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Autore: Nao Yoshikawa    21/03/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo ventisei
 
Nanao Ise era stata caldamente consigliata a Tatsuki da Neliel. Aveva tanto aiutato Nnoitra nel suo percorso ed era sicura che a Uryu sarebbe stata molto utile. Non aveva torto, quella donna era molto professionale e aveva la giusta sensibilità. Ma questo non voleva dire che per Uryu fosse facile affrontare quella situazione, quei suoi ricordi. Come se non bastasse, si sentiva una persona malata a causa dei farmaci che era costretto a prendere. Per aiutarlo a dormire e per aiutarlo a stare tranquillo, più che altro. Ma non lo sopportava comunque, questo suo essere dipendente da qualcosa.
«Come vanno i tuoi ricordi? È ancora tutto vago?» domandò Nanao. Quello era un caso delicato, ci sarebbe voluto tempo e delicatezza. Uryu era ancora molto rigido, nonostante avesse già fatto diverse sedute.
«In realtà, i ricordi di quel periodo della mia vita diventano sempre più vividi, ma non so se è un bene. Ricordo che andavo molto bene a scuola, ma che un giorno ho smesso di essere bravo, perché non riuscivo a concentrarmi nello studio. Avevo iniziato ad avere paura perché… quella persona poteva farmi male e io mi sentivo così insicuro e indifeso.»
Era arrabbiato, più che triste. Ai tempi era stato solo un bambino, non aveva saputo come difendersi. Non era colpa sua, lo sapeva bene, ma l’amarezza rimaneva.
«Non devi trattenerti. Sentiti pure libero di parlare a ruota libera» lo incoraggiò Nanao. Uryu si aggiustò gli occhiali, nervoso.
«Sono arrabbiato anche con me stesso. Come ho potuto dimenticare? Sono davvero co debole da non poter affrontare certe cose? E soprattutto, in mezzo c’è andato mio figlio. Ho riversato su di lui le mie paure, anche se in modo inconscio. Adesso ho paura che mi odi, che pensi che sia un debole, che… non lo so nemmeno io.»
«Allora dimmi. Se fossi al posto suo, cosa penseresti?»
Uryu fece spallucce.
«Mi dispiacerebbe e non saprei come approcciarmi» disse con naturalezza. Si rese conto di essersi risposto da solo.
«Forse Yuichi vorrebbe avvicinarsi a te, ma non sa come fare. È molto delicata come faccenda. Da come me ne hai parlato, tuo figlio è molto intelligente per la sua età.»
«Lo è. E sono molto orgoglioso di lui. Non voglio che soffra come ho sofferto io.»
«Non è scritto da nessuna parte che Yuichi dovrà passare quello che hai passato tu. Ma di cos’è che hai realmente paura?»
A Uryu non piaceva guardarsi dentro, scavare. Era certo che non piacesse a tutto. Dovette pensarci per qualche minuto, la risposta non era così scontata.
«Di non sapere come affrontarlo, nel caso accadesse» disse poi in un sussurro. Si sentiva smarrito per quanto riguardava sé stesso, figurarsi nei confronti dei suoi figli. In Yuichi rivedeva sé stesso. Ma Yuichi non era lui, non dovevano condividere necessariamente lo stesso dolore.
Nanao sorrise.
«Vedi? Sei sveglio anche tu. Yuichi deve aver preso da te.»
Uryu si sentì fiero. Voleva che suo figlio prendesse da lui solo il meglio.
 
Tatsuki lo aspettava fuori, seduta con Yoshiko semiaddormentata in braccio. Era andata a prenderla all’asilo e aveva cercato di lasciarla ai nonni, ma sua figlia si era impuntata. Voleva venire anche lei, voleva stare sempre attorno al papà, forse percependo la sua sofferenza. Era una brava bambina, entrambi i suoi figli lo erano.
Quando Uryu uscì, un’ora e mezza dopo, Tatsuki si alzò.
«Ehi.»
«Tatsuki. E ci sei anche tu, Yoshiko?» domandò accarezzando i capelli della bimba.
