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Autore: rosaleona    26/03/2023    1 recensioni
- Ma tu non dormi mai? E' pieno giorno, a quest'ora i vampiri dovrebbero riposare nelle bare! -
- Master, ho dormito per vent'anni. Come posso avere sonno, dopo essermi riposato per così tanto tempo? Sono pieno di energia e sento il bisogno di sfogarla. Giocare con Richard e i suoi uomini non mi è bastato, ho bisogno di molta più azione. Finchè non avrò scaricato tutta l'adrenalina accumulata in due decenni di letargo, non mi sentirò stanco, nè desidererò dormire. -
Negli anni successivi, ogni volta che Integra ripensava a quella conversazione, un sorriso le increspava il volto.
"Mi aveva avvertita. A modo suo, mi aveva spiegato cos'avrei dovuto attendermi di lì a pochi giorni" diceva a se stessa Sir Hellsing.
Ma la ragazzina di dodici anni che sedeva di fronte ad Alucard non poteva capire fino in fondo le parole di un individuo che conosceva appena. Non poteva sapere che il vampiro stava solo mordendo il freno, nell'attesa che la nuova Sir Hellsing si riprendesse dalla morte del padre e dal tentativo di omicidio per mano dello zio. E una volta che Integra fosse stata in grado di tenergli testa, Alucard si sarebbe divertito a metterla alla prova
Genere: Comico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alucard, Integra Farburke Wingates Hellsing, Walter C. Dorneaz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Con l’inasprirsi del conflitto sul continente, sempre più uomini inglesi cominciarono ad essere chiamati alle armi. Arthur parlò più di una volta con il ministro della difesa ma l’unica promessa che riuscì a strappargli fu:

- Cercheremo di lasciarle il più a lungo possibile il suo piccolo esercito ma se la guerra si prolungherà non potrò esentarli. Riguardo al personale domestico, è molto più utile al fronte che a Villa Hellsing. -

A sottolineare ciò, pochi giorni dopo quell’ultimo incontro, giunse ad Hellsing Manor la lettera di arruolamento per il maggiordomo, il signor Simon K. Dorneaz.

Mentre il resto del personale esprimeva il suo cordoglio per la partenza di quell’uomo in là con gli anni, l’inappuntabile Simon chiese al padrone di potergli parlare di una “faccenda personale”.

Arthur restò sorpreso. In tanti anni che lo conosceva, il maggiordomo non aveva mai parlato con nessuno della sua vita privata. Mentre lo faceva accomodare nel suo ufficio, lontano da orecchie indiscrete, Sir Hellsing si rese conto di non conoscere quasi nulla dell’uomo che gli sedeva di fronte. Sapeva che sua moglie era morta sotto i primi bombardamenti di Londra. Sapeva che aveva un figlio. Nient’altro.

Anche per il riservatissimo maggiordomo non era facile entrare in argomento. Se ne stava a sedere davanti al padrone, a occhi bassi, sudando lentamente e da come cambiava continuamente posizione, si sarebbe detto che gli avessero messo dei chiodi sulla sedia. Finalmente prese coraggio e con esitazione parlò:

- Sapete che ho un figlio. Si chiama Walter. Ha dodici anni. Lui…mi preoccupa molto. -

Sir Hellsing annuì in silenzio. Tranquillizzato da quel gesto, Simon continuò con maggior determinazione:

- Una volta non era così. Nel senso, quando era piccolo non mi impensieriva, anzi! Era un bambino in gamba. Allegro, vivace, eppure studioso. Era il primo della classe, addirittura il miglior studente dell’intera scuola. Pensavo…pensavamo, io e mia moglie che non dovessimo preoccuparci per il suo avvenire. Avrebbe certamente fatto strada, sarebbe diventato qualcuno. –

Simon s’interruppe con un sospiro pieno di amarezza.

- Probabilmente siamo stati degli ingenui. Non tenevamo conto del resto del mondo. - mormorò a mezza voce.

Dopo un nuovo sospiro, ricominciò:

- Il quartiere dove abitiamo è rispettabile, nonostante si trovi vicino all’East End. Rispettabile e abitato solo da inglesi. Apposta per questo scelsi di prendere casa lì. Sapevo che sarebbe stato difficile vivere senza i miei connazionali intorno ma ero convinto che sarebbe stato un bene per Walter. Se volevo che mio figlio diventasse inglese, doveva vivere con gli inglesi. Invece il mio piano è funzionato solo a metà. Nel senso, mio figlio si sente inglese al cento per cento ma gli inglesi lo considerano ancora uno straniero. –

L’uomo pronunciò l’ultima frase con una tale amarezza da convincere che stesse contenendo il suo giudizio in quanto era in presenza di un britannico, per di più suo datore di lavoro. Se al posto di Sir Hellsing ci fosse un uomo di altra nazionalità, probabilmente Simon Dorneaz avrebbe sfogato la sua frustrazione con un bel po’ di invettive contro i sudditi di sua maestà.

Il padre deglutì parecchie volte, come se non volesse correre il rischio di parlare con voce incrinata. Quando riprese a narrare, era nuovamente padrone di sé:

- Eravamo…siamo tutt’ora gli unici stranieri nella nostra strada. Mi illudevo che i vicini ci avrebbero accettati. I primi tempi sarebbero stati difficili, lo sapevo ma noi eravamo una famiglia educata e silenziosa ed ero convinto che questo contasse qualcosa. Mi sono dovuto ricredere. Tutto ciò che gli altri vedevano erano i nostri capelli neri e il nostro cognome straniero. –

Sir Arthur cominciò a sentirsi un po’ a disagio. Non s’illudeva di essere diverso dai vicini di Simon K. Dorneaz e adesso toccava con mano la sofferenza che atteggiamenti come i suoi creavano. Cominciò a chiedersi se non doveva chiedere scusa al maggiordomo che da tanti anni dirigeva Villa Hellsing in modo encomiabile, senza lasciar trapelare niente del proprio disagio. Intanto il padre continuava a raccontare:

- Hanno le loro idee su di noi e in base a quelle ci valutano. Per esempio, non credono che sia il maggiordomo di una famiglia altolocata. Probabilmente pensano che sia lo stalliere o un cameriere ma di sicuro non il maggiordomo. Ma se per noi adulti è relativamente facile scrollarsi di dosso questi sospetti e continuare la nostra vita, per i bambini è tutto più difficile. I vicini sono sempre stati convinti che Walter non potesse essere bravo a scuola. Un figlio di immigrati deve per forza essere ignorante! Ricordo una scena talmente ridicola da non sapere se ridere o arrabbiarmi nel riferirla. Sa, la nostra è una via di frontiera, nel senso che è abitata sia da borghesi che da popolani e devo constatare con delusione che entrambe queste classi sociali ci sono state ostili allo stesso modo. Ecco, un giorno sorpresi il carrettiere che vive di fronte a noi correggere la pronuncia di mio figlio. Quell’uomo è analfabeta, parla cockney ma era certo di essere nel giusto pretendendo che Walter abbandonasse l’inglese corretto per usare la sua parlata sgangherata. Questo perché non ascoltava il mio bambino, che parla come un libro stampato, come gli viene insegnato a scuola. Il carrettiere guardava il mio bambino e giudicava che un piccolo straniero non potesse che parlar male. E a questo aggiungiamo che tutto il vicinato è certo che Walter non possa che essere un teppistello, destinato a diventare un delinquente da grande. Se nella nostra strada un sasso rompeva il vetro di una finestra o se al fruttivendolo rubavano una mela, tutti puntavano subito il dito contro mio figlio anche quando era palese che non poteva essere colpa sua perché a quell’ora era a scuola. –

Arthur non riuscì a trattenersi. Il disagio che provava era troppo. Con umiltà, disse:

- Mi dispiace per quello che avete passato. Per quel che può servire, mi scuso per l’incivile trattamento che vi hanno riservato i miei connazionali. -

La frase inaspettata imbarazzò il maggiordomo. Si era lasciato trasportare dal proprio sfogo, buttando fuori il dolore che da anni lo macerava dentro e di cui, fino ad allora, non aveva fatto parola ad anima viva. Si domandò se non avesse osato dire troppo in presenza del padrone. Arrossendo, rispose:

- Non si scusi, non ha colpa. Sa, finché era viva mia moglie, il problema non sussisteva. La mia Blanca riusciva sempre a risollevare il morale del nostro ragazzo. Lo faceva ridere mostrandogli l’assurdità, come il carrettiere analfabeta che pretendeva di correggerlo oppure dicendo “Sei più veloce di Superman perché in pochi secondi esci di scuola, prendi a sassate le finestre dei vicini e torni al tuo banco senza che l’insegnante e i compagni si accorgano della tua assenza”. Sapeva pure galvanizzarlo dicendogli che sarebbe diventato un uomo importante e allora tutti i vicini sarebbero improvvisamente diventati nostri amici. “Gli farai vedere chi è Walter C. Dorneaz “ diceva ma poi è morta sotto una bomba tedesca. –

Il vedovo fece una pausa commossa. Inspirò profondamente per impedirsi di piangere. Quando fu certo di aver ripreso il controllo sulla propria voce, ricominciò:

- Dopo la morte di Blanca, ho sistemato il mio ragazzo presso dei parenti ma è scappato e ha preso a bazzicare l’East End. Allora l’ho alloggiato presso degli amici ma è fuggito anche da lì. Quando gli chiesi perché si comportasse così, perché avesse lasciato la scuola e vivesse per la strada, mi rispose “A che mi serve essere bravo, corretto e studioso? Tanto per gli altri sono solo un vandalo. Visto che quando si rompe un vetro accusano me, tanto vale che sia davvero io a sfondare le finestre”. Ho cercato di parlargli come faceva sua madre ma non ho le capacità di mia moglie. Così, ormai da due anni, la situazione è questa. Durante il mio giorno libero vado a recuperare mio figlio dai bassifondi, lo riporto a casa, lo obbligo a lavarsi, a indossare degli abiti puliti, gli dò una cena e il suo letto. Prima di tornare qui gli lascio dei soldi, con cui vivere per qualche altro giorno lontano dalla strada. Ma adesso è arrivata la lettera di arruolamento e questo complica tutto. So che non uscirò vivo da questa guerra ma non temo per me che ho già vissuto abbastanza ma per mio figlio. Cosa ne sarà di Walter? Rimarrà solo. Si unirà alle bande di strada finché non verrà arrestato. Entrerà e uscirà dal riformatorio. Morirà giovane per una coltellata. Non merita questa fine. Merita una seconda possibilità. In fondo, è un ragazzino così in gamba con così tante potenzialità… -

Arthur capì due cose: il vecchio Simon K. Dorneaz voleva che prendesse il figlio sotto la sua ala protettiva ma non trovava il coraggio per chiederglielo esplicitamente. Il giovane Sir Hellsing era inquieto ad assumersi un incarico del genere: in fondo, non aveva spedito il fratellino in campagna, presso la balia anche per eludere le responsabilità che educare comporta? E adesso si pretendeva che prendesse a cuore le sorti di un ragazzino che non era nemmeno suo parente, appartenente ad una classe sociale inferiore, che bazzicava l’East End e Dio solo sa cos’era capace di fare. Fu tentato di proporre al maggiordomo di inviare anche suo figlio in campagna, presso la famiglia che già allevava Richard ma subito scartò l’idea. Dorneaz si fidava di lui, il suo padrone, non di gruppo di estranei. E considerando quanto aveva fatto il vecchio Simon per la sua famiglia, Arthur comprese di avere il dovere di ricambiare, non foss’altro che per stare in pace con la propria coscienza.

A malincuore, consapevole di stare per cacciarsi in un grosso guaio, Sir Hellsing disse:

- Le andrebbe bene se vegliassi su suo figlio finché non tornerà dal fronte? Ovviamente verrà a vivere qui, ad Hellsing Manor. Occuperà la sua stanza e potrebbe aiutare lo stalliere nel suo lavoro. Vada a prenderlo subito, così avremo modo di sistemarlo prima della sua partenza. -

 

Con passo svelto, Simon K. Dorneaz attraversò il rispettabile quartiere in cui viveva. Per la prima volta in vita sua, non salutò con un cenno del capo i suoi scontrosi vicini. Indipendentemente che ricambiassero o meno, il signorile maggiordomo aveva sempre compiuto il suo dovere di buon vicinato.

