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Autore: Kakashi_Haibara    09/04/2023    0 recensioni
Stati Uniti, 1985
Il governo statunitense ha indetto una caccia spietata ai mutanti, esseri umani dotati di poteri soprannaturali, per proteggere l'umanità in pericolo.
Feliciano Vargas è un mutante arrestato dall'esercito e rinchiuso nell'inespugnabile fortezza di Westbrook, dove vengono catturati e studiati i mutanti più temuti. Dovrà sopravvivere all'interno della prigione, tra esperimenti e lavori forzati, per poter tornare a casa e riabbracciare il fratello maggiore, aiutato nel frattempo da un gruppo di mutanti rivoluzionari determinati a salvare i prigionieri.
È una storia in cui due mondi opposti si scontrano e si uniscono continuamente tra il dolore, l'amore, l'amicizia e l'odio.
[Mutant!AU, supernatural powers]
(Coppie principali: GerIta, Spamano, FrUK)
!ATTENZIONE! il rating potrebbe salire da arancione a rosso, per scene future con contenuti violenti e/o sessuali espliciti
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1

 

25 gennaio 1985, ore 22:51, Fortezza di Westbrook, Maine, USA

 

Il viaggio all'interno del furgone dell'esercito da New York fino alla fortezza di contenimento dei mutanti fu strano per Feliciano.

Le prime quattro ore le aveva passate completamente addormentato e, appena sveglio, a malapena era riuscito a tenere gli occhi aperti. L'anello metallico che gli avevano agganciato attorno al collo lo aveva privato in un batter d'occhio di tutta la vitalità che possedeva in corpo e a quanto pare persino dei suoi poteri. Lo aveva capito non riuscendo a percepire la presenza del fratello e nemmeno a comunicare con lui.

A quel pensiero, si rattristò. Aveva promesso a suo fratello Romano che sarebbe rimasto a casa al sicuro mentre il maggiore andava a comprare del cibo per la cena con i pochi spiccioli che avevano. Ma Feliciano non ce l'aveva proprio fatta a restare ancora chiuso in quell'appartamento sporco e cadente ed era uscito a prendere una boccata d'aria fresca.

“Che mai potrebbe accadere?” si era chiesto, ingenuamente. Sarebbe soltanto andato a salutare i gattini del vicolo sotto casa, non si sarebbe allontanato troppo.

Senza dubbio non si sarebbe mai aspettato che a un certo punto dal cielo piombasse un robot alto 6 metri che annunciava con la sua voce metallica “MUTANTE. AVVISTATO MUTANTE” e che poi due soldati lo atterrassero in mezzo secondo, lo indebolissero con quel collare soffocante e lo sbattessero dentro a un furgone verde con altri tre mutanti prigionieri.

Feliciano tirò su col naso. Era stato uno sciocco a disubbidire al fratello maggiore. L'aveva avvertito mille volte che ultimamente avevano raddoppiato i controlli per scovare altri mutanti. Dicevano che si temesse la formazione di una schiera di “ribelli” e che andassero fermati prima che accadesse. D’istinto, pensando al fratello, attorcigliò intorno all'indice il ciuffo arricciato di capelli distintivo che lo legava al fratello. Grazie a quel particolare, riuscivano sempre a comunicare tra di loro.

Sospirò affranto e cominciò a guardarsi in giro. Aveva le mani legate con delle manette di metallo, come se avesse potuto fare qualcosa, indebolito com'era.

Alzò lo sguardo verso gli altri prigionieri seduti di fronte a lui: erano tre ragazzini di origine asiatica, quello al centro sembrava avere sui quindici anni, portava i capelli neri tagliati a caschetto e aveva un occhio gonfio (Feliciano si chiese se anche lui stesso fosse ridotto così, si sentiva pulsare la fronte nel punto in cui aveva sbattuto contro l’asfalto); gli altri due, maschio e femmina, erano più piccoli, sui dieci anni. Erano illesi, ma avevano le guance e i bordi degli occhi rossi, probabilmente per aver pianto. Intuì che fossero tre fratelli: i due piccoli dormivano appoggiati con disinvoltura al più grande che... Lo stava decisamente fissando.