«Io aiuto mamma» rispose lei strofinandosi un occhio. Tatsuki le baciò la testa e poi guardò suo marito.
«C’è una persona qui fuori che ti aspetta. Non è entrata, ma credo voglia parlare con te» gli disse con un sorriso. E Uryu capì subito che si trattava di Ichigo, il quale lo attendeva con le mani infilate nelle tasche. Uryu era stato costretto a prendersi un congedo da lavoro temporaneo, il che lo faceva soffrire moltissimo, ma sapeva che era necessario.
«Ti trovo in forma» gli disse Ichigo nel vederlo.
«Già, anche io. Al… lavoro come va?»
«Hanataro ha momentaneamente preso il tuo posto. All’inizio è andato in crisi, ma sai quanto è capace. Urahara è strano per ciò che è successo a sua figlia, mentre Kurotsuchi è più nervoso del solito. Insomma, normale amministrazione.»
Uryu sorrise e poi rimasero in silenzio. Voleva chiedere scusa a Ichigo per essere stato così insopportabile, per aver pensato male di Masato solo perché aveva paura.
«Ichigo» sussurrò il suo nome, anche se era solito a chiamarlo per cognome.
«No, Uryu. Non pensare di chiedermi scusa.»
«E tu non pensare ci trattarmi con pietà. Certo che ti chiedo scusa. Per essere stato insopportabile, per aver pensato male di tuo figlio. Lui è un bravo ragazzino, diventerà un brav’uomo. E vuole bene a Yuichi, questo non avrei dovuto metterlo in dubbio mai.»
Ichigo si passò una mano tra i capelli, in imbarazzo.
«Senti, non sono arrabbiato con te. Va bene, stai tranquillo. Quello che hai passato è… tosto, difficile. Io al posto tuo sarei impazzito.»
Uryu sorrise e poi si concentrò sul luccichio negli occhi del suo migliore amico.
«Però penso che non se venuto qui solo per sapere come sto. Qualcosa mi dice che le cose con Rukia sono migliorate. Avanti, dimmi tutto.»
Ichigo arrossì. Quindi la sua felicità era evidente.
 
Con Ishida assente, Hanataro aveva molte cose a cui pensare. Si sentiva lusingato che Kurotsuchi lo avesse ritenuto in grado di prendere il suo posto, allo stesso tempo però era tutto molto stressante. Anche perché le cose erano strane nel reparto. Ichigo non era ancora arrivato, quindi lui si ritrovava a lavorare a stretto contatto con Akon e Kurotsuchi. Quest’ultimo sembrava sempre avere una preferenza per Higarashi, o almeno di questo Hanataro si era convinto, perché in realtà non era vero. Ma anche adesso che si stava ritrovando a superare i suoi limiti, mai una volta Hanataro si era sentito gratificato in modo palese. La cosa iniziava a pesargli, al punto ch non riusciva ad essere concentrato nemmeno in salata operatoria. Hanataro era assente, al punto che gli risultava difficile eseguire anche una semplice operazione.
«Higarashi, abbiamo quasi finito. Ottimo lavoro» gli disse Kurotsuchi, intendo a mettere dei punti di sutura. «Sia Kurosaki che Ishida sono assenti, per cui mi serve tutto l’aiuto possibile.»
Hanataro sospirò e Mayuri se ne accorse.
«Yamada, non mi sembra il caso di starsene lì a sospirare durante un intervento.»
Quello era fin troppo. Non ne poteva più di trattenersi.
«Mi scusi, dottor Kurotsuchi. È che proprio non capisco. Sono qui da qualche anno, mi sono sempre impegnato e ho dovuto faticare per ottenere riconoscimenti e rispetto, anche da lei. Perché adesso invece, il primo che arriva si prende tutti i meriti? È per caso diventato il suo preferito?»
Mayuri si guardò attorno. Perché mai tutti si contendevano le sue attenzioni? Lui voleva solo essere lasciato in pace.
