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Autore: Nao Yoshikawa    27/02/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo venti

Renji quella sera era nervosissimo. Più di una volta si era detto non ce la faccio. Ma al  diavolo, voleva e doveva farcela, voleva chiedere a Byakuya di sposarlo in modo speciale. E poi non aveva scelta, Yumichika lo avrebbe ammazzato, dopo tutto quello sforzo. Aveva detto a Byakuya, quella sera, perché non usciamo?
Byakuya era rimasto sorpreso: in genere la sera erano entrambi stanchi e preferivano rimanere a casa, però gli era sembrata una buona idea. Stava aspettando il momento giusto per fare la sua proposta e di sicuro Renji non si sarebbe aspettato che lo facesse in quel momento. Avevano chiesto a Yumichika e Ikkaku se potessero tenere Zabimaru per quella sera e i due avevano accettato, meglio lasciarli soli.
«Non preoccupatevi, tratteremo Zabimaru come se fosse nostra. Adesso voi divertitevi e non tornate troppo presto» disse Yumichika.
«Perché ho l’impressione che ci stiate cacciando via?» domandò Byakuya confuso. Erano tutti e due molto eleganti quella seria (anche se in realtà Byakuya era elegante sempre).
«Ma che cacciarvi via!» borbottò Ikkaku. «Su andate, non fate tardi. Cioè, fate pure tardi. Insomma, fuori!»
Alla fine sì, li avevano cacciati fuori, ma per una buona causa.
Yumichika si mise a ridere.
«Ah, beh. Byakuya rimarrà molto stupito quando Renji gli farà la sua proposta.»
«Aspetta, cosa? Quale proposta?» domandò Ikkaku.
«Sciocco, la proposta di matrimonio, mi pare ovvio!»
Ikkaku si guardò attorno, stralunato.
«… Ma Byakuya intende fare la proposta a Renji questa sera. Ha perfino chiesto aiuto a me. A me.»
Yumichika lo fissò. Questo non lo aveva previsto.
«Ah. Beh, allora sarà una doppia proposta di matrimonio e una doppia sorpresa. Com’è romantico!»
 
