Il
Dio del fuoco o
Acari della polvere
Clarke
scoprì, prima di separarsi dal
gruppetto della spa, che quella sera si sarebbe tenuta una cena di
benvenuto
con i piatti tipici della cucina greca –
a
spese dell’Ark!, ci aveva tenuto a sottolineare
Roma – preceduta dalla
peculiare “filotesia” del posto: un brindisi di
buon auspicio per conoscere
meglio i diversi addetti e collaboratori che li avrebbero accompagnati
durante
i successivi quattro giorni di permanenza.
Clarke e Maya,
le uniche due
entusiaste più per la messa in scena del tradizionale
simposio greco che per
l’open bar, si erano dette d’accordo per scendere
insieme e avevano concordato
di sentirsi al telefono nel momento stesso in cui una delle due fosse
stata
pronta.
Tornata in
camera, avvolta dal profumo
di biancheria pulita e di candele aromatizzate al bergamotto, la bionda
notò un
paio di biglietti finemente ripiegati e adagiati sopra ciascun cuscino.
La ragazza
posò la chiave magnetica
sul letto e afferrò il biglietto più vicino.
Il pezzettino di
carta, ruvido al
tatto, era stato scritto a mano, in corsivo, e li invitava a visitare,
il
giorno successivo, il famoso Tempio di Efesto, assieme a tutti gli
altri ospiti
dell’albergo.
Secondo le
istruzioni riportate sul
foglio, elegantemente decorato di bianco e di azzurro, il pullman
sarebbe
partito in tarda mattinata – per le 10:30 – e una
guida turistica li avrebbe
accompagnati per l’intero tragitto.
Clarke diede
un’occhiata veloce
all’orologio e tirò fuori il cellulare dalla tasca
dell’asciugamano.
Scattò
una foto al biglietto d’invito
e allegò un commento all’immagine.
Sei
pronto a fare la conoscenza del Dio del fuoco?
La risposta di
Bellamy non tardò ad
arrivare.
Io
non ti basto o hai conosciuto qualcuno più focoso del
sottoscritto?
Il messaggio in
entrata la fece
sorridere.
La ragazza
scosse la testa, facendo
ondeggiare i capelli umidi da una parte all’altra della
schiena.
L’autocombustione
è uno degli effetti collaterali della vanità; lo
sapevi?
scrisse, espirando pesantemente e
continuando a fissare lo schermo del cellulare in attesa di una riposta.
Oh,
cavolo! Credevo che valesse soltanto per le esperte di medicina che non
sanno
cucinare.
La ragazza si
distese contro il
materasso, accavallando le gambe nude e ridacchiando divertita.
No,
per loro c’è un girone dantesco a parte: quello
dei finti fidanzati
indisponenti.
Perché,
in effetti, la loro poteva
essere una nuova Divina Commedia, con tanto di Inferno, Purgatorio e
Paradiso.
Si trattava solo
di capire in quale
mondo si sarebbero lasciati o ritrovati alla fine della storia.
Ed
io che mi ero illuso di essere il tuo Virgilio!
Clarke
alzò gli occhi al cielo,
arricciando il naso.
Il
mio Cerbero, semmai!
Un paio di
minuti e il telefono vibrò
di nuovo.
Ottima
osservazione…Cerbero era superdotato.
Per poco, Clarke
non lasciò cadere il
telefono a terra, rossa come un peperone, mentre le immagini dei
pettorali del
ragazzo le scorrevano a tutta velocità davanti agli occhi.
BELLAMY
Un trillo di
cellulare e:
Che
hai capito? Mi riferivo alle tre teste!
La ragazza
poteva quasi vedere
l’espressione del moro; un misto tra il soddisfatto e lo
strafottente.
Perché
Bellamy Blake era così:
imprevedibile.
Lo stesso
Bellamy che s’imbarazzava
nel vedere Clarke in pigiama, che era capace di provocarla a suon di
battute
maliziose, che le preparava sempre la colazione e che incredibilmente
considerava
i suoi spazi.
Ecco; quel Bellamy – il Bellamy
stupido, rispettoso e focoso
– le piaceva davvero tanto.
Ma la
consapevolezza di aver
incasinato tutto con quel bacio le bruciava ancora sulle labbra, sulla
pelle,
sulla punta dei polpastrelli.
La reazione di
Bellamy – il suo
tirarsi indietro, il fingere che non fosse successo assolutamente nulla
–
continuava a ricordarle, come un insistente promemoria che non si
può
interrompere, di non lasciarsi più coinvolgere.
Perché
loro non sarebbero mai stati
una vera coppia.