«Yamada, non è il luogo né il momento adatto per-»
«Mi scusi!» ripeté, tremante. «Ma glielo dico lo stesso. È davvero frustrante, oltre che ingiusto. Mi sono trattenuto fino ad ora, ma io ho bisogno di rassicurazione.»
Hanataro aveva assunto un certo tono drammatico, mentre Akon lo guardava con aria interrogativa perché, insomma, era lui il primo che capitava?
Mayuri scosse la testa.
«Ne parliamo dopo. Prima concludiamo quest’intervento, se non ti dispiace. Dopo potrai fare sfoggio del tuo coraggio.»
Hanataro deglutì a vuoto. Oh, ma perché aveva ascoltato i suggerimenti di Natsumi  sull’essere coraggioso? Era già pentito, e se lo avesse licenziato? L’unica cosa che riuscì a fare fu rimanere in silenzio, mogio e depresso.
 
Senjumaru aveva ideato un progetto, una nuova tecnologia che avrebbe migliorato le prestazioni durante un intervento chirurgico, e doveva parlare con Mayuri. Nemu l’aveva vista arrivare e aveva fatto finta di niente. Aveva fatto fin troppo scenate, non ne avrebbe fatte anche sul luogo di lavoro, ma aveva comunque gli occhi aperti. Suo marito uscì dalla sala operatoria seguito da Akon e Hanataro. Mayuri non poté che irrigidirsi nel vedere Senjumaru lì, oramai era prevenuto.
«Che c’è?» domandò, scorbutico.
«Che succede, Mayuri? Un intervento difficile? Ad ogni modo, ho studiato un’idea in questi giorni, vorrei parlarne con te.»
«Con me e Urahara, visto che siamo soci.» calcò su quella parola. Anche se non amava l’idea di essere suo pari, in quel caso era conveniente ricordarlo.
«Certo, ma sai che con te ho una certa confidenza. Urahara è brillante, ma quando parlo con te riesco ad essere me stessa.» Ed eccolo di nuovo quel tono languido e ambiguo. Fu quando gli poggiò una mano sul petto che Mayuri gli afferrò il suo polso. Sbagliava a sentirsi molestato? Il viso gli bruciava di vergogna e rabbia, un no era un no.
«Non mi piace quello che fai e quello che dici. Non pensare di rovinare il mio matrimonio. Se adesso hai qualcosa da dire, dovevi pensarci prima di…»
Senjumaru si avvicinò, chinando la testa di lato.
«Oh, Mayuri. Non dirmi che ce l’hai ancora con me per quel piccolo tradimento di vent’anni fa. Non pensavo fossi così sensibile.»
Fece di nuovo per accarezzarlo e lui si scostò. Il primo suo istinto fu quella di colpirla sul viso, ma non l’avrebbe fatto. Non era sensibile, si sentiva soltanto umiliato. Umiliato, lui!
«Maledetta strega, io ti-»
«Amh, scusate.»
Nemu si era avvicinata in modo discreto per non attirare ulteriormente l’attenzione. Mayuri l’aveva sempre protetta, anche lei poteva proteggere lui. O difenderlo, in qualche modo. Senjumaru la guardò. Quella donna così timida e remissiva cosa aveva intenzione di fare. E Mayuri invece si preoccupò, non voleva assistere ad una lite violenta.
«Sì?» chiese Senjmaru. Nemu sospirò e all’improvviso il suo sguardo cambiò.
«Puoi smetterla di molestare mio marito? Lui è sposato e non è interessato a te. Quindi quello che fai… non è bello, e non è neanche giusto. Un no e un no. Inoltre, hai un grande coraggio a provarci davanti a me» si sfiorò la fede che portava al dito, come a farsi forza. «Lui mi ha detto cosa è successo, ma è stato tanto tempo fa. E non voglio che tu gli faccia male. Anche se sono sempre silenziosa al suo fianco come un’ombra, anche io ho qualcosa da dire.»
Mayuri si sorprese, ma non troppo. Lui conosceva la vera forza di Nemu, ma non si aspettava che la tirasse fuori così all’improvviso. Senjumaru stessa arrossì, spiazzata.
