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Autore: Puffardella    27/03/2023    0 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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WILLIGIS
Willigis galoppava senza fretta verso il fortino romano. Era stato mandato a chiamare dal comandante, Quinto Mario Ambusto, quella mattina, ma lui se l’era presa comoda.
Da giorni, lui e i suoi uomini erano impegnati a smantellare l’accampamento sulle pendici delle Montagne Azzurre nel quale avevano vissuto per oltre dodici anni. Erano in partenza, diretti verso nuove terre, lontano dalla Grande Isola e da tutto quello che rappresentava per lui.
Il Muro era stato portato a termine ormai da oltre un paio di anni e, sebbene di tanto in tanto qualche stupido contadino britannico decideva di improvvisarsi guerriero e provasse ancora a ribellarsi ingaggiando scontri più o meno importanti con i soldati di guardia al vallo, era dell’idea che, a quel punto, i Romani fossero perfettamente in grado di gestirsele da soli, le loro scaramucce coi nativi.
Da tempo ormai aveva perso ogni speranza che Roma fosse interessata ad attaccare le terre al di là del confine, per tanto non aveva più alcuna ragione di rimanere in Britannia.
Sapeva che Quinto Mario lo aveva chiamato per quella ragione, per parlargli della sua partenza e, magari, convincerlo a rimanere, per questo se l’era presa comoda e aveva deciso di presentarsi al suo cospetto solo a pomeriggio inoltrato.
Giunse alla fortezza che i soldati suonavano le buccine per il cambio della guardia, mentre il sole tramontava. Dal portone aperto uscirono i cavalieri per il consueto giro di ronda della sera, insieme a qualche aiutante esterno che i Romani, da un po’ di tempo, avevano preso l’abitudine di assumere perché svolgessero compiti ingrati, o semplicemente noiosi, al posto dei soldati.
Willigis, in questo, vi leggeva una rilassatezza perniciosa. Più passavano gli anni, più l’esercito romano perdeva il suo rigore antico, quello per cui era diventato famoso in tutto il mondo.
Mentre oltrepassava la soglia, la sua attenzione fu catturata da due ragazzini che camminavano fianco a fianco verso l’uscita del fortino.
Mentre uno dei due guardava diritto dinanzi a sé pensando ai fatti suoi, l’altro aveva l’audacia di fissarlo con una luce quasi di disprezzo negli occhi. Non aveva l’aspetto di un Britanno, piuttosto di un Romano.
Non avrebbe saputo dire cosa, di preciso, ma c’era qualcosa di vagamente familiare nei suoi lineamenti. O forse solo nei suoi occhi. Quando gli passò di fianco, arrestò il cavallo e lo fissò a sua volta con uno sguardo così penetrante che lo strano ragazzino, intimorito, fu costretto ad abbassare il suo.
Willigis stette a fissarlo ancora un po’, fino a che quello non scomparve dietro il portone che, lentamente, dopo il passaggio degli ultimi cavalieri, venne richiuso.
Rimase a rifletterci sopra ancora un istante, poi scrollò il capo e decise di andare incontro al comandante e togliersi di dosso l’ultima spiacevole incombenza della giornata.
Quinto Mario lo ricevette nel suo studio, all’interno del pretorio. Indossava una lorica musculata di cuoio e si atteggiava come se fosse appena tornato da un’impresa militare epica, e Willigis pensò con fastidio che avesse lo stesso aspetto arrogante di tutti gli altri comandanti romani che, nella sua carriera di mercenario, aveva avuto la sfortuna di incontrare.
Quinto Mario lo invitò ad accomodarsi, ma Willigis, come al solito, preferì rimanere in piedi.
«Ho saputo che stai per partire» esordì il comandante, sedendosi sulla poltroncina e cercando di assumere una posa contegnosa.
«Domani all’alba» rispose Willigis.
«Non ne comprendo i motivi.»
«Davvero?»
«Qui abbiamo ancora bisogno di te.»
«Peccato che sia io a non aver più bisogno di voi, a questo punto.»
Il comandante schioccò la lingua. «Sbagli se credi che Roma non cambierà idea sulla Caledonia» disse.
«Bene, allora venite a cercarmi quando lo farà. Ma per ora, qui non ho più niente da fare…» replicò Willigis asciutto. Cominciava ad essere infastidito da quell’inutile scambio di parole, che serviva solo a fargli perdere tempo prezioso. Il comandante sembrò accorgersene, perché smise di girare intorno all’argomento e passò dritto alla questione.
