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Autore: settembre17    02/03/2023    17 recensioni
Si parte dalla liberazione dei soldati, ma si torna anche un po’ indietro e si va avanti. Fino a che punto? Si vedrà. L’avvertimento è uno solo: tutto quello che troverete forzato è spudoratamente e volutamente forzato!
“E sento di essere un uomo. Penso che un uomo sia una cosa molto importante, forse più importante di una stella. Questa non è teologia. Non mi sento portato agli dèi. Ma provo un nuovo amore per quello scintillante strumento che è l’anima umana. È una cosa bella e unica nell’universo”.
(J. Steinbeck, La Valle dell’Eden)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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13 luglio 1789

 
All’alba, lei, già vestita, era nel vestibolo e si stava agganciando la spada alla cintura. Si vide nella specchiera e approvò con la sguardo quella camicia bianca, senza spille nobiliari, senza galloni, senza spalline dorate, senza gradi. Lei e una camicia bianca.
“Dobbiamo andare, André”, lo chiamò.
“Arrivo”, André ripose il suo quaderno nel cassetto del tavolino vicino al letto, “scriverò più tardi”, si disse.  
 
Dai quaderni di André Grandier
Un’altra nottata da Cavaliere Nero. Ci sto prendendo gusto. Lo so che siamo in missione, lo so che dobbiamo prendere quel ladro, che una di queste sere lui apparirà e lo dovremo catturare. Adesso però non ci voglio pensare. Ora ho in mente solo l’ebbrezza di uscire con lei, la notte, di vederla là sotto, tra le fronde, che mi aspetta dopo che ho svaligiato qualche casa. Lei che mi copre le spalle. Sono io che le copro le spalle, di solito. E quando ho finito e la raggiungo, ci guardiamo. Complici. Quasi inebriati. Stanotte ho dovuto distogliere gli occhi da lei e incitare avanti il cavallo perché avvertivo una tale euforia, e ho visto la stessa euforia in lei, che avrei potuto dire o fare qualcosa di molto sciocco. A volte il fatto che io riesca a non baciarla mi fa sentire eroico.
 

Galopparono verso la vicina barricata di Bernard mentre le ultime stelle del mattino impallidivano. La strada era avvolta in un silenzio che non era quello della notte, era il silenzio di chi è sveglio e aspetta. Le porte sprangate, le finestre chiuse.
La barricata arrivava fino al primo piano, dove un balcone era stato allestito come punto di avvistamento per la vedetta: il lato corto verso l’interno del vicolo costituiva l’accesso e ci si saliva tramite una scala di legno, posizionata vicino al muro, mentre il lato corto esposto sulla piazza era riparato dall’anta di una persiana appoggiata alla ringhiera di ferro battuto.
Non videro alcun movimento. Pareva una strada morta.
Dopo poco sentirono un richiamo sul retro del vicolo e videro Bernard che alzava una mano verso di loro mentre Rosalie si affacciava alla porta alle spalle di suo marito.
“Oscar, André!”
“Bernard!” lo guardarono stupiti.
“La sentinella mi ha avvisato che stavate arrivando”.
Sorrise soddisfatta. Nemmeno lei si era accorta della sentinella.
“Sono arrivati quelli della Villier?”
“Sì, sono qui da ieri”.
“È arrivato anche Iatroux, il medico?”, chiese André.
“No, non c’è nessuno con quel nome. Dobbiamo ancora rinforzare la barricata dall’interno ma siamo a buon punto.”
“Bene. Tenetevi pronti. Torneremo presto insieme agli altri”, lei tirò le briglie e con un cenno di saluto partì verso la piazza.
André la lasciò andare avanti e si fermò a un passo da Bernard:
“Per quella cosa siamo a posto?”, chiese in un soffio.
“Sì, ho tutto. Vuoi che te li dia adesso?”
“No, li prenderò stasera. Ti ringrazio, Bernard”, poi sparì in fondo alla piazza dietro di lei.
 