Feliciano si guardò intorno a disagio. Eh già, stava proprio guardando lui. Tentò di essere gentile e sorrise al ragazzo, ma quello non rispose. Si limitò ad abbassare lo sguardo.

L'italiano fece una smorfia di delusione. Sperava almeno di poter avere qualcuno amichevole su cui contare in quella situazione...

Diede un'occhiata ai tre soldati: due erano seduti davanti, non li vedeva in viso, ma a volte quello sul sedile del passeggero si rivolgeva al guidatore e finivano col ridere allegramente. Il soldato messo di guardia ai prigionieri non sembrava altrettanto felice: era seduto tra Feliciano e lo sportello posteriore, batteva il piede per terra ripetutamente e sbuffava ogni cinque minuti. Sembrava infastidito ogni volta che gli altri due ridevano, probabilmente lo avevano costretto a sedersi con i mutanti. Ironicamente, nonostante la situazione in cui si trovava, Feliciano non poté fare a meno di notare quanto fossero belli i suoi occhi color muschio accostati ai ricci castani e alla carnagione abbronzata, come se si fosse appena fatto una vacanzina in Puglia. In qualche modo, lo prese in simpatia.

- Tra quanto siamo arrivati? - gli chiese.

Quello sussultò, probabilmente non aspettandosi che un prigioniero gli parlasse. Lo fissò per qualche attimo, sbigottito. Poi si schiarì la voce. - Saremo a Portland tra dieci minuti, immagino. Feliciano notò che parlava con un accento strano.

Il guidatore schernì il compagno. ridacchiando. - Che fai, parli con quei mostri?

Il soldato al suo fianco rise di gusto, il che fece alzare gli occhi all'interpellato. - Cerco solo di essere gentile.

- Gentile dopo che li hai sbattuti a terra a forza?

- Io non ho sbattuto a terra nessuno, vi ho solo aiutati a metterli sul furgone.

Il passeggero rise di nuovo. - Guarda che, se fai tanto il rammollito e non ti comporti da vero soldato, non ti eleveranno mai a un rango superiore, resterai sempre una semplice guardia della fortezza a cui rifilano i compiti più noiosi! Che gioia!

Il giovane sembrò essere sul punto di saltargli al collo, ma si limitò a rispondere a tono. - Non sono un rammollito, semplicemente conosco i limiti, al contrario di voi. Dovevate per forza colpire così forte un ragazzino? E perfino sedarlo davanti ai suoi fratellini?

- Hey! Ha opposto resistenza, avrebbe potuto ucciderci con i suoi poteri! - si difese il guidatore.

Il soldato seduto di fianco a Feliciano scosse la testa e incrociò le braccia, seccato.

Non sembrava cattivo come gli altri due. Aveva deciso che gli stava davvero simpatico.

- Come ti chiami? - gli chiese, curioso.

Il guidatore rise di nuovo. - Dai, diglielo. Fai amicizia con il mostro!

Il soldato gli scoccò un'occhiataccia e poi puntò i suoi occhi verdi sull'italiano. - Mi chiamo Antonio. E tu?

Prima che potesse rispondere, il veicolo sterzò bruscamente a sinistra e per poco Feliciano non fu scaraventato addosso ai tre fratelli. Quando si riprese dalla sorpresa ormai erano fermi.

Il soldato dal lato del passeggero lanciò una cartellina porta fogli nera ad Antonio. - Te la vedi tu con il capitano Beilschmidt. Noi due andremo a parcheggiare il furgone.

- Ay... Ma mi servirà una mano con quattro prigionieri! - protestò Antonio. Feliciano aveva ormai intuito che fosse spagnolo.

- Tre di loro sono ragazzini, ce la farai. - gli rispose l'altro. - Ora fuori, ti aspetta all'entrata.

Antonio sbuffò, aprì il portellone posteriore con una chiave e scese con un balzo.

