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Autore: TheSlavicShadow    29/03/2023    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Svegliarsi tra le braccia di Steve Rogers aveva un che di dolceamaro. Era un momento così nostalgico che le riportava alla mente i ricordi di un periodo felice, un periodo in cui era davvero felice. E allo stesso tempo le ricordava che tutto era finito, scoppiato come una bolla di sapone non lasciando nulla dietro di sé. Colpa sua, colpa di Steve, colpa di entrambi e del destino che amava giocare con loro. 

In un mondo normale non avrebbero nemmeno dovuto mai incontrarsi. Steve sarebbe dovuto rimanere soltanto un eroe di guerra che li aveva salvati tutti sacrificandosi in mezzo ai ghiacci e lei sarebbe rimasta solamente la viziatissima figlia di Howard Stark morta da qualche parte in Afghanistan. Non avrebbero mai dovuto incontrarsi. Non avrebbero mai dovuto amarsi. 

Invece qualche strana potenza cosmica aveva voluto diversamente ed eccoli lì entrambi con i loro bagagli pieni di traumi per continuare a far danni uno con l’altro. Due persone normali non sarebbero tornate solo a causa di situazioni potenzialmente mortali. E con loro era sempre stato così. Steve era sempre comparso quando per lei le cose si mettevano male in qualche modo.

Fisicamente poteva anche salvarsi da sola, lo aveva dimostrato più volte, ma mentalmente la pace la raggiungeva quando sapeva di averlo vicino. 

“Devo andare in terapia.” Aveva mormorato a sé stessa chiusa nella propria officina. Era rientrata da poco a casa dopo essere stata in ospedale per vedere come stavano Happy e Pepper. Era stata davvero cieca, non si era nemmeno resa conto che tra i suoi amici c’era qualcosa e loro erano sempre stati davvero bravi a nasconderlo. Non sapeva nemmeno da quanto tempo stesse andando avanti la loro relazione. Ma a vedere Pepper così preoccupata doveva tenerci davvero molto. 

La donna le aveva richiesto, in modo anche piuttosto aggressivo, se c’entrava lei qualcosa con tutta quella storia. Se lo stavano chiedendo tutti, perché tutti sapevano chi avesse rivendicato il suo rapimento anni addietro. Ma non lo sapeva nemmeno lei se e in quale misura potesse c’entrare davvero. Nessuno aveva attaccato lei o le Stark Industries direttamente. Happy sembrava solo la vittima accidentale di quell’attacco, ma non poteva essere sicura nemmeno di questo. Non era mai sicura di nulla dopo tutto quello che aveva vissuto in quei ultimi anni. 

Il mondo era troppo cambiato. C’era stato un contatto con delle sedicenti divinità. C’erano stati esseri umani colpiti da raggi spaziali e quindi trasformati. Da qualche parte negli Stati Uniti c’era un uomo che raccoglieva attorno a sé ragazzi con particolari capacità. Gli alieni erano stati sulla Terra e avevano perso. Erano tutte cose che una volta avrebbe potuto vedere soltanto nei film, e ora era tutto troppo reale e surreale. 

“Signorina Stark, il capitano Rogers è al telefono con il colonnello Fury. Il suo piccolo stunt di fronte all’ospedale pare non sia piaciuto.”

Aveva alzato la testa per guardare il soffitto prima di chiudere gli occhi. Un giornalista l’aveva irritata parecchio. L’avevano attesa all’uscita dall’ospedale per porgere le domande più inutili del pianeta e la cosa la aveva messa di umore ancora peggiore di quello che già non aveva. 

Alieni. Perché quelli erano comunque un argomento sempre spinoso su cui nessuno si esprimeva. Non lei, non i piani alti. Gli altri Avengers erano poi tutti come scomparsi dalla faccia della Terra. Quindi chiediamolo a Natasha Stark ogni volta che la incrociamo per strada.

Il Mandarino. Perché sicuramente c’entrava qualcosa lei. Lo sapevano tutti chi l’aveva rapita in Afghanistan. Non sapeva come, ma le notizie finivano sempre per trappelare in qualche modo. Anche solo parzialmente, ma trapelavano.