Dai quaderni di André Grandier
Oggi ho fatto lezione di ballo con Rosalie. Meno male che non c’eri. Ti saresti annoiata di sicuro. Non so quante volte abbiamo ripetuto i passi, il saluto, l’apertura, la chiusura. Lei si impegna, è brava, ma è troppo… esatta. A dispetto di tutte le lacrime che le ho visto piangere, io credo che Rosalie sia una ragazza molto forte e decisa. Nel ballo, ad esempio, fatica a lasciarsi guidare. Anche a cavallo, hai notato?, tiene sempre forte le redini. Sì, io credo che sia una ragazza molto decisa. Il giorno che andrà via da questa casa lei piangerà, ma tu non potrai fare niente per trattenerla, vedrai. L’uomo che un giorno la sposerà avrà solo l’illusione di averle chiesto la mano.
Tu invece sei proprio diversa. Non solo perché non piangi quasi mai (ricorda che io ti ho vista piangere). Anche tu non ti lasci guidare quando balli, tieni sempre forte le redini, sei decisa. Ma tu hai un fuoco dentro, Oscar, e lo sai, e ti fa paura. Tu ti devi governare perché hai paura di che cosa potresti fare se ti lasciassi andare a quel fuoco.
 

Attraversarono la città mentre davanti ai loro occhi determinati e accesi sfilavano scenari di surreale incanto e di struggente orrore, la bellezza di Parigi era sfacciata in quell’alba di luglio: Parigi con i suoi tetti, le sue guglie, le pietre, i marmi, le ringhiere di ferro battuto con i rampicanti, le vetrate dei piani più alti che già ricevevano il sole del mattino, e poi i giardini, gli alberi che nulla sapevano di quel giorno e che alla sera sarebbero stati ancora lì, e il giorno dopo e il giorno dopo ancora. E sulle strade già si schieravano soldati, con i fucili lucidi e puntati in avanti contro nemici ancora immaginari, gruppetti di persone che parevano essersi date appuntamento agli incroci e nelle piazze, nell’attesa di chissà cosa.
 
Smontarono da cavallo al Quai du Louvre e controllarono le pistole agganciate e nascoste sotto alle selle. Poi, fingendo indifferenza, si appoggiarono al parapetto sulla Senna in attesa dei soldati ribelli.
“Voi siete dei soldati?” chiese bisbigliando una voce sottile alle loro spalle.
Nel voltarsi videro una bambina di forse sette anni che reggeva le cocche di un grembiule bianco.
“No, non siamo soldati, piccola”, disse André, “che ci fai in giro a quest’ora? Lo sai che è pericoloso? Torna a casa”, le sorrise.
“Prima devo finire di consegnare queste”, disse lei strizzando l’occhio furbo dandosi aria di importanza. Aprì il grembiule e mostrò loro il suo tesoro: tante piccole coccarde rosse e blu.
“Il mio papà mi ha detto che queste sono nuovissime e vanno indossate da tutti gli amici del popolo. Voi siete amici del popolo? Volete le mie coccarde?”
Sorrisero insieme alla bambina.
“Le prendiamo tutte. Così puoi tornare a casa subito”, André si inginocchiò di fronte a lei e le fece l’occhiolino mostrandole una bisaccia aperta dietro alla sella del suo cavallo.
Lei gli consegnò il suo prezioso carico con l’aria di una signorinella emozionata, poi si voltò e corse via.
Dopo poco sentirono lo scalpiccio di cavalli al galoppo e videro arrivare Alain e gli altri, piegati in avanti mentre la polvere si sollevava dietro di loro. Cinquanta soldati della Guardia che avevano disertato per unirsi al popolo.
“Comandante Oscar! Siamo ai vostri ordini, comandante!”, gridò Marcel da lontano.
“Non ci hanno seguiti, comandante. Tutti gli altri, al comando del colonnello, stanno andando a sedare i disordini nelle campagne di Saint-Denis, ma noi siamo rimasti indietro e a Montmartre li abbiamo lasciati. Credo che dobbiamo ringraziare il colonnello d’Agoult: a quanto pare sospettava già quello che avremmo fatto ma non ci ha fermato”, disse Alain avvicinandosi e passando un fucile ad André che se lo mise subito a tracolla.
Lei assentì col capo.
“Bene, amici! Toglietevi la giacca dell’uniforme, appuntatevi questa coccarda, è il simbolo di chi lotta per la libertà! E ora via, raggiungiamo gli uomini di Bernard!”
Volarono lungo il quai mentre il sole trafiggeva i tetti più alti in quel mattino di luglio.
 
