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Autore: Nao Yoshikawa    06/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo ventuno
 
«Hayato, non fare quella faccia. Non c’è motivo di essere gelosi.»
Sosuke Aizen di cambiamenti ne aveva fatti in quegli anni, aveva imparato a dare meno per scontato e a parlare un po’ di più con suo figlio. Non sempre però era facile vedere le cose dal suo punto di vista.
«Io non sono affatto geloso e non voglio che lo ripeti. Se mia madre ha voluto un altro figlio, beh, buon per lei! Dammi tregua, ne dobbiamo parlare per forza?»
Hayato si sentiva messo alle strette. Non voleva ammettere di essere davvero geloso, di avere paura di sentirsi messo da parte. Sosuke sospirò e fu a quel punto che Shinji intervenne, poiché si era messo in testa che avrebbe risolto quanti più problemi possibili intorno a sé.
«Sosuke, posso parlare un attimo con Hayato?»
Suo marito sospirò.
«Certo, fai pure.»
Hayato alzò gli occhi al cielo. Cosa non era chiaro nella frase non voglio parlare con nessuno?
Shinji richiuse la porta e lo guardò.
«E va bene, sputa il rospo. Non sono bravo a psicanalizzare le persone e nemmeno mi interessa. Senti, se sei arrabbiato va bene. Va bene anche se sei geloso. Dopotutto sei ancora un bambino.»
Hayato si indispettì. Shinji giocava tanto a fare l’adulto, e quando ci riusciva lo prendeva sempre alla sprovvista.
«Non lo sono.»
«Sotto certi aspetti sì, è normale. E poi non si smette mai di avere bisogno dell’affetto dei propri genitori. Ma tua madre non smetterà certo di amarti. Sai, si può amare anche più di un figlio» si spazientì un po’, perché ciò che era ovvio per lui non lo era per Hayato. Quest’ultimo infatti strinse i pugni.
«Scusa, ma tu che ne sai? Hai soltanto Miyo.»
«A dire il vero ci sei anche tu» rispose tranquillo. Ancora una volta, Shinji lo prese alla sprovvista. Arrossì e si sentì come se lui fosse nella sua testa: questo non gli piacque.
«Anche se fosse non mi vuoi bene quanto ne vuoi a lei.»
«Ma sentitelo! Fino a prova contraria, non mi risulta che tu sia nella mia testa, quindi non dire cose che non sai.»
Hayato scosse la testa.
«No, smettila. Non dirmi così. Tu e Toshiro vi impegnate tanto per avere il mio affetto, ma a cosa vi serve? Tu hai Miyo, lui avrà un figlio suo. E mia madre sarà molto più felice adesso rispetto a quando ha avuto me. Quindi alla fine, a che cosa serve? Mi sento come… se non facesse differenza la mia presenza qui.»
Hayato non tratteneva più il dolore, dopotutto non era mai stata sua attenzione. Era solo un po’ orgoglioso. Shinji borbottò qualcosa. Oh, anche lui aveva sperato di essere più paziente! Lo afferrò, guardandolo negli occhi.
«Sei testardo più di tuo padre! Ma come devo fartelo caprie che tu sei mio quanto lo è Miyo? Chi se ne frega se non abbiamo lo stesso sangue o se non ci somigliamo? Nemmeno tu e Miyo avete un legame biologico, ma lei ti considera un fratello. Qui nessuno ti sostituisce e smettila di atteggiarti con quell’aria da duro. Hai solo tredici anni, avrai tempo per essere un adulto indipendente, ma ora, se hai bisogno di farti abbracciare, fatti abbracciare e zitto.»
Hayato rimase a bocca spalancata. Terza volta nell’arco di qualche minuto che lo sorprendeva. Shinji continuava ad essere nella sua testa e proprio non gli piaceva. Avrebbe voluto dire qualcosa. Ma non riuscì a dire niente. Invece al suo posto parlò Miyo, che era entrata senza bussare. Era una cosa che Hayato non sopportava, ma non avrebbe potuto dirle niente: la sua espressione lo terrorizzò.
«Rin!» ansimò soltanto Miyo. «Dobbiamo andare da lei.»
 
