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Autore: Nao Yoshikawa    14/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La notizia sul malessere di Rin aveva gettato i suoi amici e amiche in grande agitazione. Naoko non riusciva proprio a darsi pace. Si diceva, com’è che io che sto sempre attenta a tutto, non mi sono accorta di niente? Forse non conosco Rin poi così bene. Miyo stava ancora peggio ed era caduta in una sorta di mutismo. Si diceva che forse avrebbe dovuto agire prima, che se avesse agito prima, Rin non sarebbe stata così male. Era tutto troppo per lei e si sentiva inutile. Hayato era caduto nel suo stesso mutismo: tra la preoccupazione per Rin e il disagio che sentiva dentro, sarebbe stato capace di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Ma non lo avrebbe fatto.
«Non vi preoccupate, Rin sarà seguita e tornerà a stare bene, ne sono sicura» disse ad un tratto Ai, come sempre pragmatica e razionale. Nessuno di loro si sentiva in vena di seguire alcuna lezione.
«Ha ragione lei» le diede man forte Hikaru, ricevendo in cambio un sorriso che lo fece arrossire. Yami si alzò. Non che non fosse preoccupata per Rin, anzi, ma per il momento aveva solo un pensiero che le occupava la mente e che non le lasciava spazio per respirare. Ai decise di andarle dietro e anche Hikaru, aveva la sensazione che dovesse proteggerla, anche se di solito era sempre stata lei a proteggere lui.
«Dai, non fare quella faccia, Miyo» la tranquillizzò Naoko. «Alla fine cosa potevi fare? Noi non abbiamo mica gli strumenti.»
«… Per questo fa così male» ammise lei.
Hayato sospirò e Kaien, accorgendosi del malumore del suo migliore amico, gli si sedette accanto.
«Lo sai? Non sono abituato a vederti preoccupato. Ti capisco, vuoi bene a Rin.»
Hayato però lo guardò con tutta la serietà del mondo.
«Io a Rin non voglio solo bene, a me lei piace» dichiarò. Era la prima volta che trovava il coraggio di dirlo ad alta voce, anche se a prescindere da questo, chiunque lo aveva capito. Kaien sorrise.
«Ah, finalmente lo hai detto. E ti capisco ancora di più, perché anche io ho una ragazza che mi piace» e dicendo ciò guardò Kiyoko, la quale se ne stava timida e impettita a guardare Naoko. Forse era ora che quelle due chiarissero.
«Kaien, com’è avere un fratello?» domandò all’improvviso Hayato, cambiando discorso.
«Eh…? Beh, dipende, credo. Io e Masato spesso litighiamo, però lui mi capisce. Alle volte sembra quasi mi legga nel pensiero. È spaventoso, ma penso sia normale, perché siamo sempre stati insieme anche prima di nascere.»
Ma Hayato non avrebbe avuto un gemello, bensì un fratello molto più piccolo di lui, un bambino nato da un amore vero e sano. Lui non sapeva nemmeno se fosse stato voluto per amore o per semplice dovere, questo lo faceva star male.
«Io avrò un fratello più piccolo, ma non sono sicuro che la cosa mi piaccia. Perché lui deve avere un’infanzia felice e invece io per tanti anni sono stato male?»
Kaien arrossì, grattandosi la testa. A quel quesito non aveva una risposta.
«Io non lo so, però adesso le cose vanno bene, no? E poi i fratelli maggiori dovrebbero proteggere quelli più piccoli, non trovi?» domandò tutto impettito. Hayato sbuffò. Kaien era troppo giusto e retto e aveva un debole per Masato, che avrebbe protetto a costo della vita. Peccato che loro si conoscessero da una vita e che invece lui, questo bambino o bambina che sarebbe arrivato, non lo conosceva nemmeno.
 
«Nao… possiamo parlare solo un attimo?»
Naoko aveva assunto l’espressione di chi non vedeva l’ora che quel momento arrivasse, quando aveva sentito la voce di Kiyoko. Oh, come l’era mancata la sua dolce Kiyoko, migliore amica indiscussa dalla nascita. Aveva pensato in quei giorni a come avvicinarsi.
«Certo che sì! Ti prego, dimmi che sei venuta per dirmi che vuoi far pace e non per insultarmi.»
Kiyoko arrossì.
