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Autore: Nao Yoshikawa    16/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo ventitré

Karin era solita ad avvertire quando andava a trovare Ichigo, ma quel giorno doveva esserle passato di mente. Ichigo aveva intuito qualcosa nel momento in cui la sorella gli si era presentata davanti: Karin sembrava infatti star sforzando i sorrisi e sembrava anche essere venuta lì per togliersi un peso di dosso. Ichigo aveva in effetti indovinato.
«Ultimamente è dura con Kohei. Non vuole andare a scuola e non so come prenderlo.»
Ichigo ammirava la sorella, al posto suo non avrebbe saputo come comportarsi. Le offrì una tazza di tè e poi gli si sedette davanti.
«Deve essere piuttosto sconvolto da quanto successo.»
Karin abbassò lo sguardo. Oh, era molto più che sconvolta. Addirittura era arrivato a spingerla in un momento di rabbia. Questo le aveva fatto male, più a livello mentale che fisico. Quelli erano i momenti in cui sentiva di non star facendo abbastanza per suo figlio, di non starlo aiutando come meritava.
«Più cresce e più è difficile. E io mi sento tanto egoista, perché alle volte vorrei solo respirare. A volte ho perfino pensato che sarebbe bello se fosse come tutti gli altri. Lo so, è orribile da parte mia.»
L’ultima cosa che Ichigo voleva era vedere sua sorella piangere. Karin poi non piangeva mai, ma la situazione era provante, per lei.
«Ehi, non fare così» Ichigo si alzò per abbracciarla. «Non sei egoista. Sei umana. Sai quante volte i gemelli mi hanno fatto pensare chi me l’ha fatto fare? Penso sia normale avere questi attimi, ma tu vuoi bene a tuo figlio. Sei una leonessa che difende il proprio cucciolo!»
Lei si strinse al fratello, trattenendo a stento le lacrime.
«Il problema è che sta diventando così arduo. Mi dispiace, non è da me starmene a piagnucolare» Karin si asciugò il viso con una manica. «Spero che almeno le cose tra te e Rukia vadano meglio.»
Ovviamente si era venuto a sapere quanto successo tra lui e Rukia, anche se per fortuna nessuno si era immischiato.
«Diciamo che… abbiamo bisogno del nostro tempo. E io devo rimparare a fidarmi di lei» ammise.
Il pensiero andò a sua moglie. Era così doloroso essere così distanti, essere bloccato dal dolore. Voleva che tutto tornasse com’era, ma allo stesso tempo non aveva il controllo.
 
 
Rukia aveva deciso di dedicarsi, quel giorno, al lieto evento che aveva saputo (non dai diretti interessati). Suo fratello si sarebbe sposato e lei non poteva farsi i fatti propri.
«Allora, allora. Dove volete sposarvi?» domandò Rukia concitata. Aveva nel piattino un sacco di mochi che stava divorando e una tazza di tè verde che si era riempita per ben due volte. Byakuya e Renji si guardarono. Ovviamente Rukia si stava gettando sulla preparazione del matrimonio per non pensare alle sue sofferenze.
«Ecco… io vorrei una cerimonia originale, magari un po’ punk, un po’ rock, qualcosa di giovanile» iniziò a dire Renji. A essere presenti erano anche Ikkaku e Yumichika, per dar supporto ai due.
«Mi piace questa cosa» commentò Ikkaku.
«Assolutamente no» disse Byakuya, serio. «Sarà una cerimonia elegante e modesta, niente di pacchiano.»
«E io sono assolutamente d’accordo!» disse Yumichika. I due futuri sposi avevano dei gusti molto diversi. «Tra l’altro, in quanto stilista, ci penserò io ai vostri abiti! Lo so, non serve che mi ringraziate.»
Renji sollevò un dito.
«Posso avere qualcosa di comodo?»
Yumichika lo guardò male.
«A un matrimonio non si sta comodi, a un matrimonio si soffre!»
Rukia mangiò l’ennesimo mochi ai fagioli rossi.
«E dovranno esserci dei fiori. Volete sposarvi in inverno, vero? Ci vuole qualcosa di resistente al freddo.»
«Allora usiamo i fiori finti» suggerì Renji. Ma anche quella sua idea venne bocciata.