Steve Rogers. Perché ovviamente li avevano visti assieme il giorno prima e quindi perché non fare illazioni su questa cosa. Tanto che fastidio poteva dare alla nostra Tasha che è avvezza a ogni tipo di pettegolezzo sulla sua vita privata. Una domanda in più non potrà di certo cambiare qualcosa.

Solo che quella mattina aveva cambiato tutto. Aveva perso le staffe con un povero coglione che le aveva posto le domande sbagliate al momento sbagliato. Chiederle di Steve era stata la cosa peggiore, perché in quel preciso momento non sapeva nemmeno lei cosa rispondere. Era frustrata da tutta quella situazione e dal non avere alcuna risposta in mano. La sua testa era piena di domande e dubbi. E questo tizio tutto sorridente le chiedeva in un momento simile, mentre stava uscendo da un ospedale in cui era ricoverato un uomo a cui teneva moltissimo, quale fosse la sua situazione sentimentale con Steve Rogers in quel momento. 

Non ci aveva visto, le era salito il sangue al cervello, e ancora prima di realizzare cosa stesse facendo aveva preso il piccolo registratore dalle sue mani e lo aveva lanciato contro il muro. Era stata fotografata e filmata per quel gesto. Le sue parole trascritte e trasmesse ovunque. 

“Cosa volete sapere? Se Steve Rogers è a casa mia adesso? Sì, lo è, ma per nessuno dei motivi per cui voi vorreste lo fosse. C’è un terrorista in giro e il vostro unico pensiero è se mi sto o meno scopando Capitan America? Patetici. Siete davvero patetici. Ho comunque un augurio di buone feste per tutti voi, soprattutto per il Mandarino. Sono Natasha Stark e non mi fai paura. So che sei un codardo perciò ti avverto che sei morto. Vengo a prendere il tuo cadavere. E nel caso tu non fossi un codardo ti lascio il mio indirizzo: 10880, Malibu Point, 90265.”

“Fury vuole che te ne vada immediatamente da questa casa. Hanno un elicottero che sta arrivando a prenderti.” Steve stava scendendo le scale con il telefono ancora in mano. Non aveva stranamente messo in lockdown l’officina, perché forse voleva avere uno scontro con lui. Era stata una mattinata pessima ed era proseguita in un pomeriggio pessimo. E forse quello che le ci voleva era sfogare tutta la sua rabbia e frustrazione su qualcuno.
“Sto lavorando, Steve. Non me ne vado da nessuna parte.” Stava osservando una proiezione olografica del piazzale del Chinese Theater. “La gente in questa cazzo di piazza è stata polverizzata all’istante da un calore che potrei quasi paragonare a quello del sole e non ci sono ordigni da nessuna parte. Guarda tu stesso. Osserva cosa ho scoperto qui.”

Con un gesto della mano aveva fatto scomparire la piazza ed erano apparsi degli articoli di giornale.

“Cosa sarebbe?”

“Un ragazzo nel Tennessee ha usato un ordigno per suicidarsi. Chi era con lui è stato polverizzato allo stesso modo. La temperatura sprigionata dall’esplosione ha raggiunto i 3000°. Stessa situazione, solo che è antecedente agli attentati del Mandarino e qualcosa non torna.”

“Hai di nuovo hackerato S.H.I.E.L.D. ed FBI?”

Si era coperta il viso con le mani per soffocare un gemito di frustrazione. Steve non capiva o non voleva capire. Non voleva capire la gravità della situazione e aveva continuato a ripeterle di lasciar perdere. Non la voleva coinvolta in alcun modo e cercava di sabotare ogni sua teoria in ogni modo possibile.

Era preoccupato. Era lì mosso da quel motivo e lei non aveva fatto altro che aumentare la sua preoccupazione con quella piccola sceneggiata di fronte all’ospedale. Aveva smosso mari e monti per ritrovarla quando era stata rapita, con molta probabilità non voleva ripetere l’esperienza.