 
Rangiku non era mai stata abbastanza razionale da trattenere le lacrime. Ma in fondo chi poteva trattenere le lacrime di fronte la propria figlia che stava male? Rin non era in pericolo di vita, questo non voleva dire che la situazione non fosse seria.
«Non me la fanno vedere, perché non me la fanno vedere? Sono sua madre!» singhiozzò. Gin l’abbracciò.
«Non preoccuparti, la vedremo a breve. Lei è viva, l’importante è questo.»
«Ma non sta bene, Gin!» poggiò una mano sul suo petto. «Quando l’ho vista svenuta sul pavimento, ho temuto il peggio. Avevo percepito che qualcosa non andava, avevo notato che mangiava poco, ma non avrei mai pensato che… che…»
Chissà quanto doveva star soffrendo, chissà quanto doveva star soffrendo ancora. Quella era già un’età difficile, più fragile rispetto all’età adulta. Gin le baciò la fronte.
«Allora non ce ne siamo accorti in due, ma non servirà a niente starsene qui a farsi divorare dai sensi di colpa.»
Rangiku si asciugò una lacrima. Aveva ragione, ma il senso di colpa c’era eccome. Le cose andarono un po’ meglio quando arrivarono Shinji e Aizen con i figli. Aveva dovuto avvertire Miyo, era la migliore amica di sua figlia.
«Ehi, che succede? La situazione è degenerata così tanto?» domandò Shinji, che alla fine si era reso conto di non aver risolto proprio niente. Sapeva bene cosa stavano passando sia Rangiku che Gin. C’era passato anche lui, con Miyo.
«Come sta?» domandò Aizen.
«Adesso è sveglia, ma è comunque indebolita e ancora non ci hanno fatto entrare» spiegò Gin. «I dottori ci hanno detto che non ci saranno effetti permanenti sul suo fisico, ma dagli esami risulta che ha molte carenze a causa del digiuno e… è una specie di disturbo alimentare, non lo so. Non sono esperto in questo.»
«Possiamo vederla anche noi?» domandò Miyo impaziente.
«Già. Io non ci capisco niente, ma la voglio vedere subito!» in Hayato era subito nato un grande istinto di protezione verso la sua amica d’infanzia, che gli piaceva così tanto, anche se non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.
«State buoni voi due, Rin è indebolita in questo momento. L’importante è che sia fuori pericolo» Aizen era quello che come al solito tendeva a mantenere la calma. Gin dal canto suo si era premurato di avvertire anche Toshiro e Izuru, i quali si erano presentati con i rispettivi compagna e compagno.
«Dov’è lei?» esclamò Toshiro. Momo cercò di calmarlo.
«Shiro, piano. Siamo in ospedale.»
«Chi ha ridotto la piccola Rin in questo stato? Se lo prendo…» Shuhei imprecò e Izuru prese la sua mano.
«Piano. Non è questo il punto adesso.»
Rangiku e Gin diedero loro tutte le informazioni necessarie. Hayato era preoccupato per Rin, ma adesso avvertiva anche un certo nodo allo stomaco perché sua madre era lì, perché Toshiro era lì, perché la conversazione con Shinji lo aveva scosso e perché avrebbe avuto tante cose da dire. Ma non avrebbe saputo come dirlo. Andò a sedersi e Miyo la raggiunse.
«Tranquillo, Rin starà bene.»
«Certo che starà bene, non dubitarne nemmeno un secondo!» disse alzando la voce. «Cioè… scusa. Sono nervoso.»
«E io mi sento in colpa perché avrei dovuto parlarne prima. Stupida, sono stupida, non servo a niente.»
Miyo non piangeva spesso, ma ultimamente stavano accadendo così tante cose…si sentiva impazzita. Gli ormoni, o una cosa del genere. Shinji l’abbracciò.
«Ehi, piccina, non dirlo. Hai fatto molto più di quello che dovevi» poi guardò Hayato. Con lo sguardo lo invitò ad avvicinarsi, ma Hayato sospirò.
«Vado fuori a prendere una boccata d’aria, torno subito.»
 
