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Autore: Nao Yoshikawa    20/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Rukia era tornata a casa e si era molto sorpresa di trovarla silenziosa. Niente Kon che veniva a farle le feste, niente gemelli che chiacchieravano o litigavano. C’era soltanto Ichigo, che nervoso e rigido l’aveva accolta in soggiorno. Le luci erano soffuse e c’era un’atmosfera molto intima. Non era stato intenzionale da parte di Ichigo. O almeno così credeva.
«Dove sono tutti?» domandò Rukia posando la borsa.
«Ho mandato bambini e cane da tuo fratello e da Renji.»
Rukia spalancò gli occhi, sorpresa.
«Li hai mandati tutti lì? Come hai convinto Byakuya ad accettare?»
«Beh… gli ho detto che mi serviva del tempo da solo con te. Per parlare. E quindi eccomi qui.»
Le sorrise, in modo timido e Rukia in quel sorriso sentì che avrebbe potuto perdersi. Le mancava suo marito, le mancava la loro complicità, i suoi baci e carezze, tutto. Ma era stata lei ad allontanarla del tutto.
«Ichigo… mi spiace se ho rovinato tutto. Era proprio quello che ho cercato di evitare, per anni. Ma se te ne avessi parlato prima, mi sarei risparmiata tante sofferenze. A te, anche.»
Ichigo arrossì e si passò una mano tra i capelli.
«Non è un problema che tu sia stata con lui prima di me. È l’avermelo nascosto. C’è ancora una vocina che si ostina a dirmi che l’unico motivo per cui tu stai con me è per la mia somiglianza con Kaien.»
Rukia allora prese il suo viso tra le mani.
«Lo so, lo capisco perfettamente, ma non è così. È vero, all’inizio la tua somiglianza con lui mi ha colpita, volevo parlare con te perché parlandoti era come avere ancora Kaien vicino. Ma le cose sono cambiate in fretta.»
Ichigo dovette metabolizzare l’idea che in effetti era stato quello il motivo per cui Rukia si era avvicinata a lui, all’inizio.
«Quand’è che sono cambiate?»
«Quando ho iniziato a conoscerti. Quando ho capito che tu da lui eri diverso, che eri un’altra persona e che mi stavi lentamente conquistando. Anche se battibeccavamo spesso. Cosa che facciamo tutt’ora. Io mi sono innamorata del tuo carattere irruento, testardo. Del tuo essere così protettivo e affettuoso. Mi dicevo che non mi sarei più innamorata dopo Kaien. E poi, nel giorno più triste della mia vita, ecco che sei arrivato tu, un raggio di sole dai capelli di un improbabile colore arancione. Penso che tu mi abbia salvata.»
Sorrise di malinconia. Anche se guardava Ichigo, in realtà davanti agli occhi le scorreva davanti la loro storia. La sua impacciata e scorbutica dichiarazione, i primi periodi insieme come coppia. Poi il matrimonio, la gravidanza e l’arrivo dei gemelli. Tutti i giorni che avevano passato insieme rimanendo sempre loro, pur cambiando e crescendo.
Ichigo si schiarì la voce, sembrò commosso. Rukia non stava mentendo.
«Io… non sono un salvatore.»
«Lo sei per me. E meritavi di conoscere questa parte della mia vita. Se lo vorrai, te ne parlerà.»
«Rukia, non sei costretta a farlo adesso, se…» si bloccò perché sua moglie gli si era avvicinata, con un cero sguardo languido. Entrambi si desideravano tanto e quella lontananza non aveva fatto altro che aumentare il desiderio.
«Non mi fai mai sentire costretta» sussurrò, toccandogli il braccio con delicatezza, come se avesse paura. Ichigo incrociò il suo sguardo e decise di cedere. Non voleva più perdere tempo a evitarla, voleva solo lenire il dolore, capirci qualcosa, metabolizzare. La baciò come non faceva da settimane e affondò le dita tra i suoi capelli, per poi prenderla in braccio. Rukia gemette in quel bacio, riscoprendo una nuova passione.