Dai quaderni di André Grandier
Il mio venticinquesimo compleanno
Oggi mi ha chiesto cosa vorrei per il mio compleanno. Stavamo cavalcando verso Versailles e me l’ha chiesto. Per un attimo ho pensato di risponderle sul serio. Di risponderle così:
“Se tu e io ci prendessimo un giorno libero e andassimo in campagna a mangiare l’uva come facevamo da bambini? E poi a pranzare in quella taverna appena prima di entrare a Parigi? Lì, sotto il pergolato, con quel glicine che ti incornicia, io ti direi cose sciocche per farti ridere e, mentre ridi, io ti prenderei una mano e vorrei, - ecco il mio regalo di compleanno -, vorrei che tu quella mano non la spostassi dalla mia”.
Invece le ho detto: “Oscar, è un giorno come un altro. Non vorrei nulla di particolare”.
Lei ha detto: “Come vuoi”.
Però mi ha sorriso. Mi sono preso quel sorriso, era mio.
 

I soldati della Guardia ribelli si schierarono ai lati della piazza per presidiarne gli accessi, mentre Oscar, André, Alain e Marcel entravano nella taverna dalla porta del vicolo non barricato.
Dentro erano tutti indaffarati e silenziosi, si parlavano a bassa voce o per rapidi cenni delle mani, come cospiratori, come se i muri avessero orecchie.
Pareva davvero un quartier generale, constatò Marcel entrando con la testa bassa per non urtare la trave sulla porta: le zone interne della taverna erano suddivise tra la cucina, dove erano stipate le provviste di cibo, la dispensa, che custodiva le armi - tutte riposte per tipologia: spade, fucili, pistole, baionette, le armi da taglio allineate su un tavolaccio – e la sala, riempita di brande e giacigli improvvisati anche sui tavoli; intanto c’era chi approfittava dell’apertura della porta sul retro per andare a svuotare i pitali.
Marcel proseguì e si affacciò all’altra porta d’ingresso, quella che dava sul vicolo barricato: la polvere da sparo era in un barile all’esterno, sulla soglia dell’osteria, riparata da una specie di paravento costituito da un tavolaccio rovesciato. Lì Marcel vide alcuni bambini che imparavano dalle madri a preparare le cartucce. Nel vicolo, ragazzi con i fucili a tracolla parlavano appoggiati al muro lanciando di tanto in tanto occhiate alla sentinella che stava sdraiata sul pavimento del balcone del primo piano, riparata dall’anta della persiana a cui era stata tolta una stecca e che aveva dunque un’apertura a mo’ di spioncino.
Marcel sorrise di quell’astuzia e i suoi occhi vagarono ancora un po’ per memorizzare, controllare, o forse solo per riempirsi di quella calma breve che seguiva di poco la sua diserzione e precedeva di poco la battaglia.
 
Sentire la vita prima di rischiarla. Gli parve di vederla, la vita, persino in quel colore azzurro intenso del cielo, che si faceva spazio tra le foglie di una magnolia ormai del tutto sfiorita, la cui chioma sbucava dal muretto a secco di un cortile.
 
Fu così che accadde. Accadde all’improvviso. Lì, mentre assaporava la vita.
 