Naoko aveva alcuni punti da chiarire. Li aveva con Satoshi, con Kiyoko, con Kohei. E poi con suo padre. Adesso voleva sapere per filo e per segno cosa fosse successo anni prima. Sua nonna era stata vaga e comunque era compito suo parlarle. E al diavolo, avrebbe insistito. Nnoitra, dopo cena, si era messo a lavorare ad una nuova tavola, la prossima scadenza era in vista. Naoko entrò nel suo studio, sospirando.
«Papà, possiamo parlare?»
Lui la guardò.
«Dimmi che nessun altro ha di nuovo fatto a botte per te.»
Naoko arrossì.
«Per favore, non infierire. No, non è questo. Senti, puoi spiegarmi perché non vuoi avere a che fare con il nonno e la nonna? Ogni volta ricevo solo risposte vaghe.»
Nnoitra lasciò cadere il pennino e si massaggiò una tempia con la mano.
«Naoko… non è una discussione che riguarda te.»
«È come la cosa di Tesla?»
Nnotira ricordava quanto era stata dura tirar fuori quella parte della sua vita, ma anche di quanto fosse stato dolce e malinconico parlarne alla sua bambina.
«No, non è come quella cosa.»
«Beh, allora parlamene! Riguarda anche me! Io voglio sapere perché in questi nove anni non li ho mai visti, perché non sono mai venuti ai miei compleanni, perché non mi hanno mai telefonato. Voglio sapere perché tu non ci parli, perché io… io non ce la farei mai a non parlare per tutti questi anni con te e con mamma.»
Si commosse da sola alle sue stesse parole. Nnoitra si stupiva ogni giorno di quanto Naoko fosse coraggiosa e tanto simile a Neliel. L’abbracciò, rassicurandola.
«No, ti prego, non voglio farti piangere. Hai ragione, la cosa riguarda anche te. Va bene, te lo racconterò.»
Dopotutto sua figlia era la migliore ascoltatrice. Dopo Neliel, ovvio.
 
«Nao! Vieni, presto! Dove ti nascondi, piccolina?»
Neliel aveva scovato sua figlia sotto un albero, il vestito buono sporco di terra. Pazienza, si era detta, dopotutto era la festa di compleanno per i suoi tre anni. La prese in braccio e la riportò dagli invitati.
«Sun Ah, hai visto Nnoitra, per caso?» domandò Neliel a sua suocera.
«In realtà anche io marito è scomparso, spero non stiano discutendo»
«Ti prego, non il giorno del compleanno di Naoko» sospirò. Il rapporto tra Nnoitra e i suoi genitori era sempre stato teso, sin da quando riusciva a ricordare. Suo padre non gli perdonava il fatto di essere finito nei guai con la legge e non apprezzava il fatto che si fosse dedicato alla carriera da mangaka, che ancora non fruttava denaro. Ma non era un problema, vivevano comunque bene con il lavoro di Neliel.
«Mamma, papà lì!» esclamò la piccola Nao, dimenandosi. Nnoitra se ne stava più distante, Neliel lo aveva visto arrivare seguito da suo padre. E a giudicare dalla sua espressione e dal modo nervoso in cui si muoveva, non c’era niente di buono da premunire.
«Nnoitra, dove scappi? Penso tu abbia raggiunto l’età per affrontare gli argomenti come-»
«Io non intendo parlare con te un minuto di più. Cosa devi dirmi? Che ho gettato vergogna sul tuo nome e sulla nostra famiglia? Bene, mi dispiace, d’accordo? Per quanto ancora vuoi rinfacciarmelo? O forse vuoi dirmi che sono un fallito perché non riesco a mantenere la mia famiglia? Mi fai solo incazzare.»
Neliel si avvicinò, con in braccio la bambina. Oh, no, pensò.
«Sei sempre stato un ragazzo impossibile. Non mi hai mai ascoltato quando ti dicevo di non frequentare brutte compagnie. E non mi ascolti adesso.»
«Non ti ascolto perché è la mia cazzo di vita. Quanto devi farmi pesare i miei errori? Non ricordo l’ultima volta in cui mi hai detto qualcosa di gentile. Ed è andata a finire che io non ti sopporto più. Forse non ci hai riflettuto, ma magari se sono così LA COLPA è TUA!»
Nnoitra lo schiaffo non lo vide arrivare. Fece male, malissimo Gli era capitato di riceverne da bambino, ma mai in faccia. Neliel gridò un “no”! e Naoko si mise a piangere. Nnotira si toccò il viso e poi guardò sua madre.
«Ancora una volta non dirai niente, vero?» poi tornò a guardare suo padre. «Andatevene e non fatevi mai più vedere finché vivrete. Non avete più un figlio da questo momento.»
 