 
Per quella sera Renji e Byakuya si erano concessi una romantica cena in un ristorante stellato. Non facevano mai nulla del genere, ma quella serata era speciale, anche se nessuno dei due ancora immaginava quanto. Renji si era versato del vino, ma la mano tremava.
«Renji, perché sei così nervoso?» domandò Byakuya, anche lui teso, ma molto più capace a nasconderlo.
«Nervoso io? Non so di cosa parli» mentì Renji. Poteva sentire Yumichika dirgli non mandare tutto all’aria.
«Capisco» Byakuya socchiuse gli occhi. «Dopo mi piacerebbe andare al Meguro Sky Garden.»
«Sì, mi piace come idea» disse Renji. Il Meguro Sky Garden, era perfetto, una vista mozzafiato al tramonto. «Allora… vogliamo ordinare?»
In realtà aveva lo stomaco chiuso, tant’è che non ordinò nulla di impegnativo. Accidenti, perché l’ansia non lo lasciava in pace? Si sforzò di conversare con Byakuya, il quale sembrava a suo agio. In realtà lui stesso si stava sforzando. Molti anni prima, con Hisana avevano concordato entrambi di sposarsi, non c’era stata una vera e propria proposta. Quindi anche lui, nonostante tutto, era impreparato.
Dopo mangiato salirono in moto (Byakuya continuava a disprezzare quel mezzo di trasporto a detta sua inelegante, ma era il modo più veloce per muoversi) e si diressero verso Meguro Sky Garden. A quell’ora non si trovava molta gente, eccezion fatta per alcune coppiette venute lì per stare da sole. In lontananza era possibile scorgere perfino il monte Fuji, un panorama perfetto insomma.
«Qui è davvero tranquillo» sussurrò Renji, quasi non volesse rovinare il silenzio di quel luogo magico. Byakuya stava osservando il sole tramontare e Renji lo trovò bellissimo e si sentì immensamente fortunato ad averlo. Erano il classico esempio degli opposti che si attraevano e non intendeva passare la vita con qualcuno che non fosse lui. Byakyuya lo scoprì a guardarlo e arrossì, rimanendo serio come sempre.
«Renji, dobbiamo parlare.»
Forse non era stata una buona premessa, Renji infatti fece una smorfia. Ma niente, panico, si disse.
«In realtà anche io devo parlarti, Byakuya. Ti prego, fa parlare prima me, prima che il coraggio mi abbandoni» e dicendo ciò si avvicinò, afferrando la sua mano. «Noi stiamo insieme da quattro anni e sono stati quattro anni stupendi. Byakuya, sei la persona più scostante, seriosa e ligia che io abbia mai incontrato. E giuro che ti amo da impazzire.»
Byakuya arrossì. Tipico di Renji dirgli queste cose.
«Tu sei rumoroso, disordinato e caotico. E ti amo anche io, tanto» disse, serio, ma con gli occhi che lo tradivano. Renji sorrise. Bene, ora o mai più.
«Byakuya. Ne abbiamo parlato tante volte. Lo so, nessuno dei due era tropo convinto all’inizio e non è avvenuto tutto nel più romantico dei modi, quindi sto cercando di rimediare.»
Gli si inginocchiò di fronte. E Byakuya sgranò gli occhi. Oh, non era possibile.
«Byakuya, mi vuoi sposare?» domandò tirando fuori lo scatolino contenente l’anello. Byakuya si guardò attorno e poi sospirò.
Oh, no. Non proprio la reazione che si aspettava,
«Oh, Renji. Come al solito parli troppo e mi hai preceduto. Beh, oramai…»
Renji non capì e non capì nemmeno quando lo vide inginocchiarsi a sua volta.
«Byakuya?»
«Hai ragione» gli disse. «Non abbiamo affrontato l’argomento nel più tradizionale dei modi, ma ora non ho dubbi che voglio sposare te. Ti chiedo di perdonarmi, tendo sempre a rimuginare troppo. Quindi adesso sono io che chiedo a te se vuoi sposarmi» e dicendo ciò gli porse l’anello. Non potevano crederci, senza saperlo si erano proposti a vicenda di sposarsi. Si erano sforzati tanto solo per rendere speciale quel momento. E adesso era senza dubbio speciale.
Renji si mise a ridere, commosso.
«Non ci posso credere, è una cosa proprio da noi, Byakuya, ti sposo.»
«E io sposo te, Renji Abarai. Dopo tutto questo tempo, mi sorprendi ancora.»
Un anello stava al dito di Renji e un anello stava al dito di Byakuya.
«Voglio sorprenderti per tutta la vita. Byakuya…» Renji si avvicinò e lo bacio sulle labbra. Non lo potevano immaginare, ma i loro aiutanti Yumichika e Ikkaku, troppo curiosi (in realtà più Yumichika che Ikkaku), li avevano seguiti per tutto il tempo, portandosi dietro perfino il cane.
«Evviva! Evviva gli sposi!» esclamò Yumichika. «Lo sapevo, una proposta con i fiocchi, mi sono commosso.»
«E sta zitto» borbottò Ikkaku. «Hai rovinato l’atmosfera.»
Byakuya scosse la testa, rialzandosi.
«Da quanto tempo eravate lì?»
«Dall’inizio. Ben fatto Renji! Era un fuori programma, ma bravi tutti e due!»
Byakuya tossì. Senza dire niente, comunicò loro chiaramente sparite di qui entro due secondi. Ikkaku fu molto bravo a capirlo e afferrò suo marito.
«S-sì, scusa. Ce ne andiamo, eh.»
Sarebbe stata una serata che non avrebbero più dimenticato.
 
