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Autore: Nao Yoshikawa    19/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«Sei nervoso?»
Forse era il tremore delle sue mani ad aver lasciato intendere una cosa del genere. Uryu posò la tazza di tè. A sua madre, come al solito, non sfuggiva mai nulla.
«Un po’. So che la psicoterapia è importante, però ho paura di affrontare il dolore. A quanto pare non sono mai stato bravo ad affrontarlo.»
Era così che Uryu si sentiva, un debole. Chissà, magari se fosse stato più forte, avrebbe agito in modo diverso e ora non si sarebbe ritrovato alla sua età con quei traumi ancora addosso. E invece eccolo lì.
«Non dire così. Al gioco delle colpe, io e tuo padre vinciamo di sicuro. Non siamo stati bravi in questo» sospirò Kanae. Non erano stati bravi a evitare al loro figlio quel dolore, né erano stati bravi a farglielo superare.
«Non mi sento arrabbiato con voi. Se fossi stato al posto vostro, non avrei saputo che fare. Forse Tatsuki sì, lei sa sempre cosa fare» gli venne da sorridere quando nominò sua moglie. Era corretto dire che Tatsuki fosse la sua forza, soprattutto in quel momento della sua vita.
«Lei è la donna perfetta per te, questo l’ho capito già anni fa» ammise Kanae.
Sentirono poco dopo dei passi lungo le scale. Era Yuichi, con lo zaino in spalla.
«Allora, io esco. Ci… emh… vediamo dopo. Ciao papà, ciao nonna»
Uryu aveva notato che c’era un certo imbarazzo tra lui e suo figlio, da quando i suoi problemi erano venuti fuori. Yuichi gli stava alla larga e lui non sapeva come approcciarsi a lui. Cosa dire o cosa fare.
«Yuichi mi evita» disse ad un tratto. «Forse è ancora arrabbiato con me, forse pensa che sia un padre terribile.»
Kanae strinse il suo polso.
«Io invece credo che Yuichi sia solo in imbarazzo. Forse lui non sa come parlarti o cosa dire. È la prima volta che ti vede cedere. Tu e lui siete uguali, entrambi sensibili, entrambi riflessivi.»
Non era la prima volta che Uryu si sentiva dire una cosa del genere. Tu e tuo figlio siete identici nel carattere.
Non sapeva se esserne fiero o preoccupato.
«Sì, però… ah…» sospirò e si aggiustò gli occhiali. «Ho come l’impressione che tutto stia andando a pezzi.»
«Perché sta andando in pezzi, figlio mio. Ma non preoccuparti, le cose a pezzi molto spesso si possono rimettere al proprio posto.»
Uryu si sentì in parte consolato. Le ferite dell’animo e della mente erano più difficili da rimarginare, non erano come un taglio o qualcosa di rotto. Una domanda lo tormentava: sono abbastanza forte per superare una cosa del genere?
 
 
Era la prima volta che Soi Fon provava una così profonda sensazione di disagio da quando si trovava a casa di Yoruichi e Kisuke. Quanto successo con Yami aveva fatto nascere delle tensioni tra i due coniugi, ma anche tra lei e Yoruichi, il che era incredibile. In verità Soi Fon si sentiva ferita. Certo, lei non era la madre di Yami, né la sorella. Ma considerato che aveva dato inizio ad una relazione con i suoi genitori, aveva pure il diritto di dire la sua? Vivevano o no tutti insieme? O forse era lei che si era costruita fin troppi castelli in aria? Dopotutto nessuno ancora sapeva della loro relazione. Soi Fon aveva chiarito che la cosa le andava bene, ma ora non ne era più molto sicura. Come se bramasse un riconoscimento, un qualcosa. Lo capiva, una relazione come la loro non era molto comune… ma cosa c’era di male?
«Kisuke, tua figlia si è barricata in camera e non vuole uscire» annunciò Yoruichi. Soi Fon, che stava mangiando, improvvisamente sentì lo stomaco chiudersi.