«Facciamolo in cucina.»
Ichigo la guardò sorpresa. Ma effettivamente, fintanto che figli e cane non erano nelle vicinanze, tanto valeva approfittarne.
«Tutto quello che vuoi, Rukia.»
 
 
Nel mentre, Byakuya e Renji si prendevano cura dei gemelli, o quanto meno ci provavano. Zabimaru e Kon si scoprirono andare d’accordo, tant’è che erano accucciati l’uno accanto all’altro. Masato invece era entusiasta per quel matrimonio che si sarebbe festeggiato entro qualche mese e non poteva trattenersi dal dare consigli.
«A un matrimonio non possono mancare fiori. Io prenderei delle orchidee, ma mi piacciono molto anche i tulipani. Di che colore ti vestirai, zio Renji? Penso che dovresti optare per il nero. Tu hai i capelli rossi, il blu ti starebbe davvero male.»
Non poteva crederci. Tra suo nipote e Yumichika, aveva senza volerlo due mancati wedding planner pronti a guidarlo.
«P-prenderò in considerazione il tuo consiglio, grazie. Non sapevo fossi così esperto in matrimoni» Renji gli passò una tazza di tè, su cui Masato soffiò.
«Beh, un giorno anche io vorrei sposarmi. Possibilmente con Yucihi Non dire mai a nessuno che l’ho detto, ma ho pensato tutto nei minimi dettagli» Masato era entusiasta e i suoi occhi brillavano. «Ogni dettaglio della cerimonia, della nostra futura casa… ah, e poi ho deciso, se avremo un figlio lo chiameremo Yuto. È l’unione dei nostri nomi. Voi volete dei figli?»
Era adorabile l’ingenuità e la spontaneità con cui Masato parlava di certe cose. Era sicuro che sarebbe diventato un uomo molto sensibile e profondo, un giorno.
«Sì, ci piacerebbe» pensò, per poi sospirare. Si rese conto che lui e suo nipote dodicenne alla fine volevano le stesse cose, avevano le idee molto chiare.
 
Byakuya invece stava tenendo compagnia a Kaien. Anzi, era più corretto dire che Kaien girasse attorno a suo zio per chiedere informazioni circa la strana tensione dei suoi genitori.
«E dai zio Byakuya, sii buono. Zia Kukaku non mi dice niente. Sii più simpatico di lei, perché giuro che sto impazzendo!»
Non che Byakuya non volesse dirgli nulla, ma non era più una cosa che avrebbero dovuto affrontare Rukia e Ichigo?
«Stai tranquillo, i tuoi genitori non si lasceranno di certo.»
«Ma questo non è abbastanza. Senti, è per qualcosa che mia madre ha fatto, vero? Io lo vedo, papà è strano, è triste. E non è da lui!»
Byakuya sospirò. C’era ben poco da fare, Kaien non si tirava indietro quando in mezzo c’era la sua famiglia. Tutto suo padre, dopotutto.
Lasciò perdere la lista invitati che stava controllando e guardò suo nipote.
«E va bene, Kaien. Ti ho sempre ritenuto maturo per la tua età, quindi qualcosa posso dirtela, ma non dire che sono stato io» non poteva credere di starlo facendo davvero. «Devi sapere che quando tua madre era poco più grande di te, era innamorata di un ragazzo. Il suo nome era Kaien Shiba.»
Kaien strabuzzò gli occhi, indicandosi.
«Ma Kaien Shiba era il cugino di papà. Io mi chiamo come lui. Io… cavolo, mi chiamo lui!» realizzò in quel momento. Ecco spiegato il perché, tutto aveva all’improvviso più senso.
«Vedo che hai capito. Comunque tua madre ha nascosto questa cosa a tuo padre per molto tempo perché… per il dolore, immagino. Perché quando perdi la persona che ami, con cui hai creduto di costruirti una vita, il mondo ti crolla addosso» sussurrò, divenendo malinconico. Lui c’era passato con Hisana. Il dolore non sarebbe mai sfumato e suo nipote intuì anche questo.