«Non so di che cosa parli, noi siamo solo colleghi.»
«Ti prego di non offendere la mia intelligenza. Non te lo ripeterò un’altra volta. Sta lontana da lui. Non conosci il detto? Non c’è niente di peggio di un buono che diventa cattivo.»
In quel momento Nemu sembrava davvero minacciosa. Urahara, che stava guardando curioso la scena, sembrò molto divertito. Senjumaru sembrava divenuta piccola.
«Umh. Non era certo mia intenzione» sussurrò. Nemu fece un cenno con la testa. Per lei il caso era chiuso, ed era riuscita a mantenere una certa dignità. Guardò Mayuri e quest’ultimo la ringraziò silenziosamente. A casa, poi, avrebbe avuto modo di ringraziarla a dovere.
 
Dopo quell’evento così stressante Mayuri si prese una pausa. Nemu lo aveva difeso alla grande, ma si sentiva turbato. Aveva sempre avuto la presunzione di poter controllare e gestire tutto, invece si era sbagliato. Avvertiva un certo peso lì sullo stomaco. La sua pausa di mezz’ora si concluse troppo in fretta e quando entrò in ascensore, sospirò quando si trovò dentro sia Urahara e Natsumi, che di sicuro doveva stare andando a trovare Hanataro. La ragazza lo salutò con entusiasmo e lui rispose scorbutico come al solito.
«Ehi» gli disse Kisuke. «Tua moglie è stata incredibile.»
«Ovviamente lo so» rispose Mayuri. «Quella maledetta donna mi ha messo così a disagio. Mi sento uno stupido per non essere riuscito a difendermi da solo.»
Kisuke si permise di dargli una pacca sulla spalla.
«Oh, andiamo. In una coppia ci si protegge a vicenda, è così che funziona.»
«Vero, lo penso anche io!» esclamò Natsumi contenta. Mayuri si massaggiò la spalla e distolse lo sguardo. Doveva dare ragione a Kisuke, per quanto gli scocciasse.
«Non mi piace risultare così debole e non mi piace stare a rimuginare sul passato.»
Kisuke lo guardò di sottecchi. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma sapeva che Mayuri non gliel’avrebbe permesso.
«Il suo tradimento, ai tempi, ti ha fatto così male?»
Mayuri socchiuse gli occhi. In realtà si era ripreso abbastanza in fretta, era stato attratto dall’intelletto di Senjumaru piuttosto che da lei come persona. Erano stati la classica coppia brillante, che pare avere tutto, ma era stata tutta una facciata.
«Più che farmi male, non ne capisco il senso. Io non tradirei mai, è una perdita di tempo. E non sono un bastardo fino a questo punto.»
Natsumi sorrise.
«Lei è davvero tenero.»
«Tu vedi di non parlare» la rimproverò Mayuri. Poi, accadde qualcosa di inaspettato: ci fu un blackout e l’ascensore, dopo uno scossone, si bloccò.
«Oh, accidenti. Ci mancava solo questa» disse Kisuke, con un tono in realtà non poi così preoccupato. Mayri sbuffò.
«Che rottura.»
Natsumi invece era diventata pallida e se ne stava ora con la schiena poggiata al muro e le mani poggiate sul petto.
«No… non voglio, ho paura.»
«Non dire sciocchezze, non c’è niente di cui avere paura» borbottò Mayuri.
«No, io… soffro di claustrofobia. Non riesco a respirare, odio gli spazi angusti. L’idea di non poter uscire non mi piace. Sto avendo un attacco di panico. Voglio i miei papà, ora» piagnucolò la ragazza, quasi fosse stata una bambina. Mayuri alzò gli occhi al cielo, Kisuke invece, affettuoso, la prese per mano.
«Respira, Natsumi. Ci siamo noi, siamo un medico e un chirurgo, sappiamo quello che facciamo. Su, respira e inspira molto lentamente.» Mayuri borbottò qualcosa, porgendo poi la mano a Natsumi. Lui non era affatto tenero o gentile, era solo professionale, non poteva starsene a guardare una ragazza in preda ad un attacco di panico.
