Con
l’inasprirsi del conflitto sul continente, sempre
più uomini inglesi
cominciarono ad essere chiamati alle armi. Arthur parlò
più di una volta con il
ministro della difesa ma l’unica promessa che
riuscì a strappargli fu:
- Cercheremo
di lasciarle il più a lungo possibile il suo piccolo
esercito ma se la guerra
si prolungherà non potrò esentarli. Riguardo al
personale domestico, è molto
più utile al fronte che a Villa Hellsing. -
A
sottolineare ciò, pochi giorni dopo quell’ultimo
incontro, giunse ad Hellsing
Manor la lettera di arruolamento per il maggiordomo, il signor Simon K.
Dorneaz.
Mentre il
resto del personale esprimeva il suo cordoglio per la partenza di
quell’uomo in
là con gli anni, l’inappuntabile Simon chiese al
padrone di potergli parlare di
una “faccenda personale”.
Arthur
restò
sorpreso. In tanti anni che lo conosceva, il maggiordomo non aveva mai
parlato
con nessuno della sua vita privata. Mentre lo faceva accomodare nel suo
ufficio, lontano da orecchie indiscrete, Sir Hellsing si rese conto di
non
conoscere quasi nulla dell’uomo che gli sedeva di fronte.
Sapeva che sua moglie
era morta sotto i primi bombardamenti di Londra. Sapeva che aveva un
figlio.
Nient’altro.
Anche per il
riservatissimo maggiordomo non era facile entrare in argomento. Se ne
stava a
sedere davanti al padrone, a occhi bassi, sudando lentamente e da come
cambiava
continuamente posizione, si sarebbe detto che gli avessero messo dei
chiodi
sulla sedia. Finalmente prese coraggio e con esitazione
parlò:
- Sapete che
ho un figlio. Si chiama Walter. Ha dodici anni. Lui…mi
preoccupa molto. -
Sir Hellsing
annuì in silenzio. Tranquillizzato da quel gesto, Simon
continuò con maggior
determinazione:
- Una volta
non era così. Nel senso, quando era piccolo non mi
impensieriva, anzi! Era un
bambino in gamba. Allegro, vivace, eppure studioso. Era il primo della
classe,
addirittura il miglior studente dell’intera scuola.
Pensavo…pensavamo, io e mia
moglie che non dovessimo preoccuparci per il suo avvenire. Avrebbe
certamente
fatto strada, sarebbe diventato qualcuno. –
Simon
s’interruppe con un sospiro pieno di amarezza.
-
Probabilmente siamo stati degli ingenui. Non tenevamo conto del resto
del
mondo. - mormorò a mezza voce.
Dopo un
nuovo sospiro, ricominciò:
- Il
quartiere dove abitiamo è rispettabile, nonostante si trovi
vicino all’East
End. Rispettabile e abitato solo da inglesi. Apposta per questo scelsi
di
prendere casa lì. Sapevo che sarebbe stato difficile vivere
senza i miei
connazionali intorno ma ero convinto che sarebbe stato un bene per
Walter. Se
volevo che mio figlio diventasse inglese, doveva vivere con gli
inglesi. Invece
il mio piano è funzionato solo a metà. Nel senso,
mio figlio si sente inglese
al cento per cento ma gli inglesi lo considerano ancora uno straniero.
–
L’uomo
pronunciò l’ultima frase con una tale amarezza da
convincere che stesse
contenendo il suo giudizio in quanto era in presenza di un britannico,
per di
più suo datore di lavoro. Se al posto di Sir Hellsing ci
fosse un uomo di altra
nazionalità, probabilmente Simon Dorneaz avrebbe sfogato la
sua frustrazione
con un bel po’ di invettive contro i sudditi di sua
maestà.
Il padre
deglutì parecchie volte, come se non volesse correre il
rischio di parlare con
voce incrinata. Quando riprese a narrare, era nuovamente padrone di
sé:
-
Eravamo…siamo tutt’ora gli unici stranieri nella
nostra strada. Mi illudevo che
i vicini ci avrebbero accettati. I primi tempi sarebbero stati
difficili, lo
sapevo ma noi eravamo una famiglia educata e silenziosa ed ero convinto
che
questo contasse qualcosa. Mi sono dovuto ricredere. Tutto
ciò che gli altri
vedevano erano i nostri capelli neri e il nostro cognome straniero.
–
Sir Arthur
cominciò a sentirsi un po’ a disagio. Non
s’illudeva di essere diverso dai vicini
di Simon K. Dorneaz e adesso toccava con mano la sofferenza che
atteggiamenti
come i suoi creavano. Cominciò a chiedersi se non doveva
chiedere scusa al
maggiordomo che da tanti anni dirigeva Villa Hellsing in modo
encomiabile,
senza lasciar trapelare niente del proprio disagio. Intanto il padre
continuava
a raccontare:
- Hanno le
loro idee su di noi e in base a quelle ci valutano. Per esempio, non
credono
che sia il maggiordomo di una famiglia altolocata. Probabilmente
pensano che
sia lo stalliere o un cameriere ma di sicuro non il maggiordomo. Ma se
per noi
adulti è relativamente facile scrollarsi di dosso questi
sospetti e continuare
la nostra vita, per i bambini è tutto più
difficile. I vicini sono sempre stati
convinti che Walter non potesse essere bravo a scuola. Un figlio di
immigrati
deve per forza essere ignorante! Ricordo una scena talmente ridicola da
non
sapere se ridere o arrabbiarmi nel riferirla. Sa, la nostra
è una via di
frontiera, nel senso che è abitata sia da borghesi che da
popolani e devo
constatare con delusione che entrambe queste classi sociali ci sono
state
ostili allo stesso modo. Ecco, un giorno sorpresi il carrettiere che
vive di
fronte a noi correggere la pronuncia di mio figlio.
Quell’uomo è analfabeta,
parla cockney ma era certo di essere nel giusto pretendendo che Walter
abbandonasse l’inglese corretto per usare la sua parlata
sgangherata. Questo
perché non ascoltava il mio bambino,
che parla come un libro stampato,
come gli viene insegnato a scuola. Il carrettiere guardava il
mio
bambino e giudicava che un piccolo straniero non potesse che parlar
male. E a
questo aggiungiamo che tutto il vicinato è certo che Walter
non possa che
essere un teppistello, destinato a diventare un delinquente da grande.