Naoko ascoltò tutto il racconto. Era terribile quanto successo. Non gli piaceva tutto ciò, perché la gente non poteva volersi bene e basta?
«Ti ho turbata?» domandò Nnoitra.
«Un pochino, ma non fa niente. Papà, forse loro vogliono davvero chiederti scusa. Magari anche il nonno, solo che non sa come fare. Io l’ho visto, lui mi ricorda molto te.
«Me…?» domandò, sorpreso. Lui la somiglianza non ce la vedeva.
«Sì, secondo me si sente in colpa. Se non vuoi perdonarlo subito va bene, sono sicura che hai sofferto troppo per poterlo fare, però… almeno puoi fare un passo. Io almeno farei così.»
Naoko era davvero un miracolo. Una ragazzina davvero tanto matura per la sua età, eppure per certi versi innocente. Nnotira si sentì fiero di lei come mai in quel momento e l’abbracciò, baciandole la fronte.
«Ancora sto qui a chiedermi cosa io abbia fatto di buono per meritare te. Somigli a tua madre.»
«Mi dicono che in qualcosa somiglio anche a te, sarà vero!» rispose arrossendo a godendosi quell’abbraccio. Neliel, dal canto suo, si era fermata un po’ di tempo prima fuori dalla porta dello studio e non aveva osato entrare per interrompere quel momento. Sua figlia aveva saputo dire le cose giuste al momento giusto. E si sentì fiera anche lei.
 
 
«Kohei, per favore.»
Karin sospirò avvilita. Da quando era avvenuta la rissa con Satoshi, suo figlio le creava molti problemi per andare a scuola. Anche ora, si rifiutava di fare il bagno e andare a dormire. C’era già passata tanti anni prima, quando Kohei era solo un bambino, ma adesso si ritrovava davanti un ragazzino più alto di lei, solido e determinato. Difficile da smuovere. Se ne stava seduto sul pavimento a sfogliare il suo libro e non voleva sentire ragioni.
«Io non voglio andare, perché se vado, prenderò a pugni di nuovo Satoshi.»
«Cosa diciamo sempre? Che prima di agire, bisogna respirare e contare fino a dieci. O in alternativa, ripetere ad alta voce tutte le razze di aquile che conosci.»
Karin cercava sempre di essere paziente, non era arrabbiandosi che avrebbe ottenuto dei risultati, però era difficile. Era umana anche lei. Kohei si agitò, alzandosi e iniziando a muoversi.
«Non funziona. Non voglio andare, ho paura. Fammi stare qui.»
«Ma Kohei. Io sono qui per aiutarti.»
«Non è vero, perché quando è successa questa cosa tu non c’eri!»
Karin rimase lì per lì senza una risposta pronta. In effetti lei non c’era, come avrebbe potuto? Ma perché la cosa doveva pesargli tanto? Da qualche anno oramai aveva ripreso in mano la sua vita, aveva imparato a sentirsi anzitutto un essere umano, una donna, e poi una moglie e una madre. Decise che allora un po’ di severità non sarebbe guastata.
«Kohei» lo chiamò duramente. «Hai ragione, non potevo esserci, né io né tuo padre possiamo prevedere tutto quello che succederà. Ma non puoi smettere di andare a scuola, una soluzione va trovata.»
Non intendeva viziarlo, non era così avrebbe fatto il suo bene. Kohei però vide in quella sua severità un dispetto e si arrabbiò parecchio.
«Non ti voglio ascoltare! Non ti voglio più, sei cattiva!»
Poi, in uno scatto di rabbia, la spinse. E Karin, che era sempre stata piccola e minuta, anche adesso che era una donna fatta e finita, cadde. Fu più il rumore della botta che il dolore, perché era sempre stata anche molto resistente. Ma ciò bastò ad attirare le attenzioni di Chad, il quale, una volta entrato, intuì immediatamente cosa doveva essere successo. La cosa lo lasciò senza parole.
 «Chad, è tutto a posto» lo rassicurò Karin. In realtà sentiva dolore, non a livello fisico ma emotivo. Era la prima volta che suo figlio si poneva nei suoi confronti in questo modo. Kohei si rese subito conto di cosa aveva fatto. Indietreggiò, guardandosi le mani.
«Io sono buono, non l’ho fatto di proposito.»
Chad si avvicinò a sua moglie aiutandola ad alzarsi.
«Stai bene?»
«Sto bene» chiarì. «Non preoccuparti.»
A essere preoccupante per lei era la reazione che Chad avrebbe potuto avere. Era già rimasto turbato per ciò che Kohei aveva fatto con Satoshi, dubitava sarebbe passato sopra a questo.
«Kohei, questa cosa è sbagliata» gli disse soltanto. Ma nei suoi occhi c’era tanta delusione, più verso sé stesso. Aveva sbagliato tutto, evidentemente. Kohei pianse, quasi fosse un bambino molto più piccolo della sua età. Karin si avvicinò e lo abbracciò.
«Va tutto bene, è tutto a posto» sussurrò, mentendo. In realtà non era affatto tutto a posto. Forse aveva – avevano – davvero sbagliato qualcosa? Erano stati troppo permissivi, non abbastanza attenti? Quella era un’altra prova che lei e Chad si stavano ritrovando ad affrontare. Dopotutto era sempre stata una sfida, giorno dopo giorno.
 
