rise. “Ottimo perché, lo sai, io sì. E avrei anche accettato, pensa.”
    Ted sembrò un po’ più leggero, e anche James si sentì liberato, nonostante la malinconia. ‘Forse, tra molto molto tempo, potremmo essere di nuovo solo Teddy e James, senza tutti i nostri casini.’ Lo sperò davvero, anche se in cuor suo sapeva che sarebbe stato impossibile. Ma era Natale e si concesse quella piccola bugia.
    Dopo andò meglio. Nonna Molly aveva superato se stessa, a James sembrò di non mangiare così bene da secoli, e Lily era alla sua destra, con la sua mano che scattava sul braccio o sul ginocchio come a dire: sono qui, sei qui, mi sei mancato, è tutto a posto.
    “Spero che tu mi abbia fatto un regalo bellissimo, perché altrimenti non ti perdonerò per avermi lasciato al Granaio a sorbirmi mamma e papà,” gli disse con un tono dispettoso che non le riuscì bene come un tempo.
    Le tirò il naso e prese a pungolare Albus senza grandi soddisfazioni, a ridere per qualche stupida battuta con Fred e a lanciare molliche di pane verso Rose e Lucy. La prima gridò: “James, sei il solito idiota!”
Era solo una sera e di lì a poco sarebbe finito tutto: sarebbe tornato a Grimmauld Palace e lì ci sarebbe stato il giusto balsamo per tutte le sue ferite. Andava bene.
    “Non capisco com’è che Louis non sia con noi.” La voce di zio Ron si levò da sopra la tavola. “Boh, è la vigilia di Natale, è tradizione essere tutti qui.”
    Zia Fleur passò un vassoio pieno di piselli alla sua destra. “È stato un piccolo imprevisto, ma domani sarà dei nostri, col suo garçon.”
    ‘Fantastico.’ Il giorno successivo avrebbe dovuto sopportare Ian Nott, la persona a lui meno gradita sulla faccia della terra.
    Ron imbastì un’espressione basita. “Nott, bah!”
    Zio Bill teneva la mano stretta attorno al suo bicchiere, lo fissava intensamente, come se fosse interessato solo a quello. Sembrava si stesse combattendo una silenziosa battaglia dentro di lui, ma quando parlò, la sua voce era secca e definitiva. “È un bravo ragazzo, ha una buona influenza su Louis: sembra felice.”
    Louis felice. Con Ian Nott. Erano due frasi che cozzavano prese singolarmente, figuriamoci unite in un pensiero, ma chi era James per giudicare?
    Zia Hermione sembrò intuire che il discorso poteva urtare angoli dolorosi, che provò a smussare. “Ottimo, ottimo. Louis è sempre stato così riservato, schivo, e quel ragazzo sembra davvero allegro, estroverso, gli farà bene.”
    Zio Ron sollevò un sopracciglio. “Non eri tu che dicevi che suo padre è un mostro?” domandò a sua moglie, che imbastì un’aria imbarazzata.
    “Oh, sì, Theodore Nott,” intervenne zio Percy in tono fintamente casuale. “È il capo dell’Ufficio per la Cooperazione Internazionale Magica.” Tutti colsero la vena acida nella sua voce perché era risaputo quanto avrebbe voluto ricoprire quella carica. “Un vero cane!”
    “Comunque,” riprese Hermione con fastidio. “Il figlio non c’entra nulla con suo padre,” scandì, un piccolo cenno a indicare Bill e Fleur, indecisi se offendersi e ribattere o lasciar correre. 
    Ron Weasley scrollò le spalle. “E vabbè, meglio lui, un Nott, che, che ne so, un Malfoy.” L’aveva detto così, con leggerezza, ma James sentì una cappa gelata scendere sulla tavola.
    A James mancò il fiato in gola e, per un attimo, gli si annebbiò la vista tanto che non registrò l’occhiata sbieca che gli rivolse Fred né il muscolo teso della mandibola di suo padre o l’occhiata furente di zio Bill né la mano di zia Fleur, stretta al braccio del marito.
    La mano di Lily si strinse sul sul ginocchio, una muta preghiera.
James, non rovinare tutto’ dicevano i suoi occhi.