 
Nemu si conosceva e sapeva cosa poteva accadere trattenendosi: finiva inevitabilmente con lo scoppiare. Si sentiva infantile a provare quella gelosia. Ma misurarsi con quella donna, mettersi a paragone, stava facendo del male alla sua autostima già fragile. Il suo turno si era concluso prima di quello di Mayuri, ed era nervosa: l’idea che Senjumaru tentasse di avvicinarsi a lui, che la sfidasse, le era insopportabile. Si tagliò mentre affettava dei pomodori e sibilò per il dolore. Sibilò Portò il dito vicino le labbra per succhiarlo. Perché si sentiva improvvisamente una ragazzina?
«Sono tornato. Oggi è stata una giornata stressante, Ishida mi ha fatto prendere un col-cos’hai fatto?»
Nemu non aveva sentito Mayuri rientrare. Arrossì e strinse il dito.
«Solo un taglio.»
«Solo un taglio, stai perdendo un sacco di sangue. Vuoi tranciarti un dito? Fammi vedere!»
Mayuri aveva sempre quel modo un po’ severo che celava, nemmeno troppo bene, la preoccupazione.
«Ahi… piano. Ero solo distratta… è tutta colpa di quella donna.»
Lui la guardò un attimo negli occhi e poi abbassò lo sguardo.
«Non farci caso, è solo fastidiosa.»
«Io ci faccio caso perché ti sta sempre addosso. Forse tu le piaci ancora.»
«Sciocchezze, io non le sono mai piaciuto davvero. Vuole solo infastidirmi.»
Nemu era disposta ad andare fino in fondo. Sembrava che suo marito le stesse nascondendo qualcosa, ma non riusciva a capire cosa.
«Perché vi siete lasciati?»
Mayuri non gliel’aveva mai spiegato. Non le aveva mai parlato di lei e questo la insospettiva.
«Che importanza ha? Sono passati anni.»
«Non è da te rispondere in modo così evasivo. Dimmi perché.»
«Oh, maledizione» sbottò lui. «Perché mi ha tradito, d’accordo?»
Nemu rimase stupita. Un tradimento non lo avrebbe mai immaginato. Più che altro, non immaginava che Mayuri fosse tipo da starci così male, anche dopo tutto quel tempo.
«Io… mi dispiace, ma… allora tu la ami ancora? Se fa ancora male, dopo tutto questo tempo...»
«No! Ma che amare! Mi riporta solo alla mente un periodo odioso della mia vita. Fa male al mio orgoglio. Perché credi che non te ne abbia mai parlato?»
In effetti aveva senso, ma Nemu si sentiva comunque ferita. Non avrebbe saputo spiegare il perché. Era stata davvero così importante, lei, da portare Mayuri a quel punto?
«È una domanda legittima, la mia. Dopotutto lei sarebbe più adatta a te di me» disse piccata, in realtà solo ferita. Non si sentiva all’altezza, lei era solo un’umile infermiera che aveva sempre camminato a suo fianco, era solo una donna timida, forse che passava inosservata. Mayuri non aveva la pazienza di affrontare quei discorsi.
«La facoltà di decidere cosa è meglio per me è ancora mia, e io ho deciso che amo te. Non ti avrei sposata. Mi capisci o no?» Mayuri l’afferrò per le spalle, stringendola leggermente. Lei gemette.
«Sì, lo capisco» sospirò. «Ma avresti dovuto dirmelo. Tu di me sai tutto. Anche il fatto che non so da dove vengo, che la mia famiglia non mi ha voluta. Quindi, anche se tu un giorno non dovessi più volermi, lo capirei.»
Per un attimo, Mayuri non seppe che dire. Era la prima volta in tanti anni che sua moglie diceva certe cose.
«Non mettere a paragone le due cose. Io sono io. Non sono ancora bravo in certe romanticherie e sentimentalismi, ma se proprio non capisci che per me ci sei solo tu passerò il resto dei miei giorni a ricordartelo. Dannazione, Nmeu. Guarda cosa mi porti a dire!»
Era anche arrossito. Nemu lo trovò adorabile. Chissà perché, ma le veniva da piangere.
«Non state litigando, vero?» Ai era apparsa davanti a loro, studiandoli.
«No, non stiamo litigando» disse Mayuri, un po’ provato. «E tu non dovresti origliare.»
«Non origliavo, io… è che l’amore mi confonde. Noi Kurotsuchi siamo troppo razionali e non siamo bravi con queste cose. Ho bisogno di una mano!»
Quanto aveva ragione sua figlia. Il DNA era quello, c’era poco da fare.
«Le ho spiegato la parte del sesso, lascio a te la parte sentimentale» disse Mayuri a Nemu. Non se la sentiva di fare anche questo.
 