«Oh, Rukia. Non puoi capire, sono felicissima. Io e Hanataro andiamo così d’accordo, anche se siamo molto diversi. E lui piace anche ai miei genitori, dicono che è un bravo ragazzo. Io amo i bravi ragazzi timidi.»
Natsumi era molto entusiasta al telefono, mentre parlava della sua nuova fiamma. Anzi, del suo nuovo ragazzo. Rukia era felice per lei, ricordava come si era sentita lei quando si era da poco messa con Ichigo, stesso entusiasmo.
«Siete davvero una bella coppia, voi due» sospirò, giocando nervosamente con una penna.
«Emh… scusa, forse non dovrei mettere il dito nella piaga, visto che le cose tra te e Ichigo sono un po’ strane» disse Natsumi, improvvisamente in imbarazzo.
«Non preoccuparti per questo. Hai tutto il diritto di essere felice»
Ichigo rientrò proprio in quel momento e Rukia sussurrò un veloce adesso devo andare, a più tardi.
Ichigo rimase a fissarla per qualche attimo.
«Tutto bene?» le domandò.
«Eh? Ah, sì. Era Natsumi. A quanto pare lei e Hanataro stanno ufficialmente insieme.»
«Ma davvero? In effetti Akon aveva detto di averli visti baciarsi, per cui… non sono sorpreso» Ichigo distolse lo sguardo. Gli veniva così difficile fissare quei suoi grandi occhi così espressivi. «Ah, comunque… di sicuro Byakuya ha in mente di dirtelo, ma non mi sentirei a posto con me stesso se te lo nascondessi, per cui… sappi che si sono fidanzati.»
Rukia sgranò gli occhi. Suo fratello e Renji fidanzati? Era ora, santo cielo!
«Ma è una notizia fantastica! Aspetta, perché tu lo sai e io no?»
«… Me lo ha detto lui. In realtà era venuto per parlarmi di te, ma una cosa tira l’altra e siamo finiti al discorso.»
Ichigo abbassò di nuovo lo sguardo. Se c’era una cosa che odiava, era sentirsi così insicuro e bisognoso di rassicurazioni. Come un bambino.
«Rukia, tu mi ami?» domandò e si sentì molto stupido nel farlo. Rukia si sorprese a sua volta perché non era da suo marito domandare certe cose in modo così diretto.
«Ti amo, sì» sussurrò. «Ti ho sempre amato e non ho dubitato di questo nemmeno un secondo. Mi sono innamorata del tuo carattere impossibile, scontroso ma anche così protettivo. Del tuo modo di pensare, del tuo modo di dimostrare amore. Avrei voluto essere più forte per rivelarti quello che sentivo e il dolore che provavo. Ma posso farlo adesso.»
E dicendo ciò strinse la sua mano. Entrambi avvertirono un brivido come se fosse la prima volta in cui si sfioravano. Ichigo sentì un nodo alla gola. Non era da lui piangere, a meno che non fosse molto provato. E in quel caso lo era e non riuscì a trattenere un singhiozzo.
«Mi fa male.»
Rukia non resistette più. Se voleva, Ichigo poteva anche rifiutarla, ma lei avvertiva il bisogno di abbracciarlo, e così fece. Ichigo però non la rifiutò. Anzi, chiuse gli occhi e poggiò il viso sul suo seno. Si sentì regredire quasi fosse un bambino, ma non fu una brutta sensazione. E si ricordò di quando aveva conosciuto Rukia. Che per quanto strana e triste come occasione, aveva comunque segnato la sua vita in modo positivo.
 