Se nella
nostra strada un sasso rompeva il vetro di una finestra o se al
fruttivendolo
rubavano una mela, tutti puntavano subito il dito contro mio figlio
anche
quando era palese che non poteva essere colpa sua perché a
quell’ora era a
scuola. –
Arthur non
riuscì a trattenersi. Il disagio che provava era troppo. Con
umiltà, disse:
- Mi
dispiace per quello che avete passato. Per quel che può
servire, mi scuso per
l’incivile trattamento che vi hanno riservato i miei
connazionali. -
La frase
inaspettata imbarazzò il maggiordomo. Si era lasciato
trasportare dal proprio
sfogo, buttando fuori il dolore che da anni lo macerava dentro e di
cui, fino
ad allora, non aveva fatto parola ad anima viva. Si domandò
se non avesse osato
dire troppo in presenza del padrone. Arrossendo, rispose:
- Non si
scusi, non ha colpa. Sa, finché era viva mia moglie, il
problema non sussisteva.
La mia Blanca riusciva sempre a risollevare il morale del nostro
ragazzo. Lo
faceva ridere mostrandogli l’assurdità, come il
carrettiere analfabeta che
pretendeva di correggerlo oppure dicendo “Sei più
veloce di Superman perché in
pochi secondi esci di scuola, prendi a sassate le finestre dei vicini e
torni
al tuo banco senza che l’insegnante e i compagni si accorgano
della tua
assenza”. Sapeva pure galvanizzarlo dicendogli che sarebbe
diventato un uomo
importante e allora tutti i vicini sarebbero improvvisamente diventati
nostri
amici. “Gli farai vedere chi è Walter C. Dorneaz
“ diceva ma poi è morta sotto
una bomba tedesca. –
Il vedovo
fece una pausa commossa. Inspirò profondamente per impedirsi
di piangere.
Quando fu certo di aver ripreso il controllo sulla propria voce,
ricominciò:
- Dopo la
morte di Blanca, ho sistemato il mio ragazzo presso dei parenti ma
è scappato e
ha preso a bazzicare l’East End. Allora l’ho
alloggiato presso degli amici ma è
fuggito anche da lì. Quando gli chiesi perché si
comportasse così, perché avesse
lasciato la scuola e vivesse per la strada, mi rispose “A che
mi serve essere
bravo, corretto e studioso? Tanto per gli altri sono solo un vandalo.
Visto che
quando si rompe un vetro accusano me, tanto vale che sia davvero io a
sfondare
le finestre”. Ho cercato di parlargli come faceva sua madre ma non ho le capacità di mia
moglie. Così, ormai da due anni,
la situazione è questa.
Durante il mio giorno libero vado a recuperare mio figlio dai
bassifondi, lo riporto
a casa, lo obbligo a lavarsi, a indossare degli abiti puliti, gli
dò una cena e
il suo letto. Prima di tornare qui gli lascio dei soldi, con cui vivere
per
qualche altro giorno lontano dalla strada. Ma adesso è
arrivata la lettera di
arruolamento e questo complica tutto. So che non uscirò vivo
da questa guerra
ma non temo per me che ho già vissuto abbastanza ma per mio
figlio. Cosa ne
sarà di Walter? Rimarrà solo. Si unirà
alle bande di strada finché non verrà
arrestato. Entrerà e uscirà dal riformatorio.
Morirà giovane per una
coltellata. Non merita questa fine. Merita una seconda
possibilità. In fondo, è
un ragazzino così in gamba con così tante
potenzialità… -
Arthur
capì due cose: il vecchio Simon K. Dorneaz
voleva che prendesse il figlio sotto la sua ala protettiva ma non
trovava il
coraggio per chiederglielo esplicitamente. Il giovane Sir Hellsing era
inquieto
ad assumersi un incarico del genere: in fondo, non aveva spedito il
fratellino
in campagna, presso la balia anche per eludere le
responsabilità che educare
comporta? E adesso si pretendeva che prendesse a cuore le sorti di un
ragazzino
che non era nemmeno suo parente, appartenente ad una classe sociale
inferiore,
che bazzicava l’East End e Dio solo sa cos’era
capace di fare. Fu tentato di
proporre al maggiordomo di inviare anche suo figlio in campagna, presso
la
famiglia che già allevava Richard ma subito
scartò l’idea. Dorneaz si fidava di
lui, il suo padrone, non di gruppo di estranei. E considerando quanto
aveva
fatto il vecchio Simon per la sua famiglia, Arthur comprese di avere il
dovere
di ricambiare, non foss’altro che per stare in pace con la
propria coscienza.
A
malincuore, consapevole di stare per cacciarsi in un
grosso guaio, Sir Hellsing disse:
-
Le andrebbe bene se vegliassi su suo figlio finché
non tornerà dal fronte? Ovviamente verrà a vivere
qui, ad Hellsing Manor.
Occuperà la sua stanza e potrebbe aiutare lo stalliere nel
suo lavoro. Vada a
prenderlo subito, così avremo modo di sistemarlo prima della
sua partenza. -
Con passo
svelto, Simon K. Dorneaz attraversò il rispettabile
quartiere in cui viveva.
Per la prima volta in vita sua, non salutò con un cenno del
capo i suoi
scontrosi vicini. Indipendentemente che ricambiassero o meno, il
signorile
maggiordomo aveva sempre compiuto il suo dovere di buon vicinato.
Quel giorno
però aveva troppa fretta di trovare suo figlio e portarlo al
sicuro a Villa
Hellsing per voler perdere tempo con le cortesie. “Inutili
cortesie” pensò con
amarezza. Fu così che i vicini osservarono stupefatti
“lo straniero” (così
l’avevano sempre chiamato) tirare dritto per la sua strada.
Increduli, si
lanciarono l’un l’altro sguardi increduli:
cos’era accaduto a quell’uomo? Mai
l’avevano visto comportarsi così fino ad allora.
Simon sapeva
dove cercare il suo prezioso bambino. Dopo aver controllato nei pochi
posti del
loro quartiere in cui Walter ogni tanto bazzicava, si diresse con
decisione
verso l’East End. Si lasciò guidare dagli
strepitii delle bande dei ragazzi.
Prima o poi, in mezzo a loro, l’avrebbe trovato.
Lo
chiamavano “Hank lo Storpio” perché in
guerra aveva perso una gamba fino
all’attaccatura della coscia. Come ricompensa per il suo
sacrificio, la Patria riconoscente
gli aveva assegnato una medaglia al valore per poi abbandonarlo a se
stesso.
