Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
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Autore: EleWar    07/03/2023    5 recensioni
“Non dovevi andare in quel club per imparare a sparare, non ti permetterò di uccidere nessuno!” sentenziò l’uomo, cercando di ergersi sull’esile figura della socia.
E' difficile non ricorrere alle pistole quando si è degli sweeper professionisti, ma Ryo non vuole che Kaori diventi un'assassina... eppure... sarà solo questo che metterà in subbuglio i nostri amati City Hunter?
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Visto che domani è la Festa della Donna, ho pensato di fare un regalino a tutte le mie affezionate lettrici… *________* e se mai ci fosse anche qualche maschietto silente, auguri anche a voi! :D
Buona lettura e GRAZIE ancora per la vostra stima e simpatia.
Eleonora

 
 
 
Cap.3 - Sopravvivere
 
In quello stesso momento, a svariate miglia di distanza dalla stazione di polizia di Shinjuku, Kaori era arrivata al culmine di un colle e poteva finalmente guardarsi intorno.
Ma quello che vide non le diede sollievo alcuno, poiché  era circondata da alberi e piccole radure, e non si vedeva anima viva in giro, strade o sentieri di sorta e nemmeno costruzioni che indicassero segni di vita o attività umana.
 
Fu invasa dalla disperazione.
 
Ma che posto era quello?
Dove era finita?
E soprattutto, perché?
 
Si strinse le braccia intorno al corpo e sentì il freddo penetrarle nelle ossa; cosa ne sarebbe stato di lei? Come avrebbe fatto a tornare a casa, a tornare da Ryo?
Come poteva mettersi in contatto con lui, dove avrebbe trovato aiuto?
 
Stava quasi per cedere allo sconforto, quando una raffica di vento fece ondeggiare una verde cortina di arbusti, dall’altro versante della collina, e in quel movimento scomposto le parve di vedere una parte di muro, una porzione di grigio cemento.
 
Si rianimò all’istante e, senza perdere tempo, si mise quasi a correre lungo il pendio, malgrado il dolore alla gamba ferita e tutto il malessere fin lì sofferto.
Una scarica di adrenalina l’aveva temporaneamente anestetizzata e la speranza di trovare un rifugio, un riparo, o meglio ancora qualcuno in grado di poterla aiutare, le facevano dimenticare tutto.
 
Arrivò ai piedi del colle, e per poco non cadde, inciampando su di una radice che non aveva visto: si bilanciò e, per riprendere l’equilibrio, istintivamente frustò l’aria con le mani, finendo per graffiarsi nei bassi rovi.
Lì per lì nemmeno se ne accorse.
 
Avanzò nella vegetazione intricata, scostandola al suo passaggio e stando ben attenta a calpestarla, per acciaccarla e crearsi un varco, e mano a mano che procedeva fra i rami, vide apparire un vecchio muro sbreccato, mancante in un più punti dell’intonaco, ma sufficientemente regolare per farle sperare che fosse un riparo sicuro per la notte.
 
Su quel lato non c’erano finestre e Kaori dovette aggirarlo tutto per trovare finalmente l’apertura; sembrava un deposito di qualcosa, un magazzino, ma quando vi entrò dalla porta che pencolava dai cardini semi divelti, le ci volle un po’ per capire cosa ci fosse all’interno, perché la luce che filtrava dal soffitto e da una specie di apertura sul lato, mezza nascosta dai rami, non le permetteva una nitida visuale.
Solo quando gli occhi si abituarono all’oscurità, poté spingersi fin dentro; cautamente mise un piede avanti l’altro, saggiando il terreno: ci mancava solo che il pavimento marcio cedesse di schianto sotto il suo peso e finisse inghiottita in quel posto dimenticato da Dio.
Per fortuna le tavole fradice di legno poggiavano sulla nuda terra, e a meno che non si fosse aperta una botola da qualche parte, poteva avanzare abbastanza speditamente.
 
Apparentemente la costruzione era vuota, ad eccezione di uno spesso cumulo di foglie ammucchiate dal vento e rari ammassi di sporcizia non identificabile, ma totalmente inutili.
Non c’erano altre pareti che quelle perimetrali, e la costruzione sembrava essere costituita da un unico grande vano.
Il tetto era in legno e paglia intrecciata e il tutto dava l’idea che fosse un rustico ricovero, forse una vecchia stalla, non seppe dirlo.
E si stupì non poco quando, nella parete di fondo, dirimpetto all’entrata, scorse quello che aveva tutta l’aria di essere un camino primitivo, dove i resti di un fuoco di bivacco, potevano ancora scorgersi fra le foglie e i detriti caduti dalla canna fumaria.
 