«Tirati un po’ su, Rukia. Vedrai che tu e Ichigo farete pace.»
Kukaku aveva deciso di portare fuori Rukia, e aveva invitato anche Orihime e Nel, Tatsuki invece, per qualche motivo, non era disponibile. Un’uscita le avrebbe fatto bene, ma in verità Rukia era molto depressa e non era nemmeno ubriaca, visto che non aveva toccato il suo drink.
«Non capisci, Kukaku. Sto malissimo, ho sbagliato tanto. Io al suo posto penso che sarei impazzita. Il mio povero Ichigo» singhiozzò. Era pentita, pentitissima.
«Senti, se vuoi piangere va bene, ma non fare la rammollita. Dipende da te!»
«Kukaku ha ragione. Al tuo posto mi farei un grosso pianto liberatorio e poi agirei» disse Neliel. «Però non so cosa farei, a dire il vero.»
«Di sicuro Ichigo ha bisogno di tempo, dovresti riavvicinarti a lui pian piano, fargli capire che è stata dura anche per te e che disposta a lottare per riconquistare la sua fiducia» suggerì Orihime.
Rukia singhiozzò.
«Voi avete ragione! Io devo reagire. Ho un marito praticamente perfetto e devo sempre rovinare tutto, sono una cretina!»
«Siamo tutti un po’ idioti quando abbiamo a che fare con l’amore, ecco perché preferisco rimanere single» ammise Kukaku, lasciandosi andare ad una buona bevuta. «Quindi non fate sesso, eh?»
Rukia arrossì. Lei e Ichigo avevano sempre avuto una vita sessuale molto attiva, ma era ovvio che non potessero avere quel tipo di approccio, adesso.
«Ovvio che no! Perché mai dovrebbe volermi? Kukaku, così infierisci solamente!»
«Mi dispiace, è che a volte il sesso può aiutare ad aggiustare le cose, almeno in parte!  Non è tipo una cosa che unisce le coppie?»
«…Lasciamo perdere» sospirò Rukia. «Sono anche preoccupata per i miei figli.»
«Già, anche io» sospirò Neliel. «Hime, è incredibile che mia figlia stia con tuo figlio. Non sarebbe adorabile se un giorno si sposassero?»
Orihime sospirò. Sì, sarebbe stato bello, ma al momento non si sentiva dell’umore per dei felici film mentali. Satoshi si era chiuso in sé stesso, sembrava un po’ tornato lo stesso bambino che aveva preso in affido anni prima. Era normale, aveva una personalità sensibile che cercava di proteggersi.
«Sì, sarebbe magnifico» sospirò.
«Dai, non fare quella faccia. Nemmeno io me la passo bene, è guerra aperta tra Nnoitra e suo padre. Fare il genitore è difficile, ma credo che nemmeno fare il figlio sia sempre facile.»
Kukaku mandò giù un altro sorso di birra, affermando che lei di certe cose non ne capiva niente perché non aveva marmocchi e di ciò era molto felice. Rukia intanto aveva appena mandato dei messaggi a Ichigo.
 
 
Da Rukia, ore 9,00 pm
 
“Ecco perché Tatsuki non è venuta. Ishida sta bene? Vuoi che torni a casa?”
 