«Puoi stringerla. Tanto non mi faccio niente.»
 
 
Mentre Kisuke affrontava l’attacco di panico di Natsumi, Yoruichi era in casa, nel suo studio, a correggere dei compiti. In verità era distratta, le cose si erano fatte pesanti in casa sua. Yami si aggirava per casa come uno spettro, lei non sapeva come affrontare la situazione e Kisuke e Soi Fon sembravano essersi coalizzati contro di lei. Beh, torno non ne avevano, era stata severa con Yami. Inoltre, gestire una relazione in cui erano in tre era difficile. Specie perché Soi Fon aveva un carattere forte e dirompente tanto quanto il suo. E fu sempre Soi Fon a decidere di bussare alla porta del suo studio per parlare con lei.
«Yoruichi, disturbo?»
La donna si tolse gli occhiali, stanca.
«No, Soi Fon. Comunque non riesco a correggerli, per cui.»
Soi Fon si fece avanti, le mani dietro la schiena. A volte tornava l’antica soggezione, quella che aveva provato quando erano state semplicemente una studentessa e un’insegnante. Ora era diverso, ora erano due donne ed erano impegnate in una seria relazione a tre.
«Io credo che dovremmo parlare.»
«Di Yami?» chiese subito Yoruichi.
«… Beh, anche. Ma non solo. Parlare di noi, intendo. Sai, sentirmi dire che non faccio parte della famiglia mi ha ferito molto.»
Yoruichi sospirò. Diceva delle cose orribili quando si arrabbiava, per poi pentirsene.
«Non era quello che volevo dire.»
«Però è la verità. Voglio dire, siete tu e Kisuke ad essere sposati. I figli sono i vostri, li avete fatti insieme. Io sono arrivata dopo, solo un’aggiunta alla vostra vita. Se ora me ne andassi, andreste avanti lo stesso, no?»
Soi Fon aveva bisogno di capire fino a che punto contava, fino a che punto erano disposti. Perché lei aveva la sensazione di starsi innamorando di entrambi e non voleva rimanere ferita. Yoruichi sospirò.
«Non sarebbe lo stesso.»
«Quinti non importa se non sono legata a voi legalmente?» domandò, rigida e con i pugni chiusi. L’idea del matrimonio non le provocava chissà quale desiderio, ma le bruciava un po’ l’essere esclusa.
«Soi Fon, il matrimonio è un contratto, due persone che non si sposano non necessariamente si amano di meno. Non ho mai messo in dubbio questo. Io volevo solo dire che l’educazione dei miei figli riguarda strettamente me e Kisuke. Tu sei giovane.»
La più giovane si fece avanti, poggiando una mano sulla scrivania.
«È vero, Hikaru e Yami non possono essere i miei figli, però possono essere come dei fratelli, per me. E quello che hai detto a Yami è stato orribile.»
«Lo so.»
«Tu sei sua madre. Un suo punto di riferimento.»
«Lo so.»
«Se le vai contro, come potrà avere fiducia nel mondo?»
«Lo so!» Yoruichi aveva alzato la voce e il suo tono si era spezzato. Gli occhi le erano diventati lucidi e a fatica stava trattenendo le lacrime. «Tutto quello che mi dici io lo so. Non riesco a capire mia figlia, non riesco a parlare con lei. Parlo ogni giorno con decine di adolescenti, con lei invece no. E mi sento una madre orribile per questo. Guarda cosa le è capitato e io non sono stata in grado di fare niente.»
Soi Fon avrebbe voluto abbracciarla. Ma forse le parole sarebbero state più forti di un abbraccio.
«Non avresti potuto fare niente, temo. Però puoi fare qualcosa adesso. Puoi parlare con lei. Lo sai, Yami se ne va in giro atteggiandosi come una donna. Però è ancora piccola. Dodici anni sono pochi. E sono un’età infernale. Io me lo ricordo.»