«Questo è terribilmente inelegante» disse infatti il suo promesso sposo. Oh, erano proprio divertenti a vedersi, almeno questo pensò Rukia. A lei i matrimoni erano sempre piaciuti. Si entusiasmava. E si ricordava il suo. Anche lei e Ichigo avevano idee molto diverse, però era stato proprio un bel matrimonio, non tutto era andato alla perfezione, ma nonostante ciò era stato stupendo. Le venne la malinconia a ripensarci.
«Vado a fare dell’altro tè» disse, alzandosi.
«Aspetta, non vorrai lasciarmi qui da solo, eh?» chiese Renji. Rukia stava per diventare ufficialmente sua cognata, non poteva lasciarlo da solo ad affrontare Byakuya e soprattutto Yumichika, che si era improvvisato wedding planner.
«Dicevamo… che ne dite di un complesso per la marcia nuziale?»
«Scusa, ma non volevi qualcosa di elegante e modesto?» protestò suo marito. Renji alzò gli occhi al cielo e poi sorrise in direzione di Byakuya.
«Sto accarezzando l’idea di sposarci in segreto, che ne pensi?»
Byakuya sorrise lievemente, ma i suoi occhi non riuscirono a nascondere la malinconia.
«Penso che sarebbe una buona idea.»
Era inevitabile per lui ripensare al giorno del suo primo matrimonio. Non voleva ricacciare il pensiero fingendo che non fosse mai esistito, ma gli portava comunque una sensazione dolce amara. Lui e Hisana si erano sposati con un rito shintoista, avevano indossato abiti tradizionali. Poi c’era anche stato il rito civile e ricordava i pochissimi invitati, Renji come suo testimone che ai tempi (seppur non potesse saperlo) lo guardava e pensava a quanto avrebbe voluto essere al posto di Hisana. Doveva avere ancora delle foto da qualche parte, chissà dove.
«Vado a vedere cosa mia sorella combina» disse all’improvviso. Renji avrebbe voluto dirgli no, rimani, ti prego! Ma invece non disse nulla.
 
Raggiunse la sorella in cucina: Rukia stava facendo bollire l’acqua e sembrava piuttosto pensierosa.
«Dal tuo entusiasmo, sembra quasi che il matrimonio sia il tuo e non il mio.»
Rukia si voltò e gli sorrise.
«Sì, beh. L’ultima volta che ti sei sposato non mi hai lasciato modo di aiutarti. Tu e Hisana eravate molto riservati, penso che se aveste potuto, vi sareste sposati in segreto.»
Era vero ciò che diceva Rukia, lui e Hisana avevano condiviso l’indole tranquilla e timida, si erano sempre trovati bene. Ora invece un uragano rosso aveva stravolto la sua vita, facendolo innamorare così tanto da portarlo di nuovo a compiere a quel passo, contro ogni sua aspettativa.
«Comunque sono molto felice che tu e Renji abbiate deciso di sposavi. Ve lo meritate proprio» Rukia trattenne a stento un singhiozzo. Era felice per loro, ma inevitabilmente pensava anche al suo di matrimonio, così messo in crisi. Byakua lo capì.
«Ti prego, non piangere. Spero che per allora, tu e Ichigo siate tornati ad andare d’amore e d’accordo. Siete i miei testimoni, dopotutto.»
Rukia sorrise e si asciugò una lacrima solitaria sulla guancia.
«Ah, certo. E tu invece non fare impazzire troppo il povero Renji.»
Byakuya assunse un’espressione offesa. Fare impazzire Renji? Era più facile il contrario.
 
 
«Sta tranquillo, amore mio? Qual è la cosa più terribile che potrebbe accadere?»
Nnoitra alzò lo sguardo verso Neliel, la quale teneva dolcemente il suo viso tra le mani.
«È proprio necessario psicanalizzarmi?» borbottò. Nnoitra inarcò un sopracciglio, indispettito.
«È un esercizio che funziona però, dico bene? Allora, dimmi» insistette Nel. Nnoitra sbuffò.
«Immagino sia… il tornare a non parlarci più. E il sentirmi dire cose che possono far male. Il dolore fa schifo.»
«Oh, puoi ben dirlo.»
