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Autore: Francine    16/03/2023    4 recensioni
Milo Papadopoulos, rampante chef, re dei social network e host di innumerevoli programmi sulla cucina, ha indetto un concorso per trovare un dolce che incarni la vera essenza di S. Valentino. E un bel giorno nella sua casella di posta elettronica trova la candidatura del Cafè Verse-Eau, elegante locale di Parigi, a Montmartre, a due passi dal Sacro Cuore e dal Carousel des Abbesses.
Peccato che Étienne Arnoul, il giovane proprietario del Cafè, non solo non badi molto alla promozione sui social, affidandosi al traffico di turisti che affollano Montmartre, ma non abbia neppure candidato il proprio locale alla singolare tenzone...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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5.

 

«Hai dato un’occhiata alla penale?»

 

Rodrigo aveva provato a chiamare Milo senza troppe pretese. Aveva composto il suo numero per scrupolo, sul pianerottolo dell’attico in cui si trovavano l’appartamento di Isabelle  —  che ogni mattina gli imbandiva un pranzo da matrimonio spacciandolo per petit déjeuner  —  e la chambre d’amis messa a sua completa disposizione; ma non s’immaginava, davvero non s’immaginava, che quell’irresponsabile avrebbe risposto al terzo squillo. Credeva che, tanto per cambiare, il telefono avrebbe squillato a lungo, prima che la segreteria telefonica ringraziasse per la chiamata, si scusasse per l’impossibilità di rispondere e chiedesse, con fare cortese e pacato, di lasciare un messaggio.

Invece Milo non solo aveva risposto quasi subito —  nemmeno lo stesse aspettando al varco, tra il caffè e la lettura mattutina dell’agenda —, ma l’aveva fatto ponendogli quella sola, singola domanda senza nessun preambolo, secco e lapidario, come la scure del boia sul collo del condannato.

No, non gliel’aveva data, un’occhiata alla penale. 

Sì, Shaina gli aveva ventilato qualcosa circa la possibilità di doverla pagare per aver lasciato il lavoro a metà — per non averlo neppure cominciato, a voler essere onesti —, e lui aveva messo in conto di dover sborsare qualcosa per disimpegnarsi. Ma non aveva fatto domande sull’ammontare di questa cifra. Avrei dovuto leggere il contratto con maggior attenzione, si disse, maledicendosi per essere salito su quel carrozzone traballante seguendo l’impulso e non il raziocinio. Questo era il modus operandi di Aiolia, non il suo. E Aiolia avrebbe escogitato un modo per svicolare e salvarsi in calcio d’angolo; ma lui, che andava dritto per la propria strada come un panzer?

All’altro capo della conversazione, Milo attendeva una risposta.

Così Rodrigo decise che avrebbero affrontato quell’argomento per bene, mentre si preparava ad uscire e se ne andava a passeggio per Parigi in cerca di spunti per quella benedetta guida. Sempre ammesso che fosse riuscito a scrivere due paragrafi senza doversi interrompere per questo o quell’imprevisto.

 

«Aspetta un attimo», disse, infilando la chiave nella toppa ed entrando nella sua stanza. Richiuse la porta, infilò gli auricolari e trasse un lungo, lunghissimo respiro. «A quanto ammonta?»

«Non l’hai vista», commentò Milo, tra un fruscio di pagine di giornale e il suono di una sirena in lontananza.

«Quant’è?», ripeté Rodrigo.«A quanto ammonta questa penale?»

«Sei zeri.»

«Sei cifre, vorrai dire.»

«No, no. Sei. Zeri», rispose Milo. Lo sentì addentare qualcosa, masticarlo di gusto ed ingoiarlo. «Scusa, stavo facendo colazione. Oggi ho una registrazione con Barbieri, e più tardi…»

«Nessun problema», l’interruppe Rodrigo, che non aveva voglia di stare ad ascoltare chi fosse questo Barbieri o quali fossero gli impegni giornalieri di Milo. Sarebbe bastato dire di no, ogni tanto. Al momento giusto. Arginare quella marea montante con qualcosa di più concreto di un ombrellino da cocktail bucato. Un frangiflutti galleggiante, ad esempio. O una diga come solo gli olandesi e i castori sanno costruire. «Dicevi?»

«Io? Io, niente», e la voce di Milo sembrava sinceramente perplessa. «Hai subissato la povera Shaina di chiamate, nei giorni scorsi, così mi sono detto che doveva essere una cosa davvero importante…»

Ma ti sei misteriosamente fatto vivo solo quando ho minacciato di mollare baracca e burattini, vero?, pensò Rodrigo. «Omettere dei particolari importanti dovrebbe garantirmi uno sconto, se non l’annullamento della penale.»