«Non è da me insultare. Direi che siamo state senza parlare anche troppo e io ho bisogno della mia migliore amica. E poi lo sai che la mia camera è tappezzata dalle nostre foto insieme.»
A Naoko brillarono gli occhi.
«Oh, Kiyoko!»
«… Però mi fa male quando mi tieni all’oscuro di qualcosa di importante. Noi ci conosciamo così bene. E poi Satoshi è mio fratello, per cui…»
Naoko annuì e prese la sua mano.
«Penso che alla fine, mi piace tanto scherzare, ma se si tratta di una vera relazione, vado in panico perfino io! Comunque non so se il problema si porrà più, magari Satoshi non vuole nemmeno più parlarmi.»
Kiyoko chiuse gli occhi e sospirò.
«Per questo ci sta fissando da dieci minuti?»
Satoshi arrossì quando si rese conto di essere stato beccato. Era molto in imbarazzo per via della sua ultima rissa, non era certo felice di essere stato visto da Naoko in quelle condizioni.
«Satoshi!» gridò Naoko.
Kiyoko fece spallucce.
«Vi lascio da soli.»
Non sapeva se Satoshi e Naoko un giorno sarebbero stati una vera coppia, ma in caso le sarebbe andato bene. Erano due tra le persone a cui teneva di più.
Naoko respirò profondamente e poi sorrise.
«Stai bene.»
«Eh? Ah, sì. Anche tu e… mi spiace per quello che è successo.»
«Perché ti scusi? Tu e Kohei avete fatto a botte per me. Forse ha frainteso le mie intenzioni, prende tutto molto alla lettera. Sono proprio una sciocchina.»
Lo aveva detto ridendo, ma Satoshi intuì che le veniva da piangere.
«Non sei sciocca. Però sai… forse… ecco, magari siamo troppo giovani per essere una coppia vera e proprio. M-ma questo non vuol dire che non mi piaci. Mi piaci molto e mi piace anche baciarci. Però, alla fine, abbiamo solo dodici anni… si può far piano, vero?»
Satoshi aveva parlato tutta ad un fiato, sperando di non averla ferita. Lui, Naoko, tutti loro, avevano tanto da scoprire, stavano appena iniziando a sperimentare l’amore. Lei si avvicinò, lo guardò negli occhi e gli posò un bacio sulle labbra.
«Hai ragione, è che a volte corro troppo. Però a volte so aspettare.»
Si poggiò su di lui e Satoshi l’abbracciò, teneramente. Gli abbracci gli erano sempre piaciuti, anche se non era capace di darne poi così tanti.
 
«Yamiii, aspetta un momento! Ma dove corri?» Ai era andata dietro la sua migliore amica seguita da Hikaru. Entrambi avevano l’impressione che stesse per scoppiare una bomba. Erano appena entrati nella classe di lei e Yami stessa si era accorta di come tutti i suoi compagni e compagne la guardassero. In realtà la gente non aveva fatto altro sin da quando era arrivata.
Hikaru si guardò attorno, arrossendo per la rabbia.
«Ma si può sapere che volete?!»
Non era da lui arrabbiarsi, ma quella situazione lo stava innervosendo. Ai gli poggi una mano sulla spalla, perché aveva capito ciò che era successo. Le foto di Yami erano state diffuse, doveva essere questo. Lo aveva visto una volta in un film e sapeva che certe cose potevano rovinare la vita di una persona sotto tanti punti di vista. Anche Yami aveva capito, aveva capito sin dal principio ed era rimasta bloccata perché voleva essere adulta e grande e affrontare quella cosa da sola. Ma lei non era un’adulta e non sapeva come affrontarla. Fingeva di non sentire nulla per non piangere.
«Yami» sussurrò Ai, invece molto provata. Yami la sentiva quell’aura di vergogna e giudizio su di lei, mista al disagio di sapere che tutti guardavano nei propri cellulari un suo momento intimo, che aveva scelto di condividere ricevendo in cambio quel tradimento.
«Lasciatemi in pace» sussurrò, rivolta a tutti e a nessuno in particolare.
 
 
«Così abbiamo una relazione tutti e tre! Ma non dirlo a nessuno, al momento.»
Kisuke Urahara a volte era davvero un uomo insopportabile. Mayuri voleva solo lavorare, ma questo non era possibile. Certo, mentre lui se ne stava lì a stressarsi, Kisuke Urahara faceva sesso con ben due donne ed era appagato. Non che lui sentisse il bisogno di una relazione a tre, ma al momento non si sentiva molto appagato in niente.