“Ho hackerato nuovamente anche il Pentagono, se proprio vuoi tutta la verità al riguardo.” Aveva nuovamente fatto comparire il piazzale del Chinese Theater davanti ai loro occhi. “Guarda e ascoltami per una volta. Ci sono troppe cose che non tornano in tutto questo. Primo perché Happy fosse lì. Chi ha seguito?” Si era aggirata lentamente attorno agli ologrammi, cercando di capire ancora una volta le dinamiche. “Perché a terra non c’è nessuna traccia di una bomba. Osserva qui. Da qui è partita la deflagrazione a giudicare dai segni per terra. Tutto nelle immediate vicinanze è svanito. Come? Chi ha prodotto una simile potenza senza lasciare traccia? Alieni? Mutanti? Nemmeno le Stark Industries all’apice della produzione di armi sono state capaci di produrre una cosa simile. J, prepara un piano di volo per il Tennessee. Devo andarci il prima possibile.”

“Stai delirando, Tasha. Sei di nuovo fuori controllo. Hai dato il tuo indirizzo di casa al terrorista #1 del momento e io dovrei starti ad ascoltare?” L’uomo le si era avvicinato e si era sentita piccola sotto le sue parole. Stava davvero esagerando? A lei sembrava che nessuno stesse facendo abbastanza e doveva fare qualcosa. Happy era stato ferito, e la colpa era probabilmente sua.

“Happy è in ospedale per colpa mia e non so chi sarà il prossimo bersaglio. Devo quindi proteggere l’unica cosa senza la quale non potrei vivere. E resti sempre tu quella cosa!”

Steve si era zittito di colpo e l’aveva guardata intensamente negli occhi. Si era pentita subito dopo aver pronunciato quelle parole. Non dovevano esserci più coinvolgimenti sentimentali. Non faceva bene a nessuno dei due. Ma era così vero che lei non potesse vivere in un mondo senza Steve Rogers. Aveva visto come quella assenza aveva reso triste Peggy Carter, ed era sicura che per lei sarebbe stato ancora più devastante.

“Sono abbastanza forte, non credi? Sono sopravvissuto 50 anni nel ghiaccio artico.”

Natasha aveva abbassato lo sguardo, sentendosi quasi stupida per quello che aveva detto. Aveva ragione Steve. Era forte. Era molto forte e con un fisico unico al mondo.

“Sai che non sto parlando di questo.”

Una mano di Steve si era appoggiata sulla sua guancia e istintivamente aveva alzato lo sguardo per guardarlo ancora.

“Non mi piace quando ti vedo strafare a questo modo perché non finisce mai bene. Vorrei che tu lasciassi fare il loro lavoro allo S.H.I.E.L.D. e al Dipartimento della difesa.”

“Rhodes ha detto che stanno brancolando nel buio anche loro. Non sono ancora nemmeno riusciti a capire da dove manda esattamente i suoi videomessaggi. Questo psicopatico ha ucciso una persona in diretta tv.”

“Motivo in più perché tu te ne tenga alla larga questa volta. Non voglio setacciare nuovamente il deserto per trovarti.”

“Questa volta non sono più solo Natasha Stark. Sono Iron Woman proprio grazie a Obie che mi ha venduta ai terroristi.”

L’uomo aveva continuato a guardarla. Non gli aveva mai chiesto esattamente cosa fosse successo nei mesi in cui era stata prigioniera. Era un altro capitolo della sua vita che preferiva tenere chiuso a tenuta stagna da qualche parte del suo cervello. Di quei mesi di prigionia voleva solo continuare a ricordare l’elicottero sulla sabbia e le braccia di Steve. Nulla di più.

“Ho solo paura di perderti ancora una volta, tutto qui, Tasha.”

Non andartene mai più allora. Voleva dirglielo. Voleva quasi urlarglielo, ma non poteva. Non voleva rivivere tutto da capo per poi trovarsi distrutta ancora una volta. La presenza di Steve era solo momentanea. Era preoccupato, ma poi se ne sarebbe andato. Sarebbe tornato a Washington o a Brooklyn. E lei sarebbe rimasta a Malibu rinchiusa nella sua officina. Al massimo sarebbe andata a settimane alterne a Manhattan, giusto per farsi vedere alla Stark Tower. Quella situazione era solo provvisoria e si sarebbe conclusa non appena avessero trovato il Mandarino. 