«Yoruichi, mia cara. Penso che le cose migliorerebbero con un approccio un po’ più gentile.»
«Approccio più gentile? Cosa dovrei fare?»
«Non lo so, ma lei è la vittima in tutto questo. Da una donna emancipata e femminista come te non mi aspetto un ragionamento del genere» questa volta Kisuke risultò più piccato. Soi Fon, anche se in silenzio, si sentì d’accordo con lui. Si accorse di come Yoruichi era arrossita.
«Questo non c’entra niente.»
«C’entra eccome! Pensa se fosse successo a una delle tue studentesse. Saresti stata comprensiva, non è vero? Perché con nostra figlia no? Quello che io vedo, è che da un po’ di tempo tu e Yami avete iniziato una battaglia. Lei è in un’età particolare e siete davvero troppo simili. Ma questo non migliorerà le cose.»
Kisuke Urahara non era cambiato negli anni. Anche quando si arrabbiava, era capace di mantenere un certo contegno, controllo, il che lo rendeva paradossalmente più minaccioso. Yoruichi, che invece era più emotiva, in quei casi non sapeva mai come rispondere.
«Vuoi dire che la colpa è mia?»
«Voglio dire che lei ha bisogno di sua madre, non di qualcuno che la giudica. Per favore, non causiamole altra sofferenza.»
Soi Fon sospirò e Yoruichi se ne accorse.
«Qualcosa non va, Soi Fon?» chiese Kisuke. La ragazza si alzò.
«No, ma mi rendo conto che queste cose non mi riguardano. Dopotutto è la vostra famiglia, non la mia. Quindi ora… me ne vado, ecco…»
Kisuke non le aveva mai detto che non faceva parte della loro famiglia, doveva essersela presa per quello che le aveva detto Yoruichi.
«Quindi è così? Pensate tutti che io sia la cattiva?» domandò lei provata. Suo marito le prese il viso tra le mani.
«Tesoro mio, io ti conosco da tanto tempo e so come sei. Sei molto emotiva e non ti piace mostrarti debole. Odi piangere e preferisci, al massimo, arrabbiarti. E so che sei preoccupata per nostra figlia. E so anche che tu sei consapevole che la colpa non è sua. Me lo dici sempre anche tu, alla sua età eri tale e quale a lei. Se fosse capitato a te, non avresti voluto un po’ di comprensione?
Yoruichi avvertì qualcosa alla gola. Un nodo, quelli che precedevano un pianto. Si sentiva davvero incapace come madre. Con Yami. Eppure era vero, loro si somigliavano così tanto.
«Kisuke…»
«Scusa, vado a vedere come sta Soi Fon. Mi è sembrata sconvolta.»
 
 
Soi Fon era, in effetti, piuttosto sconvolta. Non solo, stava anche entrando nel temuto blocco dello scrittore. La sua storia era ad un punto morto. Eppure l’amore avrebbe dovuto aiutare l’ispirazione. Sì, perché Soi Fon era sicura di starsi innamorando di tutti e due, un sentimento molto diverso rispetto a quello covato per Yoruichi anni prima. Ma questo rendeva tutto più complicato, lo aveva saputo sin dall’inizio. Non temeva sé stessa, temeva loro.
«Accidenti, ma dove sono i miei appunti?» sbuffò, cercando sotto la  ua scrivania. Lui, Soi Fon e Yoruichi non dormivano insieme durante la notte, i loro figli avrebbero posto delle domande. Ecco, ma non sarebbe stato meglio dirlo loro?
Kisuke la vide tutta agitata e poté intuire il motivo della sua agitazione.
«Ehi. Devi perdonare Yoruichi, è molto agitata con questa storia di Yami.»
E lo sono anche io, anche se come al solito fingo positività.
«Lo so, non è per questo che sono arrabbiata» borbottò.
«E allora cosa?»
Soi Fon lo guardò. Oh, adorava Kisuke, ma alle volte non capiva se fingeva di essere perspicace.