Il ragazzo asiatico intimò ai fratellini, ormai svegli, di avvicinarsi all'uscita. Essendo il furgone troppo alto e avendo le mani legate, i bambini esitarono.

Antonio allungò le braccia. - Lasciate che vi aiuti...

Ma il ragazzino ringhiò. - Non azzardarti a toccarli!

Antonio esitò. - Ti assicuro che non farò loro del male, li aiuto solo a scendere. - detto questo, prese per la vita prima il bambino e poi la sorellina e li mise a terra. Poi allungò una mano verso il fratello maggiore, che però rifiutò e saltò giù dal furgone. Probabilmente era ancora un po' stordito per via del sedativo, perché inciampò e per poco non cadde di faccia, ma venne preso al volo da Antonio.

Mentre il soldato dava loro indicazioni per mettersi in riga, Feliciano, ancora sul furgone, diede un'occhiata fuori. Ciò che vide lo lasciò completamente senza parole e a malapena riuscì a stare in piedi: di fronte a lui si stagliava una roccaforte immensa, la cui unica via di accesso possibile sembrava essere il portone di ferro d'ingresso, incastonato nella roccia. Chiunque avesse provato a scalare la montagna, sarebbe stato certamente fucilato dalle guardie sparpagliate su tutto il perimetro superiore. Al di là delle mura intravedeva gli ultimi piani di un enorme edificio in pietra, che doveva essere il quartier generale della prigione.

All'improvviso quella poca serenità che aveva provato scambiando due chiacchiere con Antonio svanì. Nel suo cuore si fece largo la paura: che cosa gli avrebbero fatto? Lo avrebbero ucciso? Lo avrebbero costretto ai lavori forzati? Ma lui era troppo debole, non sarebbe mai sopravvissuto! La malsana idea di poter correre via gli balenò per un attimo nella mente. Ma come avrebbe fatto? Era circondato da soldati armati, non avrebbe mai fatto in tempo!

- Vuoi una mano? - Una voce grave e fredda, diversa da quella di Antonio, lo risvegliò dai propri pensieri.

Alzò lo sguardo verso chi aveva parlato: era un soldato alto e muscoloso, portava i capelli biondi tagliati corti e lo fissava con due occhi celesti gelidi come il ghiaccio. Gli stava porgendo la mano grossa e robusta. Feliciano deglutì ancora scosso dalle sue paure e gliel’afferrò con le due mani legate e tremanti. Il soldato lo aiutò ad atterrare in piedi, poi sbatté il portellone e lo chiuse a chiave. Diede una pacca al veicolo, che subito azionò il motore e se ne andò, lasciandosi dietro una scia di fumo nero.

Il soldato biondo fece un cenno ad Antonio e si allontanarono di qualche passo, ma il loro dialogo era comunque udibile.

- Allora, Carriedo, chi sono? - gli chiese.

Antonio indicò i tre fratelli, leggendo i documenti che aveva in mano. - Loro sono Kiku, Mei e Li Chun Wang, quindici e otto anni, di origine cinese, residenti nel quartiere di Hell's Kitchen a New York. C'erano dei sospetti sulla famiglia Wang e quando sono stati rilevati poteri mutanti, ci hanno inviato a prenderli. E' possibile che gli altri membri della famiglia - Yao, padre di 35 anni, Linh, madre di 30 anni, e Yong Soo, fratello di 11 anni – si siano nascosti da qualche parte per sfuggire alla cattura...

A quelle parole Kiku aggrottò la fronte.

Il soldato biondo annuì, pensieroso. - Conoscete già i loro poteri?

- Oh sì, per poco il ragazzino non ha ucciso gli altri due in servizio! - Antonio ridacchiò, come se l'idea di non avere più tra i piedi i suoi due compagni fosse allettante. - A quanto pare, sembra che riesca a controllare il tempo. Piuttosto pericoloso. Lo hanno sedato prima che potesse sprigionare del tutto il suo potere. Magari è un Livello Omega... - guardò il ragazzino con un po' di timore e segnò qualcosa con la penna sul foglio. - Appena sveglio, ci ha riferito che i due più piccoli hanno la capacità di mutare forma in altri animali.