Incapace di
trovare lavoro con la sua mutilazione, impossibilitato a pagare
l’affitto, Hank
lo Storpio si ritrovò in mezzo alla strada, campando di quel
poco di elemosina
che riusciva a racimolare, bevendo poi il magro guadagno nel tentativo
di
scordare quanto si sentiva stupito per aver servito onorevolmente la
Patria.
Purtroppo
per lui i ragazzacci del quartiere si sentivano in dovere di rovinargli
quei
beati stordimenti. Già da sobrio era la vittima preferita
dei loro scherzi
crudeli ma il timore di farsi male con un colpo ben assestato della
stampella
di Hank li spingeva a non accanirsi troppo sul mutilato. Da ubriaco
però
diventava una gelatina traballante e vulnerabile, rendendo i bulli
più audaci.
In quel
momento il povero Hank, scivolato sul selciato, stava strisciando per
raggiungere la sua stampella. Un ragazzino si era già
chinato, lesto ad
afferrarla e fuggire per continuare il crudele scherzo ma un ceffone
dietro la
testa bloccò il suo piano. Si voltò, pronto a
picchiare l’incauto che aveva
osato sfidarlo ma lasciò cadere i pugni lungo i fianchi
quando si accorse che
l’aggressore era Simon K. Dorneaz, suo padre.
Il
maggiordomo afferrò il figlio per un polso, trascinandolo
via dallo squallido
spettacolo. Il resto della banda, vedendo l’amico portato
via, abbandonò Hank
lo Storpio (che finalmente poté riappropriarsi della
stampella) decidendo che
in quel momento canzonare Walter era molto più spassoso.
- Torni a
casa con paparino, piccolo Walter? -
- Mi
raccomando, fai il bravo bambino e non disubbidire. -
- E torna
qui lavato e profumato. -
Walter
rispondeva
agli sfottò lanciando insulti, sputi e pedate mentre Simon,
indifferente allo
schiamazzo, tirava dritto per la sua strada a testa alta e con lo
sguardo
rivolto in avanti. Dopo una decina di minuti la banda si
stancò
dell’inseguimento e tornò indietro, nella speranza
di ritrovare Hank lo Storpio
mentre i due Dorneaz uscivano dall’East End. Walter, con sua
sorpresa, si
accorse che non si stavano dirigendo verso casa.
- Dove mi
stai portando? - chiese al genitore.
- Mi
è
giunta la cartolina di arruolamento. Ho concordato col mio padrone che
finchè
starò sotto le armi, tu rimarrai a Villa Hellsing. Stiamo
andando alla stazione
degli autobus per prendere la corriera e andare lì. -
Appena
arrivati, il padre condusse il figlio dal principale ma subito si
pentì di
quella decisione. Meglio sarebbe stato aspettare che Walter, pulito e
rivestito, potesse sfoggiare un aspetto migliore.
Sir Arthur dal
canto suo fece del suo meglio per rimanere impassibile ma intuiva che
la
delusione gli si leggesse sul viso. Lo capiva dall’imbarazzo
crescente di Simon
e dall’espressione di sfida del marmocchio. Ma come poteva
restare indifferente
quando il ragazzino era in condizioni molto peggiori di quanto potesse
immaginare?
La giacca
decisamente
troppo larga e i pantaloni che gli giungevano alle caviglie erano
evidentemente
stati donati (o sottratti?) da due diverse persone. L’intera
persona del
ragazzetto, dalla pelle, alle unghie, al berretto che stringeva fra le
mani, ai vestiti,
era coperta da uno strato di
sudiciume così spesso da conferirgli un colorito opaco.
- Lo porti
pure in camera vostra, Simon. Lo faccia lavare, cambiare e lo conduca
in cucina
dove la cuoca ha già preparato un pasto per lui. Una volta
sazio, potrà
prendere servizio presso Maycomb. - li congedò il giovane
Hellsing.
Il fuoco che
ardeva nel piccolo caminetto della stanza del maggiordomo era
lì lì per
spegnersi, soffocato dalla quantità di roba che gli era
stata buttata dentro.
Bruciavano fra le fiamme i vestiti lisi e pieni di cimici di Walter, le
sue
scarpe sfondate, i fogli di giornale che aveva annodato con lo spago
intorno al
torace per creare un altro strato con cui difendersi dal freddo, le
ciocche di
capelli infestate dai pidocchi.
Il
dodicenne, mentre indossava i vestiti puliti e le scarpe integre
forniti al
personale, inveiva contro il padre. Era arrabbiato per essere stato
rasato a
zero e strigliato come un bimbo piccolo. Aveva la pelle rossa e
pruriginosa da
quanto era stato energico il lavaggio impartitogli dal genitore.
-
Ti conviene acquietare la tua ira il prima
possibile. Finchè continuerai a inodarmi di parolacce non ti
condurrò in cucina.
- spiegò Simon.
Lo stomaco
di Walter ebbe la meglio sul suo orgoglio. In cucina, la cuoca gli mise
davanti
una ciotola fumante di zuppa. La fame arretrata del ragazzino era
troppa per
avere la pazienza di sfamarsi una cucchiaiata dopo l’altra.
Sotto lo sguardo
sconvolto della cuoca, mentre un Simon imbarazzato fingeva di non
avvedersene,
Walter prese con le mani la ciotola e la trangugiò in poche
sorsate.
Subito dopo
essere stato sfamato, Walter fu condotto dal padre nelle stalle della
villa.
- Lui è il signor
Maycomb e sarà il tuo diretto
principale. - spiegò il maggiordomo al figlio,
presentandogli l’anziano
stalliere.
Dopodiché
Simon K. Dorneaz tornò alle sue incombenze e il vecchio
Maycomb mise un
rastrello in mano al ragazzino, ordinandogli di pulire la stalla.
Walter obbedì
di malavoglia, soprattutto perché il vegliardo,
anziché aiutarlo, andò a
sedersi sulla soglia, per godersi il sole del pomeriggio fumando la
pipa.
“
Sta’ a
vedere che questo vecchio imbecille pensa di scaricare addosso a me
tutte le
sue fatiche! “ pensò con rancore il ragazzo,
guardando con rabbia la schiena
dell’anziano.
Nonostante
ciò, il giovane Dorneaz lavorò con lena e quando
si fermò a riposare, scoprì
con stupore di non essere solo nella stalla. Era certo che quando era
entrato,
a parte i cavalli, non ci fosse nessun’altro quindi da
dov’era sbucato quel
tizio col cappotto rosso? Dalla parete, come i fantasmi?