«Io cosa sono per voi? La vostra giovane amante o la vostra compagna? Perché non credo di essere tipo da sesso senza impegno.»
«Ehi, Soi Fon. Non ci sogneremmo mai di usare una ragazza per nostro divertimento, specie se così giovane.»
«Smettila di ripetere che sono giovane. È vero, tra noi c’è una differenza di età importante, ma perché io so quello che voglio e voi invece no? Insomma, avete intenzione di costruire una relazione seria con me? Perché questo vorrebbe dire condividere tutto, dire a tutti di noi. E immagino non vogliate problemi.»
Soi Fon tremava per il nervoso. L’ultima cosa che voleva era farla piangere. Lei e Soi Fon erano così diverse, eppure entrambe emotive. Voleva abbracciarla.
«In realtà io l’ho detto a Mayuri, è il mio migliore amico, non potevo non dirglielo.»
Soi Fon sospirò, sorpresa. Forse era un po’ pregiudicante. Kisuke si avvicinò, poggiandole le mani sulle spalle.
«Mi dispiace se hai pensato tutto questo. Hai ragione, una relazione come la nostra è più… particolare. Ma sappi che per me non sei certo una cosa da nascondere… e neanche per Yoruichi. Questa cosa di Yami l’ha sconvolta.»
«E ha sconvolto pure te» disse subito lei. Com’era brava a capirlo, a capirli. Ma dopotutto, con un’anima come la sua, che amava scrivere e inventare storie, non poteva essere diversamente. Le accarezzò i capelli e Soi Fon chiuse gli occhi.
«Ma non dirlo a nessuno.»
 
 
Rin avvertiva un senso di nausea e un nodo lì, tra lo stomaco e la gola. L’avevano dimessa qualche giorno prima, Miyo le aveva regalato un libro con un bigliettino, Naoko le aveva mandato un dipinto fatto da lei. I suoi amici, in generale l’avevano cercata, tempestata di messaggi e chiamate (ma non troppo, per non disturbarla). Tutti tranne Hayato. Da parte di Hayato c’era stato il silenzio e questo l’aveva ferita. Chissà cosa pensava adesso, di lei?
Aveva addosso un’ansia tremenda, per questo e per il piano alimentare che doveva seguire. I dottori le avevano detto di introdurre gradualmente cibo nel corpo, ma il solo pensiero di mandare giù un solo boccone le faceva mancare l’aria. In genere avrebbe saltato i pasti, oppure avrebbe mangiato tanto di nascosto, per poi vomitare in preda ai sensi di colpa. Ora che i suoi genitori sapevano, la seguivano molto.
«Ti ho fatto preparare del tè verde. Lì c’è del riso. Puoi provare a mangiarne un po’» le disse Rangiku. Cercò di mostrarsi positiva e incoraggiante, anche se dentro di sé era una sofferenza vedere sua figlia in questo stato. Rin si sedette, le labbra serrate e mille pensieri in testa.
E se ingrasserò? Se diventerò brutta? E se gli altri se ne accorgono? E se mi vomito quello che mangio? Non voglio.
«Non ho fame» sussurrò.
«Lo so, Rin. Solo un piccolo sforzo. Un passo alla volta, d’accordo?» disse Gin, allo stesso modo interessante. Nel non sapere di essere sola, questa volta, Rin si sentì meglio. Prese le bacchette e poi prese del riso. Le tremava il braccio, in realtà tremava tutto.
Un solo boccone non può farmi male. Se non mangio a sufficienza, non posso sopravvivere. E poi, non voglio più fare preoccupare nessuno in questo modo.
Lo avvicinò alle labbra e poi mangiò, mentre le lacrime le solcavano il viso. Una cosa naturale come nutrirsi, per lei era diventato così difficile, così faticoso dal punto di vista fisico e mentale. Masticò lentamente e poi ingoiò. Sentire qualcosa nello stomaco non era poi così male.
