Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: epices    10/03/2023    17 recensioni
La storia inizia con il ritorno di Fersen su suolo francese dopo la guerra americana, ma gli eventi non saranno quelli noti, anche perchè il bel Conte non tornerà da solo.
“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. (L. Pirandello)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Un alito di vento, fresco e frizzante come champagne pregiato ma senza dubbio più inebriante, le pizzicava il collo, appena sotto l’orecchio in quel punto che rimaneva scoperto nonostante i capelli, lunghissimi ormai, e allungava le sue dita invisibili fino al bordo della scrivania in radica dalle linee semplici e solide, tanto invise a corte a vantaggio dello stile rococò che spadroneggiava in ogni minimo dettaglio, per arrivare ai fogli sui quali aveva appena terminato di vergare i turni dei suoi soldati per la settimana seguente, sollevandone i margini in un gioco dispettoso.
Recava suoni e odori dal mondo che circondava quei muri secolari, quello che aveva scelto come proprio, facendone traboccare l’animo di una gioia nuova e irrinunciabile. Erano refoli grevi degli improperi dei soldati che, con passo strascicato si avviavano ad un turno scomodo, di strofe di canzoni da taverna masticate per riempire il tempo tra il cortile e il dormitorio, di ordini chiari e precisi, mai abbaiati con furia o per la semplice volontà di mortificare chi gli si trovava di fronte.
Erano gli ordini di André.
Arrivavano fin dentro le pareti le sue parole secche ma premurose, più efficaci di mille rimproveri e le sue risate allegre quando con i soldati, oltre il dovere, condivideva anche i momenti di pausa. Era sempre stato così, lui. Attirava con il miele e in esso si rimaneva invischiati senza pensare di poterne fare ancora a meno. Nessuno lo sapeva meglio di lei.

“A Versailles ci rifugiavamo nel mio ufficio” - aveva provato ad obbiettare lei qualche giorno prima, nella pausa tra due esercitazioni, mentre seduti sulla scrivania di lui dividevano la stessa mela come facevano talvolta da ragazzi quando il protocollo di Corte dava un po’ di tregua e allora andavano alla ricerca di brandelli di semplicità.

“Ma adesso le mele sono nel mio...”- l’aveva guardata, sornione, prima di offrirle il frutto perché lo attaccasse di nuovo a piccoli morsi - “...anche se non ho nemmeno un coltello”

Lei aveva sorriso: “Tutto cambia, no?”

“Quasi tutto...”- l’aveva guardata intensamente ma in quel luogo era meglio ascoltare il suo lato giocoso - “...ad esempio, siamo ancora insieme a sbocconcellare una mela, non lo avrei mai creduto possibile”

“E...cosa ti aspettavi...al ritorno?”

“Di rivedere te...anche se soltanto da lontano”- aveva risposto lui masticando piano, distogliendo lo sguardo. Lei si pentì subito delle parole che le salirono alle labbra; in quell’equivoco che era stata la loro vita, a parti invertite, non sarebbe stata da meno.

“Perché non hai mai scritto?”

“L’ho fatto...ma non ho mai spedito nemmeno una lettera. L’ho fatto tutte le volte che vedevo qualcosa che sapevo avresti amato, per raccontarti di come ti sarebbe piaciuto, dei sorrisi che mi suscitava il pensarti felice, nonostante tutto. Delle volte in cui avrei avuto bisogno...”

“Le conservi ancora?” - non lo aveva lasciato finire per colpa del cuore che le si gonfiava d’amore e dolore, premeva sulle parole, per farle uscire, per la fretta di conoscere cos’era stato lui, senza di lei.

Lui aveva annuito.

“Potrei...no, niente” - aveva frenato la curiosità perché forse c’è solo un momento giusto per dire le cose ma lui aveva capito e, allungando una mano dietro la sua schiena aveva aperto il cassetto della scrivania.

“Sono tutte qui. Però Oscar, ti devo avvisare...c’è la guerra su quei fogli, ciò che mi ha fatto diventare. C’è un uomo che non conosci”

“Quello che si sveglia di soprassalto in piena notte?”

Aveva annuito di nuovo, lui, raccogliendo con il pollice una goccia di succo zuccherino dall’angolo delle sue labbra.

“Te ne accorgi allora...”

“Sì ma non ho mai voluto interferire. Ciascuno di noi sa qual’è il modo più giusto per affrontare i propri incubi...” - l’aveva guardata senza osare toccarla ma certo di voler tornare all’atmosfera serena di poco prima, quella delle piccole cose, di una mela a metà.