«Non è mia intenzione dirlo a nessuno. E non starò nemmeno a farti la morale, non mi interessa. In quanto adulto e vaccinato, puoi fare quello che vuoi.»
«Ooh, ma grazie! Sei un vero amico. E come va con la tua ex?»
Mayuri corrugò la fronte.
«Come pensi che vada? Ha messo in crisi Nemu rendendola gelosa. Il che non ha senso, visto che io non ho occhi che per lei.»
«Tenero! Non sapevo fossi così romantico!»
Un altro commento del genere e Mayuri gli avrebbe dato un pugno. La conversazione dei due fu però interrotta dallo squillo del cellulare di Urahara.
«Qui parla il dottore e primario di medicina Kisuke Urahara, chi è?» domandò gongolandosi, adorava presentarsi in quel modo. Il sorriso però gli sparì subito dalle labbra.
«Sì. Sì, capisco. Certo, io e mia moglie arriviamo subito.»
Mayuri lo osservò. Riconobbe in lui la stessa ansia che lui stesso si era ritrovato a provare, l’ansia del tipo mia figlia è in pericolo.
«… È tutto a posto?» domandò, apparentemente distaccato. Kisuke riposò il cellulare.
«Sono stato chiamato da scuola. Si tratta di Yami. Ti spiegherò, dopo.»
«D’accordo, vai ora, non star qui a perdere tempo con me» lo rimbrottò.
Mayuri continuava a pensare che i sentimenti, di qualsiasi tipo, fossero una cosa potenzialmente pericolosa e incontrollabile.
«Tutto bene, dottor Kurotsuchi?» domandò Akon, che poi era l’unico ad avere concentrazione sul lavoro. Yamada era preso dalla sua nuova relazione, Ishida non c’era e Kurosaki era concentrato su altro.
«No, non va tutto bene» rispose scorbutico.
 
A Yoruichi e Kisuke venne spiegato tutto, ma il preside Yamamoto aveva deciso di parlare con loro senza la presenza di Yami, con la quale aveva già conversato prima.  Nessuno dei due si sentì tanto sconvolto come in quel momento. Yoruichi lavorava con gli adolescenti ogni giorno e sapeva che certe realtà erano dure da affrontare, ma non avrebbe mai immaginato che potesse succedere a sua figlia. Kisuke era sconvolto per ben altri motivi, ovvero pensare che la sua bambina fosse stata violata in quel modo, fosse stata umiliata. La cosa lo fece incazzare parecchio, richiamando quel suo lato oscuro che solo raramente veniva fuori.
«Non vi serve che vi dica che la situazione è seria. Sappiamo chi è stato a diffondere quella foto e poiché in questa scuola non sono accettati simili comportamenti, lo studente in questione e i suoi complici saranno espulsi. Ma qui la cosa più importante è vostra figlia, è lei che si trova al centro del ciclone, al momento.»
Yoruichi ringraziò di essere seduta, altrimenti sarebbe svenuta di certo. Non riusciva a credere che stesse accadendo a lei, a loro.
«Quelle foto sono state cancellate?»
«Sono state cancellate, ma non si può mai dire fin dove si può arrivare con questi strumenti al giorno d’oggi. Oh, ma non preoccupatevi. Non intendo punire vostra figlia, è solo una bambina, che è stata circuita da uno studente più grande.»
Yoruichi si irrigidì. Yami sapeva bene cosa stava facendo, non era così ingenua. Come le era venuto in mente di fare una cosa del genere?
Kisuke era inquieto. Non sapeva come comportarsi in quel caso? Sapeva tante cose, ma quella no.
 
Soi Fon aveva saputo cos’era successo e, nonostante non fosse un genitore di Yami, era comunque stata un adolescente da poco, quindi ricordava bene cosa si provasse. Si era seduta accanto a Yami, la quale ancora si ostinava a non piangere.
«Lo sai? Questa è un’età terribile, me lo ricordo troppo bene. E tu sei molto più matura di quanto lo fossi io, quindi pensa un po’…»
«Scusa, ma le tue parole non mi aiutano. Ora tutti mi guardano come se fossi una poco di buono. Mi sento… non lo so. Come se il mio corpo non fosse più mio, come se io non fossi più mia.»