«Sei bravissima, Rin» disse Rangiku, fiera di lei. Ci voleva molta forza, specie alla sua età, per affrontare un problema come quello. Eppure eccola lì, la sua Rin.
«Pensi di poter mandare giù un altro boccone?» chiese Gin.
«Non lo so, forse…» Rin giocherellò con il riso. «Ho paura di diventare brutta e grassa e che nessuno mi vorrà mai.»
Rangiku capì cosa voleva dire. Anche se ora era una donna molto sicura di sé, alla sua età era stata insicura allo stesso modo.
«Mangiando in modo equilibrato non diventerai né grassa né brutta. E nell’eventualità che dovesse succedere, non sarà questo a impedire alla gente di amarti comunque.»
Erano parole che Rin avrebbe compreso meglio crescendo. Lo sapeva, quell’età poteva essere difficile e a sua figlia toccava un difficile periodo di riabilitazione. Ma lei e Gin erano lì per quello. Rin si asciugò una lacrima e riuscì a mandare giù un altro boccone. Quella mattina stava andando discretamente, magari il giorno dopo non sarebbe andata così bene, poi sarebbe migliorata di nuovo. Chi poteva dirlo?
«Ti accompagno io a scuola» propose Rangiku. «Gin… io e te ci vediamo dopo.»
E dicendo ciò guardò suo marito in modo piuttosto eloquente. Gin si era messo in contatto con Loly, mossa rischiosa, ma oramai la situazione era già brutta di sua. Si erano messi d’accordo per vedersi in un luogo non affollato. Gin sapeva quanto fosse rischioso, ma non era andato lì senza sapere che fare. In verità aveva un piano.
Si videro a un cafè bar molto lussuoso che Gin frequentava di solito. Vide Loly seduta, le gambe accavallate e gli occhiali da sole.
«Signor Ichimaru, non pensavo che l’avrei rivista così presto.»
Gin sorrise, uno di quei sorrisi gelidi che mostrava in situazioni di tensione.
«Nemmeno io in realtà. Ma immagino che sia inutile e sconveniente per entrambi mettere in mezzo avvocati e stampa, no? Anche se la mia reputazione è già abbastanza macchiata. Accuse molto gravi quelle che mi fai. Ne sei consapevole, vero?»
Loly si tolse gli occhiali per guardarlo negli occhi. Aveva abbandonato la compostezza dei primi tempi, la maschera da domestica. Adesso era annoiata e sospirava come una bambina annoiata.
«Certo che ne sono consapevole. È che sei il primo che mi rifiuta. Di genere gli uomini non mi dicono mai di no.»
«Ma io non sono uno di quegli uomini. Amo Rangiku e non la tradirei mai. Quindi, non possiamo venirci incontro. Ti sarei molto grato se ritirassi le accuse pubbliche nei miei confronti.»
Loly sorrise.
«Se mi darai quello che voglio, sì.»
Eccolo lì, il momento che aspettava. Gin si infilò una mano in tasca.
«Ovvero?»
«Fa di me la tua amante. Voglio sesso e voglio i tuoi soldi. Non ho mai avuto un amante ricco come te, mi farebbe comodo. In verità avevo in mente di mirare a Sosuke Aizen, ma arrivare a lui sarebbe stato difficile.»
«E hai ripiegato su di me» concluse Gin. «Quindi è così, avevi pianificato tutto. E mi stai ricattando per avere sesso e soldi. Sai che passeresti dei guai seri, vero?»
«Come ti dissi una volta, chi vuoi che ti crederebbe? A chi crederebbero tra me, una ragazza dal viso d’angelo e giovane, e tra te, un uomo più grande e più potente? Suvvia, è ovvio. Allora, che mi dici? La cosa conviene anche a te, scommetto che una donna più giovane ti farebbe comodo. Alla vostra età siete tutti uguali, in fondo.»
Gin dovette ricorrere a tutta la sua forza per non aggredirla verbalmente, ma non voleva mandare a momento il suo piano. Suo e di Aizen in realtà. Quindi fece buon viso a cattivo gioco.