Yoruichi si asciugò le lacrime, cercando di ricomporsi. Quanto era maturata Soi Fon in quegli anni? Era molto diversa dalla ragazzina che le veniva dietro qualche anno prima. Diceva cose giuste e ragionava come una donna molto più adulta della sua età. Soi Fon non era una cosa da nascondere. Il fatto che piacesse sia a lei che a Kisuke non era una cosa da nascondere.
 
A Yami veniva da vomitare, per via di tutte le cose orribili che dicevano sui social di lei. Non bastava essere tormentata a scuola, adesso anche quello? Oh avrebbe voluto non sentire né vedere più nulla, magari addormentarsi per un po’ e svegliarsi quando sarebbe finito tutto. In quei giorni le era venuta voglia di farsi male. Alle volte aveva visto in delle serie tv, le protagoniste che si auto lesionavano in preda ad un dolore insopportabile e soffocante, spesso uccidendosi. Lei non voleva arrivare a tanto, ma sentiva l’esigenza di punirsi e, allo stesso tempo, non pensare. Si era chiusa in bagno, e a lungo aveva cercato qualcosa che le potesse essere utile. Aveva trovato delle lamette, le aveva accarezzate, poi rimesse a posto, poi le aveva riprese di nuovo. Sarebbe potuto essere pericoloso, lo sapeva e tuttavia non era del tutto lucida. Se si fosse punita, se avesse pagato, tutto sarebbe tornato a posto? A scuola avrebbero smesso di parlare male di lei, di guardarla come una poco di buono? E sua madre avrebbe smesso di odiarla? Tutta la disperazione confluì in un’unica direzione. Solo un pochino non sarebbe successo niente di irreparabile. Si guardò il polso e poi, con il cuore che batteva forte nel petto, pass la lametta con forza. Avvertì una sensazione un po’ bruciane e un po’ tagliente e poi qualcosa di caldo. Le venne da gridare, ma riuscì solo a versare quelle lacrime che aveva fino a quel momento trattenuto.
Chiuse gli occhi. Era arrabbiata per tutto: per quel traditore di Ren, che l’aveva violata, rendendo pubblico un momento intimo (o almeno che aveva creduto tale). Ce l’aveva con il mondo che automaticamente ce l’aveva con lei e non con colui che l’aveva violata. E ce l’aveva con sua madre, che anziché sostenerla, le andava contro. Infine, ce l’aveva con sé stessa, perché si era sempre creduta forte, quando invece era estremamente fragile. E Yami odiava essere fragile. Avvertì dei passi e aprì gli occhi. Il braccio era coperto di sangue, addirittura Pulsava. Forse avrebbe fatto meglio a fermarsi se non voleva morire dissanguata. Yoruichi, dall’altro lato, si era decisa finalmente a parlare con sua figlia, sostenuta da Soi Fon. L’aveva cercata e poi aveva bussato contro la porta del bagno.
«Yami, sei qui dentro?»
A Yami girava la testa, non capiva se per la perdita di sangue o se perché quest’ultimo gli facesse impressione. La lametta cadde e lei si aggrappò al lavandino.
«Io sto entrando» annunciò Yoruichi. Era sempre stata una donna forte, lei. Sempre con una soluzione a tutto, ma diversamente era quando si trattava dei suoi figli. In quel caso perdere il controllo diventava fin troppo facile. Lo sguardo le cadde subito sulla lametta a terra, sporca di sangue. Poi sul braccio di sua figlia e poi sulla sua espressione debole.
Ti prego, si disse, fa che non sia quello che penso.
«Oh, no. Yami!» gridò Soi Fon, più reattiva. Ma fu Yoruichi a muoversi, a prenderla tra le braccia quasi fosse stata una bambina molto piccola. Le parlò a bassa voce, con tono dolce e tremante.
«Tesoro, andrà tutto bene, non preoccuparti. Soi Fon, chiama Kisuke, io cerco di fermare il sangue»
Aveva detto che sarebbe andato tutto bene. A Yami e, soprattutto, a sé stessa.