Da Ichigo, ore 9,03 pm
 
“Non è necessario, posso badare io ai gemelli. Ishida sta bene, ma aspetto notizie da Tatsuki. Non tornare tardi, fai attenzione”.
 
Dopotutto, essere arrabbiato con lei non significava certo che avesse smesso di amarla. Anzi, proprio perché l’amava soffriva così tanto.
 
Kaien e Masato erano mansueti e questo non lo tranquillizzava molto. Si sentiva la testa scoppiare, tra quello che stava accadendo al suo migliore amico e quello che stava accadendo con sua moglie. Poi c’era Byakuya, che dopo una serata perfetta, aveva deciso di passare da casa di Ichigo.
Voglio parlare da solo con lui, aveva detto a Renji, aspettami a casa, farò subito. Se non si fosse trattato di Rukia, avrebbe anche temporeggiato, ma proprio non poteva farlo se si trattava di sua sorella. Ichigo fu molto sorpreso di vederlo arrivare a casa sua, così all’improvviso.
«Oh, Byakuya. Ciao, non ti aspettavo. Rukia non c’è.»
«Infatti sono venuto qui per parlare con te» disse facendosi avanti. Kon gli venne incontro, annusandolo e scodinzolando. Ichigo sospirò, sentiva la testa dolorante.
«Vuoi uccidermi?»
«Potrei anche farlo, ma non farei felice Rukia. Inoltre stai soffrendo anche tu, è una cosa che posso capire.»
Ichigo lo invitò a sedersi, adesso tutte le sue attenzioni erano su Byakuya.
«Davvero?»
«In voi rivedo me e Renji. Non è proprio la stessa cosa, ma sia io e mia sorella abbiamo amato qualcuno che poi abbiamo perso.»
«Lo sai che il mio problema non è questo. Ma nascondermelo... Mi fa stare veramente una schifezza, mi sento come se fossi una specie di…»
«Di sostituto, lo so» lo interruppe Byakuya. Dopotutto Renji ci aveva impiegato un pezzo a capire di non essere un sostituto di Hisana, per Ichigo ci sarebbe voluto altrettanto tempo. «Mia sorella ha sbagliato, questo mi pare evidente. E sarà dura, non intendo raccontarti bugie. Mi auguro solo che il vostro matrimonio non finisca. Lei ci sta male e ci stai male tu. Puoi promettermi che proverete a venirvi incontro?»
Suo cognato era stranamente sentimentale quella sera. E poi, perché tutti pensavano che lui l’avrebbe lasciata? Non era mai stata sua intenzione.
«Sì, te lo prometto. Sono arrabbiato con lei, ma non voglio certo farla soffrire. Tu piuttosto mi sembri fin troppo tenero stasera.»
Byakuya arrossì, mantenendo comunque un’impeccabile compostezza.
«Forse è perché mi sono fidanzato.»
Ichigo sgranò gli occhi e rimase qualche attimo in silenzio.
«… Tu cosa?»
 