Era il magazzino più atipico che avesse mai visto, ma forse, si disse Kaori, quello era un ricovero per gente di passaggio, per i boscaioli del luogo, per le antiche genti che frequentavano quei posti che, transitando per quella landa desolata, potevano trovare riparo dalle intemperie, magari solo lo spazio di una notte, per poi riprendere il cammino.
Era estremamente spartano infatti, e non pareva il classico chalet di montagna come ne aveva visti tanti… sui libri o in tv.
Veramente quel luogo dava l’idea che fosse solo un semplicissimo rifugio per avventurieri di passaggio, e che avesse perso la sua utilità originale, qualsiasi essa fosse stata.
 
Sembrava anche disabitato da tempo immemore, e chissà quando era stata l’ultima volta che qualcuno era passato di lì.
Per trascorrervi la notte, comunque, era più che sufficiente, decise la ragazza.
Starsene fuori nelle sue condizioni non era comunque auspicabile, e anche se la porta non si chiudeva – e nemmeno ci volle provare, con la paura che le cadesse addosso e le restasse sulle mani – e non potesse sprangare l’unica finestra che, in ogni caso era quasi schermata dai rami, era sempre meglio che restare direttamente esposta alle intemperie.
 
Si era anche rinforzato il vento, e a quel punto pregò che tutta la struttura reggesse per un’altra notte soltanto, almeno finché ci fosse stata lei dentro, perché quel persistente stato di abbandono non le dava tanta sicurezza di stabilità; purtroppo, però, non era nella condizione di poter scegliere e si adeguò di buon grado.
Il vento sibilava anche dentro il camino, e, si disse, era davvero un peccato non aver i mezzi per accendere un fuoco, o anche solo provarci.
Fra poco inoltre sarebbe stato tutto invaso dal buio, fuori e dentro il rifugio.
 
Sospirando, Kaori si servì dell’ultimo tenue chiarore per ammucchiare un po’ di foglie nell’angolo più riparato della baita e, recuperata una vecchia incerata, si avvoltolò in quella sedendosi sopra il fogliame, con le ginocchia ripiegate contro il petto; chinando la testa, sperò almeno di addormentarsi.
 
Ben presto, tuttavia, scoprì che più la sete, che la fame, le impediva anche di assopirsi, poiché il suo corpo era in sofferenza; e, soprattutto, ripensare alle ultime ore trascorse dopo la serata al One Shot, la mettevano in un tale stato di agitazione, che era pressoché inutile cercare di rilassarsi.
Perché dopo il One Shot era successo che…
 
 
 
oOo
 
 
 
Ryo girava per l’ufficio come un animale in gabbia, rabbiosamente fumava una sigaretta dopo l’altra, e Saeko aveva da tempo smesso di ricordargli che era vietato fumare all’interno della stazione di polizia.
Da che lo conosceva non lo aveva mai visto così agitato, disperato, totalmente fuori controllo.
E non era nemmeno la prima volta che Kaori era stata presa di mira da un balordo qualsiasi, per danneggiarlo indirettamente attraverso la socia, o perché finita accidentalmente nelle mani di un malintenzionato o di una banda di criminali.
E sempre Ryo aveva mantenuto il sangue freddo, non si era fatto prendere dall’emozione, e grazie alla sua esperienza e ai nervi saldi, era riuscito a trarre in salvo la partner, e magari finire per rimproverarla, o fare il porco maniaco con la stessa ispettrice, o con la bella di turno, suscitando le ire della salvata.
Apparentemente nulla lo spaventava e riusciva sempre a sdrammatizzare anche nelle situazioni più complicate o disperate.
Ma stavolta era diverso.
 
Saeko aveva visto il suo amico innamorarsi a poco a poco della giovane Makimura, l’aveva capito molto prima che lui stesso se ne rendesse conto, e il suo sentimento era cresciuto a tal punto che, a forza di negarlo e tenerlo nascosto, era arrivato quasi a schiacciarlo.
E Kaori, che lo amava come e più di quanto lui amasse lei, e che mai era riuscita a confessarglielo perché lui glielo aveva in qualche modo impedito, si era legata a Ryo in maniera indissolubile, si era votata a lui e alla sua vita da sweeper, sia per onorare la memoria dell’amato fratello, sia perché sentiva che quella era la sua vocazione.
 
Erano diventati inseparabili, sempre insieme eppure divisi, perché non permettevano al loro amore di sbocciare e manifestarsi.
Saeko non aveva mai conosciuto due testoni, ottusi, amanti senza speranza come loro, e non sapeva spiegarsi perché stessero sprecando la loro felicità.
 