«Come te e la zia Hisana, vero?»
Byakuya non si aspettò quella domanda e, dopo aver spalancato gli occhi, allungò un braccio e gli accarezzò i capelli.
«Proprio così. Abbiamo sofferto molto, ma poi lei si è innamorata di tuo padre, come io mi sono innamorato di Renji. Ma le cose non sono facili, dopo che Ichigo l’ha scoperto, se l’è presa. Riesci a capire?»
Kaien ci pensò su e provò a immaginare. Decise che sì, che aveva senso, ma anche che i suoi genitori non si sarebbero lasciati per così poco.
«Sì, penso di sì. Adesso capisco e… zio Byakuya?»
«Sì, Kaien?»
«Sei felice di star per sposare zio Renji?»
Come sempre alle domande dirette dei suoi nipoti non poteva sfuggire. Aveva avuto tanti dubbi su tutto, ma adesso gli sembrava tutto sempre più chiaro, sempre più giusto. Distese le labbra in un sorriso.
«Non hai idea di quanto io sia felice.»
 
 
 
L’ultima cosa che Shinji voleva era chiedere consigli d’amore alla sua ex. Non sarebbe stata la prima volta, ma ultimamente non si sentiva a suo agio. Hiyori lo conosceva bene, anche se non stavano più insieme da anni, poteva dire di conoscerlo piuttosto bene.
«Senti, non possiamo provare se hai quella faccia da funerale. Tu ti fai troppi problemi, da quando in qua sei così pieno di complessi. E poi, voglio dire… erba, davvero Shinji?»
Shinji arrossì. Doveva proprio dirlo davanti agli altri membri della band.
«… Ero depresso, avevo bisogno di non pensare. Se Sosuke lo sapesse, mi sfotterebbe a vita. Ti rendi conto di quanto sono stupido? In preda a un delirio di onnipotenza ho creduto di poter risolvere tutti i problemi. Ma non ho salvato Rin e non ho cambiato la vita ad Hayato.»
Hiyori alzò gli occhi al cielo. Prese le bacchette della batteria e lo colpì su un braccio.
«Ahi! Ma che fai?»
«Sei noioso. Non ti rendi nemmeno conto di quello che fai. Certo che hai salvato Rin, pensa se non avessi detto niente a sua madre. E Hayato, sono sicura che le tue parole lo hanno colpito. Ma quello lì è orgoglioso quanto suo padre. Insomma, sei forse cieco?»
In effetti non aveva visto le cose da quel punto di vista. Lui era felicissimo di aver dato una mano a Rin, e con Hayato si era tolto un bel peso dalla coscienza. Quello a cui non riusciva a smettere di pensare era “Se fosse stato sposato a Momo, le cose sarebbero cambiate?”.
«N-non sono cieco. Oh, e va bene, che odio quanto qualcuno prova a guardarmi dentro. Forse ho iniziato ad avere un po’ di panico da quando nostra figlia è… diventata una donna. Ma è normale, io non so cosa fare per lei. Ti ricordo cosa è successo quando le è arrivato il primo ciclo.»
«Oh, Shinji, suvvia! Io nemmeno c’ero, pensa un po’! Ma sei stato affettuoso e comprensivo, ti posso assicurare che in quei momenti c’è un grande bisogno di queste due cose. L’ho capito benissimo, ti senti ancora in competizione con la sua ex moglie.  Ma questo è un tuo blocco mentale. Quel cretino di Aizen è cotto di te. Non dirmi che pensi ancora di non essere abbastanza.»
Shinji arrossì e incrociò le braccia al petto. Di certo non era piacevole quando qualcuno scopriva i tuoi punti deboli. Nel suo caso, Hiyori li aveva scoperti tutti.
«A volte il pensiero c’è, lo ammetto.»