Neliel non aveva mai abbandonato l’istinto di volerlo proteggere. Anzi, si proteggevano a vicenda, guardandosi le spalle da sempre. Neliel aveva chiesto ai suoi suoceri di venire a casa loro quel giorno, era ora che Nnoitra chiarisse con tutti e due. Il diretto interessato si era anche costruito un discorso ben preciso, ma sapeva che sarebbe andato molto più di sentimento che di ragione. Lui era fatto così. Nel pomeriggio i suoi genitori arrivarono, Sun-a provava sempre a cercare un contatto fisico, magari un abbraccio, che Nnoitra puntualmente rifiutava. Suo padre invece si limitava ad un cenno del capo.
«Non c’è Naoko?» domandò Sun Ah. Nnoitra si sedette di fronte a loro.
«Siamo solo noi adulti. Credo che sia arrivato il momento di mettere in chiar alcune cose. Nnoitra ha qualcosa da dire a tutti e due.»
Dopodiché guardò suo marito. Il Nnoitra di un tempo si sarebbe lasciato andare alla trabbia, il Nnoitra consapevole avrebbe fatto appello al suo dolore, per quanto la cosa ancora lo ferisse nell’orgoglio. Nnoitra li guardò entrambi, guardò sua moglie, perché era sempre lei a dargli coraggio.
«E va bene, facciamo questa cosa. Se non è stato mai chiaro ciò che provo, lo sarà adesso. Sapete cosa? Voi mi avete spezzato il cuore, ben più di una volta! Sono sempre stato un bambino e un ragazzo dal carattere difficile, questo non è cambiato. Da un lato ho sempre avuto un padre troppo severo e da un lato una madre che…» guardò Sun Ah. «Preferiva far finta di niente davanti a certe cose. Sono sempre stato giudicato duramente, per il mio brutto carattere e per le mie ambizioni non comuni. E tu» poi guardò suo padre. «Per non parlare poi dei miei problemi con la legge. È stata dura, dopo che Tesla è stato ucciso. Sono guarito solo da qualche anno perché per tanto tempo sono stato convinto che meritavo di essere ucciso al posto suo.»
Neliel si commosse nel sentirlo parlare così. Lei sapeva cosa avevano passato. Sun Ah tirò su col naso.
«Nnoitra.»
«Non ho finito» disse duramente. «Me l’avete fatta pesare parecchio. Tu, papà, con le tue parole, e tu mamma, col silenzio. Papà, mi dicevi sempre che nella vita non sarei diventato nessuno di importante, che non avrei combinato niente. Ti sbagliavi. Dico, tu vedi Naoko? Io ho – noi due abbiamo – fatto con lei un cazzo di lavoro perfetto. Mia figlia è coraggiosa e buona come sua madre, e mi piace pensare che qualcosa abbia preso anche da me. Ho un lavoro che mi piace, la gente mi ferma per strada perché mi riconosce. Riconosce il mio lavoro. Ho degli amici, amici veri. Ho superato il mio dolore» Nnoitra aveva iniziato ad agitarsi. Non voleva certo piangere davanti a loro, ma stava diventando difficile. «E queste cose io le ho fatte da solo, senza di voi, anche se era compito vostro stammi vicino! E quindi sì cazzo, io sono incazzato e sono anche ferito. Detto ciò, con o senza di voi andrò avanti lo stesso.»
Neliel non riuscì a resistere all’impeto di abbracciarlo. Avvertiva il suo dolore, le sue emozioni. Nnoitra ritornò in sé con quell’abbraccio e si accorse solo in quel momento di una lacrima che gli era sfuggita. Si asciugò una guancia. Sun Ah stava piangendo, ma in modo sommesso.
«Nnoitra, non so cosa dire se non che hai ragione. Sono sempre stata in silenzio» dicendo ciò guardò suo marito, il quale sembrava addirittura in imbarazzo.
«Ho capito quello che vuoi dire. Ma quello che ho sempre detto e fatto era per il tuo bene» affermò Shirai.
«Non sapevi nemmeno qual era il mio bene» disse Nnoitra, riprendendo il controllo di sé. «A volte mi sono chiesto se mi voleste bene.»
«Certo che te ne vogliamo!» disse Sun Ah. Ma capisco il perché tu lo abbia pensato. Come genitori abbiamo fallito entrambi.»
Neliel accarezzò la schiena di suo marito.
«Non direi, del tutto. Avete messo al mondo e cresciuto la persona che amo, quindi per questo dovrei esservi grata.»