Recitavano una
parte, producevano un
copione come due attori provetti; e tutto fino alla prossima chiusura
di sipario.
Clarke si
massaggiò le tempie,
improvvisamente con meno voglia di scherzare.
Ce
la fai a tornare in hotel per le 19:00?
Bellamy le
mandò un punto
interrogativo, cui Clarke rispose mettendolo al corrente della serata
di
benvenuto.
A
detta del Dottor Kane, dovremmo arrivare intorno alle 19.45. Ci vediamo
direttamente
alla cena?
Nonostante un
vago dispiacere di
sottofondo, la ragazza rispose che naturalmente non ci sarebbero stati
problemi
e che si sarebbero, di conseguenza, incontrati alla hall.
E
così, Clarke mise da parte il
telefono e s’impose di darsi una lavata e di sistemarsi per
bene prima di
scendere e di raggiungere gli altri partecipanti.
Si tolse di
dosso il costume, si
diresse in bagno, ed entrò nell’imponente box
doccia, lasciandosi cullare
dall’acqua tiepida del getto a cascata.
Una buona
mezz’ora dopo, si stava
dando un’ultima controllata allo specchio: aveva optato per
una gonna midi di
raso color argento e un top cipria; ai piedi, invece, indossava un paio
di
sandali comodi ma eleganti.
Dopo aver
riempito la borsetta con
tutto il necessario, mentre finiva di truccarsi e di spalmarsi la crema
idratante, controllò al volo il telefono e trovò
un nuovo messaggio in entrata.
…
La visita
dell’Ark agli Archivi
Generali si era rivelata una delle esperienze formative più
interessanti e più
sfamanti che Bellamy avesse mai sperimentato prima.
Terminata la
classica riunione di
rito, tenuta da Jaha e presidiata dal Dottor Kane, al team di aspiranti
assunti
era stato concesso il permesso speciale di visitare le diverse aree
dell’edificio e Bellamy, dopo una pausa caffè e
una rapida telefonata a Clarke
– che nel frattempo si stava rilassando alla spa –
si era unito a un gruppetto di
studiosi assieme a Jasper, Diggs e Harper.
La guida, una
ragazza dai capelli
castani e dai lineamenti marcati, li aveva condotti in una stanza
denominata Stanza delle memorie,
piena zeppa di
vecchi fascicoli e di carte profumate di storia e di cultura.
Lì,
aveva spiegato loro la nascita del
rito di conservazione dei documenti, della derivazione del termine
greco archivio (acquisito solo in
seguito
dalla lingua latina) e della sacralità dell’atto
della preservazione.
“Immagina
quanta dedizione” aveva
sussurrato Harper, perdendosi tra gli innumerevoli pezzi di carta
ingiallita.
“Immagina
quanta polvere” aveva
commentato subito dopo Jasper, allungando il viso da faina e soffiando
via del
pulviscolo da un tavolo di legno grezzo.
“Sei
il solito nerd” l’aveva
rimbeccato Diggs, regalandogli una pacca sulla schiena.
“Sono
solo un biologo attratto dagli
acari e dalle loro interferenze di RNA!”
“Bambini”
li richiamò Bellamy,
lanciandogli un’occhiataccia, “fate i bravi e no! Jasper, non toccare nulla che non si
possa risarcire o che
contenga più di cento acari.”
“Mi
ricordi perché l’Ark ha considerato
il tuo curriculum?” domandò
Harper, avvicinandosi al naso di Jasper che, a sua volta, fece un passo
indietro, chiazzato di rosso in volto.
“N-non…p-perché
si era liberato un
posto in laboratorio.”
“E tu
sei un maledetto nerd” aveva
aggiunto Diggs.
“…Anche.”
“Hey”
l’aveva preso in giro Bellamy,
cingendogli le spalle con un braccio muscoloso “cerca di non
sottovalutarti
tanto. Sei un maledetto nerd ma cazzo!, uno bravo.”
“Sono
commosso, fratellone” aveva
sorriso Jasper, illuminandosi, mentre Diggs e Harper ridacchiavano
divertiti.
“Bellamy.”
La voce calda e
profonda di Marcus
Kane interruppe l’ilarità del quartetto.
L’uomo,
vestito casual ma elegante,
dentro i suoi cargo neri e la sua maglietta di cotone grigia, aveva
chiesto di
rimanere un momento da solo con Bellamy.
“Allora,
cosa ne pensi?” lo interrogò,
indicando con un rapido cenno di mento gli archivi.
La domanda lo
fece trasalire.
Non
perché non sapesse come
rispondere; al contrario.