 
«Tu eri sua amica?»
Quel ragazzo era arrivato all’improvviso e per un attimo aveva avuto paura, come s si fosse ritrovata davanti ad un fantasma: il ragazzo che le aveva parlato era identico a Kaien, eccezion fatta per i capelli, di un buffo colore arancione. Rukia si asciugò una lacrima e ritornò in sé, dopo essersi resa conto che quella era in effetti un’altra persona. Oh, lei e Kaien erano stati molto più che amici. Un amore segreto. Erano stati un fare progetti. Lui le aveva detto che l’avrebbe sposata non appena fosse diventata maggiorenne e lei sapeva che lo avrebbe fatto, perché Kaien non diceva mai le cose tanto per dirle. Ma poi quel maledetto incidente in un giorno di pioggia gliel’aveva portato via.
«Sì, eravamo amici» sussurrò. «Tu eri il suo…?»
«Cugino» rispose il ragazzo. «Mi chiamo Ichigo Kurosaki.»
A Rukia venne da sorridere. Era strano ma piacevole. Era rassicurante parlare con qualcuno che aveva la stessa faccia di Kaien, eppure Ichigo Kurosaki appariva anche molto diverso.
«Senti, io avrei un po’ fame. Non ho mangiato molto in questi ultimi due giorni e tu hai l’espressione di una che ha bisogno di qualcosa di caldo.»
Rukia rimase stupita da quel suo modo di preoccuparsi per qualcuno che nemmeno conosceva. Intuì subito che quell’Ichigo doveva essere una persona buona. Il pensiero la fece sorridere, la commosse.
«In effetti non mangio da un po’» ammise Rukia. A Ichigo non avrebbe detto de lsuo segreto, perché quella era una cosa solo sua e di Kaien, un qualcosa che sentiva di dover proteggere. Questo lo aveva deciso quando ancora non immaginava che quel ragazzo sarebbe diventato l’amore della sua vita.
 
 
Kisuke e Yoruichi stavano ancora pensando a come confessare ai loro figli della relazione con Soi Fon. Una relazione poligama non si vedeva tutti i giorni e sarebbe potuta risultare strana per loro. Quindi avevano concordato di non dire nulla per il momento, aspettare di vedere come andava. E le cose stavano andando molto bene. Yoruichi e Kisuke non avevano mai perso la passione, ma Soi Fon aveva riportato un po’ quell’aria che c’era sempre quando un amore era appena nato. Soprattutto, il sesso andava benissimo. Ah, era una sorpresa continua, spesso non riuscivano a staccarsi gli uni dagli altri. Questo però non voleva dire che non avessero dei pensieri per la testa. Tutti e tre temevano i pregiudizi altrui, malgrado la grande apertura mentale. Anzitutto avevano una differenza di età molto importante, solo Soi Fon e Kisuke si passavano ben ventisette anni. Soi Fon temeva invece di essere giudicata una rovina famiglia o una poco di buono. Non che la cosa l’avrebbe influenzata più di tanto, ma non era comunque piacevole. A tutto ciò non pensavano di certo, nessuno dei tre, durante il sesso.
«Oh, ragazze. Sono troppo vecchio per questo ritmo» ansimò Kisuke. Da un lato aveva Yoruichi e dall’altro Soi Fon, che ora si stringevano a lui con fare languido.
«Ma smettila, sei più in forma tu di certi giovani» disse sua moglie. «Allora, Soi Fon. Nel sesso orale, chi è più bravo?»
Yoruichi si divertiva spesso a metterla in difficoltà con quelle domande. Soi Fon arrossì. Come decidere? Erano entrambi perfetti.
«I-io non posso scegliere. Siete entrambi bravi.»
«Oh, cara Soi Fon, anche tu sei molto brava» Kisuke le accarezzò i capelli. Era del tutto preso da quella nuova relazione poligama, ma si sentiva un po’ in colpa perché si stava dedicando al lavoro e al suo progetto con Mayuri. Quest’ultimo lo avrebbe ammazzato, anche se forse al momento era troppo impegnato con i suoi problemi di coppia. Yoruichi sospirò, lisciandosi i capelli.
«Nessuno ci crederebbe, vedendoci.»
Soi Fon arrossì, lasciandosi coccolare da Kisuke.
«Ma come dovreste presentarmi ai vostri amici? Dicendo che sono… la vostra amante? La vostra… ragazza?»
Kisuke si mise a pensare. Amante suonava un po’ male.
«Effettivamente tu sei la nostra ragazza. Ma sei sicura vuoi che si sappia in giro? Verremmo molto giudicati, una relazione come la nostra non è ben vista.»
Soi Fon arrossì.
«Purtroppo lo so…»
«Non vi deprimete» disse Yoruichi. «Sono mal viste tante cose, almeno noi non facciamo del male a nessuno.»
«Per l’appunto!» Kisuke le diede man forte. «Stai tranquilla piccola Soi Fon, ti proteggiamo noi!»
Soi Fon arrossì e si imbronciò. Non era certo una bambina bisognosa di protezione, eppure non le dispiacquero le sue parole. Era un idillio, tutto troppo bello per essere vero.
 