 
Masato aveva sempre odiato litigare con Kaien. I loro litigi infatti non duravano mai troppo, o almeno da bambini era stato così. Adesso le cose erano un po’ cambiate. Si sentiva colpevole ma anche arrabbiato. Lui non voleva essere un peso e non aveva chiesto a nessuno di proteggerlo. Perché lo trattavano tutti come se fosse stupido?
Kaien era appena entrato nella loro cameretta e senza nemmeno guardarlo si era steso a letto. Nemmeno lui amava quei silenzi snervanti. E poiché Masato era stufo, calciò via le coperte e si mise in piedi.
«Senti, mi dispiace se sei finito nei guai, però io non ti ho mai chiesto di fare questo per me!»
Kaien gli lanciò un’occhiata annoiata (che in realtà era imbarazzata).
«Se non io… chi?»
«Beh, forse io! Mi trattate tutti come se fossi scemo. Sono buono e gentile, non idiota! Stessa cosa per Yuichi. Noi ci vogliamo bene, stiamo insieme, il problema non siamo noi. Sono le persone e tu questo lo sai!»
Kaien lo sapeva bene. Ma non poteva certo affrontare tutte le persone del mondo che avrebbero potuto fargli male. Fosse per lui lo avrebbe anche fatto, ma non ne aveva la possibilità.
«Sì, lo so. Ma la gente è cattiva, soprattutto se qualcuno è un po’ diverso dal normale.
Masato si irrigidì.
«Lo so, ma pazienza, gli idioti ci saranno sempre, tu invece non potrai esserci sempre. Anzi, scommetto che un giorno di questi sarò io a proteggere te.»
Kaien gli lanciò un cuscino.
«Ma se non fai paura per niente. Anche se hai la mia faccia, l’espressione è diversa. Però… mi spiace di aver detto quelle cose. A me piace proteggere tutti, ma non posso farlo.»
In parte, Masato lo capiva. Anche lui voleva proteggere coloro che amava, ma a volte certe cose erano più grandi di lui.
«Senti, Kaien… mi daresti un passaggio in bici?»
«Eh? Ma è buio, papà non ci farà mai uscire.»
«Lo so, ma voglio andare da Yuichi e e io con la bici sono negato. Ti prego, fallo e giuro che ti troverò il modo per avere un appuntamento con Kiyoko voi due da soli.»
Oh, suo fratello sapeva proprio dove colpirlo.
«B-beh, e va bene! Non mi dispiacerebbe. E va bene, facciamolo.»
 
Yuichi quella sera non riusciva ad esercitarsi col violino. Era troppo nervoso e triste, non avrebbe prodotto nulla di buono. A fianco a lui, la sua sorellina faceva un po’ di capricci.
«Mamma, non ho fame. Voglio papà.»
«Yoshiko, adesso sta riposando, è molto stanco» cercò di calmarla Tatsuki.
Stava cercando di rassicurare entrambi, sia Yoshiko che era irrequieta, sia il suo figlio più grande che invece era silenzioso e si sentiva anche in colpa per tutto quello che stava succedendo.
«Io non c’entro, vero?» domandò a sua madre. «Se papà sta così, intendo.»
Aveva anche discusso con lui, aveva detto delle cose terribili, quando in verità c’era tanto che non sapeva. Tatsuki prese il suo viso tra le mani e gli baciò la fronte.
Oh, il suo bambino così sensibile.
«Non dire queste cose neanche per scherzo. Questo non ha niente a che vedere con te e non devi preoccuparti. Tuo padre ha solo subito un brutto colpo, ma si riprenderà.»
Doveva riprendersi. Certo, Tatsuki era forte, lo era sempre stata, ma non poteva vivere vedendolo così fragile
Uryu, dal canto suo, era caduto in un sonno profondo che ad una certa si era interrotto. Aveva sentito le di sua moglie e dei suoi figli e aveva avvertito il bisogno impellente di andare da loro. Ma sarebbe riuscito a non mostrarsi fragile? Si sentiva così stanco nel fisico, con la testa appesantita da quei ricordi, quel pezzo della sua vita che era tornato a posto. Si mise gli occhiali e decise comunque di andare da lui.
Quando Yoshiko lo vide, saltò dalla sedia, andandogli incontro.
«Paa-paaa! In braccio!» gridò.
Alla sua piccola non avrebbe mai detto di no. La prese in braccio, baciandole la fronte.
«Uryu, stai bene? Hai fame?» domandò Tatsuki.
«Sì, un po’, grazie.»
Yuichi lo guardò. Avrebbe desiderato dirgli qualcosa. Che gli dispiaceva di aver detto delle cose che potevano averlo ferito. Che gli dispiaceva di non aver capito, di non capire tutt’ora fino in fondo. Ma avvertiva un blocco che somigliava tanto alla sensazione di nodo alla gola, come quando si trattenevano le lacrime. Poi udì uno strano frastuono dalla veranda, gli parve di sentire Masato e Kaien che litigavano.
«Aspetti visite, Yuichi?» domandò Tatsuki.
«Non lo so!» esclamò tirandosi su. Era felicissimo all’idea di vedere Masato. E in effetti lui era arrivato a sorpresa, insieme a Kaien.
«Ciao» lo salutò quest’ultimo. «Faccio solo da accompagnatore, adesso vi lascio soli. Però non perdete troppo tempo, non dovremmo essere fuori a quest’ora.»
Yuichi fece un cenno col capo e richiuse la porta alle sue spalle.
«Allora… come sta tuo padre? So che eri preoccupato» disse Masato.
«Lo sono infatti. Secondo te sono un bravo figlio?» domandò e un leggero tremore arrivò all’ultima parola. Masato sorrise e gli circondò le spalle con un braccio.
«Ma Yuichi… certo che lo sei! Io non conosco nessuno che sia più bravo, gentile e buono di te»
«Tu dici? Perché non mi sento più tanto buono. E poi ho paura che la mia famiglia sia infelice. Papà sembra così spento, mia mamma cerca di essere forte e perfino Yoshiko sente che qualcosa non va. Io non so che fare, non mi è mai successo.»
Masato sospirò e lo attirò a sé per stringerlo.
«Ti capisco bene perché io ho la stessa paura.»
Masato si accorgeva di come i suoi genitori si evitassero o si parlassero a stento. Ma non domandava, era terrorizzato dal chiedere. Yuichi lo strinse più forte e non riuscì più a trattenere il pianto. Era spaventato e il non sapere tutto quanto non faceva che peggiorare il tutto. Ma la carezza di Masato sulla sua testa servì a lenire un po’ del suo dolore. E mentre Kaien li guardava, si ritrovò a pensare che erano davvero una bella coppia e che non era poi così strano il suo desiderio di proteggerli entrambi.
 