Bellamy non si
era reso conto di
quanto, fino a quel momento, gli fosse mancato qualcuno con cui
condividere la
felicità e la meraviglia che gli archivi gli avevano
scaturito.
“È
fantastico – qui tutto lo è. Ma
questo posto…c’è qualcosa di
assolutamente prezioso nel modo in cui i documenti
vengono conservati. Il rispetto e la passione per la tradizione sono la
storia
che preferisco.”
L’espressione
di Kane si addolcì, come
se le parole del ragazzo l’avessero in qualche modo appagato.
“Sono
contento, figliolo. Sapevo che
avresti apprezzato. Anch’io, la prima volta che li vidi, ebbi
il tuo stesso
scatto d’entusiasmo.”
“Siete
già stato qui?” s’informò
Bellamy che, in effetti, ben poco sapeva della vita di Kane.
“Molto
tempo fa” rispose Marcus, ridacchiando,
come se fosse passato davvero
parecchio
tempo. “Ero un bambino, allora. Mia madre…beh, lei
percepiva la necessità di trovare
il senso dell’esistenza umana. Di carpirne lo scopo ultimo.
Vedi, era una donna
estremamente religiosa.”
Il Dottor Kane
strinse le labbra, come
se il ricordo della madre, di cui aveva appena parlato al passato – cosa che non era
sfuggita a Bellamy – gli procurasse
ancora della sofferenza.
“Comunque”
riprese a dire, scacciando un
fantasma invisibile che solo lui riusciva a vedere,
“è così che ho scoperto
questo luogo. Mia madre credeva che i documenti antichi, conservati nel
tempo,
potessero suggerire le risposte ai grandi interrogativi della vita. In
parte,
sono d’accordo con lei.”
In quel momento,
la ragazza dai
lineamenti marcati, che aveva fatto da guida al gruppo, si rivolse a
Marcus,
parlando in tono deciso: “Dottor Kane, il vostro tempo
è terminato. Gli archivi
stanno per chiudere. Dovreste riunire il team per le firme
all’uscita.”
“Naturalmente”
rispose l’uomo, annuendo
garbato.
Poi, posando una
mano sopra la scapola
di Bellamy, le annunciò: “Permettimi di
presentarti uno dei nostri storici più validi.
Bellamy Blake.”
Dopo aver atteso
che i due ragazzi si
scambiassero le classiche cortesie di rito, Kane continuò:
“Figliolo, lei è
Echo; sarà la nostra traduttrice nei giorni a venire. Ora
scusatemi, vado a
cercare Thelonious.”
…
So
cos’è successo a
tuo padre
Clarke
aveva visualizzato il messaggio misterioso, inviato da un numero
anonimo, poco
prima di incontrarsi con Maya e da allora non aveva fatto altro che
rimuginare
sull’ambiguità del testo in memoria.
Non
era la prima volta che qualcuno si prendeva gioco di lei.
Già
in passato aveva ricevuto messaggi che si erano poi rivelati delle
false piste,
illudendola e ferendola sempre di più, finché un
giorno, semplicemente, non
aveva deciso di interrompere qualsiasi tipo di ricerca e di risposta.
Allora
perché, adesso?
Perché
stava succedendo di nuovo?
E
soprattutto, chi sapeva cosa?
Ma
in quel momento, con un bicchiere di vino in mano, circondata da ogni
genere di
personalità e di musica, le risultava difficile partorire un
pensiero di senso
compiuto.
Poco
distante da lei, Maya degustava un Assyrtiko
– il vino bianco, tipico di Santorini – e
chiacchierava del più e del meno con
una Mel alquanto alticcia.
Il
rito della Filotesia era stato davvero interessante e Clarke era
convita che
Bellamy l’avrebbe sicuramente apprezzato.
A
quanto pare, nell’antica Grecia, si usava levare la coppa in
onore di un amico:
si chiamava il suo nome, si beveva un sorso di vino passandogli il
bicchiere
perché ne bevesse anche lui e gli si lasciava la coppa come
pegno d’amicizia.
Ovviamente,
l’ultima parte della cerimonia era stata solo simulata dai
partecipanti ma era
stato bello poter urlare il nome di un amico all’unisono
– Clarke aveva gridato
Raven! a gran voce –
bevendo alla sua
salute e sollevando la coppa verso il cielo.
La
sala della hall – un ambiente enorme che avrebbe fatto
invidia perfino all’Ark
Enterprises – ospitava diversi tavoli imbanditi e altrettanti
banconi con innumerevoli
bevande (alcoliche e non).