- Immagino non abbia parlato dei poteri degli altri... - chiese il biondo.

Antonio fece per rispondere, ma venne interrotto dalla voce di Kiku. - Non ve li dirò mai. Neanche sotto tortura.

Ci fu un attimo di silenzio, poi il soldato biondo sospirò. - Non sta a me decidere, sentiremo cosa avrà da dire il generale. Invece cosa mi dici di lui? - e indicò Feliciano.

- Ehm... - Antonio spostò il peso da un piede all'altro. - Non abbiamo nessun suo dato. Lo abbiamo preso per strada, la Sentinella di Manhattan sorvolava il distretto e ha rilevato un caso isolato. Non aveva alcun documento con sé.

Fortunatamente, non avevano trovato nulla su di lui e quindi nemmeno sul fratello. Forse poteva ancora aiutarlo a non essere preso. Tuttavia se avevano messo a guardia delle strade una Sentinella voleva dire che anche Romano era in pericolo. Quanto avrebbe voluto poter comunicare con lui per avvertirlo...

- E va bene – esordì il biondo incrociando le braccia. - Accompagna il ragazzino in infermeria per farsi curare l'occhio e quella ferita che ha sulla testa. Portati dietro i fratelli, non hanno l'aria di voler essere separati, per ora. Io mi occuperò di registrare questo qui.

Indicò Feliciano con un cenno del mento, come se fosse una vacca in esposizione.

Antonio annuì e fece il saluto militare, ricambiato. Poi intimò i tre fratelli di seguirlo e sorrise a Feliciano. Non capiva se fosse un sorriso sincero oppure da “Mi dispiace, sei spacciato. È stato un incontro breve, ma intenso”.

- Andiamo. - ordinò il biondo afferrandogli il braccio con la mano in una stretta rigida.

Per poter entrare nella base militare, erano necessari una valanga di documenti e persino un controllo facciale con uno strano aggeggio ultramoderno.

Il portone si apriva su un grande atrio che si diramava in tre corridoi. Il soldato imboccò quello di destra. Durante il tragitto, che a Feliciano parve durare un'eternità, non vide molte persone, solo qualche guardia, ma soprattutto nessun mutante.

- Non stanno in quest'ala della Fortezza – disse il soldato, come se intuisse i pensieri del ragazzo.

Percorsi almeno altri cinque corridoi e il quadruplo degli scalini, arrivarono in un ufficio.

Il soldato si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso la scrivania. - Siediti. - indicò una sedia posta davanti al tavolo.

Feliciano si sedette completamente sfinito e demoralizzato. Non sembrava volessero ucciderlo, ma allora perché era lì? Che cosa volevano da lui?

Si guardò intorno: la stanza sarebbe risultata completamente spoglia se non fosse stata per la presenza della scrivania di fronte alla finestra a due ante, un paio di sedie e due librerie ai lati colme di libri e scartoffie.

Cip cip!

Voltò lo sguardo da dove era provenuto il suono, alla sinistra del soldato, il quale era seduto di fronte a lui dall'altro lato del tavolo: accanto alla finestra si trovava una gabbia per uccelli, dentro la quale un canarino dalle piume gialle come il grano svolazzava da una parte all'altra della gabbia. Ogni tanto si fermava a fissare Feliciano, frullava le ali, cinguettava e poi riprendeva la sua corsa.

- Ignora pure Gilbird, è sempre inquieto quando il suo padrone non è presente. - Il soldato tirò fuori dei documenti e una penna. - Nome completo?

Feliciano esitò, abbassando lo sguardo.

- Per la tua incolumità, ti conviene non mentire. - Il biondo puntò gli occhi vitrei su di lui, mettendolo a disagio. - Questo è un quartiere di contenimento dei mutanti, non vengono uccisi, a meno che non tentino di fuggire, non aggrediscano un ufficiale o non mentano sulla loro identità. E lo verremo a sapere.

