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Autore: Shadow writer    22/02/2023    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La convivenza 



Mila impiegò mezza giornata per capire che Jay aveva delle serie manie ossessive nei confronti della casa. Era rimasta nell’appartamento da sola – Nate era stato chiamato da Richie per i soldi della vittoria, mentre gli altri due erano al lavoro – così si era decisa a ricambiare l’ospitalità sistemando e pulendo le stanze. Aveva trovato tutti gli strumenti e i detergenti nella cucina, riordinati per superficie e per colore, in confezioni della stessa forma e con etichette scritte a mano che semplificavano la comprensione di cosa servisse per dove. Sapeva che sicuramente non era stata opera di Mike e neanche di Nate, ma che quella era un’idea esclusiva del terzo inquilino. L’unico che, lo sapeva, non gradiva la sua presenza in quell’appartamento. Se non poteva fargli cambiare idea, almeno gli avrebbe reso più piacevole accettarla. Così si era messa pulire gli spazi comuni della casa, per non invadere la privacy delle camere private.

Appena sveglia aveva dovuto chiamare James, per dirgli che stava bene, che era stata trattenuta perché scambiata per un’altra persona e che, no, era sicura, non voleva sporgere denuncia. Lui le era sembrato parecchio preoccupato e aveva insistito perché denunciasse l’avvenuto. Aveva impiegato parecchio tempo per convincerlo che non si era trattato di nulla di grave e che non voleva fare nulla. Gli aveva detto che sarebbe stata a casa di Nate e lui era parso sollevato all’idea che non fosse da sola. Si era anche offerto di ospitarla, nel caso non avesse avuto altro posto in cui andare. Le aveva lasciato la giornata libera, mentre dal giorno successivo avrebbe dovuto riprendere le sue mansioni, anche lavorando a distanza. 

Durante il suo secondo giorno di permanenza nell’appartamento, Nate l’accompagnò all’albergo a recuperare le sue cose. 

Quando vide il posto in cui aveva alloggiato, il ragazzo si mise a ridere. «Mila Barnes che alloggia in uno hotel da due soldi? Sei davvero cambiata». 

Lei si sentì arrossire e lo nascose fingendosi impegnata a sistemare le cose nella valigia. «Non ero pronta a dire ai miei genitori della rottura con James».

«Il loro cuoricino si spezzerà» commentò Nate e lei sorrise. Sapeva che stava cercando di distrarla dai cattivi pensieri e gliene era grata.

Trascorsero tre giorni senza eventi di grande rilevanza. Si svegliava la mattina, prima che Jay e Mike uscissero di casa, sistemava il suo giaciglio, preparava la colazione per tutti, poi puliva la casa mentre tutti erano fuori e lavorava dal suo pc. A volte la grossa gatta di casa le faceva compagnia e lei lasciava riposare sulle sue gambe. Mike le aveva detto che l’avevano trovata una sera e avevano deciso di tenerla, ma nessuno si era preso la briga di darle un nome.

Nate era spesso a casa e l’aiutava a pulire oppure usciva per delle commissioni. C’era tra loro un atteggiamento di amichevole imbarazzo. Si parlavano come amici, senza mai interrogarsi con domande troppo profonde o personali. Mila sapeva che il ragazzo non era stupido e probabilmente c’erano cose che voleva chiederle o questioni da chiarire, ma intuì che le stava lasciando il proprio spazio e quella delicatezza le faceva piacere.

Passarono alcuni giorni, prima che Nate le chiedesse se voleva accompagnarlo a fare la spesa. Andarono con la moto del ragazzo, perché Jay era andato al lavoro con la sua auto e nessuno dei due voleva camminare con le borse della spesa. Quando parcheggiarono nel supermercato, Nate si fermò un istante a guardare il mezzo che li aveva condotti fino a lì.

«Forse dovrei venderla» disse, quasi tra sé e sé e Mila esitò prima di parlare.

«Perché?» gli chiese poi.

Nate si strinse nelle spalle. «La fase spericolata della mia vita è finita, potrei comprare un’auto con i soldi che mi ha dato Richie e poi trovarmi un lavoro».

Prima che lei potesse replicare, si diressero all’interno del supermercato e il ragazzo prese la lista che Jay aveva attaccato al frigorifero qualche giorno prima. 

«La vincita non dovrebbe aiutarti per un po’?» chiese Mila, riprendendo il discorso.