Nnoitra arrossì, ma non disse niente. Si era liberato di un bel peso, aveva detto ciò che doveva dire. Ora toccava ai suoi genitori. Con sua madre sarebbe stato forse più facile, con suo padre chissà. Ma con o senza di loro avrebbe continuato ad andare avanti.
 
 
Ulquiorra accartocciò l’ennesimo foglio. Aveva in mente un nuovo dipinto, il problema era che l’idea rimaneva lì, nella sua testa e non riusciva a trasporlo. Di solito, non riusciva a dipingere quando aveva qualche pensiero in testa. Lui lo sapeva e lo sapeva anche Orihime, la quale gli aveva portato del tè e dei biscotti da lei preparati.
«Ulqui, perché non fai una pausa?»
Ulquiorra gli lanciò un’occhiata stanca e si concesse un sorso di tè e un biscotto. Niente sapori strani, semplici gocce di cioccolato.
«Temo che mi ci vorrà un po’. Mi sta venendo il blocco.»
«È per Satoshi, non è vero?» domandò Orihime senza girarci attorno, sarebbe stato inutile. A Ulquiorra andò di traverso un sorso di tè.
«… Mi sento come se mi fossi bruciato le mie possibilità di stringere un legame con lui. Non volevo spaventarlo, ma è da quando è arrivato in questa casa che sto cercando di costruire qualcosa… Forse non dovrei forzare le cose.»
Orihime gli afferrò la mano.
«Ma tu non hai forzato niente! Satoshi non ce l’ha con te. Per lui è solo difficile lasciarsi andare del tutto, è diffidente, lo sai.»
Ulquiorra avvertì una sensazione che ben conosceva. Si trattava dell’invidia e della gelosia e il fatto che dovesse provarla nei confronti della donna che più amava al mondo, lo faceva sentire una persona orribile.
«Hime, io… mi dispiace, sono un marito terribile» disse con un sussurro. «Perché ti invidio. Ho sempre ammirato la tua capacità di farti volere bene da tutti senza alcuno sforzo. Ma con Satoshi è diverso. Lui ti si è legato subito. Quello che mi chiedo è… perché con te sì e con me no?»
Smise di parlare perché non voleva apparire più patetico di quanto già non fosse. Orihime lo ascolto, sorpresa. Non si aspettava che suo marito pensasse una cosa del genere e forse avrebbe dovuto. In effetti lei era sempre stata quella più facilmente amabile della coppia, almeno nell’immediato. Per conoscere i pregi e la vera persona di Ulquiorra ci voleva tempo, ma non immaginava che in qualche modo potesse soffrirne.
«Io… io ti ho messo in ombra, non è vero?» domandò, affranta.
Lui scosse la testa.
«Tu sei un raggio di sole, io sono più un’ombra. È sempre stato così, e non mi è mai pesato. Lo so, non è colpa di nessuno, però…voglio bene a Satoshi. Forse lui non me ne vuole. Forse non si fiderà mai. Ha creduto che volessi picchiarlo. Io non picchierei mai nessuno. Lo sai, vero?»
Orihime si portò una mano davanti al viso e poi si sporse in avanti per abbracciarlo.
«Certo che lo so. Ti conosco, so chi sei. Il marito e il padre migliore del mondo. Anche io sono tanto imperfetta. Lo sai quello che abbiamo passato qualche anno fa.»
Ulquiorra la strinse a sé. Come dimenticarlo? Quel periodo delle loro vite li aveva messi a dura prova. Orihime decise che, se davvero Satoshi si sentiva così legato a lei, allora poteva e doveva far qualcosa. Poteva essere l’anello di congiunzione che avrebbe fatto avvicinare Ulquiorra e Satoshi.
 
Nemu ultimamente non riusciva a prendere sonno. In realtà era piuttosto nervosa e inquieta da quando quella donna era comparsa nella sua vita, nella loro vita, sua e di suo marito. Nemu non era mai stata gelosa perché non ne aveva mai avuto motivo. Non aveva motivo nemmeno adesso, ma sarebbe stato più facile se solo fosse stata in pace con sé stesso. Lei, che era stata una bambina e poi una ragazza sola, che era timida e silenziosa, che era una semplice infermiera, una donna e una madre. Ed ecco che dal nulla tornava la bellissima e brillante Senjumaru Shutara. Nemu non faceva che paragonarsi a lei e più lo faceva più si sentiva così insulsa. Era tutto nella sua testa.