 
 
Hayato tornò dentro. Gin e Rangiku non c’erano, quindi dovevano essere entrati per vedere come stava Rin. Toshiro si alzò, guardandolo.
«Puoi stare tranquillo, Rin è sveglia.»
Hayato sospirò, sollevato. Lui a Rin voleva bene. Anzi, gli voleva un bene proprio speciale, anche se era completamente incapace di dirlo.
«Meno male… Dov’è mia madre?» domandò guardandosi intorno.
«Sta parlando con tuo padre. Ma tu piuttosto come stai? Mi sei sembrato molto turbato.»
In realtà Hayato sembrava turbato da un pezzo, era diventato troppo silenzioso e taciturno, in realtà pensava di aver intuito il perché. Hayato fece spallucce, affranto.
«Ma perché ti importa di me?»
«… Cosa? Non capisco» Toshiro batté le palpebre. Hayato si sentiva in difficoltà, come se non sapesse esprimersi.
«Ah, non lo so nemmeno io! Perché hai fatto un altro figlio? Adesso cosa ti importa di creare un rapporto con me? Proprio adesso che stavi iniziando a starmi simpatico, tu fai un figlio che sarà veramente tuo. Non lo riesco proprio a sopportare!»
Anche se in modo molto confuso, Hayato aveva rivelato il suo cruccio e Toshiro aveva capito. Hayato era semplicemente un po’ geloso e impaurito di essere messo da parte. E poi era abituato a stare sempre al centro dell’attenzione.
«Hayato, ma… A parte che l’avere un figlio non era previsto e poi… ma questo non cambia certo le cose tra me e te!» Toshiro era sorpreso, non pensava che Hayato gli si fosse così affezionato.
«Certo che le cambia. Tra te e me, tra me e mia madre. Voi avrete la vostra famiglia. Io che di famiglie ne ho due, spesso mi sento bloccato in mezzo» disse strofinandosi un occhio. Non capiva perché dovesse dargli così fastidio. Suo padre adorava Miyo e la cosa gli era sempre andata bene, ma Miyo era una sua pari. Un bambino non ancora nato avrebbe catalizzato su di sé attenzioni e amore.
«Ti assicuro che non è così» ma come fargli capire che di lui poteva fidarsi?
Hayato distolse lo sguardo.
«È una cosa sciocca, lascia stare» borbottò,
«Hayato.»
«Toshiro, davvero, ora non è questo l’importante» disse, tornado ad un tratto serio. Hayato era in pensiero per Rin, ma di certo il discorso non finiva lì.
 
Quando Rangiku aveva visto sua figlia, l’aveva abbracciata e stretta e riempita di baci cercando di non piangere.
«Amore mio, mi dispiace tanto. Ma perché, perché non ci hai detto niente?»
Rin si lasciò cullare in quell’abbraccio.
«Non volevo far preoccupare nessuno, ma alla fine ho fallito comunque.»
«Rin, siamo i tuoi genitori, è compito nostro preoccuparci per te» Gin era sollevato di vederla muoversi, di sentirla parlare. Si era preso un bello spavemto.
«Sì, però…»
«Niente però. Sei tu la nostra priorità» decise Rangiku. Il resto sarebbe venuto dopo, per quanto importante o seccante. Non era il caso che Rin sapesse tutto nel dettaglio, per il momento. Ora dovevano pensare entrambi a curarla. «Andrà tutto bene, starai meglio.»
Rin chiuse gli occhi. Lei dubitava che sarebbe più stata meglio. Non fisicamente, ma psicologicamente.
   
 
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