Il ragazzo deglutì. - M-mi chiamo Feliciano Vargas e ho vent'anni.

Il capitano lo appuntò sul documento. - Nazion-

- Tu come ti chiami? - lo interruppe Feliciano. - Vorrei sapere almeno il nome di chi mi sta interrogando.

Il soldato lo squadrò con un sopracciglio alzato. Probabilmente non aveva gradito l'interruzione. Poi rilassò le spalle e appoggiò il mento sul dorso della mano. - Sono Ludwig Beilschmidt, capitano delle forze armate di questa fortezza e nipote del generale Beilschmidt. Dunque, nazionalità e residenza?

- Vengo dall'Italia e non possiedo una residenza. Come ha detto Antonio, non ho documenti, ho sempre vissuto da solo per strada.

Ludwig lo studiò come per cercare di capire se stesse mentendo.

Era sincero su tutto, tranne che per quel “da solo”. Lui e suo fratello avevano vissuto per metà della loro vita per le strade di New York, dormendo in un appartamento malandato e abbandonato. Erano arrivati dall'Italia quando avevano undici e nove anni. Erano salpati su una nave con il nonno Cesare, lasciando mamma e papà in Italia. Il nonno aveva detto che era per fuggire alla cattura: in Europa la caccia ai mutanti era iniziata prima che in America ed erano molto meno indulgenti. Spesso sparavano a vista.

Arrivati a New York, il nonno, prima di andarsene “per faccende importanti e segrete”, così aveva detto, aveva lasciato ai due bambini una grande somma di denaro da spendere in cibo. Li aveva avvertiti di non usarla per comprare un'abitazione, ma di usare il suo vecchio appartamento abbandonato in un quartiere di Manhattan, perché altrimenti sarebbero stati facilmente rintracciabili. Sul momento i due fratelli non avevano capito, ma sentendo la storia di Kiku e della sua famiglia, fu grato al nonno di quel consiglio.

Ludwig continuò a tenere il suo sguardo puntato contro Feliciano per un tempo che sembrò infinito, poi annuì. - Descrivi il tuo potere in modo dettagliato.

Anche qui Feliciano dovette distorcere la realtà. Era in grado di comunicare telepaticamente con il fratello e sentire le sue emozioni, se voleva. Ma non avrebbe potuto dirlo, non senza rivelare l'esistenza di Romano.

- Io... percepisco i pensieri e riesco a leggere le emozioni delle persone, più o meno. In qualche modo, avviene grazie a questo mio strano ciuffo di capelli arricciato. Funge da antenna, si può dire. - ridacchiò, leggermente a disagio. - Ma non sempre funziona, sono debole.

Forse quella sarebbe stata la frase che lo avrebbe mandato al patibolo. Debole? Bene, non ci servi. Il prossimo!

Gilbird frullò ancora una volta le ali, come a voler attirare l'attenzione. Cip Cip!

Feliciano sorrise divertito: probabilmente quell'uccellino era l'unica cosa piacevole di tutta quella assurda situazione.

- Dunque, aspetto umano, ma con un tratto particolare... Potere non molto efficace. Direi che puoi rientrare nel Livello Beta. - Ludwig inclinò la testa di lato, pensieroso. - Se non hai un grande potere, non ti assegneranno mai a… Beh, ma forse è meglio così. Probabilmente ti renderai utile pulendo i bagni o il cortile.

Feliciano rabbrividì disgustato. Era stato catturato e rinchiuso in quella prigione per assolutamente nessun crimine commesso, se non quello di essere nato diverso da altri esseri umani, e per giunta lo avrebbero trattato come uno spazzino?

Si alzò dalla sedia e sbatté le mani sulla scrivania. Quell'improvviso moto di nervosismo stupì pure lui. - Scusa se mi permetto, ma io non contribuirò affatto alla pulizia del luogo che mi tiene prigioniero.

Il capitano non si mosse neanche di un centimetro e continuò a scrivere, imperturbabile. - Siediti o sarò costretto a procedere con le maniere forti.