Hiyori gli diede un colpo alla testa.
«Che razza di imbecille. Guardati un po’ intorno. Tu dirigi questa band e contano tutti su di te, hai un marito che ti guarda come se fosse la prima volta che ti vede… e sei anche il preferito di Miyo. Quindi dovresti proprio piantarla di concentrarti sulle cose negative!»
Shinji capì che Hiyori stava cercando di essere gentile, anche se nel suo solito modo un po’ goffo.
«Davvero sono il preferito di Miyo?» la stuzzicò. Hiyori sbuffò.
«Sin da quando è nata, quindi smettila o giuro che ti do un pugno. Rilassati, d’accordo? E piuttosto, ora pensiamo a suonare, tutta questa psicoanalisi nei tuoi confronti mi innervosisce.»
Le parole di Hiyori sortirono un certo effetto. Shinji non era mai stato insicuro, adesso che erano sorte delle insicurezze non sapeva come affrontarle. Ma non era una tragedia. E poi, da quando voleva avere il controllo? Oh no, lui non voleva controllare niente, voleva solo lasciare andare.
«E va bene. Forza e coraggio, salite sul palco e non battete la fiacca… AHI!»
Hiyori gli aveva dato l’ennesimo colpo in testa.
«Però non darmi ordini, chiaro?»
 
Miyo stava bussando contro la porta di Hayato già da qualche minuto.
«Hayato! E dai però, non puoi ignorarmi. Non vuoi vedere Rin? Non è giusto come ti comporti, la farai stare male. Non comportarti da insensibile o giuro che non ti difenderò mai più. Ma mi senti?»
Stanco di sentirla urlare, Hayato aprì la porta, imbronciato come al solito.
«Oh, finalmente. Avanti Hayato, vieni a trovare Rin. Lei ha bisogno di te.»
Suo fratello stava male, ultimamente. Avrebbe voluto aiutarlo, ma oramai stava iniziando a capire che non poteva avere controllo su tutto. Dal canto suo Hayato avrebbe voluto dire qualcosa a Rin, qualsiasi cosa che potesse farla star meglio.
«Io voglio, però… se non so cosa dire?» domandò sottovoce. Rin aveva bisogno di sensibilità. Miyo sorrise, porgendogli una mano. Poteva dire di conoscere suo fratello almeno un pochino e in fondo era bravo, solo un po’ imbranato.
«Non preoccuparti. Tu intanto vieni con me.»
Hayatoe sitò qualche istante, ma poi strinse la mano alla sua. Di Miyo poteva fidarsi, niente di male poteva succedere.
 
Toshiro aveva preso a frequentare spesso casa di Rangiku e Gin, preoccupato per Rin per com’era non riusciva a farne a meno. Ma non era solo quello, il motivo. Forse un po’ egoisticamente, ma Toshiro aveva bisogno di una faccia amica. Aveva tanti pensieri per la testa. Primo fra tutti, avrebbe avuto un figlio. Si chiedeva se sarebbe stato capace, con Hayato le cose non andavano benissimo. Crescere un bambino sin dalla nascita era forse diverso dall’approcciarsi a qualcuno che aveva già le due idee. E per quanto Hayato lo avesse accettati, ancora non riusciva ad abbattere quel muro.
«Sei sicuro che non vuoi andare a casa? Momo sarà preoccupata» disse Rangiku sfiorandogli la mano. Sapeva cosa voleva dire, specie durante la gravidanza si aveva un costante bisogno della persona amata.
«Non voglio metterle addosso le mie ansie. Anzi, di sicuro lei la vivrà meglio. È già una brava madre. Io, per quello che ho visto, temo di non essere poi un granché.»
Rangiku si indispettì, dandogli uno scappellotto sulla testa.
«Ahi! E questo per cos’era?»
«Tanto per cominciare, non dare per scontato le sue ansie. Seconda cosa… vuoi scherzare? Certo che sarai bravo.»