Il tizio
accarezzava i fianchi di un cavallo allo stesso modo con cui un
contadino
controlla che il coniglio sia abbastanza ingrassato da poterlo cucinare.
- Vuoi mangiarlo? -
motteggiò Walter.
- No, vorrei
berlo ma non mi è permesso. - fu l’enigmatica
risposta.
L’uomo
in
rosso lasciò perdere il cavallo e si avvicinò al
dodicenne, scrutandolo
attentamente:
- Ecco perché mi
hai rivolto la parola. Sei
nuovo. -
- Sono
arrivato stamattina, sono il figlio del maggiordomo. -
- E tuo
padre ha deciso che devi fare la gavetta cominciando dal gradino
più basso
della servitù, spalando letame? -
Walter si
accese come una miccia:
- Non sto
facendo nessuna gavetta e non sarò il servo di nessuno! -
Il vecchio
Maycomb, udendo la voce alterata dell’aiutante, si
girò per controllare cosa
stesse accadendo. Vedendo Alucard di fronte al ragazzino, con tutta la
velocità
consentitagli dalla sua sciatica e dai suoi settant’anni,
corse a pararsi in
mezzo ai due:
- Demonio
sputato fuori dall’inferno, lascia stare in pace il ragazzo!
- tuonò l’anziano,
agitando un pugno tremolante sotto al naso del colosso.
- Oh, che
minaccia spaventosa! - ghignò Alucard.
Per nulla
scalfito nella sua furia, lo stalliere continuò:
- Azzardati
a spaventarlo con i tuoi scherzi o a fargli uno dei tuoi discorsi
scandalosi e
lo dico a Sir Arthur! -
Il ghigno di
Alucard si allargò ancora di più. Senza
rispondere, uscì dalla stalla con passo
flemmatico. Stupito dalla reazione del vecchio Maycomb, Walter chiese:
- Chi
è
quello? -
- Uno da cui
è meglio stare alla larga. - rispose lo stalliere, guardando
con astio il
cappotto rosso allontanarsi.
Quella sera,
sdraiato sul letto del padre, Walter osservò il genitore
preparare il bagaglio.
Il
maggiordomo, pur con la flemma che lo contraddistingueva,
parlò
ininterrottamente. Cercava di impartire al figlio quanti più
consigli,
ammonimenti e lezioni di vita, consapevole che quella era
l’ultima occasione in
suo possesso per salvarlo.
Benchè
Walter fosse seccato da tutte quelle paternali, se le sorbì
docilmente dato che
voleva far partire il padre quanto più sereno possibile.
Fece così un sacco di
promesse che in realtà non voleva mantenere, come ubbidire a
quell’ Ottuso
Spilungone Biondo di Sir Arthur, essere cortese con tutti gli adulti
della
villa, tenersi lontano dai guai e non commettere la sciocchezza di
scappare
perché un’occasione come quella non sarebbe
ricapitata. Dentro di sé il
ragazzino si chiese quanto sarebbe durata quella filippica quando il
padre se
ne uscì in un discorso che non si aspettava:
- In questa
villa c’è un tizio di nome Alucard. Lo
riconoscerai subito perché indossa
sempre un cappotto rosso. Stai lontano da lui, è pericoloso.
–
Simon K.
Dorneaz era una persona educatissima e mai aveva mancato di chiamare
“signore”
e “signora” anche le persone di più
infimo rango. Era la prima volta in vita
sua che Walter udiva il genitore definire qualcuno
“tizio” e ciò lo lasciò
senza fiato, né più né meno che se lo
avesse udito bestemmiare. Cosa poteva mai
fare questo Alucard di tanto inaudito, per meritare un simile disprezzo
da
parte di suo padre?
- Pericoloso?
In che senso? – azzardò il figlio, ancora
meravigliato.
Simon K.
Dorneaz interruppe i suoi preparativi e fissò un punto
indefinito sul muro.
Aveva bisogno di raccogliere le idee. Finalmente parlò:
- Ammetto
che nessuno di noi domestici ha subito danni da quel tizio. Non posso
dire che
ci abbia picchiato, insultato o che abbia insidiato le cameriere
però c’è
qualcosa di sinistro in lui. Spesso compare dal nulla alle nostre
spalle, quasi
fosse un fantasma che possa attraversare le pareti e ogni volta ghigna
soddisfatto della nostra paura. Altre volte fa discorsi strani sulla
morte e
l’eternità che inquietano i sempliciotti come
Maycomb. Per tutte queste ragioni
lo temiamo e stiamo alla larga da lui. Inoltre non riusciamo a capire
il suo legame
con i padroni. Non è né un parente né
un amico degli Hellsing eppure ha con
loro una confidenza straordinaria. Inoltre qual è il suo
ruolo in questa casa?
Non è un servo e non appartiene alla guarnigione. Davvero,
non riusciamo a
capire chi sia e cosa faccia. –
Il
maggiordomo riprese a fare i bagagli e continuò a raccontare:
- Le guardie
della villa odiano quel tizio. Noi domestici abbiamo
l’impressione che sappiano
qualcosa sul suo conto ma non ce ne mettano al corrente. Evidentemente
non ci
ritengono all’altezza dei loro segreti. Le guardie sono
così figliolo, non
capiscono di essere dei sottoposti come me o te, credono di essere una
spanna
sopra di noi. Comunque non è di questo che voglio parlare,
adesso. A un miglio
dalla magione c’è un villaggio, dove andiamo a
rifornirci di quanto serve. Un
giorno, il proprietario dell’emporio mi raccontò
che ogni vent’anni gli
Hellsing licenziano in tronco l’intera servitù per
assumerne di nuova. Tornato
alla villa, chiesi a una guardia se quella storia fosse vera. Me ne
confermò la
veridicità e con uno strano sorriso aggiunse che la colpa
era di Alucard “Sennò
scoprireste che non invecchia mai” disse. Ovviamente credetti
mi prendessi in
giro perché nessuno può rimanere eternamente
giovane. Eppure ammetto che a volte,
quando spunta all’improvviso alle mie spalle in un corridoio
semibuio e mi
trovo solo con lui, vengo afferrato da una tale inquietudine da pensare
che la
guardia dicesse la verità. Forse è davvero
possibile vendere l’anima al diavolo
e Alucard l’ha fatto. Per tutti questi motivi voglio che tu
stia alla larga da
quel tizio, porta solo guai. –
Dopo quanto
aveva raccontato il padre, Walter era sempre più incuriosito
da Alucard ma
nuovamente, per farlo partire tranquillo, fece una promessa che non
aveva voglia
di mantenere: sarebbe rimasto alla larga dall’uomo col
cappotto rosso.