«Dal momento che non mi lasci altra scelta, eseguirò le tue richieste. Ma ti prego, ritira le voci che hai messo in giro» disse Gin, supplichevole. Era sempre stato bravo a recitare. Gli occhi di Loly si illuminarono.
«Ma naturalmente, i patti sono patti. Allora dovremo proprio decidere quando incontrarci. E ricordati, se scopro che mi prendi in giro, troverò il modo di farti arrestare.»
Gin ingoiò quel boccone amaro. Era una situazione surreale e fastidiosa, ma avrebbe tenuto duro. Aveva una preziosa prova dalla sua parte, dopotutto.
 
«Kaieeen! Posso dire che mi sei mancato tantissimo?»
Kaien arrossì nel sentire Kiyoko parlare. Ultimamente erano stati distanti, per colpa sua principalmente. Ma adesso voleva provare ad essere un amico migliore… e sì, anche un fidanzato migliore!
«Anche tu. Hai scattato qualche nuova foto, di recente?» domandò. Kiyoko arrossì e i suoi occhi si illuminarono. Il fatto che si interessasse tanto alla sua passione, era a dir poco stupendo. Anche Rin era tornata a scuola, anche se i suoi genitori avrebbero preferito tenerla a casa ancora qualche giorno, lei aveva insistito. Stava bene e voleva andare. Quando arrivò, Miyo fu la prima ad andarle incontro e sorriderle.
«Rin.»
«Miyo. Scusa per tutto quello che ti ho fatto passare.»
Miyo si morse il labbro.
«Scusa tu per non aver potuto fare niente.»
Rin scosse la testa.
«Tu hai fatto tanto e nemmeno te ne rendi conto.»
E poi Miyo l’abbracciò. Avrebbe tanto voluto sapere dove fosse il uso fratellastro, di sicuro e lui avrebbe fatto piacere vedere Rin. Invece sembrava sparito. Ben presto anche le altre si avvicinarono a lei per abbracciarla e poco dopo i ragazzi la raggiunsero. Rin era circondata e questo la fece sentire non sola e accolta. Rimaneva sempre una bella sensazione. E poiché quello era il giorno dei grandi ritorni, anche Kohei era arrivato a scuola. Con l’aria timida e sperduta come se fosse il primo giorno.
«Kohei?» lo chiamò Kaien. «Finalmente! Non sapevo saresti rientrato oggi.»
«L’ho deciso l’ultimo» ammise Kohei. Quando Naoko lo vide, tentò di incrociare il suo sguardo, cosa che Kohei evitò. Avrebbe voluto parlargli, un po’ per lo temeva. Kohei aveva un modo diverso di approcciarsi alle cose, una sensibilità diversa. E lei, per la prima volta, non sapeva come comportarsi. Non lo sapeva lei e tato meno Satoshi, che allo stesso modo non trovava il modo di parlare a Kohei.
 
«Mi stai dicendo che mio padre e tuo padre hanno… fumato l’erba insieme?»
Yuichi era sconvolto. Da uno come su padre, non se lo aspettava di certo. Masato annuì.
«Mia mamma era un po’ arrabbiata, ma non molto. Strano, di solito gli avrebbe urlato contro. Il fatto è che lei sembra sempre in colpa. Mi chiedo se mi direbbe qualcosa. Io voglio sapere cosa succede in casa mia! Altrimenti chiederò a mio padre, e se lui non sa chiederò… a zia Kukaku o a zia Byakuya, sono sicuro che loro sanno qualcosa.»
«Beh, di sicuro qualcuno te lo dirò. Io invece vorrei tanto sapere cosa succede a mio padre. Cioè… in realtà l’ho capito, ma non perché qualcuno me l’abbia spiegato. A quanto pare lui, quando aveva la nostra età… è stato toccato contro la sua volontà, capisci? Da un suo insegnante.»
Masato sgranò gli occhi. Ad una cosa del genere non aveva mai pensato.
«Questa è una cosa orribile!»