«Hayato non la pensa così» sbuffò.
«Hayato è solo orgoglioso» disse alzando gli occhi al cielo. «Non te lo nascondo, essere genitore è difficile. Sbaglierai, si sbaglia sempre, è importante fare del proprio meglio.»
Toshiro capì che più che a lui, quelle parole erano riferite a Rangiku stesa. Prese la sua mano e la strinse.
«Non hai sbagliato in questo caso.»
«Ho peccato di poca attenzione. Come sempre, del resto.»
Toshiro strinse più forte la sua mano, ma senza farle male.
«Ma Rin è qui e sta bene. Lo sai? Lei ti somiglia. Credo sia per questo che le voglio così bene.»
Non era da lui lasciarsi andare a simili smancerie con la sua migliore amica, ma aveva bisogno di dirglielo e Rangiku di sentirselo dire.
«Oh, Toshi. Vedi quanto sei tenero? Ti stai già addolcendo!» e dicendo ciò lo strinse in uno dei suoi soliti abbracci soffocanti. Toshiro protestò debolmente, ma non si retrasse. Gin li trovò così e a stento trattenne un sorriso.
«Abbiamo ospiti, ci sono Miyo e Hayato.»
Toshiro si drizzò su. Finalmente Hayato si era deciso.
 
Rin aveva sorriso quando aveva visto sia Miyo che Hayato entrare in camera sua. Alla sua migliore amica aveva riservato un caloroso abbraccio, si era limitata a salutare Hayato. Fra i due c’era molto imbarazzo, e Miyo, che adorava essere il cupido della situazione, decise di lasciarli da soli.
«Torno tra un momento, vado a prendere… emh… qualcosa. Torno subito.»
Rin alzò gli occhi al cielo. Avrebbe dovuto immaginarselo.
«Ti trovo bene» disse Hayato, goffo, con le guance colorate di rosso. Oh, Rin era bellissima, in realtà l’aveva sempre trovata bella, anche se non gliel’aveva mai detto. Lei arrossì a sua volta.
«Grazie… sono contenta che tu sia qui. Pensavo non volessi più parlarmi perché… in realtà non so nemmeno io perché lo pensavo.»
Hayato rimase in silenzio. Quanta gente stava facendo soffrire a causa di quella sua incapacità di dire ciò che sentiva? Non voleva far soffrire anche lei.
«Mi dispiace, è colpa mia. È che non sapevo che dire. In realtà non lo so tutt’ora. So solo che sono molto felice di vedere che stai bene. Tu sei… una delle mie persone preferite» il suo tono di voce era bassissimo. Rin si avvicinò. Le veniva da piangere, ma in senso buono. Afferrò la sua mano e lui non si spostò.
«Io sono felice di vederti, Hayato. Lo sai? Tu mi piaci quando mostri il tuo lato più tenero, è una delle cose che più mi piace di te. E lo fai anche con Miyo, dovresti farlo anche con gli altri, sono sicuro che loro apprezzerebbero.»
Hayato avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma in verità era incantato da quegli occhi sottili e azzurrissimi al limite dell’inverosimile.
«Davvero? Tu credi?»
«Ne sono sicura, perché a me piace. Sono proprio felice.»
Rin lo abbracciò, poggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Sembrava proprio una di quelle scene fa film. Hayato apprezzò tanto quel gesto e poggiò una mano tra i suoi capelli lunghi. Gli abbracci erano davvero stupendi. Non era da lui darne. Forse avrebbe potuto iniziare a darne qualcuno.
«Aaaw, che carini!» sussurrò Rangiku, ben attenta a non farsi vedere. «Credo che alla fin fine tu e Aizen finirete con l’imparentarvi.»
«Tu dici?» domandò Gin. «Saremmo una famiglia allargata.»
Toshiro li guardò in malo mado.
«Volete piantarla di spiarli? Impiccioni, io non sarò mai così, ci puoi contare.»