Il mattino
seguente, padre e figlio si ritrovarono l’uno di fronte
all’altro. Era il
momento dell’addio.
Simon K.
Dorneaz aveva un groppo in gola. Il suo bambino era lì e
avrebbe voluto
abbracciarlo, accarezzarlo, baciarlo, consapevole che non
l’avrebbe più rivisto
ma Walter, con perfetto aplomb britannico, allungò un
braccio, offrendogli una
stretta di mano. Per il padre fu come ricevere un pugno allo stomaco;
con
quanto distacco si congedava suo figlio!
Il
maggiordomo avrebbe voluto urlare:
- Non
restare lì impalato! Siamo latini! Noi mediterranei non ci
vergogniamo ad
abbracciarci e baciarci sulle guance tra padre e figlio! –
Invece
rimase zitto, consapevole che fosse anche colpa sua. Da quando Walter
era nato,
aveva fatto di tutto perché il figlio si comportasse e
ragionasse come un
anglosassone, convinto che ciò fosse indispensabile per
assicurargli un futuro
proficuo. Quindi come poteva, adesso, pretendere che il ragazzino
buttasse via
un sentire ormai connaturato per gettarsi fra le sue braccia come un
qualsiasi
europeo meridionale?
Doveva
rispettare il commiato del figlio ma siccome il dolore che provava era
grande,
non potè fare a meno di esclamare:
- Se solo
fossimo rimasti a Gibilterra! –
Sì,
se
fossero rimasti a Gibilterra, Walter l’avrebbe abbracciato
stretto, la sua
Blanca sarebbe ancora viva e forse lui non sarebbe dovuto partire per
il
fronte.
Il figlio a
quell’esclamazione trasalì. Perché suo
padre rimpiangeva Gibilterra? Lui era
orgoglioso di essere inglese e i suoi genitori non avevano forse fatto
di tutto
per diventare britannici? Non ricordava da parte loro commenti
nostalgici per
la terra natìa.
L’esclamazione
del padre fece mancare la terra sotto i piedi del ragazzino. Sembrava
che
improvvisamente per Simon Dorneaz tutti gli sforzi compiuti per fare di
sé e
della propria famiglia dei perfetti sudditi di Sua Maestà
non avessero più
valore, anzi fossero addirittura deprecabili. La fatica di una vita
spazzata
via con una sola frase!
L’uomo
vide
lo smarrimento nello sguardo del figlio e si dispiacque della
confusione che le
sue parole avevano instillato in Walter. Tornò padrone di
sé. Strinse con
vigore la mano del ragazzino.
- Stammi
bene. - disse e Walter annuì.
Poi il padre
prese il bagaglio e si avviò. Solo quando Simon era ormai
lontano, Walter si
rese conto di non aver ricambiato il suo saluto. Avrebbe potuto
contraccambiare
lo “stammi bene” con uno “stai
attento!” di cui suo padre aveva certamente
bisogno.
Di quella
dimenticanza, Walter C. Dorneaz se ne rammaricò tutta la
vita.
Walter si
buttò anima e corpo nel lavoro, tentando di non pensare ma
ogni sforzo fu vano.
Era consapevole che suo padre sarebbe morto, troppo anziano e troppo
onesto per
sopravvivere al fronte. Proprio così: troppo onesto. Non
avrebbe cercato di
sfangarla accampando malori immaginari o altre scuse plausibili.
Avrebbe
compiuto il suo dovere, finendo certamente ammazzato.
“Fesso!”
pensò con rabbia Walter, pur sapendo che non lo era.
Provò ira anche verso se
stesso. Forse aveva sbagliato a stringergli la mano. Forse avrebbe
dovuto
abbracciarlo. Ma che ne sapeva lui di come ci si congeda da un padre
che parte
per la guerra?
Aveva
immaginato che gli altri ragazzi della banda si sarebbero accontentati
di una
stretta di mano, decidendo di imitarli. Probabilmente però
il padre avrebbe
desiderato un saluto più caloroso. E quella frase su
Gibilterra, che sapeva
tanto di rimprovero e condanna!
Dolore e ira
crebbero di ora in ora nel dodicenne, acuiti dal fatto che andatosene
suo
padre, tutti i servi della villa avevano cominciato a trattarlo con
più
durezza. I rimproveri erano continui e sprezzanti, le pretese di
scaricare
addosso all’ultimo arrivato lavori che toccavano agli altri
infinite.
Nessuna
compassione
verso il ragazzino che poteva già considerarsi orfano.
All’opposto, chi poteva
approfittarsene lo faceva senza scrupoli. Ormai Walter era senza
protezione e
nessuno avrebbe dovuto rispondere della propria spregevolezza.
Giunto alla
sera, il ragazzino sentiva di essere prossimo ad esplodere come una
bomba.
Stava spazzando uno dei corridoi della villa quando vide incedere
Alucard.
Ripensò a quanto fosse detestato da tutti e
un’idea gli balenò in mente: se
avesse fatto a botte con lui, nessuno l’avrebbe sgridato.
Avrebbe potuto
accampare la scusa di essere stato provocato dall’uomo in
cappotto rosso e
tutti gli avrebbero creduto.
Mentre
Walter fremeva, indeciso se attuare o meno il piano, Alucard si
fermò, lo scrutò
con occhio clinico ed emise la diagnosi:
- Devi
scazzottarti con qualcuno sennò scoppi. Avanti, fatti sotto!
–
Walter non
se lo fece ripetere. Con un urlo animalesco caricò a testa
bassa, convinto di
ottenere la meglio. Grande fu il suo stupore quando la testa
batté contro una
pancia durissima. Sentì il collo dolergli per il
contraccolpo. Che cacchio di
muscoli aveva quel bastardo?
Non demorse
e cominciò a tempestare di pugni gli addominali di Alucard,
senza accorgersi
del grido impaurito della cameriera alle sue spalle che scorta la
rissa, era
corsa ad avvertire il padrone.
Il vampiro
si lasciò prendere a cazzotti nello stomaco con pazienza,
senza reagire,
permettendo al dodicenne di scaricarsi finché, avvistato
Arthur in fondo al
corridoio, decise di mettere fine alla “terapia”.