«Lo è davvero. Forse ora capisco perché è stato così strano ultimamente. Aveva paura che potesse succedere a me. Con te non mi accadrà di certo. Però so che queste cose succedono, ed è strano. Pensavo che il sesso potesse essere solo bello.»
«Immagino che sia bello quando vogliono entrambi. Se uno dei due non vuole, allora… a me non piacerebbe essere toccato contro la mia volontà, specie poi da un adulto, è disgustoso! E mi fa anche paura. Anche lui deve avere avuto paura.
Yuichi annuì. Si era scontrato tante volte con suo padre in quell’ultimo periodo e l’unica cosa che voleva era cercare di riavvicinarsi, ma non sapeva come fare. Era tutto troppo per lui.
«Noi non ci faremo mai male in questo modo, non è vero?» domandò poi Yuichi. Di Masato voleva fidarsi. Voleva fare tante cose con lui, voleva crescere con lui e scoprire. Erano stati legati sin da piccoli.
«Ma certo che non ci faremo mai del male. Però se magari qualche volta ti ferirò, per qualche motivo. Allora tu perdonami, perché non sarebbe fatto di proposito.»
Yuichi sorrise. Poi, senza nemmeno guardarsi intorno, lo baciò sulle labbra.
 
Era la prima volta che Yami camminava tenendo lo sguardo basso. Non era da lei, ma quella vicenda le aveva tolto la sicurezza e l’autostima. Il fatto che in tanti avessero visto il suo corpo contro la sua volontà, il fatto che sua madre le avesse dato la colpa… era tutto troppo da sopportare. Ai camminava a braccetto con lei, Hikaru camminava alla sua sinistra. Quei due non la lasciavano mai.
«Non ho bisogno delle guardie del corpo» borbottò Yami.
«Sono tuo fratello, ho il dovere di difenderti.»
Ren e i suoi complici che avevano diffuso la foto erano stati espulsi, ma gli altri studenti non avevano certo dimenticato. I maschi continuavano ancora a insultarla alle sue spalle (e nemmeno troppo). E molte ragazze la guardavano come una poco di buono. Mentre si dirigevano verso la classe, il trio fu fermato da una ragazza del terzo anno, più alta di Yami.
«Sei tu» le sibilò. Aveva i capelli tinti di un biondo molto chiaro e le unghie laccate di smalto rosa rovinato.
«Sì, io sono io» disse Yami annoiata. «E tu chi sei?»
«Ah, non sai chi sono? Sono Akane Irie, la ragazza di Ren.»
«Ah, sì? Beh, tanti auguri» disse cercando di passarle accanto. Ma la sua mano premeva proprio lì, sotto lo stomaco, quasi facendole mancare l’aria.
«Ti rendi conto che l’hanno espulso per colpa tua? Insomma, tu hai mandato quella foto, avresti dovuto pensarci prima.»
Ai aggrottò la fronte e si fece avanti.
«La colpa non è affatto sua. Lo sai che questa cosa è anche illegale?»
Akane Irie però la ignorò, continuando a rivolgersi a Yami.
«Insomma, la poco di buono sei tu. È ovvio che se mandi certe cose in giro, tutti se ne approfitteranno.»
E Yami, che aveva sempre risposto con freddezza e un certo sarcasmo, non riuscì proprio a resistere. La schiaffeggiò, sollevando uno sguardo carico di rabbia.
«Sta zitta. Tu non sai niente. Voglio solo essere lasciata in pace!»
E dicendo ciò riuscì a scostarsi dalla presa di Ai e a scappare, probabilmente, verso i bagni.
«Yami!» gridò Hikaru. «Dannazione. Ma perché non imparate a farvi i fatti vostri?» domandò rivolto ad Akane. Dopodiché cercò di seguire sua sorella.