 
Kisuke e Mayuri, collaborando, erano riusciti a calmare l’attacco di panico di Natsumi. Tutti e tre avevano finito con il sedersi sul pavimento dell’ascensore e la ragazza si era addormentata con il viso sulla spalla di Mayuri. Oh, come si era ridotto!
«Non pensavo tu fossi così popolare. Addirittura la tua ex che ti contende» Kisuke aveva ripreso il discorso, visto che erano ancora bloccati in ascensore. Mayuri fece spallucce.
«Non sono popolare, a Senjumaru piace darmi fastidio. Odio il fatto che un qualcosa che ha fatto vent’anni fa mi abbia influenzato. Che mi influenzi ancora.»
Kisuke lo fissò, come se volesse studiarlo.
«Hai mai affrontato questo dolore? Quello del tradimento, intendo.»
Mayuri si irrigidì, ma fu attento a non svegliare Natsumi. Come alla maggior parte degli umani, quel tipo di dolore lo terrorizzava. Con il dolore fisico non aveva problemi, era resistente, ma con quello emotivo non poteva farcela.
«Non ho mai pensato ci fosse motivo.»
«Immaginavo, ma io credo che dovresti provarci. Se non lo affronti, come fai a superarlo? Sei molo più sensibile di quanto vuoi far credere.»
«Ehi, ora stai osando troppo» borbottò Mayuri. «Voglio solo che Nemu stia bene. Che non si senta insicura, non ha motivo. Io la amo. Tutto quello che conosco di lei, io lo amo, perfino i suoi difetti. Che sono davvero molto pochi.»
Forse Mayuri si era rammollito davvero in quegli ultimi anni. Stava dichiarando il suo amore per la moglie a Kisuke, il quale ora stava sorridendo.
«Allora dovrai ripeterglielo finché non si convincerà.»
In quel momento sembravano davvero una coppia di migliori amici. Kisuke lo definiva sempre così, Mayuri no. Ma in effetti era la cosa più vicino ad esso.
All’improvviso le porte dell’ascensore si aprirono.
«Oh, finalmente» borbottò Mayuri, aiutando Natsumi ad alzarsi. «Ehi, ragazza, guarda che siamo liberi. E staccati, maledizione.»
Era difficile non avere un certo senso di protezione paterna verso di lei. Kisuke rise r uscì dall’ascensore. In quel momento il cellulare nella sua tasca squillò.
«Yoruichi cara?»
«Sono Soi Fon! Kisuke, è successa una cosa terribile!»
Mayuri vide Kisuke impallidire, la sua espressione cambiare. Espressione che conosceva benissimo: quella ce anche lui assumeva quando Ai era nei guai.
«Ehi, che succede?» gli domandò, in apparenza scorbutico, ma preoccupato. Kisuke annuì, disse qualcosa a Soi Fon e poi guardò Mayuri, sorridendo.
«Devo andare a casa, la mia famiglia ha bisogno di me.»
«Questo l’ho capito. Ma che è successo?» ripeté. Kisuke Urahara però non gli rispose. Non lo aveva mai visto così.
 
 
Gin si sistemò la cravatta. Mentre si guardava allo specchio, vide Rangiku arrivargli alle spalle e abbracciarlo da dietro. Sembrava preoccupata.
«Rangiku, amore mio…»
«Gin» sussurrò. «Dobbiamo per forza fare questa cosa?»
«No, non per forza. Ma oramai ci siamo. Mi sembra di essere dentro un film»
E invece era la vita reale ed era successo proprio a lui.
«Quella ragazza, non la tollero» gemette, poggiando la fronte sulla sua schiena. «Guarda in che situazione ci ha cacciati. Immaginarti con lei… non lo sopporto!»
Era quello il vero turbamento di Rangiku. Si fidava di suo marito al cento per cento, ma aveva anche capito che Loly non si fermava davanti a niente e il pensiero le fece venire la nausea. Gin le afferrò il mento con delicatezza e la costrinse a guardarlo.
«Non preoccuparti, è difficile mettermi i piedi in testa. Certo, è un po’ rischioso, ma ce la posso fare. Tu dai un bacio a Rin da parte mia quando la vedi.»