Con una sola sberla mandò al
tappeto Walter.
Il ragazzino
tentò invano di rialzarsi. Il ceffone l’aveva
preso in pieno sull’orecchio ed
era stato così forte da fargli perdere
l’equilibrio. Il timpano fischiava
dolorosamente e il mondo ondeggiava davanti ai suoi occhi.
Confusamente,
avvertì la voce di Ottuso Spilungone Biondo, alias Sir
Hellsing, che da un
punto lontano alle sue spalle chiedeva con voce minacciosa cosa stesse
succedendo.
- Colpa mia.
- mentì Alucard - Mi sono divertito a stuzzicare lo
sguattero e ha reagito. –
Walter si
arrese: non era assolutamente in grado di reggersi sulle gambe. Si
lasciò
cadere dolorosamente a terra, constatando come persino in quella
posizione il
mondo continuasse a vorticare intorno a lui. Provava la sgradevole
sensazione
di sprofondare giù, sempre più giù,
come se scivolasse in un burrone senza
fine.
Ottuso
Spilungone Biondo intanto li aveva raggiunti. Lo capì
perché udì la sua
antipatica voce proprio sopra di sé:
- Portalo in
camera sua e vieni nel mio ufficio! – minacciò,
rivolto ad Alucard.
Sempre
più
stordito da quello che gli pareva un ronzante nido di vespe dentro la
sua
testa, Walter si sentì afferrare e sollevare.
Alucard se lo caricò sulle spalle quasi fosse
un agnellino e salì le
scale per condurlo alla camera di Simon Dorneaz. Il dodicenne
tentò di
farfugliare terribili minacce, come il suo ruolo di delinquentello di
strada
richiedeva. Con un
ghigno divertito,
Alucard rispose:
- E’
così
che mi ringrazi? Ti ho fatto sfogare, ti ho difeso davanti al master e
adesso
scendo nel suo ufficio a prendermi tutta la responsabilità.
Sei un moccioso
terribile. Proprio com’ero io alla tua età.
–
Il vampiro
spalancò la porta della camera con un calcio poi, di
malagrazia, scaricò il
ragazzino sul letto. Walter si sentì più nauseato
di prima. Mentre gli sembrava
di sprofondare dentro il materasso, rantolò:
- Te la
farò
pagare. -
- Certo, certo.
– ghignò Alucard e chiuse la porta.
Walter
viveva per la strada già da due anni e il confronto con la
precedente esistenza
randagia gli consentiva di valutare i pregi e i difetti
dell’abitare dentro
villa Hellsing.
Era
senz’altro un pregio dormire in un letto anziché
in un giaciglio di fortuna;
disporre di coperte, soffitto e pareti che proteggevano dalle
intemperie;
potersi lavare e indossare vestiti puliti gli restituirono la
dignità di
sentirsi alla pari con gli altri.
L’aspetto
migliore comunque era senz’altro mangiare. Nonostante il
resto del personale,
meschinamente, riservasse all’ultimo arrivato porzioni
risicate, queste
restavano comunque più abbondanti di qualsiasi pasto Walter
avesse consumato in
mezzo alla strada. Il figlio del maggiordomo ricoprì alla
svelta le sue povere
ossa sporgenti di carne e muscoli e il viso scavato tornò
liscio e tondo.
La vita di
strada, pur con tutte le sue difficoltà, offriva comunque un
grande pregio: le
regole da rispettare erano poche, basilari e chiaramente improntate a
garantire
la sopravvivenza.
Dentro la
magione degli Hellsing, da questo punto di vista, regnava il caos o per
essere
più esatti, questo era il punto di vista di Walter. Le
regole erano tante,
complicate e orientate a garantire concetti astratti come
l’ordine o il decoro.
“Inutili orpelli” li giudicava il figlio del
maggiordomo che quindi tendeva a
saltarli a piè pari e non comprendeva perché gli
altri abitanti della villa si
scaldassero tanto davanti alle sue mancanze.
- Che
avrò
fatto mai di tanto grave! – rispondeva il giovane Dorneaz di
fronte ai
rimproveri scandalizzati degli adulti, senza capire che le sue repliche
infrangevano un’ulteriore regola, l’obbedienza
silenziosa a chi è
gerarchicamente superiore.
Dato che
Walter era il più giovane e l’ultimo arrivato, ne
conseguiva che tutta la
servitù aveva il potere di sgridarlo. Il suo rispondere ai
rimproveri accendeva
quindi l’animo di tutti i presenti che infierivano
ulteriormente con i
rimbrotti, scatenando l’ira del ragazzino. Ne scaturivano
violenti litigi a cui
gli adulti, oltraggiati, ponevano fine con le botte.
Il piccolo
Walter non era però sopravvissuto alla strada buscandole
mansuetamente. Alle
sberle replicava con i calci ma ciò faceva accorrere in
massa i servi, vogliosi
di domare il teppistello. Uno contro tanti era al di là
delle forze di Walter a
cui quindi non restava che raggomitolarsi, pararsi la testa con le mani
e in quel
modo proteggersi dalla gragnuola di colpi.
Infine, non
contenta di averlo menato a dovere, la servitù correva a far
la spia a Sir
Hellsing, raccontandogli di quanto fosse sfrontato il figlio del
maggiordomo.
Il padrone convocava allora il ragazzino che faticava a rimanere dritto
di
fronte a lui, dolorante com’era. Squadrandolo con freddezza
dall’alto in basso,
indifferente di fronte ai suoi lividi, con voce gelida Arthur ammoniva:
- Ho
promesso a tuo padre di tenerti sotto il mio tetto ma è tuo
dovere rigare
dritto. In caso contrario, mi sentirò sciolto da ogni
vincolo e ti rispedirò da
dove sei venuto. –
Walter non
replicava, temendo di buscarne ancora ma non impediva ai suoi occhi di
squadrare con disprezzo il giovane Hellsing.
Ottuso
Spilungone Biondo!
Cosa ne sai tu
della vita? Niente!
Sei convinto
che rimandarmi in mezzo alla strada sia una minaccia. Non hai capito
che lì so come
cavarmela. Ho la mia banda, con i suoi riti di fratellanza e i suoi
luoghi
sicuri in cui nascondersi. Non ho paura di tornare al mio quartiere.
Anzi, mi
piacerebbe maledettamente rientrare nel mio East End ma
anch’io ho fatto una promessa
a mio padre.