Clarke
avanzò in direzione del cibo, attardandosi
nell’osservare i pasti particolari
della tradizione greca, indecisa su quale pietanza provare.
Vari
tortini di carne avevano attirato la sua attenzione ma nel momento
stesso in
cui allungava il braccio, un nuovo piatto dall’aspetto
invitante la costringeva
a fermarsi e a riconsiderare le sue scelte.
A
pochi passi da lei, un ragazzo massiccio che aveva assistito
all’intera scena,
si affiancò a Clarke, indicandole un flan di carne e verdure.
“Dovesti
assaggiare la nostra Moussaka”
disse,
con perfetto accento greco. “È uno sformato di
melanzane, patate, carne
d’agnello, besciamella e formaggio fresco. Non mangiarlo
sarebbe un affronto verso il popolo
ellenico.”
Clarke
abbozzò un sorriso, sorpresa ma anche lieta di essere stata
tirata fuori
dall’impasse.
“Certo
– sembra deliziosa. Non voglio scatenare un’altra
guerra di Troia.”
Lo
straniero – una sorta di Jack Sparrow greco, dai capelli
castani lunghi e semi
raccolti in un mezzo chignon e dalla folta barba –
grugnì divertito,
spalancando gli occhi azzurri a goccia.
“La
guerra di Troia è scoppiata perché il principe
Paride, interrogato delle dee
dell’Olimpo su chi fosse la più bella, scelse
Afrodite, regalandole la mela
d’oro.”
“Non
credo di aver visto mele d’oro nei dintorni,
fortunatamente.”
“Dipende
dai punti di vista; io potrei essere Paride e la Moussaka potrebbe
essere una
succosa mela della discordia.”
“Mi
stai suggerendo di non mangiare la
Moussaka, quindi?”
“Ti
sto dicendo che sei la più bella.”
Clarke
aprì la bocca per controbattere, richiudendola subito dopo,
resasi conto di essere…
in imbarazzo – da quando
Clarke
s’imbarazzava?
Riempì
il momento di silenzio con l’assaggio dello sformato
(talmente buono da
tentarla con un bis) e tornò a guardare il ragazzo, che, nel
frattempo, non
aveva mai smesso di fissarla con quell’aria seriosa tra lo
sfidante e
l’urgente.
Solo
in quel momento la bionda si accorse della cicatrice a forma di
mezzaluna sulla
parte destra del viso del barbuto.
Era
una cicatrice quasi invisibile, del tutto rimarginata; eppure era
lì e
qualcosa, nel modo di fare dello straniero, le suggeriva che non doveva
aver
avuto una storia semplice.
“Sono
solo Clarke ma…grazie. Il principe ha un nome?”
Il
ragazzo grugnì di nuovo, squadrandola un ultima volta prima
di affermare “Non
stasera” e se ne andò via, lasciandola da sola,
con un piatto vuoto in mano e
con la sensazione di essere appena stata catturata.
...
Quando
Bellamy arrivò – meglio tardi che mai, giusto?
– alla cena di benvenuto, la
prima cosa che fece fu di cercare Clarke.
La
hall dell’albergo era enorme e il look raffinato
dell’ambiente sembrava degno
di uno stylist professionista; infatti, le pareti erano abbellite da
foglie
d’ulivo e ogni ripiano esibiva un centrotavola dorato,
accompagnato da candele e
da corone di alloro.
Accanto
a lui, Jasper scodinzolava eccitato, mentre un cameriere, vestito
interamente
di bianco, fatta eccezione per la cravatta blu, offrì loro
un paio di bicchieri
di Ouzo, un distillato a base di
anice.
I
ragazzi si fecero largo in mezzo alla folla quando videro, in
lontananza, due facce
familiari.
“Maya,
Mel!” gridò Jasper, sollevando il bicchiere verso
l’alto.
La
ragazza di Jasper li esortò a raggiungerla con un cenno di
mano, aspettando che
fossero più vicini per salutarli.
“Finalmente!
Credevamo che non ce l’avreste mai fatta!”
esclamò, abbracciando Jasper di
rimando.
“Allora,
com’è stata la visita agli Archivi?”
domandò Mel, farfugliando – la ragazza
doveva aver bevuto un bel po’ di vino e Bellamy dedusse che
tra lei e Diggs era
successo qualcosa, poiché il ragazzo non era voluto scendere
con loro per
raggiungere le rispettive fidanzate.
“Davvero
appagante” – “Piena di acari”
– risposero all’unisono Bellamy e Jasper.
Mel
restrinse gli occhi scuri, aggrottando la fronte.
“Sono
ubriaca ma qualcosa decisamente non
torna.”