Forse era anche per questo che Ryo era distrutto, pericolosamente sull’orlo della follia, totalmente incapace di mantenere la calma, di ragionare lucidamente e aspettare di raccogliere più informazioni possibili, come avrebbero fatto in un qualsiasi altro momento di crisi, piuttosto che dare di matto.
Se non glielo avesse impedito anche materialmente, Ryo avrebbe finito per picchiare a sangue quel Seitaro, che aveva commesso il doppio errore di innamorarsi di Kaori, e di non averla protetta abbastanza.
Ma la sweeper al momento della sparizione non era implicata in nessun caso: era stata avvistata per l’ultima volta in un tranquillo locale come tanti; era con tutte altre persone che non erano i soliti della banda; non era nei bassifondi di Shinjuku e, soprattutto, nessuno aveva rivendicato il misfatto.
Saeko sentiva che c’era molto di più, sotto, ma non riusciva a capire cosa e, si disse, se non avesse tenuto i nervi saldi almeno lei, dubitava che Ryo ci sarebbe riuscito.
 
Sospirò pesantemente.
 
Stava per perdere la speranza quando, dopo un breve bussare alla porta, si presentò un altro sottoposto annunciando che una giovane donna voleva conferire con l’ispettrice in persona, e con lei soltanto.
Con gli occhi cerchiati dalla stanchezza e dallo stress, la bellissima Saeko Nogami si voltò verso la porta e sostò per un attimo, indecisa sul da farsi.
Ryo non sembrava essersi accorto dell’agente, né aveva fatto caso a quello che aveva appena detto; Saeko lo guardò preoccupata e, prima di uscire, si avvicinò all’amico.
 
“Ryo…” lo chiamò dolcemente “Vedrai che la troveremo, ma adesso dobbiamo stare calmi, dobbiamo avere pazienza. Perché non esci a prendere una boccata d’aria? Sei esausto anche tu…” e nel dirlo gli toccò un braccio.
 
Solo allora Ryo si riscosse: sigaretta al lato della bocca più ciancicata che fumata, un accenno di barba, guance scavate, si stentava a rivedere in lui il simpaticone, il bell’uomo che era quando voleva fare il seduttore; era letteralmente a pezzi e a Saeko si strinse il cuore.
Per un attimo un pensiero agghiacciante le attraversò la testa: se fosse successo qualcosa di veramente brutto a Kaori, Ryo non sarebbe sopravvissuto.
Scacciò velocemente dalla mente quell’atroce possibilità e, guardandolo significativamente, cercò di convincerlo con i suoi occhi di pervinca.
 
Ryo annuì lentamente e si decise ad uscire; solo allora, quando l’ispettrice Nogami fu sicura che l’amico non avrebbe continuato a sfogare la sua frustrazione sull’incolpevole Seitaro, si risolse a raggiungere la donna che la stava aspettando, in un altro ufficio appartato.
 
E mentre Saeko si apprestava ad incontrare Minamoto Kurai, Ryo salì sul tetto della stazione di polizia e si accese l’ennesima sigaretta.
 
Da sotto la giacca, Ryo, estrasse la camicetta sporca e strappata di Kaori e se la portò al viso ad aspirarne l’odore, ma l’essere stata per così tanto tempo appallottolata ai bordi della strada, fra l’immondizia e l’umidità, ne aveva alterato il profumo.
Ryo sentiva solo l’odore acre della terra umida, un vago sentore di salsedine, pesce marcio, nafta e nemmeno una traccia dell’amato profumo della socia; il destino lo aveva privato anche di questa magra consolazione e gli salì un singhiozzo strozzato dalla gola.
Era in bilico sul ciglio del burrone, precariamente in equilibrio fra la disperazione e la speranza, e faceva di tutto per non pensare che, stavolta, avrebbe potuto perderla veramente; e si dannava ricordando le ultime parole che si erano detti, il malo modo in cui si erano lasciati, lui che le aveva voltato le spalle, adirato e contrariato.
No, non poteva finire così.
 
Giurò a sé stesso, e invocò tutte le potenze sovrannaturali, a cui non si rivolgeva mai, come testimoni e garanti del suo giuramento, che se fosse riuscito a riaverla indietro, le avrebbe detto finalmente che l’amava, che era pazzo di lei, che voleva vivere per sempre insieme a lei e non l’avrebbe più lasciata andar via.
 