Rangiku si rilassò appena e chiuse gli occhi. Non era il caso di stressare ulteriormente Rin con quelle questioni da adulti.
«E va bene. Gin, ti amo.»
Lui la tirò a sé e l’abbracciò.
«Lo so, ti amo anche io.»
 
Dopodiché Gin uscì di casa – sotto lo sguardo amorevole di sua moglie che l’osservava dalla finestra – e si diresse all’abitazione di Loly, un appartamento in centro spazioso e un po’ troppo lussuoso per una ragazza così giovane e senza un lavoro fisso. Loly ovviamente si era abbellita, indossando un abito sexy e succinto, preparando degli alcolici e la camera da letto come si deve. Quando Gin era arrivato, non aveva avuto nessuna reazione particolare. In cuor suo sapeva che Loly non sarebbe arrivato a toccarlo, la sola idea gli dava la nausea. Anche se qui dipendeva anche da Aizen e dal suo tempismo. Ma si fidava di lui.
«Finalmente soli, Gin» Loly si sedette sulla poltrona, accavallando le gambe. «Sono felice che siamo finalmente arrivati ad un accordo.»
«Non che avessi scelta, comunque» rispose, freddo.
«Oh, sono certa che ben presto ti toglierò quel ghigno dalla faccia. Non è poi un sacrificio così grande far sesso con una ragazza giovane e bella. Voi uomini pensate solo a questo, no?»
Gin sorriso, uno di quei sorrisi gelidi.
«Non so che genere di uomini tu abbia frequentato, ma penso anche a molto altro.»
Loly allora si avvicinò a lui, sorridendo e gli si sedette in braccio. Gin dovette ricorrere a tutta la sua concentrazione per non respingerla.
«Davvero? Ma allora potresti innamorarti di me.»
Non accadrà mai, nemmeno tra un milione di anni. Ma piuttosto che dire ciò, Gin sorrise di nuovo.
«Una concezione un po’ strana dell’amore, devi ammetterlo. Credi che sia così che funzioni?»
«Non lo so come funziona e non mi interessa. Se posso ottenere quello che voglio facilmente, non mi interessa altro.»
Gin scostò il viso, perché Loly si era chinata per posargli un bacio.
Non si sarebbe umiliato più di così.
Poi qualcuno bussò con violenza alla porta e Gin poté tornare a respirare. Inizialmente Loly fece finta di non sentire, ma poiché i colpi si erano fatti insistenti, fu costretta ad alzarsi.
«Che seccatura» borbottò aggiustando la spallina del vestito e andando ad aprire. Di fronte a lei c’era l’avvocato Aizen in persona, seguito da due agenti di polizia.
«Oh, salve signorina. Scusi il disturbo, le dispiacerebbe seguire questi gentili signori in caserma?» domandò Aizen, mellifuo.
«E perché mai dovrei?» domandò scocciata. Aizen si chinò, sussurrando qualcosa al suo orecchio.
«Diciamo che potrei avere la prova di quello che hai combinato.»
Loly rabbrividì e poi indietreggiò.
«Balle!»
Gin si alzò, aggiustandosi la cravatta.
«Non direi, dal momento che ti ho registrato io stesso mentre affermavi certe cose. Ma non è questo il luogo adatto per parlarne. Vi seguo.»
Loly assunse un’espressione spaventosa. Nessun uomo da lei ricattato aveva mai osato andarle contro, era sempre stata lei ad avere il controllo. Aveva creduto che con Gin Ichimaru sarebbe stato lo stesso e invece lui lo aveva incastrato con l’aiuto di quel maledetto avvocato.
«Ehi, no. LASCIATEMI!» gridò rivolta ai due agenti che l’afferrarono. Aizen si avvicinò a Gin.
«Sono arrivato in tempo, vero? Niente di compromettente?»
«Non gliel’avrei comunque permesso. Non so come, perché non sono un tipo violento. Ad ogni modo, grazie.»
Aizen gli diede una pacca su una spalla.
«Aspetta a ringraziarmi. Vediamo prima come va.»

 
   
 
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