“Ci sei anche tu però su quei fogli...come ti inventavo, come speravo stessi vivendo. Ci sono le mie ragioni e le mie scuse...per quella notte”

“Ormai quella notte non ha più segreti...”

“No...ma io sì...” - aveva sorriso lui, piano e forte insieme - “...sono lettere scritte da un uomo affamato del tuo volto, della tua voce, di te. Sono i desideri di un uomo di fronte alla caducità dell’esistenza...forse non è bene che tu le legga” - il sorriso era diventato allusivo e complice e lei, nonostante ormai conoscesse i segreti dell’amore, era arrossita, senza riuscire a ribattere.

Altre parole per lei, altre parole di carta. Quanto era costata ad entrambi una lettera non letta?

Sono i desideri di un uomo di fronte alla caducità dell'esistenza…

Quando lui era uscito per la ronda del pomeriggio, quelle parole per lei non era proprio riuscita ad ignorarle. Contenevano miele ma anche la crudezza della vita e un’urgenza che sentiva palpitare nel profondo, come le avesse scritte di suo pugno. Quella stessa sera, i suoi desideri, con l’animo trafitto da tutti i colpi che lui era riuscito a schivare, dopo essersi sfilata l’uniforme ed infilata, nuda, tra le coltri e le sue braccia, li aveva realizzati tutti.
Senza staccare gli occhi dal foglio che stava leggendo, scostò il fermacarte più al centro della pila di documenti per non farsi distrarre, a chiudere la finestra non ci pensava minimamente. Era il sapore della sua vita quello che veniva da fuori e non aveva intenzione di rinunciarvi ma la concentrazione l’abbandonò del tutto quando avvertì sotto le dita la superficie liscia e perfetta del sasso plasmato dal mare che utilizzava a quello scopo.
Indugiò un istante sul disco piatto e grigio che una mattina di quasi otto anni prima il mare normanno, scostante come solo lei sapeva essere in certe occasioni, le aveva consegnato direttamente sui piedi nudi. Si era chinata e lo aveva raccolto, colpita e affascinata dalle due venature bianche e lucide, quasi vitree, che correvano parallele, si annodavano e tornavano a dipanarsi una accanto all’altra per poi ricongiungersi di nuovo sull’altra superficie fino ad una spaccatura resa quasi invisibile dai secoli trascorsi tra le onde, dove sparivano in profondità senza dare alcun sentore di quale fosse la loro direzione.
Non lo sapeva nemmeno per quale motivo lo aveva raccolto e conservato tutto quel tempo, inventandosi che quelle linee potessero formare un cerchio continuo, senza fine né principio e, rigirandolo tra le mani, quando la mente si allontanava e il dolore le stringeva lo stomaco in una morsa d’acciaio prima di sferzare il cuore e strattonarlo tanto forte da non poter uscire senza una nuova ammaccatura, ogni volta, tanto da chiedersi quanto avrebbe resistito.
Ora che la vita, pur con profonde differenze e lividi che a toccarli ancora si facevano sentire, era tornata a somigliare a quella che conosceva, le sembrava di essere tornata a respirare e quei refoli d’aria, ora che l’inverno era finito per davvero, le davano una sensazione di benessere inconsueta e irrinunciabile. Nel tepore dell’aria primaverile, la voce di André risuonò inaspettatamente vicina.

“Oscar, Oscar, sono arrivati!”

Lei staccò lo sguardo ma non la mente dai fogli che aveva tra le mani. André aveva bussato, non aveva perso l’abitudine di rispettare i confini di quel mondo singolare che era la vita di lei anche se adesso ne aveva libero accesso a tutte le meravigliose sfaccettature di cui era composto. Ma l’impazienza di avvisarla, per una volta, era stata più forte dell’educazione e non aveva atteso il suo assenso prima di aprire l’uscio, tanto da guadagnarsi un’occhiata infastidita e ostile, difficile dire se rivolta a lui o al contenuto delle righe – burocrazia a giudicare dai timbri e dai sigilli che vedeva impressi sulla carta - abbandonate così bruscamente. Ma non appena lo vide e comprese, annuì e si alzò senza indugi. Aspettavano da giorni, con trepidazione crescente, il rientro di Tim Simmons e del nipote dal loro viaggio sulla costa atlantica, tanto più dopo la lettera ricevuta giorni prima da André.