Soi Fon fu attraversata da un brivido. Le venne l’istinto di circondarle le spalle con un braccio e lo avrebbe fatto, ma Yoruichi e Kisuke uscirono in quel momento dall’ufficio di Yamamoto.
Yami si mise in piedi, dritta.
«Mamma, io-»
Yoruichi la zittì con un gesto della mano. Era tanto tentata di schiaffeggiarla in viso, cosa che non aveva mai fatto con nessuno dei suoi figli, ma evitò.
«Non voglio sentire nemmeno una parola da te. Quello che hai fatto è stato da stupide e da incoscienti. E non è così che ti ho cresciuta.»
Kisuke intervenne in favore della figlia.
«Ma Yoruichi, non credo che la colpevole di questo sia Yami.»
«E io sono d’accordo!» esclamò Soi Fon. Yoruichi si stava comportando in modo ingiusto e non ne capiva la motivazione, le era sempre sembrato che stesse molto dalla parte dei ragazzi.
Yami si era nascosta proprio dietro i suoi protettori.
«Non voglio sentire discussioni, ne riparleremo a casa» disse lanciando un’ultima occhiataccia alla figlia Yami avvertì un forte senso di nausea ed ebbe la sensazione che tutto avesse preso a girare. Ancora non riusciva a piangere.
 
Uryu sapeva che la sua riabilitazione psicologica sarebbe stata lunga, che tra farmici, sedute, pianti e sofferenza, sarebbe stato anche difficile. Ma era un medico e sapeva lui stesso quanto fosse importante intervenire al più presto su certi mali. Lui non ce l’aveva con i suoi genitori per avergli nascosto una cosa del genere. In realtà ce l’aveva con loro solo in parte, ma dall’altra parte si chiedeva come si sarebbe comportato lui. Forse avrebbe fatto lo stesso, o forse no. Non poteva vederlo. Al momento comunque non si sentiva molto in vena di reagire, né di parlare. Era più corretto dire che si trovasse in uno stato di apatia, gravissimo per uno orgoglioso come lui. Ichigo quel giorno era andato a trovarlo. Per quanto gli facesse impressione vedere il suo migliore amico, doveva e voleva esserci.
«Grazie per essere venuto» gli aveva detto Tatsuki. «Uryu ha bisogno di te.»
«Ha bisogno anche di te, se è per questo.»
Tatsuki allora si era morsa il labbro e aveva trattenuto le lacrime e la voglia di dire mi sento piuttosto inutile.
Ichigo aveva trovato Ishida seduto, l’espressione stanca. Era sempre lui, in versione più stanca, sfibrata e fragile.
«Kurosaki.»
«Eh già, in persona. Che razza di amico sarei altrimenti? Hanataro ti porta i suoi saluti, voleva venire a trovarti ma aveva paura di disturbare. Perfino Kurotsuchi è preoccupato per te, ma questo ovviamente non l’ha detto, ci sono arrivato da solo.»
Uryu sorrise debolmente.
«Sto un vero schifo.»
«Lo so. Ma tu sei forte, supererai anche questa» gli disse, sedendoglisi accanto. Uryu non piangeva mai, non era nel suo carattere, piuttosto tendeva ad arrabbiarsi, ora invece non ne aveva neanche la forza.
«Tu pensi? Perché io so solo che devo fare i conti con una parte della mia vita che avevo addirittura dimenticato. Mi sento come se fosse successo a qualcun altro e non a me. Ma perché è dovuto succedere a me? Perché deve succedere e basta?»
Ichigo non aveva risposte per quelle domande.
«Perché a volte il mondo è terribile. Vorrei prendere a pugni la persona che ti ha fatto questo.»
«Non è necessario. Mia madre mi ha detto che è stato arrestati dieci anni fa. Indovina  per cosa? Molestie sessuali su minori, ma a me questa cosa non fa stare bene. Perché mi è rimasto un dolore latente che ora è esploso, e chissà quanti come me. Forse ero un bambino troppo debole.»
«E sta zitto, Uryu.»
Malgrado fossero amici da una vita, si erano sempre chiamati per cognome. Ma non ora.
«… Come?»
«Non dire certe cose. Eri solo un bambino, non è stata colpa tua, non sarebbe stata colpa tua a priori. Cazzo, lo sai come sono fatto io. Voglio sempre proteggere le persone a cui tengo, e non ho potuto proteggere te.»
Ishida lo guardò e si aggiustò gli occhiali, in imbarazzo.