 
Le cose erano cambiate fin troppo velocemente. Quello era un periodo tremendo per Gin e Rangiku e i due stavano cercando di non perdere la calma.
«Non ci posso credere, l’ha fatto! Una denuncia a tuo carico, questo è inammissibile. Ma le faremo vedere che non si può rovinare la vita delle persone in questo modo!»
Rangiku camminava avanti e indietro, era infuriata. Era una persona allegra e buona, ma quando in mezzo c’era il benessere delle persone che amava, tutto cambiava. Loly aveva denunciato Gin per molestie, mossa falsa e alquanto stupida, il capriccio di una ragazzina, in pratica. Era terrorizzata dall’idea che quella notizia si diffondesse a macchia d’olio, avrebbe significato essere marchiati a vita, non solo loro, ma anche Rin,
Già, Rin! Non si era certo scordata di cosa le aveva raccontato Shinji.
«A quanto pare anche le sue referenze erano tutte una montatura. C’è poco da fare, Rangiku. Siamo stati fregati» sospirò Gin.
«Non riesco proprio a sopportarla, quella… quella puttana!» imprecò, lei che in genere non imprecava mai. «Non avrai la vita rovinata per colpa delle denunce false di una ragazzina. È ingiusto, ci sono un sacco di persone che denunciano molestie e non vengono credute, e lei crede di poter fare quello che vuole? Mi viene da piangere» Rangiku si sedette e Gin strinse la sua mano.
«Stai tranquilla, amore mio. Ne verremo fuori.»
Gin sapeva sempre cosa fare, cosa dire. Malgrado ci fosse lui coinvolto, la rassicurava. Rangiku sospirò profondamente.
«E di Rin che mi dici?  Dobbiamo intervenire immediatamente. Ho paura, Gin.»
«Anche io, Rangiku. Questo non lo avevamo preventivato.»
Lì Gin le parve sconfortato. La loro preziosa bambina stava davvero così male?
Rin era chiusa nel bagno della sua camera. Nonostante avesse lo stomaco vuoto, continuava a vomitare. Non le piaceva, però non capiva. Mangiava pochissimo, cercava di muoversi il più possibile, eppure si vedeva sempre sgraziata, con troppo tutto. Ansimò, si sentiva svuotata e senza forze. E si vergognò da morire di sé stessa, perché si era sempre vantata di essere sicura di sé, aveva sempre saputo di essere bella e poi tutto era cambiato da un giorno all’altro. Si sentì così debole che, da inginocchiata come si trovava, finì poi distesa.
Rangiku salì in camera sua dopo un po’, aveva deciso che le avrebbe parlato, senza giudicarla, né farla sentire sbagliata. Ma non era pronta a ritrovarsela svenuta sul pavimento. Rin se ne stava lì, piccola e riserva, sembrava essere diventata un fuscello all’improvviso. Rangiku si gettò su di lei, gli occhi sgranati e il respiro corto.
«Tesoro mio… GIN! Gin, vieni, presto!» gridò. Gin doveva aver avvertito la paura primordiale già nel suo tono di voce, perché già quando era arrivato, aveva un’espressione stravolta, terribilmente non da lui.
«Rin» mormorò il suo nome. Ed ebbe paura, una paura che aveva poco a che fare con il resto: il terrore che si provava quando vedevi la tua bambina, che avevi cresciuto, amato e protetto quasi con gelosia, era inerme davanti a te.
 