Quel giorno però aveva troppa fretta di trovare suo figlio e portarlo al sicuro a Villa Hellsing per voler perdere tempo con le cortesie. “Inutili cortesie” pensò con amarezza. Fu così che i vicini osservarono stupefatti “lo straniero” (così l’avevano sempre chiamato) tirare dritto per la sua strada. Increduli, si lanciarono l’un l’altro sguardi increduli: cos’era accaduto a quell’uomo? Mai l’avevano visto comportarsi così fino ad allora.

Simon sapeva dove cercare il suo prezioso bambino. Dopo aver controllato nei pochi posti del loro quartiere in cui Walter ogni tanto bazzicava, si diresse con decisione verso l’East End. Si lasciò guidare dagli strepitii delle bande dei ragazzi. Prima o poi, in mezzo a loro, l’avrebbe trovato.

 

Lo chiamavano “Hank lo Storpio” perché in guerra aveva perso una gamba fino all’attaccatura della coscia. Come ricompensa per il suo sacrificio, la Patria riconoscente gli aveva assegnato una medaglia al valore per poi abbandonarlo a se stesso.

Incapace di trovare lavoro con la sua mutilazione, impossibilitato a pagare l’affitto, Hank lo Storpio si ritrovò in mezzo alla strada, campando di quel poco di elemosina che riusciva a racimolare, bevendo poi il magro guadagno nel tentativo di scordare quanto si sentiva stupito per aver servito onorevolmente la Patria.

Purtroppo per lui i ragazzacci del quartiere si sentivano in dovere di rovinargli quei beati stordimenti. Già da sobrio era la vittima preferita dei loro scherzi crudeli ma il timore di farsi male con un colpo ben assestato della stampella di Hank li spingeva a non accanirsi troppo sul mutilato. Da ubriaco però diventava una gelatina traballante e vulnerabile, rendendo i bulli più audaci.

In quel momento il povero Hank, scivolato sul selciato, stava strisciando per raggiungere la sua stampella. Un ragazzino si era già chinato, lesto ad afferrarla e fuggire per continuare il crudele scherzo ma un ceffone dietro la testa bloccò il suo piano. Si voltò, pronto a picchiare l’incauto che aveva osato sfidarlo ma lasciò cadere i pugni lungo i fianchi quando si accorse che l’aggressore era Simon K. Dorneaz, suo padre.

Il maggiordomo afferrò il figlio per un polso, trascinandolo via dallo squallido spettacolo. Il resto della banda, vedendo l’amico portato via, abbandonò Hank lo Storpio (che finalmente poté riappropriarsi della stampella) decidendo che in quel momento canzonare Walter era molto più spassoso.

- Torni a casa con paparino, piccolo Walter? -

- Mi raccomando, fai il bravo bambino e non disubbidire. -

- E torna qui lavato e profumato. -

Walter rispondeva agli sfottò lanciando insulti, sputi e pedate mentre Simon, indifferente allo schiamazzo, tirava dritto per la sua strada a testa alta e con lo sguardo rivolto in avanti. Dopo una decina di minuti la banda si stancò dell’inseguimento e tornò indietro, nella speranza di ritrovare Hank lo Storpio mentre i due Dorneaz uscivano dall’East End. Walter, con sua sorpresa, si accorse che non si stavano dirigendo verso casa.

- Dove mi stai portando? - chiese al genitore.

- Mi è giunta la cartolina di arruolamento. Ho concordato col mio padrone che finchè starò sotto le armi, tu rimarrai a Villa Hellsing. Stiamo andando alla stazione degli autobus per prendere la corriera e andare lì. -

 

Appena arrivati, il padre condusse il figlio dal principale ma subito si pentì di quella decisione. Meglio sarebbe stato aspettare che Walter, pulito e rivestito, potesse sfoggiare un aspetto migliore.

Sir Arthur dal canto suo fece del suo meglio per rimanere impassibile ma intuiva che la delusione gli si leggesse sul viso. Lo capiva dall’imbarazzo crescente di Simon e dall’espressione di sfida del marmocchio. Ma come poteva restare indifferente quando il ragazzino era in condizioni molto peggiori di quanto potesse immaginare?

La giacca decisamente troppo larga e i pantaloni che gli giungevano alle caviglie erano evidentemente stati donati (o sottratti?) da due diverse persone. L’intera persona del ragazzetto, dalla pelle, alle unghie, al berretto che stringeva fra le mani,  ai vestiti, era coperta da uno strato di sudiciume così spesso da conferirgli un colorito opaco.

- Lo porti pure in camera vostra, Simon. Lo faccia lavare, cambiare e lo conduca in cucina dove la cuoca ha già preparato un pasto per lui. Una volta sazio, potrà prendere servizio presso Maycomb. - li congedò il giovane Hellsing.

 

Il fuoco che ardeva nel piccolo caminetto della stanza del maggiordomo era lì lì per spegnersi, soffocato dalla quantità di roba che gli era stata buttata dentro. Bruciavano fra le fiamme i vestiti lisi e pieni di cimici di Walter, le sue scarpe sfondate, i fogli di giornale che aveva annodato con lo spago intorno al torace per creare un altro strato con cui difendersi dal freddo, le ciocche di capelli infestate dai pidocchi.

Il dodicenne, mentre indossava i vestiti puliti e le scarpe integre forniti al personale, inveiva contro il padre. Era arrabbiato per essere stato rasato a zero e strigliato come un bimbo piccolo. Aveva la pelle rossa e pruriginosa da quanto era stato energico il lavaggio impartitogli dal genitore.

 - Ti conviene acquietare la tua ira il prima possibile. Finchè continuerai a inodarmi di parolacce non ti condurrò in cucina. - spiegò Simon.

Lo stomaco di Walter ebbe la meglio sul suo orgoglio. In cucina, la cuoca gli mise davanti una ciotola fumante di zuppa. La fame arretrata del ragazzino era troppa per avere la pazienza di sfamarsi una cucchiaiata dopo l’altra. Sotto lo sguardo sconvolto della cuoca, mentre un Simon imbarazzato fingeva di non avvedersene, Walter prese con le mani la ciotola e la trangugiò in poche sorsate.

 

Subito dopo essere stato sfamato, Walter fu condotto dal padre nelle stalle della villa.