Proprio allora, all’estremità di un ramo di quella magnolia, che in fondo non aveva fatto altro se non indicare ai suoi occhi un percorso da seguire, Marcel vide suo padre.
Lo vide in tutta la sua fragilità, solo, mentre si asciugava il sudore dalla fronte dopo aver impilato delle cassette vicino a un portone. E, nel fare quel gesto tanto banale, quel gesto di pulirsi la fronte col fazzoletto, ecco, gli cadde per terra la parrucca che sempre stava un po’ storta sulla sua testa.
 
Così Marcel vide.
 
Dopo anni, Marcel vide la testa calva di suo padre. Lucida e liscia. Ricordò l’azzurrino delle vene sopra l’orecchio. Gli venne in mente che l’unico momento, a casa, la sera, in cui suo padre toglieva la parrucca era dopo che lui era andato a dormire. Come se vedere quella pelle nuda potesse in qualche modo offendere suo figlio. Ma a Marcel era capitato, lo ricordava ancora, di sporgersi dal letto e seguire con lo sguardo già un po’ assonnato suo padre mentre si incamminava giù per le scale e, al terzo, o al quarto gradino, si toglieva lentamente la parrucca con un gesto stanco. Ed eccola lì, quella testa liscia e indifesa, la parte più nascosta del suo papà.
E poi, all’improvviso, lo assalì un altro piccolissimo ma nitidissimo ricordo. Sua madre e suo padre escono dalla sua stanza. Lo credono addormentato. Lui inizia a scendere i gradini e si toglie la parrucca. Si gira verso di lei, due gradini più su. E lei, con la tenerezza tipica di lei, con le mani delicate che rincorrono e fermano quell’uomo stanco, con le dita affusolate sulla sua spalla, lei gli si avvicina e bacia quella pelle lucida, giusto in quel punto, appena sopra l’orecchio.
 
Sua madre amava quell’uomo.
 
Marcel avvertì qualcosa di oscuro e di dolce montare dentro al cuore e diffondersi per tutto il petto, fino quasi a rendergli impossibile respirare, e così, senza accorgersene, fece quattro passi in avanti, quattro passi per arrivare di fronte a suo padre che lo guardava immobile, gli occhi sbarrati e già liquidi, la parrucca che ancora ciondolava in una mano e un po’ spazzava per terra.
Quando Marcel sentì che le braccia di suo padre lo stavano abbracciando, quando si accorse che anche le sue braccia stavano rispondendo a quell’abbraccio con emozione, con convinzione, con disperazione, ecco, in quel momento, Marcel capì il potere di un abbraccio, la forza della fragilità, la vittoria della resa.
 
Non si dissero una parola.
Si salutarono con un cenno imbarazzato, mentre Marcel cercava di dire “Devo andare adesso” e Roger cercava di dire “Stai attento”.
Quando Marcel sparì, Roger sentì una mano cingergli la spalla e la voce roca e dolce di Crochet che diceva:
“Ora non è più un gamin. È un uomo.”
 
Dai quaderni di André Grandier
Se fossi nobile…
Se fossi nobile, potrei fare quello che ha fatto oggi Girodelle.
Ma Girodelle non ha speranza di essere amato da lei.
Però la potrebbe sposare.
Se fossi nobile e lei mi volesse.
Saremmo due nobili che si sposano. Ma prima dovremmo chiedere il permesso al re.
Il permesso al re.
Mi sembra di scrivere idiozie, stasera.
Se lei non fosse nobile…
Se lei non fosse nobile, le porterei dei fiori. Così, senza darci troppo peso. Mi sorriderebbe.
Se lei non fosse nobile e mi volesse.
Ma chi sarebbe, lei, se non fosse nobile? Se non fosse Oscar? No, non riesco a immaginarla.
Stai scrivendo idiozie, André.
 

D’un tratto rumori di spari si udirono in lontananza. In un attimo Oscar e gli altri lasciarono Bernard e Rosalie, che li guardò con gli occhi lucidi di apprensione, volarono sui cavalli e si misero in formazione.
Lei, davanti a tutti, sollevò in alto la spada:
“Amici, andiamo! Teniamo i soldati lontani da questa piazza!”
Poi fu solo una nuvola di povere che si alzava alle spalle di quegli uomini a cavallo, pronti a combattere per un mondo diverso e più giusto.
 