...non ti nascondo, André, che questo viaggio mi sta regalando emozioni difficili da esprimere. Mi trovo nei luoghi dove la mia Juliette è nata e cresciuta e in ogni strada e in ogni angolo mi ritrovo a pensare se lei abbia mai calpestato il suolo che ora sta sotto i miei piedi. Abbiamo soggiornato qualche giorno a Nantes e siamo andati alla ricerca di un vecchio indirizzo. Ora ospita la fucina di un fabbro ma osservando le finestre del primo piano, io e Baptiste ci siamo ritrovati entrambi con gli occhi lucidi sapendo che l’, in quelle stanze, mia moglie e suo padre sono venuti al mondo.
So bene che sono altre le notizie che ti aspetti da me ma abbiamo parlato tanto, io e te, negli anni che hai trascorso a casa mia, che trovo naturale esternarti queste mie sensazioni sulle quali però non voglio indugiare. Ci troviamo sulla costa adesso, in una semplice locanda e, osservando mio nipote, devo dirti che lo vedo ogni giorno più teso. Ieri, dopo aver osservato la marea che inghiottiva le strade e trasformava la penisola di Noirmoutier in un’isola – spettacolo davvero suggestivo, raramente mi è accaduto di osservarne di eguali – ci ha raggiunto un ragazzo che avrà all’incirca la sua età e, viste le circostanze, non ha potuto fare a meno di presentarmelo anche se ho notato una certa reticenza, anomala per mio nipote.
Questo ragazzo è francese, si chiama Robert e Baptiste dice di averlo conosciuto a Richmond alla fine della guerra nella quale pare abbia combattuto come soldato semplice.
Chissà, magari lo conosci…
Il ragazzo è originario di queste zone e mio nipote mi ha dato ad intendere di averlo avvisato del nostro viaggio ma la mia impressione, da alcune frasi captate per caso, è che si siano già incontrati da quando siamo arrivati in Francia. Probabilmente è lui uno di quei ragazzi di cui parlava il tuo amico Alain.
Capirai che non posso chiedere di più, mio nipote è un uomo adulto e io mai mi sono permesso di chiedere dove e con chi passasse le sue serate in città.
Dopo i convenevoli di rito, con la scusa di avere tanto da raccontasi, hanno trascorso diverso tempo a passeggiare lungo la baia e oggi sono usciti insieme. Non ho potuto unirmi a due giovani ansiosi di stare soli ma la loro assenza mi dà l’occasione di scriverti e consegnare di persona questa lettera alla stazione di posta qui nel villaggio…

Il primo giorno di Oscar come comandante della Guardia Metropolitana si era concluso nel suo ufficio dove Alain, grazie alle conoscenze fatte al Café de la Régence, aveva fornito informazioni preziose per l’interpretazione degli eventi e l’identificazione delle persone. E quel Robert, la cui descrizione fatta per lettera, talmente ordinaria da adattarsi a milioni di francesi, si adattava perfettamente a quella riportata dal soldato, era stato facile da riconoscere.

“D’altronde, André, se lui fa la spola tra la costa e Parigi, non potrebbe esistere una persona più adatta...”

“Già...come fai a ricordarti di qualcuno che non ha niente per farsi ricordare?”- era stata Oscar a confermare l’ipotesi del soldato, mentre osservava le luci della città, oltre gli edifici della caserma.

“E quell’altro, come hai detto che si chiama?”

“Louis...”

“Louis...lui potrebbe essere di Parigi e, per questo, sapersi muovere bene in città, essere in grado di nascondersi e sparire in caso di necessità...”- le osservazioni di André cadevano con ritmo incalzante

“Se è cresciuto in strada potrebbe sfuggire all’intero plotone delle guardie reali...”- aveva commentato sarcastico Alain, abbozzando nel mentre un gesto di scusa nei confronti del suo comandante che non aveva dato cenno di esserne turbata, consapevole della veridicità di quelle parole ma che aveva sospirato e, volgendosi verso di loro, cercato di tirare le somme.

“Quindi...sappiamo dell’esistenza di questa pianta sconosciuta in Europa che si presenta come tabacco e cresce nella Nuova Spagna, c’è un ragazzo di nome Robert che probabilmente la riceve in Vandea per farla avere a qualcuno a Parigi...e c’è questo Louis che forse la riceve personalmente o forse no e la consegna...a chi?”

“Ci sarebbe dell’altro comandante...” - Alain aveva ripreso la parola, restio e turbato. Proprio non gli sembrava possibile lei potesse entrarci in qualche modo in quella faccenda ora che la conosceva un po’ di più e, timidamente, aveva iniziato a raccontare di quella persona con lineamenti fini, da donna ma con la voce di un uomo, a meno che non fosse molto brava a fingere, studiando di sottecchi la sua reazione.