Non avrebbe potuto riprendere una relazione con Steve Rogers, per quanto in realtà lo desiderasse. Lo avrebbe sempre guardato ricordando cosa avevano perso e come lei non era affatto riuscita ad andare avanti. 

“E questo?” Si era chinata quando con la coda dell’occhio aveva notato qualcosa e con le dita aveva ingrandito la sezione di ologramma sotto la mano di Happy. Era palesemente una dog tag quella che stringeva in mano. “J ripulisci l’immagine, per favore. Si legge qualcosa?”

“Jack Taggart, signorina. Un veterano dell’Esercito americano. Come lo era il ragazzo del suicidio a Rose Hill.”

Aveva alzato lo sguardo su Steve e la osservava con le sopracciglia corrugate. Stava pensando quello che aveva in mente anche lei. C’era qualcosa che non tornava.

“Devo telefonare a Fury. Tu telefona a Rhodes. Questa è un’informazione nuova che non avevamo.” Steve si era allontanato di un passo, prendendo subito il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

“Almeno un grazie me lo merito! Grazie Tasha per essere così testarda e geniale, senza di te non riusciremo a fare proprio nulla!”

Ma Steve aveva fatto qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Qualcosa che l’aveva mandata in blocco e contemporaneamente elettrizzato tutto il suo corpo.

Si era avvicinato e chinato per darle un leggero, leggerissimo bacio sulle labbra.

“Grazie, Tasha.”

“Prego…” Gli aveva dato le spalle grattandosi la nuca. Era troppo. Avere lì Steve era davvero troppo. Era una mina vagante che la colpiva a tradimento. Ma era così piacevole. Si sentiva come un tossico che finalmente aveva la dose della sua droga preferita dopo un lungo periodo di astinenza. Era come riprendere fiato dopo aver tenuto la testa troppo sott’acqua. Era una sensazione così piacevole che si chiedeva come era riuscita ad andare avanti senza. 

Aveva sbagliato così tanto a chiudersi a riccio quando aveva perso il bambino, se ne era resa conto troppo tardi. Se avesse lasciato uscire tutto il proprio dolore e avesse permesso a Steve di condividerlo con lei, era sicura sarebbero guariti insieme. Così invece si era trascinata per tutto quel tempo da una relazione senza senso all’altra cercando di colmare il vuoto che aveva dentro. 

Le ci era voluto nuovamente Steve per darle una scossa dall’inerzia in cui stava sopravvivendo. New York le aveva dato nuovi input. Parlare finalmente con Steve le aveva dato altri punti di vista. Quei ultimi 6 mesi era tornata ad essere sé stessa davvero, nonostante li avesse passati quasi totalmente nella propria officina a costruire armature su armature. Ma del resto era così che lei funzionava al meglio. Era quello il suo habitat naturale.

“Torno subito.” Lo aveva sentito dire e poi le era giunto alle orecchie il rumore dei suoi passi sulle scale. Gli era stata d’aiuto. Questo la rendeva sempre orgogliosa di sé stessa. Lei era un civile, come all’infinito le aveva ripetuto ogni volta che si intrometteva in affari militari e top secret, ma era così dannatamente orgogliosa di sé stessa quando scopriva qualcosa. Quando faceva qualcosa per aiutarlo soprattutto.

“J, pensi che siano correlate queste due esplosioni?” Aveva osservato il piazzale, aprendo in contemporanea anche l’articolo su Rose Hill. Anche lì non c’era stata alcuna traccia dell’ordigno. Solo corpi polverizzati così velocemente da lasciare solo tracce di sé sul muro. 

“In questo potrebbe aiutarla solamente il colonnello Rhodes, signorina. Tutte le schede di ogni soldato in attività o meno sono nei loro archivi.”