Almeno su una cosa aveva le idee chiare. Adesso però arrivato il momento di tornare da Momo.
 
 
«E quindi io e Tia abbiamo litigato di nuovo, questo è quanto. Le donne sono davvero impossibili.»
Neliel diede un colpo alla gamba di Grimmjow, sotto il tavolo. Ecco una cosa che a Nnoitra non era mancata troppo, ovvero ascoltare i problemi d’amore di Grimmjow. Quantomeno a Nel piaceva dare consigli utili.
«Forse se fossi un pochino più delicato, non finirebbe così ogni volta» sospirò Nel. «Insomma, sempre lì a fare il duro. Ti capita mai di prenderla tra le braccia e dirle che l’ami?»
«Tsk, io la stringo in modo molto possente, e ti assicuro che le piace.»
Un altro colpo, più forte. Grimmjow ne aveva di cose da imparare, pensò Nnoitra.
«Non intendo durante il sesso, intendevo in altri contesti, con dolcezza! Sono seria Grimmjow. Tia vuole costruire qualcosa di serio con te. Hai mai pensato al vostro futuro in questo senso?»
Grimmjow si imbronciò, non era ancora abbastanza addolcito da mettersi a parlare dei suoi sogni e progetti, ma se Neliel glielo chiedeva in questo modo, dire di no diventava difficile.
«Un giorno vorrei sposarla e avere tre gemelli» confessò, guardando da tutt’altra parte. Nnoitra si sorprese, poiché Grimmjow era paterno quanto lui era paziente, ma in effetti lui era stato molto simile a lui, una volta. E poi, tre gemelli. Aveva le idee chiare. Neliel sorrise, un po’ commossa.
«Oh, hai visto? Allora dovresti dirglielo, e non fare sempre il duro, caro il mio Grimmjow» fece dandogli un colpetto su una spalla.
Nnoitra alzò gli occhi al cielo.
«Certo che sei incredibile, Neliel. Non che non lo sapessi già, ma mi stupisci sempre di più.»
Neliel arrossì a quel complimento spontaneo e si avvicinò a suo marito per baciarlo. Grimmjow fece una smorfia e bevve il suo caffè. Anche lui voleva baciare Tia, questa volta si sarebbe fatto perdonare.
«E che cavolo, andatevene in un albergo.»
Come se qualcuno avesse percepito il disagio di Grimmjow, Nnoitra fu costretto a staccarsi quando sentì il cellulare squillare. Imprecò, sicuro che si trattasse del suo editore. Invece era un numero che non conosceva,
«Pronto? Con chi parlo?»
«Nnoitra, sono io.»
Era la voce di Shirai, suo padre. Nnoitra si scostò da Neliel, guardandosi attorno. Era un po’ spaesato, non si era aspettato una sua chiamata dopo la sfuriata dell’ultima volta.
«Ah, sì. Che cosa c’è?» borbottò.
«Dovrei parlarti. Possiamo incontrarci?»
Non aveva idea di cosa suo padre volesse. Chiedergli scusa? Difficile, ma non impossibile. Per quanto riguardava lui, si sentiva estremamente esposto.
«Oh, e va bene, se proprio insisti» disse, cercando di mantenere un tono freddo e distaccato. Poi chiuse la chiamata e guardò Neliel e Grimmjow.
«Vuole vedermi. Che nervi, questa cosa non avrà mai fine.»
«Se vuoi io parlo con tuo padre e tu parli con Tia» propose Grimmjow, ma venne immediatamente zittito da un’occhiataccia di Neliel. Quest’ultima don una carezza a suo marito.
«Ti accompagno.»
 
Nnoitra non poté negare di essere un po’ teso all’idea di rincontrare suo padre. Non aveva molte speranze, ma in piccola parte in realtà la speranza ce l’aveva eccome. Shirai aveva dato loro appuntamento sotto la Tokyo Tower.
«Fa un caldo atroce, ma perché non ha scelto un posto con l’aria condizionata?» domandò Nnoitra, sventolandosi con una mano.