Davanti ai suoi occhi azzurri, increduli e sgomenti,ma irrimediabilmente sinceri, aveva compreso che non poteva in alcun modo trattarsi di lei, che quel timbro roco e inconfondibile, in nessuna sfumatura possibile poteva essere scambiato per ciò che non era. Ma almeno avevano un indizio.
A quella prima sera erano seguite giornate innegabilmente faticose. L’accoglienza riservata al nuovo comandante era stata tutt’altro che calorosa ma Oscar non si era aspettata nulla di meno, considerate le abitudini del suo recente predecessore.
Dal secondo giorno aveva iniziato a mettere in pratica la fine strategia imparata dal padre. Si era recata personalmente nei locali dove veniva preparato il cibo e, di fronte a due cucinieri esterrefatti che l’avevano scrutata torvi, con l’aria di chi non può più sputare nel piatto degli alti ufficiali perché quello stesso cibo poteva finire nella bocca di un uomo del popolo, aveva preteso di avere lo stesso rancio dei soldati.
In quel modo aveva riempito le pance, appagato l’appetito e migliorato l’umore dei suoi uomini che, timidamente, avevano iniziato a mostrarle una dedizione crescente anche grazie ad un Alain certo del rispetto che tutti avevano per André e che, forte di ciò, si era lasciato sfuggire, assolutamente per caso, che il loro capitano era cresciuto con quell’ufficiale insinuando l’idea che, alla luce d ciò, non potevano essere poi così diversi.
Ma ciò che l’aveva assorbita ed impegnata anche fuori di lì quando, con i resti di una cena fredda sul pavimento, con André, la sera aveva studiato le possibili vie di approvvigionamento seguite dai contrabbandieri. Erano partiti da dove tutto pareva iniziare, analizzando le tappe, una ad una.
Le merci viaggiano sull’acqua, Oscar...il fiume James viene utilizzato per trasportare materiali dalle contee più occidentali verso la costa, vedi?”- lei annuiva, pensierosa, seguendo i percorsi immaginari che le dita di lui tracciavano sulle mappe.

“Molte piantagioni hanno piccoli porti lungo il fiume per poter imbarcare il raccolto e trasferirlo verso il porto di Richmond e...verso l’Europa”

“Ne hai uno anche tu?”

“Ne ha uno la piantagione. Ti ho spiegato com’è l’organizzazione e io ora, dopo l’acquisto di questa casa, possiedo poco più di un fazzoletto di terra che Jason può facilmente gestire insieme al resto che ora è suo”

“Cosa significa?”- si era fatta seria nell’apprendere quella novità che non era sicura di gradire.

“Questa casa non l’ho pagata in denari, non ne ho così tanti Oscar, te l’ho spiegato. Ma diciamo che è stato uno scambio. Un posto a Parigi, vicino a te per terreni che so verranno gestiti da un uomo con il cuore grande”

“Come te”- aveva affermato convinta

André aveva sorriso, distogliendo lo sguardo. A lui non sembrava mai abbastanza. Lei invece non lo aveva distolto dall’uomo con cui condivideva la vita e molto altro.

“André?”

“Dimmi”

“Non devi rinunciare ai tuoi sogni per me. Io li voglio condividere, non li voglio annullare” - aveva cercato la sua mano, lei, grande abbastanza da nasconderci tutte le dita.

“Li condividiamo anche qui...”- eppure era forte il richiamo della libertà in un Paese che l’aveva già conquistata e in cui, certe battaglie, forse avrebbe potuto risparmiargliele.

“...comunque c’è ancora qualcosa di mio laggiù...magari un giorno ti ci porterò a cavalcare nelle praterie inseguendo il tramonto ma prima...”

“...prima dobbiamo far luce su questa vicenda. Come pensi Baptiste sia coinvolto in tutto ciò?”

“Lui aiuta a preparare i barili. Vengono caricati su imbarcazioni fluviali che fanno la spola con il porto dove, in attesa, ci sono le grandi navi mercantili della Compagnia delle Indie”

“E tu credi che…?”

“A questo punto sì...ma non so come e soprattutto perché...”