«Perché? Mica hai incontrato Aiolia, no?»

La mascella di Rodrigo si serrò. 

«Avrei dovuto?», chiese, la voce affilata come un rasoio. E la paura, scivolosa e strisciante, di poter incappare in Aiolia, svoltando per strada, si insinuò nel suo cervello. Non è che questo imbecille…? pensò. 

«Che io sappia, no. Ma sai come si dice…»

«No, non lo so come si dice…»

«Il mondo è piccolo», si giustificò Milo. «E Parigi è una città che attira una quantità indecente di turisti, ogni mese...» Mandò giù un sorso di caffè, poi aggiunse:«Scherzi a parte, non so dove sia Aiolia. Sul serio. Non ti avrei mai chiesto di andare a Parigi se avessi avuto anche il minimo sentore che lui si fosse trovato lì. Perché Aiolia non è , giusto? Non l’hai incontrato, vero?»

«No. Non l’ho incontrato.»

«Meno male!» Sentì Milo sospirare di genuino sollievo. «Per un attimo ho temuto che fosse questo il motivo del tuo ammutinamento…»

Rodrigo ghignò. Prese la giacca,lo zaino, e uscì, chiudendosi alle spalle la porta. Pigiò il pulsante dell’ascensore e attese. «No, Aiolia non c’entra», disse, mentre le pulegge arrotolavano i cavi e la cabina saliva all’attico.

«E allora perché, in nome del cielo, vuoi tirarti fuori da questo affare?», chiese Milo, mentre l’ascensore raggiungeva il piano e un gaio cicalino annunciava l’apertura delle porte.

«Lo sai il perché», rispose Rodrigo. Entrò, chiuse le porte e pigiò il pulsante del rez-de-chaussée. «Gökotta. Susumella. Questi nomi mi erano in qualche modo familiari, ma di primo acchito non ho capito come mai…»

«E quindi?», chiese Milo, mentre a Parigi Rodrigo usciva dall’ascensore, attraversava l’androne e sbucava su rue Pigalle in un’uggiosa mattina di fine gennaio. 

 

Aveva preventivato di fare una bella camminata verso Montparnasse. 

Un po’ di moto gli avrebbe fatto bene. La cucina del Gökotta era stata superlativa, e a furia di assaggiare questo o quello, aveva esagerato. E stasera gli sarebbe toccato andare a cena da Marco. Che non solo non si sarebbe risparmiato  —  uscire perdente da uno scontro con le patate Blå Kongo di Yngve? Sia mai! — , perché Marco puntava ad un blando pareggio, sulla carta, così da non umiliare il compagno rimettendolo al proprio posto con grazia e garbo. Ma avrebbe alzato l’asticella. Ancora e ancora e ancora. A livello da primato olimpionico.

Dovrò comprare del bicarbonato, si disse Rodrigo, ignorando la successiva stazione della sua personalissima via crucis: la cantina del ristorante di Marco. E anche un paio di pantaloni di una taglia più grande. Ad essere ottimisti.

«E quindi Marco e Yngve sono miei amici. E sono anche tuoi amici», puntualizzò Rodrigo, risalendo senza accorgersene rue Pigalle e sbucando nella piazza omonima, le mani in tasca e l’umore fosco. «Solo che per toglierti le castagne dal fuoco hai chiesto a me.»

«Credo che la frase corretta sia: Solo che hai chiesto a me di toglierti le castagne dal fuoco», ribatté Milo.

«Fai poco lo spiritoso», ringhiò Rodrigo. Una signora, con le buste della spesa cariche di cose, lo guardò con sospetto, facendo un passo indietro. Lui si specchiò in una vetrina —  quella di Monp’, in Place Pigalle —  e vide qualcuno pronto a fare un massacro. Datti una calmata. Altrimenti ti spediranno nel primo istituto psichiatrico con un calcio ben piazzato.

«Non sono in vena di scherzare», protestò Milo. «Te la canti e te la suoni, senza avere neppure la decenza di spiegarmi il perché. Quindi, siccome il tuo tempo è prezioso, e non è giusto sprecarlo in ciance, o mi dici che succede, per filo e per segno, come se lo stessi spiegando ad un demente, oppure…»

«Oppure?»

Oppure la finisci con queste scenate isteriche e fai pace con il cervello. Questo avrebbe voluto dirgli Milo. Rodrigo ne ebbe la certezza quasi assoluta. Ma qualcosa  —  forse un briciolo di buonsenso  —  lo spinse ad optare per un più diplomatico: «.. oppure mi spieghi tutto come se stessi parlando con un demente. A te la scelta.».