«Nemmeno ci conoscevamo.»
«E chi se ne frega? Mi fa incazzare lo stesso. Ora fa tutto schifo e hai ragione, ma col cavol  che ti mollo. Io ci sono e c’è Tatsuki, ci siamo tutti. Quindi non preoccuparti, aggrappati pure a noi, se avrai bisogno.»
Uryu si schiarì la voce. Non era da Kurosaki essere così sentimentale. Beh, in realtà non lo era nemmeno da parte sua. Però questo era ciò di cui aveva bisogno.
«Ne ho bisogno, Ichigo.»
Aveva paura di non riuscire ad essere più lo stesso. Più un bravo padre, o marito, o amico, o chirurgo o uomo. Però loro di certo erano sempre gli stessi. Ichigo sorrise e in quel momento entrò Tatsuki. Anche lei aveva paura di non poter essere brava, di non potergli essere di nessun aiuto.
«Uryu» sussurrò. Lui le porse la mano e quando lei gli diede la sua, lui la baciò.  Non sapeva ancora come avrebbe fatto, ma almeno non era solo questo non lo avrebbe dato per scontato.
 
«Per favore, prenditi cura di Hayato mentre è da te. Toshiro mi ha confessato ciò che gli ha detto, non credo abbia preso molto bene la notizia della mia gravidanza. Era una cosa che immaginavo.»
Momo sospirò, stanca. Si stancava molto facilmente a causa del suo stato e stava cercando di non stressarsi, ma era difficile non pensare ad Hayato. Sosuke si era reso conto oramai da qualche anno di quanto suo figlio fosse sensibile, tratto che di sicuro aveva preso dalla madre.
«Farò del mio meglio, anche se Shinji è più bravo di me in questo» ammise.
Momo sorrise.
«Spero che a lui non dia fastidio. La mia presenza qui, intendo»
Sapeva che a volte situazioni del genere potevano essere imbarazzanti.
«Infastidito, lui? Ma non preoccuparti assolutamente. Comunque lascia fare, con Hayato le cose si sistemeranno.»
 
«Miyo, piano. Non c’è bisogno di disperarti in quel modo.»
Che Miyo fosse divenuta molto più emotiva dalla comparsa delle prime mestruazioni era evidente e normale. Ma era comunque strano per Shinji, abituato ad una bambina mite e tranquilla.
«Non capisci, io mi sento inutile» singhiozzò. «Lo sapevo e non ho detto niente per troppo tempo!»
«Nemmeno un adulto avrebbe saputo come agire. Calma, respira.»
Le prese il viso tra le mani. Alla fine sua figlia gli somigliava parecchio, anche lei aveva il desiderio di essere utile per le persone che amava, dimenticandosi che non tutto era sotto il loro controllo.
Aizen rientrò dopo la sua chiacchierata con Momo e ricevette quasi subito uno sguardo truce da parte di Shinji.
«Sì?»
«Devo forse preoccuparmi del fatto che tu e tua moglie sembriate più complici ora rispetto a quando eravate sposati?»
Non era da Shinji fare scenate di gelosia e in effetti non era nemmeno la gelosia il problema. Però un po’ si sentiva in competizione. Sosuke alzò gli occhi al cielo.
«Parlavamo di Hayato, veramente. Tu sei l’unico che può fare qualcosa.»
«E-eh? Io?» Shinji si era ritrovato Miyo appiccicata a lui, era in un quel suo momento no dove aveva bisogno d’affetto. «Pensavo che lei fosse infallibile, come madre.»
Aizen non aveva mai nascosto il fatto che Momo fosse brava come madre e che sapesse sempre risolvere i problemi. Shinji si sentiva molto più sprovveduto.
«… Io non l’ho mai detto.»
«Sì, ma cosa dovrei fare? Ho parlato con lui, ma non posso mica forzarlo.»
«Papààà, io sono ancora qui» piagnucolò Miyo.
«Scusa, dolcezza! Senti, lui non mi considera nemmeno una figura genitoriale, parlaci tu» si arrese Shinji. Non poteva certo costringere qualcuno a volergli bene in un determinato modo. Sosuke lo ascoltò e percepì il suo tono vagamente dispiaciuto. Decise che sì, poteva parlare con suo figlio.