«Nemu, sei scappata da lavoro» le disse Mayuri, appena rientrato a casa. Vero, alla fine del turno era scappata. Non si sentiva molto presente a sé stessa.
«Eh? Oh, sì…» disse distrattamente. Tagliò l’ultima carota sul tagliere e si lavò le mani voltandosi a guardarlo. «Tra poco si mangia.»
Mayuri la guardò, anzi, la osservò.
«Ah-ah. Senti, lo sai che non puoi nascondermi nulla. È sempre quella questione?»
Mayuri fu attraversato da un brivido quando vide sua moglie afferrare un coltello. Ma in realtà lo stava solo rimettendo a posto.
«Senti, Mayuri. Dovete proprio lavorare insieme? Non mi rende molto tranquilla, sapendo soprattutto che spesso rimanete da soli.»
Mayuri sospirò.
«Non che mi faccia piacere, ma le sue abilità ci servono.»
Certo, ovvio. Suo marito era bravo a separare lavoro dai sentimenti, al contrario suo.
«Dimmi la verità, Mayuri. Lei ci ha provato… a sedurti, intendo?»
Lui si irrigidì. Ogni volta finivano sempre su quel discorso, accidenti. E a lui mentire non piaceva, non lo trovava utile.
«Devo ammetterlo, ha mirato anche a quello. Ma lo fa solo per darmi fastidio, io comunque non sono interessato.»
Nemu sentì una familiare stretta allo stomaco. Le dava così fastidio pensare a quella donna avvinghiata a suo marito.
«Forse dovrei parlarci io, visto che tu preferisci non far niente» rispose piccata.
«Ti prego, niente scenate! E poi cosa dovrei fare?» domandò duramente. In realtà non sapeva come gestire una situazione del genere. Lui, che in genere aveva una soluzione a tutto. Nemu sentì gli occhi divenirle lucidi.
«A situazioni inverse, nemmeno tu saresti felice.»
«No, è vero. Ma sarebbe un problema solo se tu non fossi indifferente.»
«Ma nemmeno tu sei indifferente! Dici di disprezzarla tanto perché ti ha ferito… ma se lo avessi superato, non avresti tutto questo rancore. Non so, forse lei ti piace ancora. Forse lei sarebbe stata più adatta a te.»
«Ancora con questa storia?  È stato più di vent’anni fa!»
Quella situazione stava riaprendo vecchie ferite, per entrambi. Nemu si strinse nelle spalle.
«Volevi dedicarti alla carriera. Se lei non ti avesse lasciato, a quest’ora stareste insieme… di questo ne sono sicura. Perché una mente brillante ha bisogno di qualcuno alla sua altezza al suo fianco. Io sono solo io. Lei è più bella di me, anche se io sono più giovane. È ammirata e stimata e attira l’attenzione su di sé quando entra da qualche parte. È amata e ha fatto cose importanti. Io cosa ho fatto? Sto sempre al tuo fianco, ma non brillo mai.»
Nemu era particolarmente loquace. Mayuri non avrebbe mai pensato che potesse provare tutto ciò, non gliene aveva mai parlato. Lui non la pensava così. Per lui, era lei a brillare.
«Allora perché credi che io sia qui?» domandò. Nemu non lo sapeva, ma era terrorizzata. Che lui si accorgesse di aver sposato la donna sbagliata.
 
 
Shinji aveva decisamente bisogno di una pausa. Dal lavoro, dai problemi familiari, da tutto. Come vittima aveva scelto Ichigo, il quale avrebbe staccato da lavoro di lì a breve.
«Perché sei qui? Ti senti male? Hai bisogno di una visita?» gli aveva domandato Ichigo nel vederlo.
«Uno non può semplicemente andare a trovare un amico? Anche io ho bisogno di staccare la spina!» esclamò. Ma se era andato lì per non pensare, aveva scelto il momento sbagliato visto che né Ichigo né Uryu erano dell’umore giusto. Anzi, erano incredibilmente depressi e gli bastò una sola occhiata per capirlo. Hantaro invece era di ottimo umore, questo perché Natsunmi era venuto a trovarlo e se e stava appiccicata al suo braccio.