«Sono arrivato secondo e in più Richie ha voluto parte dei soldi. Ha fatto la scenetta del magnanimo quando mi ha lasciato il sessanta percento della quota al posto di prendersi la metà esatta» sbuffò lui. «Sono tanti soldi, ma non dureranno per sempre».

Mila lo osservò mentre strizzava gli occhi per leggere la scrittura sul post-it. Un ciuffo di capelli scuri, fuggito dalla chioma spettinata, gli ricadeva sulla fronte. Aveva delle borse scure sotto gli occhi che mostravano quanto le preoccupazioni lo attanagliassero davvero, al punto da tenerlo sveglio la notte. Indossava una felpa e dei vecchi jeans, esattamente come si sarebbe aspettata da lui: quello era il ragazzo di cui si era innamorata. O forse la versione più adulta e stressata di quel ragazzo, ma comunque lo riconosceva ancora. Lo ritrovava nel modo in cui sorrideva quando incrociava il suo sguardo, nel modo in cui la cercava quando si allontanava nelle corsie del supermercato, nelle linee che si creavano sulla sua fronte quando era sul punto di farle una domanda.

«Tra poco avrai risposta dal professor Thomson» cercò di rassicurarlo, mentre si spostavano alle casse.

Le labbra di Nate assunsero una piega amara. «Oh, questo mi consola proprio».

Lei alzò gli occhi al cielo. «Sei arrivato tra i finalisti e hai delle buone probabilità, non disperare proprio ora».

Pagarono la spesa, poi tornarono alla moto e si diressero verso casa. La trovarono deserta, come quando erano partiti e si misero a sistemare la spesa nella cucina. In quello spazio ristretto, in cui continuavano involontariamente a sfiorarsi, Mila cominciò a pensare che non poteva trattenersi ancora a lungo. Aveva bisogno di parlargli, di chiarire quello che era successo una volta per tutte.

«C’è un motivo se io e James ci siamo lasciati» esordì, bloccandosi al centro della stanza. 

Nate, che stava riempiendo il frigorifero, chiuse lo sportello e si voltò a guardarla con un’espressione indecifrabile.

«Lo so» le disse.

Mila sgranò gli occhi. «Lo sai?»

Lui scrollò le spalle. «Ho fatto due più due. Credevo di averti sognata qui nell’appartamento e Jay mi è sembrato strano da quel giorno, ogni volta che ti nominavo. Poi ho sentito Alison parlare di qualcosa che hai detto fuori da camera mia, quindi ho intuito».

Lei si sentì sbiancare. Non era così che aveva previsto la conversazione. «Hai intuito cosa?» domandò con il cuore che le pulsava nel petto.

Nate le rivolse un sorrisetto provocatorio. «Che sei ancora innamorata di me, come una ragazzina dagli ormoni impazziti».

Mila si sentì avvampare e reagì scagliandogli addosso il cuscino della sedia davanti a lei. «Oh, sta’ zitto» sbottò con le guance che andavano a fuoco. 

«Ho ragione o no, signorina Barnes?» la canzonò.

Lei sospirò. «Sì, hai ragione. Idiota».

Si lasciò cadere sulla sedia senza cuscino e appoggiò i gomiti sul tavolo, improvvisamente esausta. Nate si fece serio e prese posto di fronte a lei. «Stavo solo cercando di sdrammatizzare, Mila. Lo so che è una faccenda importante».

La ragazza strinse le labbra. Avrebbe voluto piangere per la disperazione in cui i suoi sentimenti l’avevano precipitata, ma anche scoppiare ridere per il senso di liberazione che provava. 

«A cosa stai pensando?» gli chiese.

«L’amore che provavo per te mi ha perseguitato per anni» rispose lui. «Per tanto tempo non sono più riuscito a sentirmi felice, nonostante Mike e Jay, nonostante… Alison, perché tutto ciò che volevo eri tu».

Mila sentì un nodo formarsi nella sua gola, rendendole difficile deglutire. Lo sapeva come si era sentito Nate, perché quel dolore lo aveva vissuto anche lei, sommato al senso di colpa per averlo lasciato andare. 

«Negli ultimi mesi, da quando ti ho ritrovata, ho cominciato a riprendermi» proseguì lui. «Ho capito che avrei per sempre rimpianto i nostri momenti felici, ma che avrei potuto costruirne altri, per conto mio, e avrei potuto riprendere a vivere veramente senza lasciarmi distruggere dal passato. Ti amo con tutto il mio cuore, Mila Barnes».

Nel sentire quelle parole, le lacrime cominciarono a rigarle le guance. 