Si infilarono al galoppo nella strada di fronte: lei a testa bassa teneva la direzione, gli altri dietro imbracciarono i fucili e iniziarono a sparare contro divise celesti che si paravano davanti ai loro occhi, contro cecchini che dai tetti tentavano di colpirli mentre sfrecciavano sul selciato.
Qualcuno cadde a terra: molti con la divisa celeste, qualcuno con la coccarda sul petto.
Ma non c’era tempo per pensare, per fermarsi, per capire: un’onda impetuosa e improvvisa che con violenza si infrange su un pontile marcito, un fulmine che squarcia una pianta che non può far altro che essere squarciata, soldati ribelli che travolgono soldati obbedienti.
 
Gli occhi di Alain si strizzavano nell’istante in cui miravano al nemico e poi si allargavano a controllare che André fosse sempre incolume al suo fianco. Gli occhi di Alain si alzavano a stanare i nemici sui tetti e poi si abbassavano a controllare i movimenti di Marcel. Gli occhi di Alain puntavano il fondo della strada per assicurarsi che quella testa bionda fosse sempre davanti a loro con la spada levata.
 
L’attacco a sorpresa aveva funzionato, pensò lei trionfante, erano riusciti a impedire al nemico l’accesso alla strada e poi alla piazza di Bernard, avevano tenuto lontano le truppe dalla barricata. Quei soldati avevano pensato di trovarsi di fronte una folla inerme e male armata, una folla disordinata che si sarebbe immolata di fronte ai fucili spiegati agli ordini del re. E invece avevano trovato loro! Si girò istintivamente per vedere dove fosse André e lo vide chino sul suo cavallo, i capelli che si confondevano con la criniera mossa dal vento. Sorrise tirando le briglie, erano arrivati in fondo alla strada che si apriva su uno slargo. Ora potevano tornare da Bernard e aspettare un altro attacco.
 
Il sole la abbagliò per un istante e quando si coprì gli occhi per difenderli da quella luce, nell’ombra creata dalla manica della camicia, iniziò a distinguere confusamente, di fronte a lei, uomini schierati. Aggrottò le sopracciglia per vedere meglio. Sbarrò gli occhi piena di sgomento. Fece per girare il cavallo e dare l’ordine di ritirata, ma era troppo tardi: i suoi uomini l’avevano seguita ed erano ormai assiepati alle sue spalle, non c’era spazio per tornare indietro. E davanti a loro c’erano solo fucili spiegati. Non avevano più la forza d’urto data dalla velocità, non c’era più l’effetto sorpresa: l’onda si era ritirata, il fulmine era ormai caduto.
 
“Che facciamo, comandante?”, chiedevano tutti a mezza voce.
“Voi siete i soldati ribelli, non è vero?”, gridò l’ufficiale di fonte a loro.
“Non siamo soldati ribelli, siamo cittadini!”, rispose lei con voce alta e ferma.
Poi alzò di nuovo la spada, mentre una goccia di sudore rotolava giù dalla sua tempia.
Durò pochissimo: la spada si abbassa, i cavalli battono il selciato e acquistano velocità, le schiene si piegano, i fucili diventano prolungamenti delle braccia e dalle loro bocche escono polvere e proiettili, di fronte a loro una fila di soldati si piega su un ginocchio e imbraccia il fucile, quella dietro è già pronta a sparare, proiettili e polvere da sparo, cavalli stramazzano a terra trascinando con sé corpi insanguinati di uomini urlanti, da entrambe le parti uomini muoiono senza neanche avere il tempo di urlare, zoccoli di cavalli calpestano corpi in uniforme, una fuga scomposta e disperata di cittadini guidati da una donna comandante finisce lungo il Quai du Louvre, sotto un ponte della Senna.
 