Poi, quando lui aveva visto la stanchezza velarle gli occhi, l’aveva attirata a sé, sedendosela in grembo per poggiare la fronte sul suo petto e trovare, lì, conforto contro ogni pensiero molesto.
Non si sarebbe mai spiegato come, dopo tutte le atrocità di cui era stato testimone, dopo gli uomini ai quali aveva dovuto togliere la vita, dopo aver compreso di potere accogliere anche la morte come una benedizione, davanti a quel seno di donna che era stato anche seno di madre, nascosto appena dalla camicia sottile, fosse ancora in grado di tremare di paura.
Era andato a cercarlo sotto la seta e lei aveva avvertito il fremito della pelle attorno alla sua, ancora sotto la stoffa, quella da raccogliere tra i palmi per suscitare giù nel ventre i morsi di una fame da saziare solo con lui addosso, senza fretta.
Lentamente gli aveva fatto scorrere le dita tra i capelli, fili di seta nera che ormai avevano raggiunto le spalle e che si ritrovava, anche in momenti inopportuni, a desiderare su di sé come la prima volta, quando il mondo oltre quella cortina morbida era sparito insieme alle sue regole.

“Sono cresciuti, peccato tu non abbia più il tuo nastro...”

“Chi ti dice che non l’abbia più? Non potevo buttarlo, tiene insieme i pezzi della mia vita con te...anche l’ultimo”- stringendole i fianchi se l’era stretta addosso avvertendo il suo vigore sbocciare sotto il peso di lei che, come lui, era tornata allo stesso istante, alla striscia di raso blu sulla pelle bianca, lì dove il suo corpo rispondeva al tocco lieve del pollice, oltre la stoffa, e si ergeva a chiamare, suadente, le labbra per farsi avvolgere ancora e ancora, come allora, spalancando allo stesso modo, le porte alla follia.
 

Qualsiasi risposta da parte di Oscar venne soffocata da un trambusto improvviso in cui entrambi riuscirono a distinguere passi concitati, sempre più vicini. Con gli occhi fissi ciascuno sul volto dell’altro per cogliere il primo baluginio di comprensione e le orecchie tese al corridoio, restarono immobili finché lo spazio non venne riempito completamente da quel baccano che si riversò sulla porta prendendola a pugni.

“Comandante! Presto!”

André che ancora teneva la maniglia stretta tra le dita, la abbassò permettendo così al soldato di apparire in tutta la sua concitazione.

“Cosa succede?”

“C’è la moglie di Jules”- ansimò Alain nello sforzo della corsa - “Presto scendi! Anche voi, comandante!”

Ordini da un sottoposto Oscar non ne aveva mai presi né nessuno si sarebbe mai sognato di impartirglieli ma il tono allarmato di Alain guidò il suo incedere trasformando le falcate veloci in una corsa agile e decisa.

“Ma che succede?”- tuonò mentre divoravano i corridoi

“Non ho capito bene ma si tratta del figlio...”

 

Sul lato del cortile adiacente l’armeria, una donna dai lunghi capelli scuri gesticolava tra le lacrime, aggrappata alla giubba di un soldato che doveva esserne appena uscito, come suggerivano le mani ancora lucide dell’unto utilizzato per la manutenzione dei fucili. Poco lontano, Tim Simmons e il nipote appena scesi dalla carrozza, assistevano costernati a quella che aveva tutta l’aria di essere una tragedia familiare e il più anziano dei due, come dettava la coscienza, aveva già mosso i primi passi verso la chiazza blu che andava aumentando di dimensioni quanto più la voce si spandeva tra i soldati.

“Jules Duval, qual’è il problema?”- Oscar che aveva impiegato una manciata di giorni per imparare a memoria l’anagrafica di ciascuno dei suoi soldati, si fece largo nel capannello di uomini incuriositi e preoccupati.

“Comandante!”

La donna bruna si immobilizzò e per un istante smise anche di respirare, avvinghiando la stoffa delle maniche del marito non appena avvertì che le sue braccia la stavano lasciando per assumere, in una sorta di riflesso involontario, una posizione più consona al grado del suo superiore.
E in quel momento lo odiò, lo odiò per il rigore e il rispetto che riservava a qualcuno che per lei non ne aveva mai avuto, per il suo dolore di madre calpestato dai nobili tacchi di un uomo tanto vile da non aver esitato ad infilarle le mani sotto la gonna nonostante i suoi dinieghi e la gravidanza evidente.

“Madame, cosa succede?”- lo sguardo umido si allargò di sorpresa al tono fermo ma gentile, alla cortesia instillata in ogni parola, ben diversa dagli approcci licenziosi che le erano stati dedicati in altre occasioni, poi si alzò sul volto del marito che le sorrise, incoraggiante. Solo allora trovò il coraggio di voltarsi lentamente e, di fronte a quegli occhi severi ma limpidissimi, anche le parole.