Credi che mi
diverta a star qui prigioniero? Se potessi fare di testa mia, rimarrei
in
questa villa solo qualche giorno, giusto il tempo di rimpinzarmi di un
po’ di
cibo. Poi scapperei via con addosso l’abito nuovo e le scarpe
che mi avete
dato, con in tasca un bel po’ dei vostri soprammobili
d’argento da rivendere
non appena arrivato alla mia strada. Solo questi sono i guadagni che
posso
trarre da questa prigione.
Invece resto
qui a faticare, a inghiottire il vostro disprezzo, senza nemmeno
ricevere uno stipendio
e tutto perché ho giurato a quel povero vecchio di mio padre
che non sarei scappato,
per farlo partire tranquillo. E’ quello che farò:
resterò qui finché la mia
pazienza me lo consentirà, dopodiché vi
manderò tutti al diavolo!
Dopo una
decina di giorni di quell’andazzo, Walter comprese che doveva
porre un freno al
suo orgoglio se non voleva essere preso a cinghiate tutti i giorni.
Imparò così
a rispondere sì a tono a quegli adulti ostili ma appena
notava che cominciavano
a scaldarsi troppo, chiudeva la bocca, risparmiandosi così
una scarica di
legnate.
Dato che non
voleva darla vinta ai suoi nemici, Walter aveva escogitato un
espediente per
non instillare loro l’idea che stesse arrendendosi. Se ne
usciva con una frase piena
di parole gentili ma pronunciata in tono screanzato:
- E adesso
mi scusi, caro signore ma devo continuare con il mio lavoro. –
Il che era
vero. Il figlio di Simon Dorneaz non faceva altro che lavorare da
quando
Maycomb lo svegliava presto e bruscamente al mattino a quando si
coricava,
sfinito e altrettanto presto, la sera.
Ufficialmente
era l’aiuto-stalliere e avrebbe dovuto occuparsi solo dei
cavalli e della
stalla. In realtà Maycomb prestava volentieri il garzone a
qualsiasi collega lo
chiedesse. Fu così che nel giro di pochi giorni dal suo
arrivo, Walter diventò
il tuttofare della villa. Ogni domestico, uomo o donna che fosse,
imparò presto
a scaricare le mansioni più sgradevoli e faticose sul
ragazzino.
Le pause che
la servitù di Hellsing Manor si concedeva nella vasta
cucina, comodamente
seduta intorno al grande tavolo a conversare e bere il tè,
divennero sempre più
lunghe e frequenti dato che avevano trovato chi, al loro posto, dovesse
caricarsi di secchi d’acqua, fascine di legna e sacchi di
carbone su e giù per
le scale della dimora.
In cambio di
questo surplus di fatica, Walter non riceveva in cambio nemmeno un
“grazie”.
Anzi, pareva che per quegli adulti seduti a ridere e scherzare
l’opera del
dodicenne non andasse mai bene. C’era sempre qualcuno che
aveva qualcosa da
criticare, anche quando il piccolo Dorneaz era sicuro di non aver
commesso
errori, di aver lavorato meglio di tutti quegli adulti messi insieme
che adesso
lo guardavano torvi. Erano questi i momenti in cui per il ragazzino
costituiva
uno sforzo enorme tacere e non replicare.
“Sei
lento!”
“Quanto c’hai messo?” “Batti la
fiacca! Io invece alla tua età ero
instancabile!” “Non vorrai farci credere che sei
stanco? Per così poco? Vai a
finire il tuo lavoro nella stalla, scansafatiche!”
Frasi
pronunciate da gente che era il ritratto della pigrizia e chi non
partecipava
al rimprovero collettivo bisbigliava chissà quali
malignità all’orecchio di chi
gli era seduto accanto che replicava annuendo convinto.
Il ragazzino
usciva dalla cucina ribollendo d’ira. Immaginava di cosa
avrebbero parlato, una
volta che fosse sparito dalla loro visuale: com’era possibile
che l’encomiabile
Simon K. Dorneaz avesse un figlio tanto degenere?
A dire il
vero anche Walter se lo chiedeva spesso, nonostante non
l’avrebbe mai
confessato a voce alta. Pensava a suo padre, così elegante
nella sua divisa da
maggiordomo, sempre padrone di sé in ogni circostanza e lo
confrontava con quel
che la strada aveva fatto di lui, un teppistello sporco e volgare, Che
umiliazione doveva essere per il suo povero vecchio, ritrovarsi con un
figlio
simile!
Gli altri
però non dovevano permettersi di fare simili allusioni. Come
osavano ficcare il
naso nelle faccende della famiglia Dorneaz? Non li riguardava!
Walter
giungeva alla stalla e si buttava a lavorare con lena, nonostante la
fatica,
tentando in quel modo di smaltire la rabbia che lo divorava.
“Servi!”
pensava intanto.
“Servi!”
si
ripeteva ancora e ancora, dando a quella semplice parola un tale
connotato di
disprezzo da renderla il peggiore degli insulti.
Agli occhi
di Walter, non era servo chi faceva un lavoro servile ma chi si
mostrava
meschino, ottuso e vigliacco. Suo padre, per esempio, non era mai stato
servile. Aveva sempre ammirato la signorilità
d’animo di Simon, capace di
parlare e comportarsi educatamente anche con chi non lo meritava, come
i loro
vicini di casa.
Quei
maledetti vicini! Servi anche loro e della peggiore specie! Non
importava se di
lavoro fossero negozianti o impiegati, il loro animo era persino
più meschino
di quello di Maycomb e colleghi.
Anche se non
l’avrebbe mai ammesso, a Walter sarebbe piaciuto emulare il
suo vecchio. Essere
sempre padrone di sé, mantenere la calma anche nelle
situazioni critiche,
proprio come lui. Per il figlio era così difficile scindere
l’uomo dal
lavoratore da convincersi che fosse impossibile possedere le
qualità del padre
senza condividerne anche il mestiere. Ma come poteva sperare di
diventare
maggiordomo lui, un ragazzetto di strada? No, meglio abbandonare i
sogni. Non
avrebbe mai potuto emulare Simon K. Dorneaz. Meglio ripiegare su
qualche
mestiere alla sua portata, tipo il delinquente nell’East End.
-
Perché il
Sir ha tutte queste guardie armate? Cosa se ne fa? –
- Sono i
suoi guardiacaccia. Tengono i bracconieri lontani dalle sue tenute.