«Veramente, speravo che tu potessi fare un’ultima cosa per me» disse finalmente.
«Non credo di averne il tempo.»
«È un lavoro veloce, e ti pagherò profumatamente.»
Willigis sbuffò infastidito, ma siccome i soldi erano sempre un buon argomento, l’unico che lo interessasse, chiese: «Di che si tratta?»
Il comandante si mosse nervosamente sulla sedia. Sembrava a disagio e Willigis se ne meravigliò.
«Lo hai sentito il boato tra i boschi, questa notte?» gli chiese dopo un po’.
«Uno come tanti altri che quella strana foresta produce da sempre, per quanto mi ricordi. E allora? Che cosa vuoi che faccia, che vada tra gli alberi della foresta a intimare alle forze della natura di fare silenzio per far riposare meglio te e i tuoi uomini?» lo denigrò Willigis.
«Non è stato solo il rombo a spaventare i miei uomini, ma quella strana luce azzurrognola che lo accompagnava. Da anni gli abitanti di Trimontium vengono a chiedermi di indagare, di fare qualcosa perché quei boati e tutte le strane manifestazioni che avvengono in quei boschi cessino. Non ho mai preso seriamente in considerazione tutte le loro sciocche lagne, ma ero sveglio ieri notte quando c’è stato l’ennesimo boato, e stavolta, se devo essere onesto, mi sono spaventato anche io. Era qualcosa di soprannaturale, qualcosa che in natura non credo avvenga mai, se non in cielo durante un temporale.»
Willigis scosse la testa. «Voi Romani non differite molto dai Caledoni o dai Britanni in quanto a sciocche superstizioni. Giusto per curiosità, come vuoi che intervenga, di preciso?»
«Vorrei che tu indagassi. Gli abitanti di Trimontium dicono che le manifestazioni avvengono a causa di una donna che vive nei boschi. Pare sia la figlia di un druido che diversi anni fa venne decapitato per aver guidato degli uomini in una sommossa. Loro credono che il druido, per qualche ragione, sia adirato con la figlia e il suo spirito la perseguiti…» 
A quel punto, Willigis scoppiò in un fragorosa risata di scherno, tanto che il comandante fu costretto a interrompere il suo discorso.
«Ti fa ridere?» gli chiese infastidito.
«Perché, a te no?» replicò lui tornando serio.
«No, non più. Potevo permettermi di riderci sopra quando si trattava solo delle chiacchiere sullo spirito del druido, o sul lupo grigio che dicono lo accompagni di tanto in tanto, o sui boati in generale, ma ora…»
Willigis aveva smesso di seguire il suo discorso alla parola “lupo”. In quel preciso istante la pelle gli si era accapponata e il ricordo del lupo di Chrigel, che si diceva appartenesse in realtà alla strega caledone, si era riaffacciato prepotente nella sua mente, provocandogli un brivido lungo la spina dorsale.
«Che lupo?» chiese quindi, tutto ad un tratto interessato all’argomento.
Il comandante lo guardò come se fosse stato uno strano animale.
«Ma come, non ne hai mai sentito parlare?» gli chiese.
«Non perdo mai il mio tempo ad ascoltare fandonie superstiziose di gente capace di farsi spaventare anche dalla propria ombra.»
«Sbagli a non farlo, Rinnegato, non sai mai cosa possa nascondersi dietro la superstizione della gente. E comunque, che il lupo sia davvero comparso tra i boschi delle Montagne Azzurre è cosa certa, e non una diceria popolare.»
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Perché ho personalmente esaminato i segnali. Dalle mie parti i lupi abbondano, so riconoscerla la presenza di un lupo.»
Willigis stette a rifletterci un lungo istante.
«Quando è stata l’ultima volta che lo hanno visto da queste parti?»
«Non lo so, un anno fa circa mi sembra, non ricordo esattamente. È un po’ che non ricevo più lamentele dagli abitanti di Trimontium e non è per loro che voglio che indaghi, ma per il morale dei miei uomini.»
Willigis serrò le labbra e annuì brevemente, pensieroso.
Un lupo, un vecchio druido, boati tra i boschi: ognuno di questi indizi, preso da solo, non significava poi molto, ma messi insieme rappresentavano una coincidenza troppo grande per essere ignorata.
«Sai, credo che, dopotutto, posso anche rimandarla la partenza di qualche giorno…» annunciò infine.
   
 
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