 
Orihime conosceva così tanto bene suo marito, da capire il suo umore attraverso i suoi dipinti. O attraverso i suoi non dipinti. Ulquiorra non dipingeva quand’era di cattivo umore, se lo faceva, i colori predominanti erano il nero e il grigio. Un’azione che svolgeva in modo inconscio tutte le volte. Orihime sapeva bene qual era il problema, il senso di colpa verso Satoshi. La sola idea di averlo spaventato doveva averlo ferito in modo profondo. Perché Ulquiorra, malgrado l’aspetto apatico, era dotato di grande sensibilità.
«Amore mio, forse dovresti parlargli» gli disse quella sera, mentre suo marito gli dava le spalle. «Voi  due siete simili, sono sicuro che Satoshi in fondo sa che non avevi intenzione di fargli male.»
Ulquiorra lasciò cadere il pennello e si volse a guardarla. Forse Orihime aveva ragione, forse lui e quel ragazzino erano davvero simili, forse per questo entrambi erano legati a lei. Ma faceva comunque male sapere di non essere apprezzato allo stesso modo.
«No, Orihime. Non lo capisci? Lui non si fida di me. Vuole bene a te, è sempre stato così. E io non sarò mai alla tua altezza, questo mi sembra evidente.»
Ulquiorra lo disse senza alzare la voce, ma Orihime percepì tutto il suo dolore. Voleva solo fargli da padre, ma quando mai essere genitore era una cosa facile? Orihime sentì gli occhi divenirle lucidi.
«Non dire così, mi fai sentire in colpa…»
«Non hai niente per cui sentirti in colpa. Tu sei dolce, buona, sei affettuosa, e…»
Orihime era arrivata, poggiandogli un dito sulle labbra.
«E lo sei anche tu, tutte queste cose. Non faresti mai del male a nessuno, non è colpa tua se il nostri Satoshi ha avuto una vita difficile. Ma adesso puoi fare tanto per lui. Ha bisogno di essere amato.»
«Io gli voglio bene infatti» disse Ulquiorra. In genere ci girava sempre attorno. Orihime sorrise, accarezzandogli il petto.
«Allora, perché non glielo dici? Alle volte essere diretti è la soluzione migliore.»
Ulquiorra chiuse gli occhi, la strinse a sé in un abbraccio. Si sentì colpevole per la lieve invidia che provava nei confronti di sua moglie, ma fu anche immensamente grado per appartenere a lei in quel modo così profondo. Dipendeva da lui e non voleva perdere quel figlio che avevano cercato e voluto tanto a lungo.
   
 
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