«Signor Hirako, è un piacere rivederla!» esclamò.
«Ma come ti permetti a darmi del lei?» borbottò Shinji. «E tu devi essere la sua fidanzatina. Ma che teneri.»
Natsumi lo guardò, sorridendo.
«Io e Hanataro facciamo sesso nel ripostiglio.»
Shinji sgranò gli occhi, sorpreso. Però, quel ragazzino si dava da fare, anche se rimaneva ancora molto timido: alla frase di Natsumi era arrossito e quasi svenuto.
«Sì, beh… ero venuto qui a trovare Ichigo e Ishida, ma mi sembrano un po’ depressi.»
«Sono tutti un po’ di cattivo umore, sai? Anche Kurotsuchi e Urahara» ammise Hanataro. Fu lì che Natsumi ebbe il colpo di genio.
«Oh, mi è venuta un’idea!»
 
Hanataro avrebbe dovuto chiedere prima di cedere il suo appartamento per l’dea di Natsumi. Quest’ultima aveva detto “perché non passare una serata insieme?”. Convincere Urahara era stato facile, per Kurostuchi invece avevano inventato una scusa su un’importante riunione da fare, Kisuke era stato convincente.
«Non è vero, ditemi che non mi ritrovo davvero qui con voi» disse Mayuri, seduto, oramai in trappola. In verità era anche sollevato, in parte. A casa la situazione era tesa e questo non valeva solo per lui. Natsumi sembrava decisamente la più entusiasta.
«Oh, oh! Guardate, guardate!» esclamò porgendo a Uryu e Ichigo una pila di fogli stampati. «Vi ricordate, no? Vi ho detto che faccio la scrittrice. Ecco, ho preso ispirazione da voi quattro.»
Kisuke si indicò.
«Da noi quattro? Beh, è un onore, Natsumi!»
Mayuri non disse niente. Per lui era non era un onore, anzi. Ichigo prese uno dei fogli, curioso, iniziando a leggere.
«A-aspetta un momento. Più che ispirato, direi che hai usato proprio noi come personaggi. Ci sono anche i nostri nomi, non sono sicuro sia legale.»
«Ehi, io scrivo racconti erotici tra uomini, non è colpa mia se siete due ship fatte e finite.»
Ichigo fece una smorfia e poi si mise a ridere.
«No, non ci posso credere. Ehi, dottor Kurotsuchi, questa è su di te Urahara.»
Mayuri gli lanciò un’occhiata fredda e spaventosa.
«Fossi in te non riderei» e dicendo ciò prese un altro foglio, porgendoglielo. «Questo è su te e Ishida.»
Ichigo prese il foglio in mano, allarmato e lo lesse velocemente.
«OH, MA ANDIAMO! Siamo solo amici.»
«Solo amici? Pensavo che fossimo quanto meno migliori amici» protestò lui.
«Ehi, ehi! Passatemelo, voglio leggere» disse Urahara curioso. Hanataro congiunse le mani.
«Vi prego, potete evitare di fare troppa confusione? I vicini si arrabbieranno.»
Shinji si guardò attorno, pensieroso. Sei disadattati, più una ragazza esuberante. E lui aveva in tasca l’erba che aveva sequestrato ad Hayato. In verità non sapeva perché l’avesse conservata, si era sempre detto che l’avrebbe buttata alla prima occasione, ma poi non lo aveva mai fatto. La verità era che gli sembrava uno spreco, quella roba costava. Inoltre, da un po’ accarezzava l’idea di provarla. Erano anni che non lo faceva ed era un adulto. Tutti loro lo erano. Più o meno.
«Ehi ragazzi. Vi siete mai fatti?»
Ishida si allarmò.
«N-non ci pensare nemmeno, non possiamo fare queste cose. Non ci risolverà i problemi.»
«Io non ho mica detto che voglio risolvere i problemi così, ma avevo in mente di farlo. Se non volete, andrò avanti da da solo.»
«Io ti faccio compagnia!» gridò Natsumi. «Non l’ho mai fatto!»
«Nooo!» esclamò Hanataro. Natsumi aveva vent’anni, certo era adulta, ma lui era più grande, doveva proteggerla in qualche modo. «A-ascoltate bene! Nessuno si farà d’erba in questa casa. Io compreso. Quindi n-non provate a convincermi, perché non cederò, sono di sani principi!»