    “Qualcuno vuole delle patate?” La voce di sua madre era di un’allegria forzata, e James realizzò che, chissà come, anche lei sapeva. Forse era stato suo padre.
    ‘Ignoralo, James, ti prego.’ Gli diceva il verde limpido del suo sguardo.
    Tirò un lungo respiro e riprese a mangiare.
    Albus fece tintinnare le posate sul piatto, le spalle rigide, qualcosa gli saettò nello sguardo. “Stai parlando di un mio amico, zio Ron.” Oh, no, quella piccola serpe di suo fratello non aveva nessuna intenzione di lasciar correre.
    “Fattelo dire, Albus, cercati amici migliori – senza offesa.”
    “Cambiamo argomento?” propose zia Fleur, rigidissima. 
    Albus stirò un sorriso, un movimento lentissimo, subdolo, di una perfezione inquietante, in cui celava tutto il suo disprezzo. “Trovi, zio? Perché a questo tavolo siamo tutti amici di Scorpius Malfoy.”
    James sentì Lily allungarsi per dare un calcio sotto al tavolo ad Albus, ma dato che aveva le gambe corte probabilmente lo aveva solo sfiorato.
    Zio Ron spalancò gli occhi. “Sul serio?” La curva delle labbra piene di cibo virò verso il basso. “Tu, no, vero Rosie? Non è che hai strane idee su quel coso?”
    “Papà, ti preg–”
    “Tranquillo, zio, a Scorpius non interessa Rose.” Albus riprese a mangiare con metodica lentezza.
    “Perché? È un finocchio come suo padre? Oh, scusa, Bill, non ho niente contro i fino–”
    James tirò via il piatto, il bicchiere si rovesciò sulla vecchia tovaglia ricamata, in piedi, la sedia rivoltata e i palmi puntati sulla tavola. Vedeva macchie rosse davanti agli occhi. Tutti i buoni propositi e i passi avanti fatti furono investiti dal fuoco, accartocciati e inceneriti dalla sua furia.
    “James, siediti! Ron, Piantala!”
    Zio Ron schiuse le labbra, sorpreso. Più sorpreso di tutti a quel tavolo: loro due erano sempre andati molto d’accordo, più di chiunque altro, ma con quello… James si era controllato, sì, aveva contato, ignorato, ma adesso sentiva l’adrenalina in circolo e la rabbia che gridava per uscire in mezzo a quel silenzio di sguardi basiti e stupiti.
    “E secondo te che dovrei fare?” domandò James, guardando suo padre come una furia. Anche lui era in piedi, ma erano anni che era più basso di lui. “Starmene buono e zitto, come fai tu quando c’è un problema, mentre quello insulta il mio ragazzo?”
    Scoppiò la bomba. Successero tante cose, una dietro l’altra: Zio Ron si strozzò con i residui di ciò che teneva in bocca, zio Bill gli urlava contro, zia Hermione si scusava con la cognata, zio Percy dottoreggiava, Lily teneva il viso nascosto, le dita tra i capelli, Albus mangiava soddisfatto, come se fosse il Signore di quell’inferno che aveva contribuito a scatenare.
    “James, per favore, rimettiti seduto.” Suo padre sembrava implorante. “Ron, piantala!”
    “È uno scherzo, James. Una delle tue?”
    “Ron, chiudi quella boccaccia!” Ruggì zio Bill, il viso contratto, le cicatrici sembravano tanto profonde e terribili da ricordare il lupo che lo aveva sfigurato.
    Un respiro intrappolato nei polmoni, ancora vibrante in attesa d’uscire. “Quale parte non hai capito? Che sono un finocchio o che scopo con Scorpius Malfoy?” sferzò, mordendo le parole nella foga.
    “JAMES!”
    Un rumore di porcellane rotte. Nonna Molly stringeva la stoffa della veste. “James è sconvolto per il divorzio” singhiozzò, guardando figlia e genero come per aggrapparsi a loro.
    “No, nonna, mi piacevano gli uomini già da prima,” urlò per far sentire la propria voce sopra quella di tutti gli altri. Sembrava che ogni singolo membro della famiglia sentisse di avere un’opinione valida e il diritto di dire qualcosa. Anche solo per darsi addosso gli uni con gli altri.
    “James, per favore, basta! È Natale!"
    