 
 
Kohei era andato a scuola. O per meglio dire, lei e Chad erano riusciti a convincerlo ad andare. Sperava che sarebbe andata meglio nei prossimi giorni, ma in verità Karin era molto negativa su tutto. Suo figlio… il suo bambino tenero e sensibile stava crescendo e su questo non c’erano dubbi. Erano sempre stati molto uniti, ma da quando Kohei l’aveva spintonata, era come se fosse stato eretto un muro. Da parte di Kohei.
«Oggi ho gli allenamenti della mia squadra, ma sono così fuori forma… non posso farmi vedere così» sospirò Karin, seduta sul divano e con ancora i capelli in disordine. Anche Chad doveva sbrigarsi a raggiungere la palestra in cui lavorava, ma allo stesso tempo non voleva separarsi da sua moglie.
«Anche io mi sento fuori forma» ammise. Karin allungò una mano, accarezzò il suo braccio muscoloso.
«Dopo la nostra crisi di quattro anni fa, speravo che il difficile fosse passato. Ma quanto mi sbagliavo, non avevo fatto i conti con la terribile adolescenza. Sono tornata a sentirmi una madre… non dico orribile, ma un po’ incapace. Kohei l’ho sempre compreso, adesso non riesco.»
Chad sospirò e si lasciò accarezzare.
«Temo che in molti non capiscano i loro figli. Kohei crescerà, ma ti vorrà sempre bene. Lo sai, ha sempre preferito te a me.»
Karin si morse il labbro, colpevole. In effetti Kohei era sempre stato visceralmente attaccato a lei, sin da neonato.
«Ma questo non vuol dire che non voglia bene anche a te. Sei un bravo padre e lui ti somiglia. È piuttosto forzuto.»
Chad la strinse a sé, protettivo.
«Non preoccuparti, non riaccadrà. Credo che nostro figlio si senta in colpa.»
Karin sospirò. Si accoccolò a lui in modo languido e Chad lo percepì.
«Per un attimo non voglio sentirmi in colpa, né nulla. Ti prego.»
Chad riconobbe anche tutto quello che implicava quel ti prego. La baciò dolcemente e poi la portò sotto di sé su quel divano. Avrebbero tardato a lavoro, tutti e due, ma era per una buona causa
 
 
«Rukia, Rukiaaa! Ah, sei qui! Meno male, abbiamo perso Mirai. Cioè, non l’abbiamo persa, però non si trova più. Come faccio?!»
Natsumi era, come sempre, in preda alla disperazione. Capitava che i bambini dell’istituto si nascondessero o sparissero per delle ore. Mirai poi aveva l’abitudine di arrampicarsi ovunque e costruirsi fortini nei posti più improbabili.
«Su, Natsumi, respira! Lo sai com’è Mirai, è dispettosa! Su, respira e rilassati.»
Natsumi nascondeva un’indole molto ansiosa, Rukia lo sapeva bene. Anche se nessuno lo avrebbe mai detto.
«Hai ragione, per fortuna che ci sei tu a calmarmi. Non vedo l’ora di uscire con Hanataruccio mio. Anche se sono ancora arrabbiata con lui per ceduto a quella stupida idea dell’erba. Mi avessero fatto provare almeno!»
Rukia sospirò.
«Sono tutti troppo responsabili per permetterti una cosa del genere.»
«Oh, uffa! Non hai ucciso Ichigo, vero?»
Rukia ci pensò su. Non l’aveva ucciso e non gli aveva nemmeno fatto una ramanzina. Però ricordava esattamente quando si era stretto a lei, mentre tentava di metterlo a letto quasi fosse ubriaco.
«Rukia, sto così soffrendo, ma ti amo sempre così tanto. Non tenermi ancora all’oscuro. Non farlo.»
Le aveva detto questo, in preda ad uno sbalzo di coraggio. O di incoscienza, o qualsiasi cosa fosse.
«No, non l’ho ucciso. Anzi. Pensa un po’ a che punto l’ho portato.»
«Nah, tranquilla, questa è solo responsabilità sua. Sai cosa penso, Rukia?» Natsumi si sedette accanto a lei. «Penso che dovreste fare sesso.»