Si contarono. Erano poco più di venti. Restarono nascosti a lungo mentre sopra le loro teste sentivano l’accorrere dei soldati, gli ordini degli ufficiali, le grida di protesta di una folla a stento tenuta a bada dalla minaccia dei fucili di sua maestà.
“Non c’è altro da fare, dobbiamo tornare alla barricata. Da lì potremo attaccare il nemico contando sugli spazi stretti dei vicoli e avremo l’aiuto degli uomini di Bernard. Siamo troppo pochi”, mormorò lei come se parlasse tra sé, seduta con le ginocchia al petto, le mani che in mezzo alle ginocchia si sfioravano. Non osava nemmeno toccarlo, André. Doveva essere lucida. Doveva essere un soldato, non una donna innamorata. Se solo l’avesse sfiorato, il controllo che cercava di mantenere si sarebbe frantumato ai suoi piedi. Si guardò le mani e cacciò via la sensazione delle dita di André intrecciate alle sue tra i sospiri dell’amore.
Non adesso, non adesso.
Alain annuì: “Dobbiamo raggiungere la barricata prima del tramonto, approfittando della folla e della confusione nelle strade. Al calare del buio sarebbe troppo pericoloso: ogni via e ogni piazza saranno deserte e presidiate di soldati”.
“Prima di andare laggiù voglio passare da Saint-Eustache, Oscar. Devo vedere come stanno la nonna e i Dunant”, André si staccò dal muro ma non la guardò mentre le parlava. Lottava anche lui per ignorare l’amore che li legava in quella bufera. Doveva ignorarlo per difenderla. Di sfuggita vide però la sua pelle bianca, quella appena sopra la clavicola. Cacciò via la sensazione di quella pelle sotto le sue labbra.
Non adesso, non adesso.
“Sì, passeremo da Saint-Eustache e poi andremo da Bernard, ma dobbiamo muoverci insieme”, lei lo osservò da sotto in su, come se stesse cercando di vedere i sintomi di un male alla testa che le avevano insegnato a riconoscere. Era sudato, ma chi non lo era? Era pallido, ma tutti loro lo erano. Non c’era di che preoccuparsi, si convinse.
“Potrebbero venire tutti con noi alla barricata invece che stare soli lì”.
“Non credo che i Dunant lascerebbero mai la loro casa, Oscar”.
“Sì, hai ragione”.
 
Dai quaderni di André Grandier
Ho comprato un appartamento a Parigi.
Ho comprato un appartamento perché lei ha detto che non ha più bisogno di me.
Ho comprato un appartamento a Parigi perché questo è il posto che ci ha incantato la prima volta che siamo stati a Parigi insieme, eravamo due bambini.
Ho comprato un appartamento a Parigi perché devo inventarmi un’altra vita.
Ho comprato un appartamento a Parigi in un posto che è pieno del ricordo di lei.
Ho comprato un appartamento a Parigi perché lei è in Normandia.
Ho comprato un appartamento a Parigi perché quando ci sono entrato mi pareva di sentire la sua presenza in ogni stanza.
Ho comprato un appartamento a Parigi perché sono un uomo che anche nella disperazione non smette di coltivare stupidi sogni, fiori parigini sulla sabbia della Normandia.
 

“Io vi raggiungo da Bernard più tardi”, disse Marcel deciso.
“Dove hai intenzione di andare?” ringhiò Alain.
“A Saint-Germain. Voglio andare a vedere se riesco a smuovere Iatroux da quella taverna e… devo fare un’altra cosa. Ho detto che vi raggiungo”, nel suo tono non c’era nulla di accomodante e Alain alzò le mani in segno di resa:
“Fa’ quel che vuoi”.
Marcel si avviò verso la luce uscendo dalla copertura del ponte.
 