«Non ne ho idea. Oh, ecco tuo padre» Neliel lo indicò. Shirai se ne stava seduto su una panchina a guardare la Tokyo Tower. Sembrava piuttosto malconcio e aveva un’espressione orribile.
«Sono qui» si annunciò Nnoitra. «Ma si può sapere che ti è successo? Hai un aspetto orribile.»
Shirai lo guardò negli occhi.
«Tua madre mi ha buttato fuori di casa.»
Quella notizia fu un fulmine a ciel sereno per entrambi. Assurdo pensare che la dolce e fin troppo mansueta Sun Ah avesse cacciato di casa suo marito.
«Eh? In che senso?» domandò Nnoitra confuso. Suo padre si alzò. Sembrava meno imponente del solito.
«Dopo la nostra ultima discussione, abbiamo litigato. E mi ha detto che finché non chiariamo, non vuole avermi intorno. Vuole che ti chieda scusa e che avrebbe dovuto agire in questo modo molto tempo prima.»
Neliel inarcò le sopracciglia. Però, le parole di Nnoitra dovevano aver sortito un effetto niente male se Sun Ah era arrivata a fare una cosa del genere. Lo stesso Shirai sembrava molto provato. E Nnoitra invece non poteva credere alle sue orecchie e ai suoi occhi. Era la prima volta che sua madre prendeva posizione in questo modo.
«Ti ha davvero buttato fuori di casa per questo? Certo, immagino avessi bisogno di un incentivo.»
«In realtà sto pensando alle parole giuste da dire dal giorno in cui abbiamo discusso. Mi hai lasciato senza parole, sai anche tu quanto è difficile.»
E in effetti Shirai non aveva tutti i torti. Nnoitra guardò sua moglie e poi suo padre, un po’ in difficoltà.
«Ebbene? Hai trovato le parole giuste?» domandò e si odiò quando percepì la speranza nella sua voce. Come se fosse ancora un bambino che cercava l’approvazione dei genitori. Shirai tossì, a disagio. Non era mai stato bravo con i gesti affettuosi, con le parole gentili. Nnoitra a sua volta era stato così per molto tempo.
«Io… io non penso tu sia un fallito»
«Ben, non si direbbe» fu il suo botta e risposta.
«Sì, lo so. Sei diverso da come mi immaginavo saresti stato. Nella mia testa immaginavo che saresti stato come me. Ma tu non sei come me. A questo punto direi che è una fortuna. Hai avuto il tuo momento di crisi e poi sei risalito. Fai il lavoro che ti piace, hai sposato una brava donna e hai una figlia che è a dir poco straordinaria.»
Era la prima volta che lo sentiva parlare in questo modo. Neliel gli posò una mano sul braccio per farle capire che lei c’era.
«Se davvero lo pensi, perché non me lo hai mai detto? Perché essere tanto duro con me?»
«Perché sono un vecchio orgoglioso, Nnoitra. Ecco per te. Sei il mio unico figlio e ho sempre agito pensando di doverti preparare al mondo, ma temo di aver commesso degli errori. Probabilmente non la penseremo mai allo stesso modo su molti argomenti. Ed è normale, tu sei un’altra persona, con una tua testa e un tuo cuore. Cuore che… ho ferito. Non mi aspetto certo il tuo perdono, né che tu voglia continuare a frequentarmi. Però meritavi di sapere quello che penso, ecco tutto.»
Nnoitra non lo avrebbe perdonato. Almeno non subito. Dopo una vita passata a sentirsi sbagliato e criticato, non bastavano le scuse a cancellare tutto. Eppure avvertì un po’ di calore lì, all’altezza del petto. Non frequentare più i suoi genitori, come aveva fatto per anni, a quel punto non sarebbe servito a niente. Ma anche lui era orgoglioso.