“Già,
Bellamy, in che senso, appagante?” chiese Jasper, afferrando
da un vassoio
quello che sembrava uno spiedino di carne.
“Si
riferisce a te, Mastro Lindo” rispose il moro, dandogli un
buffetto dietro la
testa.
“Cosa
ci siamo perse?” sospirò Maya, consapevole
dell’eccentricità del fidanzato.
“Shai…”
cominciò Jasper, masticando la carne grigliata,
“sh’erano tutti queshti
documenti antichi, alcuni rishalenti all’VIII shecolo
– ”
“
– Ingoia, Jasper” lo canzonò Maya.
“
– Scusha. Insomma, immaginate quanti piccoli esserini devono
essersi depositati
sopra ciascuno di quei fogli. Alcuni ancora giovani…”
sussurrò, guardando in direzione dell’amico.
“Giovanni?”
biascicò Mel.
“No,
giovani” ripeté
Jasper.
“Chi
è giovane?” chiese Maya, confusa.
“Gli
acari di Bellamy.”
“Che?”
fece Bellamy, disorientato anche lui.
“Sono
io quella ubriaca…” disse Mel, alzando le spalle.
“Oh,
sai, mi riferisco all’acaro femmina che non vedeva
l’ora di depositare le sue
uova su di te!”
“Non
ti seguo” rispose Bellamy, che stava cominciando seriamente a
irritarsi.
Per
tutto il viaggio di ritorno, infatti, Jasper non aveva fatto altro che
metterlo
in guardia sulla traduttrice, Echo, sostenendo che la donna
l’aveva guardato
come un aracnide pronto ad azzannare la preda prescelta.
“Qualcuno
sa che fine ha fatto la mia fidanzata?”
“L’ho
vista andare al tavolo da buffet” lo informò Maya,
mentre Mel e Jasper avevano
cominciato a bisticciare circa la stramberia di quest’ultimo.
Perciò,
Bellamy, contento di aver avuto un motivo valido per allontanarsi dal
gruppetto, s’incamminò in direzione della bionda,
che scorse in lontananza – elegantemente
vestita con una gonna argentata e un top rosa – insieme a uno
sconosciuto.
Il
moro si fermò a osservarli.
Non
gli sembrava di aver mai visto il ragazzo in questione, ma il modo in
cui
quell’uomo stava squadrando Clarke non gli piacque per niente.
Lei
era bellissima, quella sera.
Non
che non lo fosse stata sempre, intendiamoci.
Ma
in quel momento, con i capelli biondi arricciati e il raso che le
risaltava le
curve, sembrava una Dea dell’Olimpo.
La
Dea della vita e della morte.
Intravide
la bionda aprire e chiudere la bocca un secondo dopo – come
se avesse voluto
dire qualcosa, ma avesse subito cambiato idea.
Bellamy
lesse sul viso di Clarke del disagio misto a imbarazzo e la
consapevolezza di
non essere l’unico in grado di spiazzarla lo ferì
più di quanto avesse
immaginato.
Adesso,
la ragazza stava assaporando qualcosa, mentre gli occhi del suo
interlocutore
continuavano a sondarla avidamente.
Bellamy
serrò la mascella, stringendo i pugni.
Lui
non aveva il diritto di essere arrabbiato; era normale che gli altri
uomini la
guardassero.
Ma
in quel momento, per lui, Clarke rappresentava qualcosa di
più di una semplice
bella ragazza: lei era la sua principessa
e lui poteva essere geloso o infastidito quanto voleva.
Quando
l’attenzione di Bellamy si concentrò nuovamente su
di loro, vide che lo
sconosciuto non c’era più.
Clarke,
invece, continuava a sostare immobile, vicino al tavolo da buffet, con
le
sopracciglia aggrottate e un’espressione confusa stampata sul
viso.
Il moro sospirò profondamente, prima di rilassare i muscoli tesi e di raggiungere la sua fidanzata.
Note autrice:
Sono tornata!
So che
è passato parecchio tempo, forse troppo, ma spero di
riuscire a farmi perdonare.
Che dite,
parliamo del finale di The 100?
Concordo,
meglio di no.
#Jasoninfamepertesolopollame
Per fortuna,
ci hanno pensato Bob ed Eliza a renderci felici con un matrimonio e una
gravidanza.
Qualche
considerazione sul prossimo capitolo:
- taaaanta gelosia nell'aria
- scropriremo l'identità del nostro Jack Sparrow greco (a proposito...avete capito di chi si tratta?)
- in arrivo una bella litigata
Se vi fa piacere, ovviamente, lasciatemi un feedback <3