Hayato se ne stava in camera sua, la musica alle orecchie. Se c’era una cosa che detestava era deprimersi, ma che scelta aveva dopotutto? Perché non riusciva a fidarsi della gente che gli diceva di volergli bene?
Sentì un toc toc. Shinji o suo padre? Non sapeva cosa sarebbe stato peggio.
«Avanti.»
Sosuke entrò, guardandosi attorno.
«Possiamo parlare?»
Hayato si mise seduto.
«Accomodati. So che hai parlato con mamma. E prima che me lo dica anche tu: io non sono geloso. Cioè, non tanto.»
«A dire il vero non avevo ancora formulato la frase da dire, ma visto che hai preso il discorso… non fartene un cruccio, la gelosia è normale.»
Hayato corrugò la fronte.
«C’è una cosa che voglio sapere. Io sono stato voluto? Sono nato perché mi volevate o… è successo e basta perché andava fatto?»
Sosuke si ritrovo sorpreso. Molto più che sorpreso. Una domanda del genere era inaspettata quanto difficile. Il suo matrimonio con Momo non era mai stato un idillio, non sempre almeno. All’inizio erano stati una coppia nella norma. Lei di figli ne aveva sempre voluti, lui non ci aveva mai pensato. Dava per scontato che sarebbe capitato, ma aveva deciso di non volerne più di uno, in caso.
«Difficile a dirsi, sei arrivato quasi subito. In realtà non abbiamo neanche avuto il tempo di pensare.»
Non era sicuro che come risposta gli piacesse.
«Ma almeno tu amavi mia madre? L’hai mai amata?»
Altre domande difficili.
«Hayato, questo cosa ha a che fare con ciò che sta accadendo?»
«Ha a che fare, perché ha influenzato tutta la mia vita. Io non ho avuto anni facili. Ma lui li avrà perché ha dei genitori che si amano.»
Finalmente Sosuke capì. Ma era un qualcosa che non poteva risolvere. Il passato era passato, poteva solo lavorare sul presente.
«Hayato, ci sono tante persone che ti amano. Io compreso. E tua madre, Toshiro, Miyo… Shinji. A proposito, penso che a lui farebbe piacere avere un rapporto piùblue stretto con te. Mi parla sempre di te.»
«…. Ah sì? Ha provato ad abbracciarmi» ammise.
«Per l’appunto, lui non abbraccia chiunque. E nemmeno io» si avvicinò ad Hayato e lo strinse con un braccio, baciandogli i capelli. Suo figlio si irrigidì in un primo momento e poi si lasciò andare. Ecco, era quello, proprio quello ciò che stava cercando.
 
 
Momo raggiunse Toshiro, il quale le aveva detto torna a casa, non c’è motivo che si stanchi inutilmente. Ma di certo non lo avrebbe lasciato da solo ad annegare nelle proprie preoccupazioni. Toshiro infatti si trovava ancora in ospedale, a breve avrebbe potuto vedere Rin.
«Momo, ma che fai qui? Dovresti stare a casa.»
«Ho mangiato e fatto una doccia. Sto bene, sono incinta, non malata» disse sedendosi accanto a lui. «Sei tu quello che desta più preoccupazioni.»
Toshiro sospirò, incurvandosi appena.
«Diventerei pazzo se a Rin accadesse qualcosa.»
«Ma non è successo niente di irreversibile, come vedi» Momo gli accarezzò la schiena. E l’addolcì il pensiero che Toshiro sarebbe stato proprio un bravo padre.
«Lo sai, Momo? Tuo figlio somiglia ad Aizen, ma in alcune cose somiglia a te. È piuttosto sensibile»
«A me? È la prima volta che qualcuno me lo dice. Oh, Shiro. Sono preoccupata per mio figlio. E sono preoccupata anche per questo bambino in arrivo» disse stringendosi il ventre. «Di errori ne ho fatti.»
«E ne faremo» sospirò Toshiro poggiando la mano sulla sua. «Stai tranquilla. Credo che tuo figlio abbia bisogno di essere stretto in un abbraccio. Posso provare, ma magari mi prenderà a pugni.»
Momo si mise a ridere. Voleva davvero essere una brava madre, per Hayato e per quell’inaspettato piccolino in arrivo
Gin uscì dalla stanza di Rin e fece loro un cenno.
«Se volete, potete entrare.»
«Bene!» Toshiro si tirò su. «Tu stai bene?»
Gin gli sorrise, ma era evidente che bene non stava affatto.