“Chiamalo. Se non risponde lasciagli un messaggio e digli di richiamarmi.” Aveva guardato l’ora. Rhodes le aveva detto che sarebbe stato impegnato in quei giorni. Doveva fare bella figura al fianco del presidente con la sua bella armatura tinta di nuovo. Rhodes le aveva mandato la foto del restyling dell’armatura. Il suo bel War Machine era diventato Iron Patriot tinto di bianco, rosso e blu, e la cosa era disturbante da vedere a suo avviso. Tutto in nome di una vana propaganda di unità nazionale scoppiata dopo la battaglia di New York.

Aveva osservato ancora le dog tag che Happy aveva stretto in mano. Non era la prima volta che qualche veterano usciva di testa. Il PTSD era fin troppo spesso non trattato in alcun modo. Lei stessa ne era un perfetto esempio del resto. Quando era ritornata dall’Afghanistan aveva cercato di fare qualcosa, ma con scarsi risultati. Lo Stato lasciava fin troppo spesso allo sbando quei poveri uomini e donne che sacrificavano la propria sanità mentale per il bene superiore. Se non morivano sul campo, tornavano a casa perseguitati dagli incubi. Lei ne sapeva qualcosa, anche se lei aveva rifiutato qualsiasi aiuto, ma sapeva anche che molti non ricevevano alcun aiuto. Mutilati nel corpo e nella mente dovevano cavarsela con le proprie sole forze, ma questo diventava molto difficile. Lei aveva avuto Steve, Pepper, Rhodes. Aveva i suoi hobby costosi. Era anche riuscita a sfuggire alla piaga dell’alcolismo che spesso accompagnava i veterani. Beveva, ma con molta più moderazione rispetto a quello che aveva fatto nel periodo pre-Afghanistan. 

Era del resto una privilegiata. Era quel 1% della popolazione mondiale che aveva tutto e che avrebbe potuto avere tutte le cure di cui necessitava. Per qualsiasi problema sarebbe potuta andare nella più lussuosa clinica di disintossicazione. Per qualsiasi problema di salute sarebbe potuta andare in qualsiasi ospedale e farsi curare senza dover badare se avesse l’assicurazione o meno, o se coprisse quelle specifiche cure. Era nata nella ricchezza e certi problemi non se li era mai posti. 

L’unica cosa era che nessuno si azzardava a toccare il suo reattore arc. Nessuno si voleva assumere la responsabilità di un intervento così delicato, mai eseguito prima e che probabilmente nessuno avrebbe mai eseguito. Era l’unico caso al mondo con quel problema, e tale sarebbe rimasta. Anche se aveva contattato qualche luminare per farsi togliere le schegge dal petto. Voleva avere ancora una parvenza di normalità quando si spogliava e si guardava allo specchio, senza vedere ogni volta il reattore risplendere nel suo petto.

“Signorina Stark, c’è al cancello la signorina Maya Hansen che chiede di vederla.”

“Maya…?” Perché i fantasmi del suo passato tornavano sempre a trovarla? Tiberius Stone era sempre presente anche se lei ignorava la sua presenza la maggior parte delle volte. Killian Aldrich ogni tanto ricompariva chiedendo fusioni, collaborazioni, fondi, e così via. Sentir nominare Maya Hansen dopo tutti quei anni era stranissimo. Soprattutto perché solo un paio di giorni prima le era tornata in mente e l’aveva cercata su Google. “Se è da sola falla entrare.” 

Aveva osservato ancora una volta l’ologramma del piazzale prima di farlo scomparire. Ci sarebbe ritornata dopo e avrebbe continuato a sezionare ogni centimetro alla ricerca di indizi intanto che aspettava qualche risposta da parte di Rhodes o dallo S.H.I.E.L.D..

Lentamente aveva fatto le scale. Non aveva alcuna fretta di vedere Maya. Cosa potevi dire del resto ad una persona che non vedevi da anni e che ricompariva così dal nulla senza alcun apparente motivo? Avrebbe dovuto accoglierla con l’armatura addosso, giusto per essere sicuri e non correre rischi? Non avrebbe nemmeno dovuto farla entrare perché era tutto così sospetto? Era solo paranoica per nulla? 

La porta d’ingresso si era aperta per far entrare una donna con lunghi capelli sciolti sulle spalle. Sembrava aver fatto di corsa il tragitto dal parcheggio all’ingresso di casa. 