-  Lui è il signor Maycomb e sarà il tuo diretto principale. - spiegò il maggiordomo al figlio, presentandogli l’anziano stalliere.

Dopodiché Simon K. Dorneaz tornò alle sue incombenze e il vecchio Maycomb mise un rastrello in mano al ragazzino, ordinandogli di pulire la stalla. Walter obbedì di malavoglia, soprattutto perché il vegliardo, anziché aiutarlo, andò a sedersi sulla soglia, per godersi il sole del pomeriggio fumando la pipa.

“ Sta’ a vedere che questo vecchio imbecille pensa di scaricare addosso a me tutte le sue fatiche! “ pensò con rancore il ragazzo, guardando con rabbia la schiena dell’anziano.

Nonostante ciò, il giovane Dorneaz lavorò con lena e quando si fermò a riposare, scoprì con stupore di non essere solo nella stalla. Era certo che quando era entrato, a parte i cavalli, non ci fosse nessun’altro quindi da dov’era sbucato quel tizio col cappotto rosso? Dalla parete, come i fantasmi?

Il tizio accarezzava i fianchi di un cavallo allo stesso modo con cui un contadino controlla che il coniglio sia abbastanza ingrassato da poterlo cucinare.

-  Vuoi mangiarlo? - motteggiò Walter.

- No, vorrei berlo ma non mi è permesso. - fu l’enigmatica risposta.

L’uomo in rosso lasciò perdere il cavallo e si avvicinò al dodicenne, scrutandolo attentamente:

-  Ecco perché mi hai rivolto la parola. Sei nuovo. -

- Sono arrivato stamattina, sono il figlio del maggiordomo. -

- E tuo padre ha deciso che devi fare la gavetta cominciando dal gradino più basso della servitù, spalando letame? -

Walter si accese come una miccia:

- Non sto facendo nessuna gavetta e non sarò il servo di nessuno! -

Il vecchio Maycomb, udendo la voce alterata dell’aiutante, si girò per controllare cosa stesse accadendo. Vedendo Alucard di fronte al ragazzino, con tutta la velocità consentitagli dalla sua sciatica e dai suoi settant’anni, corse a pararsi in mezzo ai due:

- Demonio sputato fuori dall’inferno, lascia stare in pace il ragazzo! - tuonò l’anziano, agitando un pugno tremolante sotto al naso del colosso.

- Oh, che minaccia spaventosa! - ghignò Alucard.

Per nulla scalfito nella sua furia, lo stalliere continuò:

- Azzardati a spaventarlo con i tuoi scherzi o a fargli uno dei tuoi discorsi scandalosi e lo dico a Sir Arthur! -

Il ghigno di Alucard si allargò ancora di più. Senza rispondere, uscì dalla stalla con passo flemmatico. Stupito dalla reazione del vecchio Maycomb, Walter chiese:

- Chi è quello? -

- Uno da cui è meglio stare alla larga. - rispose lo stalliere, guardando con astio il cappotto rosso allontanarsi.

 

Quella sera, sdraiato sul letto del padre, Walter osservò il genitore preparare il bagaglio.

Il maggiordomo, pur con la flemma che lo contraddistingueva, parlò ininterrottamente. Cercava di impartire al figlio quanti più consigli, ammonimenti e lezioni di vita, consapevole che quella era l’ultima occasione in suo possesso per salvarlo.

Benchè Walter fosse seccato da tutte quelle paternali, se le sorbì docilmente dato che voleva far partire il padre quanto più sereno possibile. Fece così un sacco di promesse che in realtà non voleva mantenere, come ubbidire a quell’ Ottuso Spilungone Biondo di Sir Arthur, essere cortese con tutti gli adulti della villa, tenersi lontano dai guai e non commettere la sciocchezza di scappare perché un’occasione come quella non sarebbe ricapitata. Dentro di sé il ragazzino si chiese quanto sarebbe durata quella filippica quando il padre se ne uscì in un discorso che non si aspettava:

- In questa villa c’è un tizio di nome Alucard. Lo riconoscerai subito perché indossa sempre un cappotto rosso. Stai lontano da lui, è pericoloso. –

Simon K. Dorneaz era una persona educatissima e mai aveva mancato di chiamare “signore” e “signora” anche le persone di più infimo rango. Era la prima volta in vita sua che Walter udiva il genitore definire qualcuno “tizio” e ciò lo lasciò senza fiato, né più né meno che se lo avesse udito bestemmiare. Cosa poteva mai fare questo Alucard di tanto inaudito, per meritare un simile disprezzo da parte di suo padre?

- Pericoloso? In che senso? – azzardò il figlio, ancora meravigliato.

Simon K. Dorneaz interruppe i suoi preparativi e fissò un punto indefinito sul muro. Aveva bisogno di raccogliere le idee. Finalmente parlò:

- Ammetto che nessuno di noi domestici ha subito danni da quel tizio. Non posso dire che ci abbia picchiato, insultato o che abbia insidiato le cameriere però c’è qualcosa di sinistro in lui. Spesso compare dal nulla alle nostre spalle, quasi fosse un fantasma che possa attraversare le pareti e ogni volta ghigna soddisfatto della nostra paura. Altre volte fa discorsi strani sulla morte e l’eternità che inquietano i sempliciotti come Maycomb. Per tutte queste ragioni lo temiamo e stiamo alla larga da lui. Inoltre non riusciamo a capire il suo legame con i padroni. Non è né un parente né un amico degli Hellsing eppure ha con loro una confidenza straordinaria. Inoltre qual è il suo ruolo in questa casa? Non è un servo e non appartiene alla guarnigione. Davvero, non riusciamo a capire chi sia e cosa faccia. –

Il maggiordomo riprese a fare i bagagli e continuò a raccontare:

- Le guardie della villa odiano quel tizio. Noi domestici abbiamo l’impressione che sappiano qualcosa sul suo conto ma non ce ne mettano al corrente. Evidentemente non ci ritengono all’altezza dei loro segreti. Le guardie sono così figliolo, non capiscono di essere dei sottoposti come me o te, credono di essere una spanna sopra di noi. Comunque non è di questo che voglio parlare, adesso. A un miglio dalla magione c’è un villaggio, dove andiamo a rifornirci di quanto serve. Un giorno, il proprietario dell’emporio mi raccontò che ogni vent’anni gli Hellsing licenziano in tronco l’intera servitù per assumerne di nuova. Tornato alla villa, chiesi a una guardia se quella storia fosse vera. Me ne confermò la veridicità e con uno strano sorriso aggiunse che la colpa era di Alucard “Sennò scoprireste che non invecchia mai” disse. Ovviamente credetti mi prendessi in giro perché nessuno può rimanere eternamente giovane. Eppure ammetto che a volte, quando spunta all’improvviso alle mie spalle in un corridoio semibuio e mi trovo solo con lui, vengo afferrato da una tale inquietudine da pensare che la guardia dicesse la verità. Forse è davvero possibile vendere l’anima al diavolo e Alucard l’ha fatto. Per tutti questi motivi voglio che tu stia alla larga da quel tizio, porta solo guai. –

Dopo quanto aveva raccontato il padre, Walter era sempre più incuriosito da Alucard ma nuovamente, per farlo partire tranquillo, fece una promessa che non aveva voglia di mantenere: sarebbe rimasto alla larga dall’uomo col cappotto rosso.

 

Il mattino seguente, padre e figlio si ritrovarono l’uno di fronte all’altro. Era il momento dell’addio.

Simon K. Dorneaz aveva un groppo in gola. Il suo bambino era lì e avrebbe voluto abbracciarlo, accarezzarlo, baciarlo, consapevole che non l’avrebbe più rivisto ma Walter, con perfetto aplomb britannico, allungò un braccio, offrendogli una stretta di mano. Per il padre fu come ricevere un pugno allo stomaco; con quanto distacco si congedava suo figlio!

Il maggiordomo avrebbe voluto urlare:

- Non restare lì impalato! Siamo latini! Noi mediterranei non ci vergogniamo ad abbracciarci e baciarci sulle guance tra padre e figlio! –

Invece rimase zitto, consapevole che fosse anche colpa sua. Da quando Walter era nato, aveva fatto di tutto perché il figlio si comportasse e ragionasse come un anglosassone, convinto che ciò fosse indispensabile per assicurargli un futuro proficuo. Quindi come poteva, adesso, pretendere che il ragazzino buttasse via un sentire ormai connaturato per gettarsi fra le sue braccia come un qualsiasi europeo meridionale?

Doveva rispettare il commiato del figlio ma siccome il dolore che provava era grande, non potè fare a meno di esclamare:

- Se solo fossimo rimasti a Gibilterra! –

Sì, se fossero rimasti a Gibilterra, Walter l’avrebbe abbracciato stretto, la sua Blanca sarebbe ancora viva e forse lui non sarebbe dovuto partire per il fronte.

Il figlio a quell’esclamazione trasalì. Perché suo padre rimpiangeva Gibilterra? Lui era orgoglioso di essere inglese e i suoi genitori non avevano forse fatto di tutto per diventare britannici? Non ricordava da parte loro commenti nostalgici per la terra natìa.

L’esclamazione del padre fece mancare la terra sotto i piedi del ragazzino. Sembrava che improvvisamente per Simon Dorneaz tutti gli sforzi compiuti per fare di sé e della propria famiglia dei perfetti sudditi di Sua Maestà non avessero più valore, anzi fossero addirittura deprecabili. La fatica di una vita spazzata via con una sola frase!

L’uomo vide lo smarrimento nello sguardo del figlio e si dispiacque della confusione che le sue parole avevano instillato in Walter. Tornò padrone di sé. Strinse con vigore la mano del ragazzino.

- Stammi bene. - disse e Walter annuì.

Poi il padre prese il bagaglio e si avviò. Solo quando Simon era ormai lontano, Walter si rese conto di non aver ricambiato il suo saluto. Avrebbe potuto contraccambiare lo “stammi bene” con uno “stai attento!” di cui suo padre aveva certamente bisogno.

Di quella dimenticanza, Walter C. Dorneaz se ne rammaricò tutta la vita.

 

Walter si buttò anima e corpo nel lavoro, tentando di non pensare ma ogni sforzo fu vano. Era consapevole che suo padre sarebbe morto, troppo anziano e troppo onesto per sopravvivere al fronte. Proprio così: troppo onesto. Non avrebbe cercato di sfangarla accampando malori immaginari o altre scuse plausibili. Avrebbe compiuto il suo dovere, finendo certamente ammazzato.

“Fesso!” pensò con rabbia Walter, pur sapendo che non lo era. Provò ira anche verso se stesso. Forse aveva sbagliato a stringergli la mano. Forse avrebbe dovuto abbracciarlo. Ma che ne sapeva lui di come ci si congeda da un padre che parte per la guerra?

Aveva immaginato che gli altri ragazzi della banda si sarebbero accontentati di una stretta di mano, decidendo di imitarli. Probabilmente però il padre avrebbe desiderato un saluto più caloroso. E quella frase su Gibilterra, che sapeva tanto di rimprovero e condanna!

Dolore e ira crebbero di ora in ora nel dodicenne, acuiti dal fatto che andatosene suo padre, tutti i servi della villa avevano cominciato a trattarlo con più durezza. I rimproveri erano continui e sprezzanti, le pretese di scaricare addosso all’ultimo arrivato lavori che toccavano agli altri infinite.

Nessuna compassione verso il ragazzino che poteva già considerarsi orfano. All’opposto, chi poteva approfittarsene lo faceva senza scrupoli. Ormai Walter era senza protezione e nessuno avrebbe dovuto rispondere della propria spregevolezza.

Giunto alla sera, il ragazzino sentiva di essere prossimo ad esplodere come una bomba. Stava spazzando uno dei corridoi della villa quando vide incedere Alucard. Ripensò a quanto fosse detestato da tutti e un’idea gli balenò in mente: se avesse fatto a botte con lui, nessuno l’avrebbe sgridato. Avrebbe potuto accampare la scusa di essere stato provocato dall’uomo in cappotto rosso e tutti gli avrebbero creduto.

Mentre Walter fremeva, indeciso se attuare o meno il piano, Alucard si fermò, lo scrutò con occhio clinico ed emise la diagnosi:

- Devi scazzottarti con qualcuno sennò scoppi. Avanti, fatti sotto! –

Walter non se lo fece ripetere. Con un urlo animalesco caricò a testa bassa, convinto di ottenere la meglio. Grande fu il suo stupore quando la testa batté contro una pancia durissima. Sentì il collo dolergli per il contraccolpo. Che cacchio di muscoli aveva quel bastardo?