Non c’è nessuna scelta, pensò Rodrigo. Si guardò attorno e vide una panchina libera, alle spalle dell’entrata della metropolitana. «Aspetta in linea, attraverso la strada e te lo spiego.» Così mettiamo fine a questa pagliacciata.

 

Lo spazio di un semaforo, e Rodrigo si lasciò cadere sul legno verde scuro un po’ sbeccato, il bavero rialzato, lo zaino tra i piedi e lo sguardo al cielo sopra Parigi. I giardini erano deserti. Solo una manciata di piccioni, vecchietti che si godevano il sole e qualche studente che aveva marinato la scuola.

«Okay. Adesso lasciami parlare senza interrompere. Intesi?» Silenzio assenso. Prese un respiro, poi attaccò: «Non mi piace essere messo in mezzo. Non mi piace che mi si canti la mezza messa. Non mi piace…».

«Che significa? Cos’è la mezza messa

Chiedilo a Marco, pensò Rodrigo. «Significa dire le cose a metà. Quella che più ci conviene», spiegò.

«Adesso non esagerare!»

«Non sto esagerando. E ti avevo chiesto di non interrompere.» Silenzio. «Non hai pensato che forse non avevo voglia di rivedere i vecchi amici?»

«Sì, l’ho pensato», e l’onestà con cui Milo pronunciò quelle parole lo spiazzò. «Ma siccome tu sei un professionista, mi sono detto che ci saresti passato sopra. E mi sono detto che, forse, saresti stato anche contento di rivedere quelle due canaglie. Si vede che mi sono sbagliato.»

«Decisamente», commentò Rodrigo, stringendosi nella giacca. Non faceva freddo quanto si era aspettato, ma quel retrogusto pungente dei giorni che precedono la Candelora si insinuava sotto i vestiti e scorreva sulla pelle, a proprio piacimento. «Le persone hanno i loro tempi. Non sono burattini nelle mani altrui.»

«Se te l’avessi anticipato, saresti mai partito?» 

«No.»

«Era una domanda retorica», puntualizzò Milo, e Rodrigo si sentì un cretino. «Lo so che non saresti mai e poi mai partito.»

«E allora, perché

«Perché tu sei l’unico che può gestire questa faccenda», disse Milo, il tono secco e duro di un vecchio libro che si chiude. «Stammi ad ascoltare. Senza interrompere. Va bene?» 

Rodrigo annuì, poi sospirò:«D’accordo.».

E Milo spiegò: «Quei due deficienti hanno iscritto l’uno il locale dell’altro. Ovviamente, all’insaputa del proprietario.» 

Ovviamente. Tipico di entrambi. L’ennesimo modo di manifestare affetto per l’altro in punta di piedi. E Rodrigo iniziava ad intravedere i contorni della trama di questa intricata vicenda. 

«Quando ho visto comparire entrambe le candidature ho sudato freddo, lo confesso.»

Lo credo bene, pensò Rodrigo, osservando il vai e vieni di un piccione pingue in cerca di cibo. Niente briciole, amico, mi dispiace.

«All’inizio, ho ignorato la cosa. Però non potevo continuare così in eterno, mese dopo mese.»

«Perché...?»

«Esatto», rispose Milo. «Perché inviano la candidatura ogni santo mese. Puntano a prendermi per stanchezza.»

«Ah.»

«Eh.» Pausa. «E poi dicono che sono io, quello caparbio… Ad ogni modo, Adriano mi ha suggerito di prendere il toro per le corna e risolvere la questione una volta per tutte. Così, scontro diretto, e fine dei giochi. Mi toglieranno il saluto, ma almeno sarà finita.»

«Lo toglieranno a me, semmai…»

«No, no. Su questo puoi star tranquillo. Gli articoli, li scrivi tu; la faccia, ce la metto io.»

«Sì, ma hai dimenticato un piccolo particolare.»

«E quale sarebbe?»

«Che sia Marco che Yngve non sono scemi. Tutt’altro.»

«Ma tu non gli hai detto che stai scrivendo per me, giusto?»

«No.»

«E allora, dove sta il problema?»

«Che non ci metteranno molto a fare due più due. Scommettiamo?»

«Io non ne sarei così sicuro», lo sentì bere un’altra sorsata di caffè. «In tutta onestà, io punto sul terzo locale. Il Verse-Eau

«Non mi sembra corretto.»