E chi se ne frega, pensò James, o forse lo gridò.
    “Teddy, diglielo tu,” lo pregò sua madre. Ted era sempre stato l’unico capace di placarlo, di farlo ragionare, ma da allora era passata una vita, erano ancora qualcosa per cui valesse la pena soffrire. James non era più un bambino bisognoso delle coccole e delle attenzioni di Ted, ma un uomo offeso e orgoglioso di quello che era diventato, della persona con cui stava.
    James lo fissò, sfidandolo a provarci, ma Ted era immobile, confuso, forse persino un po’ spaventato – vaffanculo, stronzo senza palle!
    “Sì, Teddy, diglielo tu,” le fece eco Albus, lo spiraglio di un ghigno distorse i suoi tratti: si stava divertendo.
    “Tu lo sapevi, Harry? Sul serio?”
    “Ora basta, Ron!” La voce di suo padre, adesso, era alta e tanto arrabbiata da zittire tutti quanti. “Ti-ho-detto-basta” ripeté. Zio Ron, rosso in viso come se gli stesse per venire un colpo, fece per replicare, ma suo padre lo zittì: “Zitto, o questa potrebbe essere l’ultima conversazione che abbiamo.”
    “James, per favore, siediti.” Com’era strana la voce di sua madre, non l’aveva mai sentita così: quasi rotta, come se stesse per crollare davvero. E solo in quel momento James si preoccupò di fissare tutti i cocci di quella serata, le facce basite di alcuni, dispiaciute o terrorizzate di altri, il tremolio del labbro di nonna Molly e lo sguardo acquoso di Lily. Gli dispiacque, ma solo un po’: il cuore gli batteva in petto come se avesse voluto fracassargli lo sterno e lui aveva smesso da tempo di preoccuparsi di cosa gli altri potessero pensare, se fossero o meno preparati a una realtà come quella.
    “No, me ne vado.”
    “Jam–”
    “Vai, James, è meglio.” Suo padre prese un respiro, anche lui era rosso in viso. “È meglio se vai” gli fece un cenno come a dire che era tutto a posto, ma che doveva filare.
    Una sedia strusciò sul pavimento in pietra. “Vado con lui,” annunciò Albus, il piatto pulito fino all’ultima briciola. “Potrebbe fare qualcosa di sciocco,” mormorò, ripulendosi il labbro da macchie inesistenti.
    James rivolse a nonna Molly uno sguardo di scuse. Non aveva il coraggio di guardare i suoi o Lily, adesso. Uscì dalla porta, niente camino, aveva bisogno di aria fredda, gelata sulla pelle. 
    Albus gli fu accanto un secondo dopo. “Ottimo, ottimo. Questo ha superato di gran lunga l’anno in cui hai dato fuoco ai regali di Natale.”
    “Al.”
    “Sì, James?” Albus cercò i suoi occhi. Li trovò. Erano più vicino, adesso, loro due in mezzo al vialetto dei nonni, a camminare fianco a fianco nella neve.
    “Sei uno stronzo.”
    Albus ne sembrò lusingato. Ma lui era un sociopatico disadattato. “Grazie, James. E Buon Natale anche a te.”

 
 
*

Note al testo. 
[…] perché altrimenti non ti perdonerò per avermi lasciato al Granaio a sorbirmi mamma e papà –>
       Il Granaio, nel mio immaginario, è la casa della famiglia Potter. In Vaiolo, la storia madre, (vedi dal capitolo 113 in poi), il Granaio è disabitato: Harry vive a Diagon Alley, Ginny col suo compagno, Albus e Lily sono a Hogwarts e James è in Canada. Gli ex coniugi Potter avevano disposto che la famiglia si riunisse al Granaio solo per le feste, ma James ha preferito andare a Grimmauld Palace.



Note di Lady. 
Questa Os è un Missing Moment del capitolo 107 scritto nel lontano 2021, se oggi dovessi riprendere quella parte la riscriverei così. Spero di aver fatto un buon lavoro, chiaro e  piacevole per chi non segue la long; interessante per chi apprezza James.
Altra noticina, per chi legge Vaiolo. LA JamesTed è ormai superata e inabissata, ma proprio nel fondo degli oceani, e questo penso che siano consapevoli sia James che Ted, però mi piace che ci sia questa sorta di sofferenza e rimpianto da parte di entrambi.

 
   
 
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