Non demorse e cominciò a tempestare di pugni gli addominali di Alucard, senza accorgersi del grido impaurito della cameriera alle sue spalle che scorta la rissa, era corsa ad avvertire il padrone.

Il vampiro si lasciò prendere a cazzotti nello stomaco con pazienza, senza reagire, permettendo al dodicenne di scaricarsi finché, avvistato Arthur in fondo al corridoio, decise di mettere fine alla “terapia”. Con una sola sberla mandò al tappeto Walter.

Il ragazzino tentò invano di rialzarsi. Il ceffone l’aveva preso in pieno sull’orecchio ed era stato così forte da fargli perdere l’equilibrio. Il timpano fischiava dolorosamente e il mondo ondeggiava davanti ai suoi occhi. Confusamente, avvertì la voce di Ottuso Spilungone Biondo, alias Sir Hellsing, che da un punto lontano alle sue spalle chiedeva con voce minacciosa cosa stesse succedendo.

- Colpa mia. - mentì Alucard - Mi sono divertito a stuzzicare lo sguattero e ha reagito. –

Walter si arrese: non era assolutamente in grado di reggersi sulle gambe. Si lasciò cadere dolorosamente a terra, constatando come persino in quella posizione il mondo continuasse a vorticare intorno a lui. Provava la sgradevole sensazione di sprofondare giù, sempre più giù, come se scivolasse in un burrone senza fine.

Ottuso Spilungone Biondo intanto li aveva raggiunti. Lo capì perché udì la sua antipatica voce proprio sopra di sé:

- Portalo in camera sua e vieni nel mio ufficio! – minacciò, rivolto ad Alucard.

Sempre più stordito da quello che gli pareva un ronzante nido di vespe dentro la sua testa, Walter si sentì afferrare e sollevare.  Alucard se lo caricò sulle spalle quasi fosse un agnellino e salì le scale per condurlo alla camera di Simon Dorneaz. Il dodicenne tentò di farfugliare terribili minacce, come il suo ruolo di delinquentello di strada richiedeva.  Con un ghigno divertito, Alucard rispose:

- E’ così che mi ringrazi? Ti ho fatto sfogare, ti ho difeso davanti al master e adesso scendo nel suo ufficio a prendermi tutta la responsabilità. Sei un moccioso terribile. Proprio com’ero io alla tua età. –

Il vampiro spalancò la porta della camera con un calcio poi, di malagrazia, scaricò il ragazzino sul letto. Walter si sentì più nauseato di prima. Mentre gli sembrava di sprofondare dentro il materasso, rantolò:

- Te la farò pagare. -

- Certo, certo. – ghignò Alucard e chiuse la porta.

 

Walter viveva per la strada già da due anni e il confronto con la precedente esistenza randagia gli consentiva di valutare i pregi e i difetti dell’abitare dentro villa Hellsing.

Era senz’altro un pregio dormire in un letto anziché in un giaciglio di fortuna; disporre di coperte, soffitto e pareti che proteggevano dalle intemperie; potersi lavare e indossare vestiti puliti gli restituirono la dignità di sentirsi alla pari con gli altri.

L’aspetto migliore comunque era senz’altro mangiare. Nonostante il resto del personale, meschinamente, riservasse all’ultimo arrivato porzioni risicate, queste restavano comunque più abbondanti di qualsiasi pasto Walter avesse consumato in mezzo alla strada. Il figlio del maggiordomo ricoprì alla svelta le sue povere ossa sporgenti di carne e muscoli e il viso scavato tornò liscio e tondo.

La vita di strada, pur con tutte le sue difficoltà, offriva comunque un grande pregio: le regole da rispettare erano poche, basilari e chiaramente improntate a garantire la sopravvivenza.

Dentro la magione degli Hellsing, da questo punto di vista, regnava il caos o per essere più esatti, questo era il punto di vista di Walter. Le regole erano tante, complicate e orientate a garantire concetti astratti come l’ordine o il decoro. “Inutili orpelli” li giudicava il figlio del maggiordomo che quindi tendeva a saltarli a piè pari e non comprendeva perché gli altri abitanti della villa si scaldassero tanto davanti alle sue mancanze.

- Che avrò fatto mai di tanto grave! – rispondeva il giovane Dorneaz di fronte ai rimproveri scandalizzati degli adulti, senza capire che le sue repliche infrangevano un’ulteriore regola, l’obbedienza silenziosa a chi è gerarchicamente superiore.

Dato che Walter era il più giovane e l’ultimo arrivato, ne conseguiva che tutta la servitù aveva il potere di sgridarlo. Il suo rispondere ai rimproveri accendeva quindi l’animo di tutti i presenti che infierivano ulteriormente con i rimbrotti, scatenando l’ira del ragazzino. Ne scaturivano violenti litigi a cui gli adulti, oltraggiati, ponevano fine con le botte.

Il piccolo Walter non era però sopravvissuto alla strada buscandole mansuetamente. Alle sberle replicava con i calci ma ciò faceva accorrere in massa i servi, vogliosi di domare il teppistello. Uno contro tanti era al di là delle forze di Walter a cui quindi non restava che raggomitolarsi, pararsi la testa con le mani e in quel modo proteggersi dalla gragnuola di colpi.

Infine, non contenta di averlo menato a dovere, la servitù correva a far la spia a Sir Hellsing, raccontandogli di quanto fosse sfrontato il figlio del maggiordomo. Il padrone convocava allora il ragazzino che faticava a rimanere dritto di fronte a lui, dolorante com’era. Squadrandolo con freddezza dall’alto in basso, indifferente di fronte ai suoi lividi, con voce gelida Arthur ammoniva: 

- Ho promesso a tuo padre di tenerti sotto il mio tetto ma è tuo dovere rigare dritto. In caso contrario, mi sentirò sciolto da ogni vincolo e ti rispedirò da dove sei venuto. –

Walter non replicava, temendo di buscarne ancora ma non impediva ai suoi occhi di squadrare con disprezzo il giovane Hellsing.

Ottuso Spilungone Biondo!