“E’ da un po’ che non ci si vede.”

“Già, da Berna.” La donna le aveva risposto con un sorriso tirato, restando ferma sull’ingresso. “E non sarei qui se non fosse una questione di vita o di morte.”

Lo sapeva. Doveva immaginarlo che non c’era nulla di buono in quella visita. Forse avrebbe davvero dovuto accoglierla con l’armatura addosso per essere pronta a qualsiasi cosa. 

“Tasha, con chi stai parlando?” Steve era rientrato in casa dal balcone, con il telefono ancora in mano, e ora non sapeva come spiegargli la situazione. Anche perché non la stava capendo nemmeno lei.

“Maya Hansen. Una botanica conosciuta qualche anno fa.”

“Biologa genetista.” L’aveva corretta la donna. Lo sapeva quale fosse la specializzazione di Maya Hansen. Ma era più divertente non dare reali definizioni.

“Una vecchia fiamma?” Steve aveva inarcato un sopracciglio mentre si avvicinava. L’aveva guardata e lei non sapeva davvero cosa rispondergli seriamente.

Era un momento imbarazzante. Non aveva mai affrontato con Steve l’argomento sulla sua sessualità. Non gli aveva mai confermato o smentito tutte le voci che la volevano in flirt con uomini e donne indistintamente. Per lei non faceva alcuna differenza, ma non aveva mai affrontato davvero quel discorso con Steve. Steve era di un’altra epoca. Una in cui se non eri super etero finivi male. Suo padre era un chiaro esempio degli anni in cui era nato e cresciuto, per quel motivo non aveva mai parlato con Steve di alcune cose. 

“Non credo di potermi definire tale.” Maya aveva sorriso a Steve e l’uomo l’aveva guardata. “Più una storia da un weekend e basta.”

“Solito modus operandi di Tasha, giusto? Mastica e sputa, come dicevano le riviste di gossip anni fa.”

“Voglio essere inghiottita dalla terra adesso.” Aveva alzato gli occhi al cielo e poi aveva guardato Steve. “Non farmi ste scenate di pseudo gelosia adesso. Non stavamo insieme all’epoca, non stiamo insieme adesso. E avere storie di una notte è più facile che coltivarne una seriamente. Nessuna offesa, Maya, non è nulla di personale.”

“Nessuna offesa. Credo che non saremo mai potute funzionare come coppia in ogni caso.”

“Nulla di nuovo sotto il sole, quello che dicono tutti.”

Steve aveva sorriso alle sue parole. Gliele aveva dette anche lui una volta e stava davvero pensando a quanto avrebbe dovuto nascondersi in qualche luogo sperduto e costruire da lì le sue armature e i progetti per la Stark Industries, evitando qualsiasi contatto umano.

“Signorina Hansen, non vorrei essere sgarbato, ma stanno venendo a prenderci.”

“Io non vado da nessuna parte. Ho un lavoro da finire. Non voglio essere volgare, ma sai cosa può fare Fury.” Natasha lo aveva guardato, incrociando le braccia al petto. Era sicuro che se Steve avesse telefonato a Fury questi avrebbe mandato qualcuno a prenderli e portarli in qualche sede S.H.I.E.L.D. o safe house.

“Il lavoro lo puoi finire ovunque, ma che tu voglia o no sull’elicottero che sta arrivando ti ci infilo con le buone o le cattive.”

“Despota.”

“Mi dispiace interrompere questa simpatica scenetta, ma sono qui proprio per questo. Ho motivo di credere che il mio capo lavori per il Mandarino.”

Si erano entrambi voltati verso Maya Hansen i cui occhi passavano prima ad uno poi all’altra. Steve aveva mosso un passo verso di lei, in full Capitan America mode, e Natasha aveva istintivamente allungato un braccio per fermarlo. Spaventarla e farla scappare non era un’opzione che potevano permettersi in quel momento. 

“E il tuo capo sarebbe?” Natasha l’aveva guardata negli occhi. Doveva avere un brutto presentimento? Perché era venuta proprio da lei invece di andare alla polizia o all’FBI o dove preferisse? 