Feliciano non lo stette a sentire. - Catturate gente innocente per una paura infondata. Non tutti noi mutanti siamo pericolosi, non tutti abbiamo idee malvagie. La stessa cosa vale per voi che non avete poteri, ci sono i giusti e ci sono quelli nel torto. Chiamate noi mostri, ma alla fin fine gli unici veri mostri siete voi!

- Stammi a sentire, ragazzo. - sbottò Ludwig, alzandosi in piedi di scatto, il che fece sussultare Feliciano. Aggirò la scrivania e gli si pose davanti, sovrastandolo con la sua enorme stazza. - Devi considerarti fortunato, perché hai incontrato me e Carriedo e non qualche altro soldato, che senza ombra di dubbio ti avrebbe già fatto fuori o per il tuo comportamento inaccettabile nei confronti di un ufficiale dell'esercito o per il solo fatto di essere un mutante dai poteri incerti, assolutamente inutili e troppo poco potenti per lo studio del gene X in laboratorio. Ma se non ti siedi subito e non taci, sarò costretto anche io a diventare poco indulgente nei tuoi confronti. Chiaro?

In realtà non c'era nemmeno bisogno di dirlo: mentre parlava, Ludwig aveva fatto qualche passo, restringendo la loro vicinanza e costringendo così Feliciano ad arretrare. Non trovando spazio libero, era ricaduto di peso sulla sedia.

Ora si trovavano faccia a faccia, le mani di Ludwig appoggiate ai braccioli della sedia, così da circondare con le braccia e con il corpo l'intera figura di Feliciano. Gli occhi di ghiaccio puntati su quelli caldi e intimoriti dell'italiano lo mettevano talmente a disagio, che fece fatica a deglutire ed ebbe quasi paura di sbattere le palpebre.

Cip cip! Cinguettò ancora una volta Gilbird, ignaro della situazione.

- Bene, direi che hai afferrato il concetto. - il soldato indietreggiò. Si passò le mani guantate sui capelli corti e si risistemò sulla scrivania a scrivere chissà cos'altro.

Feliciano si mise una mano sul petto. Il cuore martellava talmente forte che avrebbe potuto facilmente vomitarlo. Quando si riprese dallo spavento, azzardò una domanda. - Cosa succede... A chi possiede un grande potere, come Kiku? Antonio ha accennato a un Livello Omega.

Per qualche secondo, Feliciano sospettò che Ludwig non gli avrebbe più risposto. Continuò a compilare i documenti che aveva sul tavolo in silenzio. Poi però appoggiò tutti e due i gomiti sul tavolo e cominciò a spiegare. - In tutta onestà, i mutanti che noi chiamiamo Livelli Omega sono rari e comunque quasi impossibili da catturare. Se quel ragazzo ha davvero pieno controllo sul tempo, allora sarebbe il primo mutante di quel livello a entrare in questa fortezza. Probabilmente non sarebbe mai stato preso se non avesse dovuto pensare a proteggere i fratelli.

Mise i documenti con i dati personali di Feliciano in una busta di plastica, sulla quale scrisse la lettera greca β, e si alzò dalla sedia. Raccontava tutto con una calma e impassibilità tale che sembrava che non gli importasse niente del destino di Kiku.

- In ogni caso, tutti i mutanti con poteri notevoli rinchiusi qui vengono periodicamente presi in esame dai nostri scienziati...

Feliciano aggrottò le sopracciglia. - Vuoi dire che vengono trattati come cavie da laboratorio? Ma è orribile! Come puoi permettere una crudeltà del genere?!

- Io, sfortunatamente, non ho alcun potere in questo campo, dunque non spetta a me decidere cosa fare o non fare dei mutanti più potenti. Comando le guardie e i soldati, non gli scienziati. Non dovrei nemmeno trovarmi in questa fortezza. - rispose freddamente, poi continuò. - Non so cosa accadrà al ragazzo, l'opzione più semplice sarebbe indubbiamente ucciderlo, prima che possa sprigionare i suoi poteri da un momento all’altro. Ma studiare un potere così speciale... I nostri scienziati e il generale non se lo lasceranno sfuggire per nessun motivo al mondo. Anche perché l'altro ragazzo ormai è allo stremo e non... - Si fermò e lo guardò con una strana espressione, forse accorgendosi di aver parlato troppo.