Cosa ne sai tu della vita? Niente!

Sei convinto che rimandarmi in mezzo alla strada sia una minaccia. Non hai capito che lì so come cavarmela. Ho la mia banda, con i suoi riti di fratellanza e i suoi luoghi sicuri in cui nascondersi. Non ho paura di tornare al mio quartiere. Anzi, mi piacerebbe maledettamente rientrare nel mio East End ma anch’io ho fatto una promessa a mio padre.

Credi che mi diverta a star qui prigioniero? Se potessi fare di testa mia, rimarrei in questa villa solo qualche giorno, giusto il tempo di rimpinzarmi di un po’ di cibo. Poi scapperei via con addosso l’abito nuovo e le scarpe che mi avete dato, con in tasca un bel po’ dei vostri soprammobili d’argento da rivendere non appena arrivato alla mia strada. Solo questi sono i guadagni che posso trarre da questa prigione.

Invece resto qui a faticare, a inghiottire il vostro disprezzo, senza nemmeno ricevere uno stipendio e tutto perché ho giurato a quel povero vecchio di mio padre che non sarei scappato, per farlo partire tranquillo. E’ quello che farò: resterò qui finché la mia pazienza me lo consentirà, dopodiché vi manderò tutti al diavolo!

 

Dopo una decina di giorni di quell’andazzo, Walter comprese che doveva porre un freno al suo orgoglio se non voleva essere preso a cinghiate tutti i giorni. Imparò così a rispondere sì a tono a quegli adulti ostili ma appena notava che cominciavano a scaldarsi troppo, chiudeva la bocca, risparmiandosi così una scarica di legnate.

Dato che non voleva darla vinta ai suoi nemici, Walter aveva escogitato un espediente per non instillare loro l’idea che stesse arrendendosi. Se ne usciva con una frase piena di parole gentili ma pronunciata in tono screanzato:

- E adesso mi scusi, caro signore ma devo continuare con il mio lavoro. –

Il che era vero. Il figlio di Simon Dorneaz non faceva altro che lavorare da quando Maycomb lo svegliava presto e bruscamente al mattino a quando si coricava, sfinito e altrettanto presto, la sera.

Ufficialmente era l’aiuto-stalliere e avrebbe dovuto occuparsi solo dei cavalli e della stalla. In realtà Maycomb prestava volentieri il garzone a qualsiasi collega lo chiedesse. Fu così che nel giro di pochi giorni dal suo arrivo, Walter diventò il tuttofare della villa. Ogni domestico, uomo o donna che fosse, imparò presto a scaricare le mansioni più sgradevoli e faticose sul ragazzino.

Le pause che la servitù di Hellsing Manor si concedeva nella vasta cucina, comodamente seduta intorno al grande tavolo a conversare e bere il tè, divennero sempre più lunghe e frequenti dato che avevano trovato chi, al loro posto, dovesse caricarsi di secchi d’acqua, fascine di legna e sacchi di carbone su e giù per le scale della dimora.

In cambio di questo surplus di fatica, Walter non riceveva in cambio nemmeno un “grazie”. Anzi, pareva che per quegli adulti seduti a ridere e scherzare l’opera del dodicenne non andasse mai bene. C’era sempre qualcuno che aveva qualcosa da criticare, anche quando il piccolo Dorneaz era sicuro di non aver commesso errori, di aver lavorato meglio di tutti quegli adulti messi insieme che adesso lo guardavano torvi. Erano questi i momenti in cui per il ragazzino costituiva uno sforzo enorme tacere e non replicare.

“Sei lento!” “Quanto c’hai messo?” “Batti la fiacca! Io invece alla tua età ero instancabile!” “Non vorrai farci credere che sei stanco? Per così poco? Vai a finire il tuo lavoro nella stalla, scansafatiche!”

Frasi pronunciate da gente che era il ritratto della pigrizia e chi non partecipava al rimprovero collettivo bisbigliava chissà quali malignità all’orecchio di chi gli era seduto accanto che replicava annuendo convinto.

Il ragazzino usciva dalla cucina ribollendo d’ira. Immaginava di cosa avrebbero parlato, una volta che fosse sparito dalla loro visuale: com’era possibile che l’encomiabile Simon K. Dorneaz avesse un figlio tanto degenere?

A dire il vero anche Walter se lo chiedeva spesso, nonostante non l’avrebbe mai confessato a voce alta. Pensava a suo padre, così elegante nella sua divisa da maggiordomo, sempre padrone di sé in ogni circostanza e lo confrontava con quel che la strada aveva fatto di lui, un teppistello sporco e volgare, Che umiliazione doveva essere per il suo povero vecchio, ritrovarsi con un figlio simile!

Gli altri però non dovevano permettersi di fare simili allusioni. Come osavano ficcare il naso nelle faccende della famiglia Dorneaz? Non li riguardava!

Walter giungeva alla stalla e si buttava a lavorare con lena, nonostante la fatica, tentando in quel modo di smaltire la rabbia che lo divorava.

“Servi!” pensava intanto.

“Servi!” si ripeteva ancora e ancora, dando a quella semplice parola un tale connotato di disprezzo da renderla il peggiore degli insulti.

 

Agli occhi di Walter, non era servo chi faceva un lavoro servile ma chi si mostrava meschino, ottuso e vigliacco. Suo padre, per esempio, non era mai stato servile. Aveva sempre ammirato la signorilità d’animo di Simon, capace di parlare e comportarsi educatamente anche con chi non lo meritava, come i loro vicini di casa.

Quei maledetti vicini! Servi anche loro e della peggiore specie! Non importava se di lavoro fossero negozianti o impiegati, il loro animo era persino più meschino di quello di Maycomb e colleghi.

Anche se non l’avrebbe mai ammesso, a Walter sarebbe piaciuto emulare il suo vecchio. Essere sempre padrone di sé, mantenere la calma anche nelle situazioni critiche, proprio come lui. Per il figlio era così difficile scindere l’uomo dal lavoratore da convincersi che fosse impossibile possedere le qualità del padre senza condividerne anche il mestiere. Ma come poteva sperare di diventare maggiordomo lui, un ragazzetto di strada? No, meglio abbandonare i sogni. Non avrebbe mai potuto emulare Simon K. Dorneaz. Meglio ripiegare su qualche mestiere alla sua portata, tipo il delinquente nell’East End.