«Mi passerà. Su, Rin è molto impaziente di vederti.»
Quando rimase solo, si lasciò andare ad un profondo sospirò. Non ci voleva, due eventi terribili e tutti insieme. Una denuncia a suo carico, una ragazza che per vendetta voleva farlo passare per un molestatore.
«Amore mio, a cosa pensi?»
Gin non si era aspettato che Rangiku lo stesse osservando. Sua moglie era sempre bellissima ed elegante, nonostante l’espressione stanca e provata.
«Pensavo che non ho voglia di mettere in mezzo legali. Sarebbe troppo lungo. Intendo parlare con Loly.»
«Gin! Ma che ti salta in mente? E cosa avresti in mente? Chiedergli di ritirare la denuncia? Non lo farà mai, si è sentita rifiutata e ora è arrabbiata.»
«Voglio solo parlare con lei, Rangiku. Non voglio mettere di mezzo avvocati e seccature varie.»
Suo marito era forse impazzito? Parlare con lei? E a che pro? Loly era una ragazzina viziata, forse anche psicopatica a giudicare da come si comportava.
«Io vengo con te.»
«Rangiku, non-»
«A situazioni inverse, mi avresti lasciata andare da sola?» domandò con gli occhi lucidi. Non aveva torto, ma Gin non voleva vederla piangere. Si avvicinò a lei e la strinse a sé.
«Va bene, hai ragione. Su, non fare così. Non dobbiamo fare preoccupare ulteriormente Rin. Anzi, direi che al momento lei è la priorità, il resto può aspettare.»
Rangiku annuì, poggiando la fronte sulla sua spalla e respirando profondamente. Lo avrebbero superato, insieme.
 
 
A casa Urahara la serata non si prospettava tranquilla. Yoruichi aveva preso a discutere animatamente con Yami, era a dir poco furiosa e sua figlia non era da meno.
«Come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere? Sei ancora una bambina, non dovresti fare certe cose!»
«Io non sono più una bambina» protestò Yami. «E poi la colpa non è mia, è di quel cretino.»
Kisuke sospirò. Aveva male alla testa. Soi Fon se ne stava rigida, non sapendo che dire. Aveva paura di risultare invadente, ma starsene in silenzio non era certo facile.
«Yoruichi, mia cara, la nostra Yami…»
«Tu la difendi sempre, Kisuke, non sai essere severo» lo rimproverò sua moglie. «Scordati il cellulare per un mese, almeno.»
Yami sgranò gli occhi e poi strinse i pugni.
«Io ho subito il torto e io vengo punita! Mamma, sei veramente crudele, e ingiusta anche.»
Soi Fon decise di provare a dire la sua, non trovava giusto quello che stava accadendo.
«Yoruichi, Yami non ha fatto niente di male. È vero, è giovane, ma nessuno ha il diritto di fare certe cose e…»
Yoruichi sollevò un dito per zittirla.
«Io non sto dicendo che qualcuno abbia il diritto di fare certe cose, sto dicendo che se Yami si fosse comportata come una ragazzina della sua età, non sarebbe successo. E se non ti dispiace, Soi Fon, lei è mia figlia.»
Soi Fon arrossì, affranta. Lei non era la madre di Yami, né la sorella, ma se doveva entrar a far parte di quella famiglia, voleva che il suo parere contasse qualcosa.
«È anche figlia mia» disse Kisuke, duramente. Yami, rigida sulla sedia, fu attraversata da un brivido.
«Posso andare in camera mia?»
«Ah… sì, vai, tranquilla» la rassicurò Kisuke. Soi Fon percepì immediatamente la tensione tra i due, non sapeva se rimanere o restare.
«Yoruichi… per favore, non essere troppo severa con lei. Ha già subito una violenza terribile.»
«Kisuke, lo so! Ma io chiedo… perché? È solo una bambina, lei non dovrebbe trovarsi in queste situazioni!»
Soi Fon avrebbe voluto dire che Yami stava crescendo, che quella era l’et in cui ci si voleva sentire grandi, in cui si sperimentavano anche tante cose, che Yami non andava certo rimproverata, in quanto vittima. Per quanto giovane e sconsiderata potesse essere, lei non aveva colpa. Ma non disse niente perché non cu teneva a essere di nuovo zittia.
«Vi lascio parlare da soli» mormorò. Non era proprio un buon punto di partenza, quello.
   
 
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