“Mio figlio...sta male...da stamattina...”

Oltre il crocchio di soldati Osar incrociò l’espressione turbata di Tim Simmons e, con un impercettibile movimento del capo, gli intimò di avvicinarsi.

“Madame, riuscite a raccontare qualcosa in più? Forse posso esservi d’aiuto, è il mio mestiere”- il tono garbato e il sorriso indulgente compirono la magia definitiva e la donna iniziò a raccontare.

E più raccontava più lo sgomento traspariva dai volti di chi sapeva collocare le informazioni, tanto da accordarsi con pochi battiti di ciglia.

“Mostratemi dove abitate, svelta! Vengo con voi!”

“Prendete la carrozza, farete prima. André vai con loro!”

André annuì e, passando un braccio attorno alle spalle di Baptiste che si era tenuto in disparte ma non aveva mai distolto lo sguardo da Alain, lo trascinò con sé nell’abitacolo.

“Alain, aspettami qui insieme a Duval. Devo prendere una cosa, intanto preparate i cavalli, poi andremo anche noi”

***

Io ho fatto il possibile...il piccolo è molto provato, non ci resta che attendere”- Tim, con ancora le maniche arrotolate sopra i gomiti e una mano impegnata da alcuni flaconi, chiuse la porta della stanzetta che accoglieva i giacigli di tutta la famiglia e si rivolse a Jules Duval seduto al tavolo di cucina, la testa raccolta tra le mani, insieme alla sua angoscia.

“Devi preparare tua moglie al peggio e pregare per il meglio...siamo un po’ in ritardo sui tempi...”

Il soldato neanche lo ascoltava, rimuginando colpe e pensieri.

“Dannazione! MI maledico tutti i giorni per non riuscire a dargli di più! Abbiamo appena i soldi per comprare il pane...e poco altro”

“Sì, lo so. Madame mi ha riferito che la colazione di stamane è stata una pagnotta fragrante, ancora calda di forno. Lei non l’ha toccata per permettere al piccolo un pasto più sostanzioso...sono riuscito a farlo rigettare, attendiamo. Come ho già detto siamo in ritardo sui tempi...”

Jules Duval alzò il capo di scatto - “Ma come? Non è peggio? Avrà ancora meno forze per riprendersi...”

“Era necessario farlo rigettare ma il medicamento che uso è tanto più efficace quanto più celere è il suo utilizzo. Credo che il problema sia nato proprio dal pane”

“Tim?”- André lo interrogò con lo sguardo dall’angolo opposto della stanza e lui annuì con cipiglio severo a conferma che quella era esattamente la situazione sulla quale facevano congetture da mesi, quella descritta da Oscar, quella riscontrata da Lassonne nel reggimento in capo al generale Jarjayes.

Alain, tenutosi in disparte fino a quel momento, immobile con le spalle al muro, permettendo alla sua ansia di manifestarsi soltanto attraverso un piede che tamburellava sulle assi di legno del pavimento, in due falcate raggiunse Baptiste e, senza concedergli nemmeno il tempo di trattenere il respiro, lo afferrò per il bavero sollevandolo dallo sgabello dal quale osservava il silenzio degli altri chiedendosi se potesse rendersi utile e cancellando ogni idea di casualità nel suo incontro con Alain nei locali della città.

“Adesso ci racconti tutto! Basta giocare a fare i cospiratori!”

“Che significa?”- Jules Duval si alzò bruscamente, mosso da una rabbia disperata, facendo rotolare la sedia all’indietro, pronto a sfogare la sua frustrazione di padre ferito contro qualcosa, qualunqu cosa anche se nemmeno la conosceva.

“L’amico, qui, ha qualcosa da dirci...”- sibilò Alain dritto sul viso del giovane americano che lentamente gli scivolò tra le mani crollando nuovamente sulla seduta, tremante e pallido come un morto.

“Cosa puoi raccontarci di questo?”- Oscar gli si accostò, armeggiò qualche istante sotto i capelli per sfilare una cordicella dal collo e, piegandosi sulle ginocchia, gli mise sotto il naso un piccolo sacchetto di stoffa. Dall’apertura allentata si percepiva un intenso odore di viole.

Il ragazzo sbarrò gli occhi, incredulo e spaventato mentre le mani gli scivolavano tra i capelli arruffando la chioma ordinata.