Appoggiato con la schiena ad un alto comignolo, si lasciò scivolare fino a sedere a terra e, piegando la testa in avanti, pianse lacrime cocenti e amare.
 
 
 
 
 
oOo
 
 
 
 
 
“Signorina Minamoto Kurai, a cosa devo la sua visita?” domandò l’ispettrice alla giovane, cercando di mantenere il solito distacco, sfoderando una freddezza che era ben lungi dal provare: stava ribollendo di impazienza e frustrazione, avrebbe voluto occuparsi solo ed esclusivamente della sparizione di Kaori, e non aveva voglia di prendere in carico un altro caso, ma era altresì intrigata da quella strana richiesta.
Quel cognome poi non le suonava nuovo e la ragazza che aveva davanti era decisamente strana.
 
Minamoto Kurai era arrivata alla stazione di polizia bianca come un cencio, e il suo colorito spento era messo in risalto dall’abbigliamento monocromatico che la contraddistingueva.
I capelli nerissimi, lisci, lasciati spiovere sulla fronte fin quasi a coprire gli occhi solo apparentemente spenti; corto giacchino nero di pelle con borchie e catene, sopra un top anch’esso nero; minigonna di velluto nero con calze a rete nere; anfibi neri con una suola spessa e massiccia, che evidenziavano la magrezza delle gambe dritte ma decisamente troppo esili.
Le dita che non smetteva di torcersi, una mano con l’altra, sbucavano da corti guanti di pizzo nero, tagliati, e i numerosi anelli d’argento sembravano più orpelli funerei che i gioielli costosi quali invece erano.
 
Saeko non era sicura della tipologia della tipa, se fosse più una punk, o una dark, o un’emo-qualcosa; era aliena a queste mode che imbruttivano le persone più che valorizzarne la bellezza.
Lei, naturalmente dotata di avvenenza e fascino, non concepiva nulla di diverso dalla piacevolezza del bel vedere e del bel guardare; era un’esteta e chi, come lei, era stato baciato dalla fortuna e poteva vantare un bel corpo e un bel viso, aveva l’obbligo morale di aver cura di tali doti e metterle in risalto, se occorreva. Magari servirsene per impressionare e condizionare gli altri, per ingraziarseli, e quindi rigirarseli come meglio poteva, ma di certo non era concepibile combinarsi come la giovane donna che aveva davanti, che sembrava una stampa in bianco e nero di un film horror!
Santo cielo, ma come faceva ad uscire di casa conciata in quel modo?
L’ispettrice non riusciva nemmeno a capire che forma avesse il suo viso, se i tratti somatici fossero piacevoli, armoniosi, aggraziati, sotto quella cortina nera di capelli lisci e smorti.
E le forme?
Ne aveva?
Tutto quel nero appiattiva anche le eventuali rotondità del seno, per non parlare della magrezza che di certo pregiudicava tutto.
Si nutriva a sufficienza quella ragazza sciagurata?
Anche il colore della pelle non era sintomo di salute e le labbra esangui, rimarcate da un rossetto nero, la mettevano a disagio.
Le bocche dovevano essere belle piene e rosse, vermiglie, dovevano far desiderare di essere baciate, dovevano atteggiarsi a sorrisi maliziosi, dovevano essere umettate ad arte con un sensuale colpo di lingua, e non ispirare tetro ribrezzo!
E quegli scarponi da sposa di Frankenstein!
Inutile indossare calze a rete, se poi i piedi li si imprigionava in calzature che nemmeno Umibozu avrebbe messo.
No, non ci siamo, pensò Saeko.
 
“Se fosse mia figlia, o anche solo mia nipote, saprei io come far sbocciare la sua bellezza di giovane donna”
 
Si ritrovò a pensare la sensualissima Saeko, ma poi si redarguì per la sua impietosa disanima mentale.
Chi era lei, per giudicare il modo di vestire, e soprattutto di vivere, degli altri?
Ognuno era libero anche di volersi sentire brutto, o di conciarsi male per un insano, personalissimo gusto.
 
Del resto, nel suo mestiere aveva incontrato le persone più disparate ed eccentriche, e questa sarebbe stata una delle tante, anche se, al momento, non aveva nessun interesse ad imbarcarsi nelle vicissitudini di una povera ragazza sfigata, che, ne era sicura, le avrebbe sottoposto una richiesta strana al par suo.
Ma quando Kurai si decise a rispondere, Saeko Nogami per poco non cadde dalla sedia, perdendo all’istante il suo solito aplomb di donna in carriera.
 
“Kaori Makimura. Sono qui per lei” fu infatti la laconica risposta di Kurai.
 
   
 
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