Tipico di Natsumi parlare di certe cose come strema facilità. Rukia era anche più grande e con più esperienza, ma era più timida.
«S-sesso?» balbettò.
«Naturalmente. So che non risolve tutti i problemi, ma può molto aiutare una coppia. Tipo, tra me e il mio Hanataro…» Natsumi si morse il labbro, forse non era il caso di parlare delle sue acrobazia sessuali con Hanataro. «Quello che voglio dire è: da quanto tu e Ichigo non vi concedete del tempo per voi in quel senso?»
Effettivamente sembrava passata una vita. Non è che avessero avuto modo di recente, lei avrebbe anche voluto, ma forse era Ichigo a non desiderarla più. Doveva essere fin troppo arrabbiato con lei per volerla.
«P-però io non so se vorrebbe.»
«Allora tu chiediglielo. Non siete forse sposati da anni? Non dovreste vergognarvi.»
Incredibile, adesso si faceva persino consigliare da una vent’enne. Però Natsumi non aveva torto. Rukia bramava quel contatto con Ichigo. Ma sapeva che prima di arrivare ad un contatto così intimo, c’era bisogno di parlare.
Ad un tratto le due sentirono un bu! Alle loro spalle. Ecco che Mirai era comparsa.
«Mirai! Ecco dov’eri, mi hai fatto spaventare!» gridò Natsumi.
«Fifona!»
«Piccola peste ingrata!»
Rukia scosse la testa e poi sospirò, sorridendo. Per fortuna c’era il suo lavoro a distrarla.
 
Anche Ichigo si stava ritrovando a sostenere una conversazione simili, anche se l’altra persona era niente meno che Kukaku. Chi meglio di sua cugina? Ichigo, tra l’altro, aveva iniziato a porre domande. Rukia doveva aver frequentato casa sua, lei doveva aver visto. Su Ganju non poteva contare più di tanto, ma lei…
«Ma insomma! Te l’ho detto, Ichigo. Io non so niente.»
«Stai per caso nascondendo qualcosa?» domandò. «So che tu e Rukia avete parlato.»
«Oh! Si, abbiamo parlato, ma non so niente che tu già non sappia. Tutto quello che posso dirti è che loro si frequentavano spesso. Ed è vero, ci vedevo qualcosa di strano, ma è una cosa che ho realizzato col senno di poi. Kaien era bravo a non far notare le cose, ma il suo sguardo non mentiva. Io non capisco perché sei così ossessionato.»
«Non capisci, dici? Forse perché parliamo di mia moglie. Che stava col mio cugino ora defunto. La cosa mi disturba. Io e Kaien abbiamo quasi la stessa faccia, io sembro più suo fratello di Ganju stesso. Sai cosa? Deve essere per questo che Rukia si è innamorata di me.»
Kukaku si alzò all’improvviso e gli mollò un colpo dietro la testa.
«AHI! Ma si può sapere che ti prende?»
«Mi prende che dici un sacco di cavolate. Tu e Kaien uguali? Nell’aspetto, forse. Ma nel carattere siete completamente diversi, tu sei un bamboccio in confronto a lui.»
«Che cosa?! Ti diverti a tormentarmi?»
«No, cretino. Ti sto dicendo che se Rukai si è innamorata di te, non è perché vede in te un sostituto. Sì, di sicuro il fatto che tu somiglia a Kaien l’ha influenzata, ma se si è innamorato di te, è per come sei. Pensi che si sarebbe spinta fino a questo punto? Non ti facevo così complessato.»
Ichigo si massaggiò la testa, imbronciato. Non è che non volesse credere a Kukaku, ma non ci riusciva. E sì, anche lui come tutti aveva insicurezze. Ricevette poco dopo un messaggio da parte di Rukia.
Sono a casa. Quando torni? Devo parlarti.
Strinse il cellulare.
«Questo complessato ora deve andare a casa.»
«Bravo! E spero che la musica cambi.»
Chissà. Ichigo se lo augurava.
   
 
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