“Io non sapevo...non credevo…io...”
“Ti conviene smettere di balbettare! Che intenzioni avete tu e i tuoi compari?”

“Alain, esci per favore! Oppure calmati”- André afferrò l’unica sedia libera e prese posto di fronte a Baptiste mentre l’amico dava loro le spalle perdendosi in passi rabbiosi ma con nessuna intenzione di uscire ora che erano ad un passo dal chiarire quella faccenda.

“E’ il caso tu ci racconti ciò che sai...”- si rivolse al giovane, André, imponendosi un tono mite a dispetto della collera che gli montava dentro.

“Sei stato tu a mettermi Alain alle calcagna, vero?”
“Sì, il tuo atteggiamento mi aveva insospettito...”

“Io...André...io volevo solo...”- deglutì angoscia e lacrime Baptiste, poi con uno sforzo enorme raccontò la sua verità.

“Mio padre è morto per la libertà di un Paese che non era nemmeno il suo, per un ideale in cui credo anch’io...e ci credi anche tu André! Lo so che ci credi anche tu! Altrimenti non avresti fatto ciò che hai fatto...tu e mio cugino...in Virginia”- si protese verso l’altro, Baptiste, affinché vedesse da vicino ciò che gli animava la coscienza.

“Sì è vero...condividiamo gli stessi ideali” - concesse André, impassibile.
“Io ti stimo molto per questo, per...”

“Anch’io ti stimo...per l’aiuto che ci hai dato, per ciò che hai fatto insieme a noi. C’eri anche tu in fondo, no? C’eri anche tu a sostenerci nel tentativo di dare un nuovo corso alle cose, di segnare un nuovo cammino. Non era forse abbastanza per te? Ci sono tanti modi per vincere una battaglia, Baptiste, che significa tutto questo?”

Ci sono tanti modi per vincere una battaglia

Ancora quelle parole. Rivide suo padre in quell’ultimo giorno a casa. Le camicie infilate nella sacca da viaggio e l’ultima tazza di caffè, quasi piena, che aveva trovato sul tavolo di cucina dopo che, sull’uscio, lo aveva salutato con quelle parole.

Strinse le mani, Baptiste, e batté i pugni chiusi con forza sulle cosce.

“Ma come puoi non capire?!? Io non ho potuto partecipare André! Anche tu sei venuto a combattere una guerra non tua e io non ho fatto niente! Fossi stato in battaglia con mio padre forse sarebbe ancora vivo!”

André scosse il capo, turbato.

“O forse saresti morto anche tu. La guerra non perdona, credimi. Non avresti potuto far niente e chi torna a casa non è più lo stesso...”- sospirò, André, cominciando ad intuire.

“Quindi hai deciso di combattere una guerra non tua? Una guerra che non prevede campi di battaglia sui quali non ti è concesso andare? Per cosa, per riconoscenza, per contraccambiare un favore?”

“Per liberare un altro popolo...quello di chi è venuto a combattere per il mio!”
“Chi?!? Chi è venuto a combattere per il tuo?”

“Voi! Voi siete enuti a combattere per il mio! Alla fine della guerra, dopo che tu e il Conte Fersen siete arrivati a casa nostra, ho conosciuto dei soldati francesi...siamo diventati amici...”

E raccontò, Baptiste, dell’incontro in una taverna, dei discorsi annaffiati di birra, dei sogni e della voglia di un mondo nuovo che apparivano sempre più chiari nell’atmosfera fumosa alla quale contribuivano attivamente, anche con quel tabacco sconosciuto che uno dei ragazzi portava dalla Nuova Spagna.

“Joachin ci ha spiegato come usarlo, ne basta pochissimo per farti sentire leggero e invincibile alllo stesso tempo. Quando Luois e Robert sono tornati in Francia, il suo regalo è stato un sacchetto poco più grande di questo”- concluse rigirando tra le mani la piccola borsa che Oscar gli aveva consegnato.

“E poi?”

“Dopo qualche mese ho ricevuto una lettera. Io ero l’unico in quel momento con un indirizzo stabile e Robert mi chiedeva se fosse possibile farla arrivare in Francia in quantità più cospicue. Ricordo di aver riso pensando avesse fatto successo tra i suoi conoscenti ma poi, scorrendo la lettera, mi sono reso conto che il quadro era completamente diverso. Diceva che suo fratello, che non ho mai conosciuto, aveva degli amici convinti potesse essere utile per favorire la caduta della monarchia...”

“Come?”

“Non lo so...”