“Killian Aldrich.” A quel nome Natasha aveva subito guardato Steve. Era una cosa personale. Oltre a lei poteva colpire Pepper, anche se fortunatamente era con una scorta dello S.H.I.E.L.D. in quel momento. “Ho iniziato a lavorare per lui subito dopo Berna. Vedeva del potenziale nel mio Extremis.”

“L’Extremis era instabile. Ho il ricordo di un ficus che esplodeva dopo essere ricresciuto a ritmi innaturali.” Li aveva realizzato. Non del tutto, ma una strana idea si stava facendo largo nel suo cervello. Stava mettendo insieme più informazioni del dovuto, si mescolavano con quelle che aveva già. Aveva Killian Aldrich usato l’Extremis sull’essere umano? Su sé stesso? Era quello il motivo per cui il suo aspetto si era trasformato in modo così importante? “L’ha trasformato in un’arma? Non volevi usarlo per la medicina?”

“L’idea era quella, ma nessuno mi dava i fondi.” La donna aveva risposto con una alzata di spalle. I fondi per le ricerche erano sempre un problema, lo sapeva benissimo visto quante persone avevano bussato alla porta delle Stark Industries per lo stesso motivo. 

“J.A.R.V.I.S., chiama ancora una volta Rhodes. Ho bisogno di quei file sui veterani subito.” Steve le aveva messo una mano sulla spalla e si era voltata verso di lui. Non sapeva cosa aspettarsi da quel momento in poi. 

“Ce ne andiamo da qui. L’elicottero di Fury sta arrivando e andiamo in un posto sicuro.”

“Potrei quasi darti ragione, ma non voglio andarmene da qui.”

“Hai dato il tuo indirizzo di casa al terrorista del momento e uno che conosci lavora per lui. Direi che ce ne andiamo eccome da qui. Non voglio venire a cercarti chissà dove o peggio.”

Stava per rispondere, quando Maya Hansen aveva preso la parola.

“Sono d’accordo sull’andarsene. Anche perché quella mi sembra casa tua, no?” Aveva indicato il televisore accesso su cui effettivamente stavano inquadrando casa sua presa di mira da un paio di elicotteri che sembravano quasi militari.

“Non sono quelli dello S.H.I.E.L.D..” 

Erano state le ultime parole che aveva sentito pronunciare da Steve prima che qualcosa colpisse la casa. Erano sotto attacco. Non sapeva nemmeno quale tipo di missile fosse appena stato usato contro la sua casa, ma sapeva che un secondo colpo avrebbe distrutto la struttura. La crepa sul pavimento era un chiaro segno che la casa non avrebbe retto.

Il secondo missile non aveva tardato ad arrivare e lei era stata divisa da Steve. 

La sua armatura non aveva tardato ad arrivare e avvolgersi attorno al corpo di Steve, modellandosi sulle sue forme. Aveva funzionato. Non aveva ancora fatto una prova, non sapeva nemmeno come dire a Steve che lavorava su qualcosa per proteggerlo letteralmente. Era stato protetto dal soffitto che gli stava per cadere addosso. Non era esattamente quello il pericolo su cui stava lavorando, ma il senso c’era.

“Dopo parliamo di questa cosa.” 

“Puoi dire di essere un cavaliere con una scintillante armatura ora.”

“Lascia le battute stupide per dopo.” Steve si era avvicinato a quello che una volta era il suo bel balcone e aveva mirato contro uno degli elicotteri come le aveva visto fare più volte. Il piccolo missile aveva abbandonato l’armatura per centrare il suo bersaglio. Solo che aveva fatto peggio di quello che credeva.

L’elicottero stava per schiantarsi contro quello che rimaneva della casa. Aveva solo una frazione di secondo per reagire. Solo un battito di ciglia per portare Steve il più lontano possibile dalla traiettoria dell’elicottero.

“J., porta Steve subito fuori casa, e poi torna da me.”

La sua intelligenza artificiale aveva obbedito immediatamente. Aveva visto l’armatura rossa e oro sfrecciare davanti ai suoi occhi. E poi l’impatto.

 
   
 
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