– rispose
Maycomb.
- Che senso
ha tenere dei guardiacaccia nel parco di una villa? -
Incalzò Walter
- Certe
volte li presta ad altri nobili. Allora i guardiacaccia spariscono per
giorni e
poi ritornano. -
- Ma non
sarebbe più sensato tenerli sempre nei
boschi? –
Maycomb fece
spallucce:
- I nobili
sono eccentrici. –
Spiegazione,
questa, condivisa col resto della servitù. Di fronte ad ogni
comportamento
illogico del loro datore di lavoro (e di stranezze, in casa Hellsing,
ne
succedevano parecchie) tutti, dalla governante all’ultimo dei
giardinieri, se
ne uscivano con questa scusa della presunta eccentricità
degli aristocratici.
L’importante era ricevere vitto, alloggio e stipendio e se in
cambio dovevano
chiudere entrambi gli occhi e spegnere il cervello, lo facevano senza
problemi.
Per Walter
era diverso. Non rischiava nulla indagando su quei misteri. A
differenza del
resto del personale, atterrito all’idea di perdere il lavoro
e finire sotto un
ponte, per il giovane Dorneaz il licenziamento non costituiva un
dramma. Dalla
strada era venuto e alla strada sarebbe tornato. Sapeva come cavarsela
quindi
non aveva motivo di indossare i paraocchi e spegnere il cervello come i
suoi
colleghi.
Inoltre,
nella piatta esistenza che conduceva nel maniero degli Hellsing dove
non faceva
altro che sgobbare, coricarsi presto e svegliarsi ancora più
presto, ragionare
sulle stranezze che lo circondavano era l’unico passatempo
che poteva
permettersi.
La prima
volta che Walter vide sfilare sul viale d’accesso una dozzina
di macchine
eleganti tirate a lucido, rimase senza fiato.
Che spettacolo!
Mai visti bolidi simili nell’East End!
Da ogni
vettura scese un autista in livrea con bottoni scintillanti che
aprì la
portiera al nobile che aveva scarrozzato.
Ai
proprietari delle automobili, Walter non badò. Non erano
altro che ricconi
ottusi come Spilungone Biondo. Gli autisti invece, così
eleganti, accesero la
fantasia del dodicenne. Pensò che se proprio avesse dovuto
fare un lavoro
servile, da grande, gli sarebbe piaciuto essere uno chauffer, con la
livrea dai
bottoni lucidi e al volante di auto tanto potenti!
Quel giorno
il piccolo Dorneaz trascorse il suo magro tempo libero fra
un’incombenza e
l’altra gironzolando tra quei macchinoni, ammirandone
estasiato l’interno e
l’esterno.
Quattro
settimane dopo, la sfilata rifece la sua apparizione sul viale
d’accesso della
villa. Stavolta, oltre ad ammirare le automobili, il ragazzino rivolse
anche la
parola agli autisti. Scoprì così che quella
riunione di aristocratici si teneva
ogni mese, all’interno di quella che veniva definita
“la sala della Tavola Rotonda”.
- E di cosa
parlano? - chiese Walter.
- E chi lo
sa? Forse giocano a fare Re Artù e i cavalieri della Tavola
Rotonda. -
risposero ridendo gli autisti.
Dopo di che
entrarono in cucina per prendere il tè con la
servitù di Villa Hellsing e far
la corte alle cameriere.
L’ammirazione
che il giovane Dorneaz aveva provato per gli autisti
sprofondò sottoterra. Al
di là della livrea e delle macchinone lucide, non erano
diversi da Maycomb e
colleghi. Erano dei servi anche loro. L’infatuazione per il
mestiere di autista
fu quindi tanto improvvisa e intensa quanto di breve durata. Walter
tornò a
considerare come mestiere futuro il delinquente nell’East End.
Esisteva un
solo mistero su cui la servitù di Hellsing Manor
spettegolava tanto e spesso:
Alucard.
L’uomo
col
cappotto rosso non era un servo e nemmeno un aristocratico, viveva al
di fuori
di qualsiasi rango e convenzione sociale e ciò faceva
sentire autorizzati gli
uomini e le donne che lavoravano nella magione a pensarne e dirne tutto
il male
possibile.
Fu
ascoltando le conversazioni piene di rancore e paura dei colleghi che
Walter
scoprì le stranezze di Alucard. Nessuno l’aveva
mai visto mangiare. In
compenso, ogni giorno il garzone del macellaio consegnava un fiasco
pieno di
sangue che lo stesso Sir Arthur provvedeva a portare nella stanza di
Alucard
per poi riconsegnarlo il mattino seguente, vuoto, allo stesso garzone.
La stanza di
Alucard poi, a cui Sir Hellsing negava l’accesso a chiunque,
si trovava niente
dimeno che in cantina, adiacente al rifugio antiaereo che il padrone
aveva
approntato.
- In caso di
attacco aereo, preferirei restare qui in casa, col rischio di prendermi
una
bomba sulla testa piuttosto che scendere nel rifugio e trovarmi fianco
a fianco
con quello lì per ore e ore. - era
un’opinione condivisa dall’intera
servitù, così come l’abitudine di
chiamare Alucard quello lì, quasi
temessero che bastasse pronunciarne il nome per evocare la sua sinistra
figura.
Walter che
rappresentava in assoluto il gradino più infimo di tutte le
persone che
vivevano, lavoravano e respiravano nella grande villa, aveva
un’opinione
diversa della situazione. Agli occhi del figlio del maggiordomo,
costretto a
subire angherie da chiunque, Alucard non appariva più
meschino del resto della
servitù. E’ vero che anche a lui aveva fatto lo
scherzo di apparirgli alle
spalle dal nulla, ghignando soddisfatto della sua paura ma quella
cattiveria
gratuita non era peggiore degli insulti e delle sberle che riceveva
quotidianamente da Maycomb e dagli altri.
Quando
Walter ascoltava i commenti pieni di rabbia, disgusto e paura che i
suoi
colleghi facevano su quello lì, gli
veniva spontaneo immaginarli come
una muta di cani che protetta dietro una cancellata, latrava
furiosamente
contro un lupo che si era fermato ad osservarli, beffardo.
- E io, in
tutto questo, che animale sono? – si domandò
Walter.
Concluse che
si sentiva come un animale che avrebbe desiderato essere lasciato in
pace, come
un gatto o una volpe e per cui sia i cani che il lupo erano nemici allo
stesso
modo.