«Amh… sì, capisco. Apprezzabile, certo. Comunque a Naoko farebbe molto piacere vedervi ogni tanto. Lei apprezza la cultura coreana e vorrebbe saperne di più. Penso che mamma ne sarebbe felice…»
Pronunciare quelle parole non fu nemmeno così difficile come aveva temuto. Fu anzi estremamente facile e subito dopo si sentì più leggero, mentre Neliel si sentiva orgogliosa di lui.
«Sei sicuro?» domandò Shirai. Si era aspettato molta più resistenza da parte del figlio, non sapendo che Nnoitra era stanco dei litigi, stanco dei non detti e di tutti.
«Come hai detto tu stesso, non pensare che ti perdonerò dall’oggi al domani. Ma non sono una persona orribile, non negherei a mia figlia la vostra presenza.»
Quello era rimasto l’unico pezzo della sua vita da rimettere a posto e il primo passo era stato compiuto.
«Spero che verrete a trovarci, in questi giorni» aggiunse ad un tratto Neliel, allegra. Shirai annuì. Non ci sarebbero stati baci e abbracci tra lui e suo figlio, non era da loro. Ma quei silenzi valevano più di qualsiasi cosa e parola.
 
 
Ulquiorra aveva notato un miglioramento nell’umore di Satoshi e questo voleva dire di sicuro che le cose con Naoko andavano meglio. Ma adesso toccava a lui fare la prima mossa, cercare un punto d’incontro con Satoshi. Ulquiorra lo osservò, la porta della sua cameretta era socchiusa: Satoshi stava cercando di risolvere un problema di aritmetica, subito dopo alzava gli occhi al cielo e sbuffava. Ulquiorra a quel punto sbuffò.
«È permesso?»
Satoshi si drizzò.
«Sì»
C’era un leggero imbarazzo tra i due, se ne rendevano entrambi conto. Ulquiorra si avvicinò e si sedette di fronte a lui.
«Credo che dovremmo parlare di quanto successo, non credi?» domandò, fermo ma gentile. Non voleva che suo figlio avesse paura di lui.
«Io…» iniziò Satoshi. «Mi spiace. Non so perché ho reagito in quel modo. No, anzi, in realtà lo so benissimo.»
Parlare era difficile, ma per sua fortuna non ne ebbe bisogno, perché Ulquiorra conosceva gi la sua storia ed era bravo a intuire i suoi sentimenti pur non avendo vissuto la sua situazione.
«Satoshi. So che in passato ci sono state delle persone che ti hanno fatto del male. Persone che avrebbero dovuto proteggerti. Io… io non posso cambiare il passato e so di non essere ancora riuscito a conquistare la tua fiducia, però voglio che tu sappia che non ti farei mai del male. Non sono uno di quelli che pensa che la violenza serve a qualcosa. L’unica cosa che voglio è…» e nel dire ciò abbassò la voce, come se si vergognasse. «È il tuo affetto, tutto qui.»
Satoshi si strofinò un occhio, un po’ gli venne da piangere.
«Ma tu hai il mio affetto, lo giuro. È che non sono bravo a dimostralo. E lo so, so che non mi faresti mai del male. Solo che a volte reagisco d’istinto. A volte penso che se non faccio abbastanza, non mi terrete con voi» e dicendo ciò espresse la sua più grande paura. Fu allora che Ulquiorra prese il suo viso tra le mani, senza nessuna esitazione.
«Questo non può succedere, non qui, non in questa famiglia. Ti chiedo solo di darmi fiducia su questo, sul resto possiamo lavorare. Erano occhi negli occhi, castano nel verde. Satoshi sentì il viso andare a fuoco perché sapeva che Ulquiorra non stava mentendo, glielo stava dicendo il suo sguardo.
«Io… io… va bene. Volevo chiederti… posso abbracciarti? Ne ho bisogno» confessò. Era la prima volta, in tre anni. Ulquiorra sorrise e lo strinse a sé. Satoshi, come tutti i bambini e come tutte le persone, voleva essere solo amato. Li, loro, erano lì per questo.
   
 
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