«E quando mai?», sospirò Milo, ma Rodrigo lo ignorò. 

«Se hai già deciso…»

«Non ho già deciso», precisò Milo. «La mia è una pia, piissima speranza. Magari il Verse-Eau toglierà entrambi dai casini. »

«Non contarci. Ho visto due dei tre locali. Stasera vado al Susumella

«E?» 

Perché c’era un e, nascosto nelle pieghe della voce di Rodrigo, pronto a saltare fuori, materializzandosi sui piedi del primo malcapitato che gli fosse capitato a tiro. Milo, per l’appunto.

«E non c’è paragone», disse Rodrigo. «Il Gökotta è un locale elegante, curato nei minimi dettagli. Fiori freschissimi ogni santo giorno e tovaglie immacolate che nemmeno nei corredi delle nonne. Il Verse-Eau…»

«Il Verse-Eau

«… è rimasto fermo al cambio di millennio.»

Dall’altro capo del telefono Milo tacque. Rodrigo ebbe la sensazione di udire gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto, macinando il problema e le informazioni come fossero granelli di sale. O di pepe. O di caffè. 

«Quindi?», chiese, cauto. Come se si stesse avventurando in acque pericolose.

«Quindi è un bistrot, di quelli a conduzione familiare. Ha un allure anni ‘90 che personalmente apprezzo, ma...»

«Ripeto: quindi? Non è un concorso per il miglior locale, Rodrigo, ma per il miglior dolce», puntualizzò. «Anche fosse stata una stamberga di quelle che trovi sulla spiaggia, due assi in croce e tanta buona volontà, ti dirò, il fatto che Cenerentola vinca contro una corazzata, anzi due, mi piace.»

«Quindi hai già deciso?»

«No», e il tono di Milo si era fatto di colpo serio e posato. «Dovrò assaggiare i dolci, personalmente. Ma posso farlo in mezza giornata, senza troppi clamori. Anzi, meno casino c’è, e meglio sarà. A me servono quegli articoli, e mi servono subito.»

«Ad Adriano servono subito», puntualizzò Rodrigo. «Io non voglio saperne nulla. Sia chiaro. Dubito che il Verse-Eau possa essere all’altezza.»

«Questo lo decido io», l’interruppe Milo.

«D’accordo», rispose Rodrigo. «Ma secondo te un cuoco di buona volontà potrà mai farcela contro due professionisti?»

«Anche il cuoco del bistrot è un professionista», scandì Milo. Parola dopo parola. Nemmeno fosse stato il verdetto finale di un processo per omicidio. «Magari questo pasticcere di buona volontà sa fare un dolce strepitoso. Mai mettere limiti alla divina provvidenza.»

«Permettimi di conservare un sano scetticismo a riguardo.»

«E tu permettimi di fare il mio lavoro», lo rimbeccò Milo. «E ti ripeto che né Marco, né Yngve sapranno del tuo coinvolgimento in questa faccenda. Tu sei lì per scrivere una guida, ricordi?»

«Resta il fatto che sono entrambi miei amici. E resta il fatto che tacere informazioni è una mossa sleale.»

«Tu non hai chiesto…», puntualizzò Milo.

E la già poca pazienza di Rodrigo evaporò. «Tu vuoi proprio che molli baracca e burattini su due piedi, vero?»

 

Un pallone ruzzolò fino alla panchina, gli urtò la gamba e si fermò poco distante. Un adolescente, a metà tra le medie ed il liceo, trotterellò fino a lui, scusandosi, ma le parole gli morirono in gola. Raccattò il pallone, balbettò qualcosa, e filò via come un razzo, nemmeno avesse visto il diavolo in persona.

«Io voglio che tu la pianti di trovare scuse e ti decida a mettere la parola fine a questo dannato progetto.» 

Le parole di Milo furono come una doccia fredda. 

«Prego?»

«Hai capito benissimo. Il problema non sono né il Gökotta, né il Susumella. Il tuo problema è Parigi.» E Rodrigo non trovò le parole per ribattere. Forse Milo aveva ragione? Possibile. Probabile. Sicuro. «Quindi, se sei un professionista, prendi il toro per le corna, scrivi questi articoli e parti a razzo da quella città. Puoi farlo in mezza giornata. Prendi il treno e te ne torni alla tua tana a Paddington. E adesso, scusami, ma ho una montagna di impegni.»

E Milo attaccò, lasciandolo da solo a solo con lo schermo del proprio smartphone, Parigi e un vento freddo che si divertiva a correre sul suo viso. Come se lo stesse canzonando.

   
 
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