 

- Perché il Sir ha tutte queste guardie armate? Cosa se ne fa? –

- Sono i suoi guardiacaccia. Tengono i bracconieri lontani dalle sue tenute. – rispose Maycomb.

- Che senso ha tenere dei guardiacaccia nel parco di una villa? - Incalzò Walter

- Certe volte li presta ad altri nobili. Allora i guardiacaccia spariscono per giorni e poi ritornano. -

- Ma non sarebbe più sensato tenerli sempre nei boschi? –

Maycomb fece spallucce:

- I nobili sono eccentrici. –

Spiegazione, questa, condivisa col resto della servitù. Di fronte ad ogni comportamento illogico del loro datore di lavoro (e di stranezze, in casa Hellsing, ne succedevano parecchie) tutti, dalla governante all’ultimo dei giardinieri, se ne uscivano con questa scusa della presunta eccentricità degli aristocratici. L’importante era ricevere vitto, alloggio e stipendio e se in cambio dovevano chiudere entrambi gli occhi e spegnere il cervello, lo facevano senza problemi.

Per Walter era diverso. Non rischiava nulla indagando su quei misteri. A differenza del resto del personale, atterrito all’idea di perdere il lavoro e finire sotto un ponte, per il giovane Dorneaz il licenziamento non costituiva un dramma. Dalla strada era venuto e alla strada sarebbe tornato. Sapeva come cavarsela quindi non aveva motivo di indossare i paraocchi e spegnere il cervello come i suoi colleghi.

Inoltre, nella piatta esistenza che conduceva nel maniero degli Hellsing dove non faceva altro che sgobbare, coricarsi presto e svegliarsi ancora più presto, ragionare sulle stranezze che lo circondavano era l’unico passatempo che poteva permettersi.

 

La prima volta che Walter vide sfilare sul viale d’accesso una dozzina di macchine eleganti tirate a lucido, rimase senza fiato.

Che spettacolo! Mai visti bolidi simili nell’East End!

Da ogni vettura scese un autista in livrea con bottoni scintillanti che aprì la portiera al nobile che aveva scarrozzato.

Ai proprietari delle automobili, Walter non badò. Non erano altro che ricconi ottusi come Spilungone Biondo. Gli autisti invece, così eleganti, accesero la fantasia del dodicenne. Pensò che se proprio avesse dovuto fare un lavoro servile, da grande, gli sarebbe piaciuto essere uno chauffer, con la livrea dai bottoni lucidi e al volante di auto tanto potenti!

Quel giorno il piccolo Dorneaz trascorse il suo magro tempo libero fra un’incombenza e l’altra gironzolando tra quei macchinoni, ammirandone estasiato l’interno e l’esterno.

Quattro settimane dopo, la sfilata rifece la sua apparizione sul viale d’accesso della villa. Stavolta, oltre ad ammirare le automobili, il ragazzino rivolse anche la parola agli autisti. Scoprì così che quella riunione di aristocratici si teneva ogni mese, all’interno di quella che veniva definita “la sala della Tavola Rotonda”.

- E di cosa parlano? - chiese Walter.

- E chi lo sa? Forse giocano a fare Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. - risposero ridendo gli autisti.

Dopo di che entrarono in cucina per prendere il tè con la servitù di Villa Hellsing e far la corte alle cameriere.

L’ammirazione che il giovane Dorneaz aveva provato per gli autisti sprofondò sottoterra. Al di là della livrea e delle macchinone lucide, non erano diversi da Maycomb e colleghi. Erano dei servi anche loro. L’infatuazione per il mestiere di autista fu quindi tanto improvvisa e intensa quanto di breve durata. Walter tornò a considerare come mestiere futuro il delinquente nell’East End.

 

Esisteva un solo mistero su cui la servitù di Hellsing Manor spettegolava tanto e spesso: Alucard.

L’uomo col cappotto rosso non era un servo e nemmeno un aristocratico, viveva al di fuori di qualsiasi rango e convenzione sociale e ciò faceva sentire autorizzati gli uomini e le donne che lavoravano nella magione a pensarne e dirne tutto il male possibile.

Fu ascoltando le conversazioni piene di rancore e paura dei colleghi che Walter scoprì le stranezze di Alucard. Nessuno l’aveva mai visto mangiare. In compenso, ogni giorno il garzone del macellaio consegnava un fiasco pieno di sangue che lo stesso Sir Arthur provvedeva a portare nella stanza di Alucard per poi riconsegnarlo il mattino seguente, vuoto, allo stesso garzone.

La stanza di Alucard poi, a cui Sir Hellsing negava l’accesso a chiunque, si trovava niente dimeno che in cantina, adiacente al rifugio antiaereo che il padrone aveva approntato.

- In caso di attacco aereo, preferirei restare qui in casa, col rischio di prendermi una bomba sulla testa piuttosto che scendere nel rifugio e trovarmi fianco a fianco con quello lì per ore e ore. - era un’opinione condivisa dall’intera servitù, così come l’abitudine di chiamare Alucard quello lì, quasi temessero che bastasse pronunciarne il nome per evocare la sua sinistra figura.

Walter che rappresentava in assoluto il gradino più infimo di tutte le persone che vivevano, lavoravano e respiravano nella grande villa, aveva un’opinione diversa della situazione. Agli occhi del figlio del maggiordomo, costretto a subire angherie da chiunque, Alucard non appariva più meschino del resto della servitù. E’ vero che anche a lui aveva fatto lo scherzo di apparirgli alle spalle dal nulla, ghignando soddisfatto della sua paura ma quella cattiveria gratuita non era peggiore degli insulti e delle sberle che riceveva quotidianamente da Maycomb e dagli altri.

Quando Walter ascoltava i commenti pieni di rabbia, disgusto e paura che i suoi colleghi facevano su quello lì, gli veniva spontaneo immaginarli come una muta di cani che protetta dietro una cancellata, latrava furiosamente contro un lupo che si era fermato ad osservarli, beffardo.

- E io, in tutto questo, che animale sono? – si domandò Walter.

Concluse che si sentiva come un animale che avrebbe desiderato essere lasciato in pace, come un gatto o una volpe e per cui sia i cani che il lupo erano nemici allo stesso modo.

 

 

  
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