“Che significa non lo sai!?!”- Oscar, che aveva taciuto fino a quel momento con il cuore stretto in una morsa di pena e orgoglio per quell'uomo che diceva di non essere più lo stesso ma che tremava sotto le sue mani come il ragazzo che era stato, non riuscì a trattenere la furia.

Baptiste si accostò al muro alla ricerca di un riparo che ormai aveva capito non esistere.

“Giuro che non lo so. Io ho solo organizzato il trasporto. Joachin mi faceva avere le foglie e io le imballavo in un doppio fondo di alcuni barili...mi dispiace André...io non credevo...”

“E poi?”

“Mettevo un segno di riconoscimento per Michel...lui è rimasto in America, lavora per la Compagnia delle Indie. Ha avuto istruzioni precise di imbarcare questo tabacco su navi dirette al porto di Saint Nazaire”

“In Vandea?”- Oscar lo incalzava senza tregua, dirigendo le domande in una direzione precisa, dopo un muto passaggio di testimone con André, quasi che, ora che si parlava dell’arrivo nel suo Paese, si sentisse legittimata a condurre il discorso.

“Sì, in questi giorni ho capito come fanno. E ho anche compreso l’origine dell’errore che l’ha fatto arrivare ai soldati. Era importante capirlo affinché non accada più, per evitare che il nostro traffico venga scoperto...”

“Infatti lo abbiamo scoperto. E ora avresti la cortesia di spiegare anche a noi come si è verificato l’errore...”

Baptiste annuì, deglutendo.

“Le navi sostano al largo dell’Île d’Yeu, a poche miglia dalla costa, per poche ore finché non ricevono il beneplacito per attraccare non appena si libera una banchina...il porto non è grande come quello di Richmond”- André, davanti a lui, annuì per incoraggiarlo a proseguire.

“...c’è stata bonaccia nei giorni in cui la nave doveva attraccare. Ciò le ha impedito l’ingresso in porto che è stato possibile solo successivamente, contemporaneamente ad un’altra nave, estranea alla cosa ma sempre proveniente dal Nord America. Sono state confuse le casse...con Robert in questi giorni abbiamo controllato i registri di sbarco negli uffici del porto. Ha pagato qualcuno perché ci consentisse di entrare...profumatamente”

“Deve essere ricco questo tuo amico”

“No, non lo è. Ha ricevuto i soldi per risolvere questo problema”

“Da chi?”

“Non lo so”

“Chi ha confuso le casse?”- tentò un’altra strategia, Oscar, mossa dagli occhi cerchiati di una madre apparsa sulla soglia della stanza al cui interno il figlio lottava per restare aggrappato alla vita. Lui stava ancora lottando per la vita.

“Non lo so. So solo che i responsabili dell’errore sono stati assassinati. L’ho scoperto pochi giorni fa. Robert non c’era quella volta, stava male. Di solito è lui che riceve le casse a terra e si occupa del trasporto a Parigi”

“E poi?”

“Non so altro...non so cosa ne facciano e non lo sa nemmeno lui. Louis mi ha detto che meno ne avrei saputo, meglio sarebbe stato ma...”

Baptiste abbassò lo sguardo scuotendo il capo, comprendendo in quel momento quanto sarebbe stato importante saperne di più.

“...io volevo sapere...l’ho seguito, però l’ho perso”

“Dove?”- le domande di Oscar cadevano implacabili senza nessuna possibilità di sottrarvisi.

“Vicino Place des Vosges

“Vicino Place des Vosges, dove? Non ricordi nulla, un particolare, una porta, un’insegna?”

“Dietro...credo. Io non conosco la città...”

“Dobbiamo parlare con Louis e convincerlo a dire ciò che sa. Devi contattarlo, poi...”

“L’ho già fatto. Gli ho scritto che sarei tornato oggi. Siamo d’accordo di vederci, per potergli raccontare...”

“Quando?”

“Stasera”

“Veniamo con te. Se nel frattempo dovessi ricordare qualcosa...”

“No, io...”- stava per arrendersi, Baptiste, quando ricordò la sensazione di smacco suscitata da un sole ridente che pareva burlarsi delle sue misere doti di segugio dall’insegna in legno della Boulangerie Girard che gli dondolava pigramente sopra la testa.

 

Questa è la prima parte di un capitolo che non avrei voluto spezzare ma che sarebbe risultato veramente troppo lungo. Non me la sento di chiedere tanto a chi ancora segue e che ringrazio per la lettura e al pazienza

   
 
Leggi le 17 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: epices