 
Mezz’ora dopo, Hanataro se ne stava accasciato sullo schienale, in presa ad una tranquillità senza eguali. Ichigo, Ishida e Shinji se ne stavano seduti sul divano, Mayuri era seduto a terra, Kisuke invece si era direttamente disteso. Alla fine, forse influenzati dal loro pessimo umore e dalla loro voglia di non pensare, tutti loro avevano deciso di lasciar vincere l’erba. Erano tutti molto rilassati.
«Che bella sensazione. Mi sento molto rilassato… aaah, ho le gambe gelatina» sussurrò Hanataro.
«Mmh, Tatsuki mi ammazzerà» Uryu si tolse gli occhiali, sfregandosi un occhio.
«Suuu, che vuoi che sia!» Shinji rise. «Peròòò, dottor Kurotsuchi. Non mi aspettavo che cedessi.»
«Con chi pensi di parlare? Ho provato questa roba che tu non eri ancora nato. Quando studiavo medicina.»
«Ah, quindi un secolo fa.»
«Portami rispetto, ragazzino. Sono il più vecchio, qui dentro.»
Kisuke si mise a ridere.
«Mi piace questa cosa. Si è proprio rivelata una serata interessante. Avevo bisogno di staccare la spina.»
«Sì, anche io…» ammise Ichigo, semi addormentato. Quella situazione a Natsumi non piaceva. Insomma, perché lei doveva essere l’unica lucida mentre loro se ne stavano lì a ridere come degli idioti?
«Ehi, non è giusto» disse portandosi le mani sui fianchi. «L’idea di questa serata è stata mia.»
«Sì. Ma io l’ho migliorata» disse Shinji. «Eh, sequestrare l’erba al mio figliastro è stata una buona idea.»
«Hayato fa addirittura questo? Accidenti, dal figlio di Aizen non me lo aspettavo» ammise Ichigo.
«Beh… la mia povera Yami è vittima del revenge porn… credo si chiami così.»
Mayuri sospirò.
«La mia va appresso ad un uomo adulto. È tutto così illegale che siamo quasi sul tragico.»
«E mio figlio, invece, credo mi detesti oramai» sospirò Uryu. Hanataro si guardò attorno.
«Io invece non ho figli» disse facendo spallucce. L’umore tornò presto a non essere dei più allegri. Escluso Hanataro, nessuno di loro stava attraversando un buon periodo e di sicuro non ne sarebbero usciti così facilmente. Kisuke sospirò. Forse doveva tornare a casa. Le cose con Yoruichi erano tese e aveva lasciato Soi Fon ad affrontare la cosa da sola. Per non parlare del fatto che avrebbe dovuto parlare anche con sua figlia. In quel momento non si sentiva molto d’accordo con sua moglie circa il modo di approcciarsi alla cosa. Mayuri non sapeva come far capire a sua moglie che per la sua ex oramai non provava più niente, ma che quel tradimento e quella relazione tossica avevano lasciato in lui una cicatrice che aveva difficoltà a mostrare. Uryu sapeva che la strada sarebbe stata in salita. Che l’umiliazione sarebbe rimasta. E Ichigo sapeva che la sua situazione con Rukia era molto delicata, ma che l’amava e che voleva continuare. E Shinji che non poteva essere perfetto, perché nessuno lo era.
«Forse dovremmo tornare alle nostre case» disse Kisuke sottovoce. Ichigo asserì. Poi Natsumi tornò, era in compagnia di qualcuno.
«Ichigo.»
Si trattava di Rukia. Hanataro sussultò: ma che ci faceva in casa sua? Quando era arrivata?
«R-Rukia!» gemette.
«L’ho chiamata io. Non era più divertente» protestò Natsumi, cambiando poi espressione. «Ti prego, non dire niente ai miei, altrimenti penseranno che sono una drogata. Cosa che, per la cronaca, non sono.»
Rukia sospirò.
«Non dirò loro niente. Su, Ichigo. Andiamo. E anche voi altri dovreste tornare.»
Rimproverati come dei bambinetti dell’asilo, che onta. Ichigo si alzò e le andò dietro. Certo che si era ridotto proprio male.
   
 
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