Videro Marcel indietreggiare con la mano alzata e poi voltarsi con l’indice dell’altra mano sulla bocca, si trascinò tutti dietro sotto la campata del ponte e bisbigliò:
“C’è un soldato a guardia del ponte”.
“Uno solo?” chiese Alain sbirciando fuori.
“Non lo so, la visuale è coperta”.
“I cavalli! Ci sono ancora o li hanno presi?”, Lasalle tremò più forte.
Lei si sporse sul pelo dell’acqua e guardò avanti:
“Ci sono ancora, vedo le sagome riflesse sull’acqua”.
“Usciamo alla spicciolata dalle due uscite del ponte, uno per uno andiamo a prendere i cavalli e ce ne andiamo”, suggerì Pierre.
“No, troppo pericoloso, rischiamo di farci prendere facilmente. Io dico di uscire tutti insieme, uniti siamo un drappello. Puntiamo l’arma addosso al soldato là sopra e gli facciamo cenno di stare zitto: a quel punto, o sta zitto o lo faremo stare zitto noi, per sempre”.
“Va bene, Alain. Andiamo”, disse lei impaziente.
Uscirono a ranghi compatti, le pistole puntate verso l’alto, gli occhi sulle spalle di quella sentinella.
Poi fu tutto velocissimo: la sentinella non si accorse nemmeno del colpo che la fece cadere a terra senza vita. Non aveva avuto neanche il tempo di puntare la sua arma.
 
Corsero ai cavalli e salirono in sella mentre alle loro spalle accorrevano altri soldati richiamati dallo sparo. Si lanciarono al galoppo, lei sempre davanti a tutti, dietro, a chiudere il gruppo, Alain e André. Si infilarono nella strada più affollata per confondere la loro fuga in mezzo a tutte quelle persone mentre dietro di loro sentivano gli zoccoli dei cavalli del Royal Allemand che battevano il selciato al loro inseguimento.
 
Marcel invece oltrepassò il ponte e si inoltrò nei vicoli di Saint-Germain.
 
Arrivò alla taverna di Iatroux e si lanciò dal cavallo in corsa, si precipitò giù dalle scale e si affacciò alla porta:
“Iatroux!” gridò.
L’oste dava le spalle al bancone, stava sistemando caraffe e bicchieri:
“Non c’è”.
“Dov’è andato?”
“Non lo so. Ha borbottato di una barricata. Dice che gli è venuta nostalgia del fango… mah, vallo a capire”.
Marcel si calmò, sorrise soddisfatto e uscì.
 
Respirò l’aria di quel vicolo abbandonato da tutti e sentì che il suo cuore si placava. Era vivo. Aveva abbracciato suo padre. Fece vagare lo sguardo in quel quartiere in cui era nato e cresciuto, decise dove voleva andare, ci andò, e poi camminò finché non fu stanco. Quando infine il cielo si colorò di rosa e la bellezza spudorata del tramonto illuminò Parigi, spinse la porta della casa di Crochet, si buttò sul letto dove aveva dormito solo qualche sera prima e sprofondò nel sonno. Non si accorse nemmeno della pioggia battente che per tutta notte lavò le strade del sangue versato quel giorno.
 
Dai quaderni di André Grandier
Pensa, Oscar, pensa se ci fermassimo ancora qualche giorno qui in Normandia.
Sei così triste, in questi giorni. Guardi sempre il mare. E sospiri, lo vedo. Li sento anche i tuoi sottilissimi sospiri. E vedo che a volte, al tramonto, oppure la sera, quando siamo fuori in terrazza, li governi, i respiri, e butti fuori l’aria con le labbra chiuse mentre il petto si abbassa piano. Pare che tu stia tirando forte delle briglie immaginarie. Che tu stia nascondendo un dolore troppo grande per essere pronunciato.
Ma, vedi, questo linguaggio, questo linguaggio del respiro, a me è molto familiare, Oscar. Lo conosco bene. Fa male, vero? Vorrei dirti che un giorno non farà più male. Lo vorrei.
Pensa, Oscar, pensa se ci fermassimo fino alla fine dell’estate qui in Normandia.
Vedremo le giornate diventare corte, l’oscurità ci sorprenderà nel tardo pomeriggio quando saremo ancora fuori a cavallo, ci stringeremo nelle spalle alla prima frescura della sera, sentiremo arrivare le giornate lattiginose di pioggia che precedono l’autunno, ci verrà voglia di accendere il camino prima di cena, ci sveglieremo di notte per il vento. Solo io e te e la natura di questo posto.
Cielo, terra e mare. E vento.
Nient’altro. Nient’altro da desiderare, nient’altro da aspettare.
Pensa, Oscar, pensa se ci potessimo fermare qui in Normandia per sempre.
 