«Ma ho davvero paura che se questa volta fallirà non avremo una seconda possibilità e non posso vivere sapendo di poterti perdere per sempre. Entrambi dobbiamo sistemare la nostra vita. Tu hai appena chiuso una relazione importante, lavori ancora con James e dipendi dai tuoi genitori. Io non ho un lavoro e gli unici soldi che possiedo provengono da atti criminali, non i migliori presupposti per ricominciare, vero?»

Mila si costrinse ad annuire, con la vista appannata dalle lacrime. Il nodo che le bloccava la gola ora si esteso fino al suo stomaco e le contorceva le viscere. Nate aveva ragione, lo sapeva. Era quello il motivo per cui aveva esitato tanto prima di confrontarlo. Perché quello non era il momento giusto, perché avevano lasciato troppo in disordine le proprie vite per poter pensare di mettersi insieme come in un patchwork mal fatto. 

«Amici?»

Alzò gli occhi. Nate le stava tendendo la mano. Prese un respiro profondo e gliela strinse, soffocando le lacrime. «Amici».

 

 

Nate convinse tutti ad uscire quella sera. Jay non aveva fatto in tempo a mettere un piede nell’appartamento e il ragazzo lo aveva assalito dicendogli di prepararsi, perché non aveva intenzione di passare un’altra serata a deprimersi in casa. Si era perfino offerto di guidare – con la promessa di non bere neanche una birra – ma Jay si era opposto e così si erano stipati tutti e quattro nella sua auto ed erano andati ad un pub poco lontano dall’appartamento.

Nate mantenne la sua promessa e ordinò una Coca Cola, anche se non era costretto a farlo. Jay lo studiò con discrezione per tutta la sera, lasciando che Mike portasse avanti tutte le conversazioni. Era dalla sera dell’ultima gara che non parlava con l’amico. Quando si era presentato insieme a Mila, gli aveva fatto presenti le sue preoccupazioni, ma questa volta aveva lasciato che gestisse la situazione da solo. Sapeva di averci messo il becco in troppe occasioni, così aveva deciso di tirarsi indietro, anche perché, sorprendentemente, tra licenziamenti e corse clandestine, Nate gli sembrava maturato. 

Il gestore del pub annunciò che avrebbero aperto lo spazio karaoke e Mike afferrò per un braccio Mila costringendola ad andare a cantare insieme a lui. La ragazza avvampò, ma non le fu possibile sottrarsi e si ritrovò con un microfono in mano davanti al piccolo schermo su cui scorrevano le scritte.

«Che stupidi» commentò Nate e Jay lo osservò, cercando di decifrarlo. Li guardava sorridendo, con serenità.

Li guardarono cantare per qualche minuto, poi decisero di uscire a prendere un po’ d’aria, lasciando che si divertissero da soli.

Fuori dal pub la strada era deserta e scura e li accolse solo l’aria fresca della notte. Un lampione illuminava lo spazio fuori dal locale, come un ombrello di luce sopra di loro.

«Stai facendo una dieta detox?» domandò Jay guardando l’amico.

Nate gli rivolse un’espressione perplessa.

«La Coca Cola, niente sigarette. Sembra di essere tornati indietro del tempo, prima delle gare, prima di Alison».

L’altro non gli rispose, ma fissò gli occhi davanti a sé, persi nel vuoto. «Sto cercando di recuperare lo stile di vita che ho trascurato negli ultimi mesi».

Jay si rese conto che l’amico aveva gli occhi lucidi e si allarmò. «Che succede? Tutto bene?»

Gli occhi dell’altro si riempirono di lacrime. Quando parlò, le sue labbra tremavano e la sua voce suonò rotta. «Questa volta sono stato io a lasciarla andare».

«Che significa?»

«Mila… l’ho lasciata andare» spiegò, senza fiato. «Abbiamo parlato, per chiarire la nostra situazione». Boccheggiò. «Avrei solo voluto stringerla tra le braccia, dirle che sarebbe andato tutto bene e che avrei fatto qualsiasi cosa per lei». Si passò una mano sul volto, come stremato. «E in effetti ho fatto il sacrificio più grande che potessi fare: le ho detto che questo non era il momento giusto per noi. L’ho lasciata andare».

Tornò a fissare lo sguardo in un qualche punto imprecisato dell’asfalto davanti ai suoi piedi e pianse in silenzio, senza singhiozzi, solo con le lacrime che gli rigavano il volto.

Jay gli appoggiò un braccio sulle spalle e lo strinse a sé. «Sono orgoglioso di te, amico. Vedrai che tutti si sistemerà».

   
 
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