Era arrivata a Saint-Eustache da pochi minuti, il tempo di smontare da cavallo, di rassicurare una Marie in lacrime e di sincerarsi che anche i Dunant stessero bene. Erano nel cortile interno e le facevano domande, ma lei rispondeva distrattamente volgendo continuamente lo sguardo all’ingresso: voleva solo sentire arrivare André, sentire la voce di André, sentire il corpo di André vicino al suo.
Le si parò davanti uno dei soldati ribelli - chi? non l’avrebbe saputo nominare -, sudato, stravolto, il volto deformato.
Diceva cose.
Pronunciava parole.
Ma le sue orecchie parevano chiuse a qualunque suono.
Lei sgranò gli occhi e provò a leggere quelle parole sulle sue labbra. Ma non ci riuscì.
Così sbatté le palpebre una volta, come per riprendere coscienza, e seguì ancora il movimento di quelle labbra che dicevano parole.
E alla fine lei decifrò quelle parole. Quelle parole per lei. E sentì la testa girare, lo sbigottimento e insieme l’inverarsi della sua paura più grande.
 
Comandante, André è stato ferito!
È ferito, comandante!
 
Allora alla donna comandante, alla donna lucida e sempre presente a sé stessa, si sostituì la donna innamorata, le parve di non essere nemmeno in grado di fare un ragionamento che fosse sensato, di porre una domanda che desse dei confini a quell’espressione “è ferito” e si lanciò fuori dall’androne di casa.
Travolse Lucille che cercava di fermarla e calmarla.
Uscì sulla strada e, nello svoltare a destra senza guardare null’altro che il fondo della strada dove vedeva avanzare la sagoma di un cavallo montato da quelli che parevano due uomini uno dei quali aveva la testa che ciondolava di lato, si scontrò con un tizio in uniforme – erano dappertutto i soldati che pattugliavano le strade – che la strattonò per vedere chi fosse e dove volesse andare, ma lei se ne liberò spingendolo e spostandolo con le braccia e poi iniziò a correre.
Correva verso Alain, spettinata e sconvolta, con il braccio destro levato in alto, la falcata che pareva sospinta da una forza senza misura, gli occhi puntati solo su quel volto che ciondolava di lato e che, ora lo vedeva bene, era il volto incosciente di André, sulla bocca un grido, un grido che grattava e graffiava la gola, un solo nome:
 
André! André! André!
 
E mentre le persone per strada si voltavano tutte a guardare quella scena - lei, di profilo, il braccio levato, che percorreva metri e il mondo intorno sembrava fermo -, mentre quel dannato cavallo pareva più lento di qualunque attesa, il soldato dell’esercito estrasse la sua pistola.
E mentre lei ancora gridava quel nome e correva, lui sparò.
E a terra rimase il corpo rannicchiato di Oscar.
 

 
Dai quaderni di André Grandier
Da tre giorni non apro questo quaderno. Oggi lo apro, ma non ho niente da scrivere. Mi viene da sorridere. Non ho niente da scrivere. Mi rigiro la penna tra le dita, per questo ora c’è questa macchia. Mi fa allegria anche questa macchia. Non ho niente da scrivere. Che cosa deve scrivere un uomo innamorato che vive la gioia di essere amato?
 
 
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Per la scena finale di Oscar: credo proprio che quella corsa disperata di Anna Magnani abbia agito dentro di me mentre scrivevo.
Sempre il mio grazie a chi ha voglia di leggere questa storia.
   
 
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