Feliciano si riscosse. - Che ragazzo? C'è un altro mutante come Kiku? Ma avevi detto che lui era il primo Omega!

- Hai già sentito abbastanza. - tagliò corto Ludwig, prendendolo per il braccio. Stavolta lo fece con più gentilezza, forse si era accorto di aver usato un po' troppa forza la prima volta.  - Andiamo a prendere i tuoi nuovi vestiti. Poi ti assegnerò a una cella, ma prima dobbiamo passare per il laboratorio. - disse, aprendo la porta.

Feliciano piantò i piedi per terra prima di poter varcare la porta. - P-per cosa?

Ludwig sospirò, come se avesse ripetuto la solita frase centinaia di volte. - E' necessario. Devi essere registrato anche dal punto di vista medico. Preleveranno un po' del tuo sangue per memorizzarlo nel database e analizzarne la composizione.

L'idea che potessero studiare il suo sangue e i suoi poteri e quindi, forse, scoprire l'esistenza di Romano lo terrorizzò. - No, non voglio! Lasciami il braccio! - Feliciano cercò di divincolarsi dalla stretta del soldato, ma era troppo indebolito dal collare e Ludwig era più forte fisicamente. Infatti, strinse un po' più la presa e si chiuse di nuovo la porta alle spalle.

- Smettila subito. - tappò la bocca dell'italiano con la mano e abbassò la voce. - Se ti ribelli, ti uccideranno senza pensarci due volte. Ti prometto che non ti faranno del male, ma devi seguire ciò che ti dico. So che sei spaventato, ma io cerco sempre di salvare più vite possibili, non vorrei avere la tua sulla coscienza.

Feliciano emanò un singhiozzo, soffocato dalla mano di Ludwig, e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Voleva credergli, voleva sperare di poter sopravvivere, ma non ci riusciva. Anche se non uccideva i mutanti, quel soldato faceva comunque parte di quell'orribile prigione. In qualche modo, anche lui era responsabile della sua cattura e della sofferenza di centinaia di mutanti. Pensò a suo fratello. Quanto avrebbe voluto rivedere Romano. Se Feliciano fosse sopravvissuto in quella fortezza, forse un giorno l'avrebbe rivisto. Sperava solo che il fratello non fosse così incosciente da venire a cercarlo o peggio: di farsi catturare per poter stare con lui.

No, doveva assolutamente vivere. Non avrebbe lasciato Romano da solo, mai. Sarebbe sopravvissuto per lui, per poterlo rivedere, per poterlo sentire di nuovo quando lo abbracciava.

Con riluttanza, accettò di seguire Ludwig e percorsero per la seconda volta una miriade di corridoi in quella fortezza misteriosa e glaciale.

 

 

 

26 gennaio 1985, ore 04:03, sotterraneo di Villa Ceasar a Portland, Maine, USA

 

Era ormai troppo tempo che Arthur fissava quella mappa approssimativa della Fortezza di Westbrook. Quanto era passato? Minuti? Forse ore, ma ormai neanche il tempo aveva importanza: la mappa era incompleta e indecifrabile, non c'era nulla da fare. Avevano il perimetro della roccia a valle e quello delle mura in cima, l'altitudine media e un abbozzo dell'edificio all'interno. L'esercito negli anni aveva amplificato la barriera contro i poteri dei mutanti e persino i loro radar erano stati resi più efficaci, tanto che sorvolare l'area era diventato impossibile.

A parte quello e poche altre informazioni, non avevano un bel niente.

La rabbia di Arthur esplose e così fecero anche gli scatoloni alle sue spalle, riversando fuori fogli, vestiti e cianfrusaglie di ogni tipo. Cinque anni di indagini e non avevano fatto nessun passo avanti significativo!

Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanzetta, la quale sarebbe dovuta essere il suo studio, invece sembrava più un rifugio di guerra da quanti oggetti erano sparpagliati e infranti al suolo, il che sarebbe stato inusuale per uno ordinato e maniaco della perfezione come lui, se solo avesse avuto il tempo di curarsene. Mentre vagava completamente immerso nei suoi ragionamenti, calpestando qualunque cosa si trovasse nel suo cammino, si portava dietro una scia di oggetti fluttuanti. Succedeva sempre quando pensava mentre era agitato. Era una cosa che non riusciva a controllare.

Fece il punto della situazione: controllare la fortezza dall'alto era completamente impossibile, l'ultima volta che Alfred ci aveva provato si era quasi fatto ammazzare e per poco non portò l'intero esercito al loro nascondiglio, una villa di tre piani nascosta al centro della foresta di Westbrook, ma Arthur cercava di ignorare quel dettaglio o avrebbe scaraventato Alfred su Saturno con la sola forza del pensiero.

Avevano bisogno di esplorarla più da vicino, magari con un mutante con un potere particolare come l'invisibilità. A quel pensiero, gli venne in mente Matthew e il suo umore calò sotto zero. Due mesi prima, Matthew, il gemello di Alfred, ci aveva provato per la terza volta, tenendosi in collegamento telepatico con Arthur. Era riuscito a controllare a malapena l'interno del portone, quando l'allarme anti-mutanti era scattato ed era stato catturato in meno di dieci secondi da una ventina di guardie, senza che Arthur potesse muovere un singolo muscolo per impedirlo. La sua telepatia sembrava completamente inutile all'interno della struttura.

Scosse la testa, massaggiandosi la fronte. Non poteva permettersi di perdere altri uomini. In più, erano ancora troppo pochi. Reclutare mutanti provenienti da tutto il Paese per unirsi alla schiera dei rivoluzionari (l'esercito li chiamava ribelli... Bah!) e assicurarsi che arrivassero a Portland sani e salvi era troppo complicato. Raramente avevano avuto successo e quelli che ci avevano provato erano stati catturati. E ora che l'esercito aveva amplificato... beh, praticamente tutto, era diventato ancora più difficile.

Se solo fosse riuscito a entrare nella mente di quei soldati! Avrebbe scoperto molte più cose, avrebbe avuto in neanche un giorno tutte le informazioni che gli servivano! Ma c'era qualcosa che gli impediva di leggere nei loro pensieri, anche una volta che i soldati erano fuori dalla fortezza, quindi lontani dalla barriera che annullava i poteri dei mutanti... Ma non sapeva che cosa. E Arthur odiava non sapere. Bisognava assolutamente passare all'offensiva. Dovevano catturare un soldato, portarlo possibilmente lontano dalla villa e costringerlo a parlare, a rivelare i segreti della fortezza, la posizione dei corridoi, delle celle, dove tenessero Francis.

Si lasciò sfuggire un singhiozzo affranto. Non sapeva che fine avesse fatto, che cosa gli fosse accaduto, non sapeva nemmeno se fosse ancora vivo. Non capiva come mai non riuscisse a collegarsi telepaticamente con lui, avevano un legame talmente forte e speciale che avrebbe dovuto sovrastare il potere della Fortezza e invece in cinque anni non era riuscito a ottenere un singolo contatto con lui, nemmeno in sogno.

Si asciugò le lacrime che minacciavano di scivolare sulle sue guance. Non doveva pensare troppo a Francis, finiva sempre per versare tutte le lacrime che aveva in corpo. E non poteva permettersi di mostrarsi in un momento di debolezza davanti ai suoi compagni.

Sospirò, cercando di ricomporsi. Proprio quando si stava per rimettere al lavoro, la sua mente, sempre in allerta, avvertì i pensieri di qualcuno che scendeva velocemente le scale del sotterraneo.

“Non dovrei lasciarli fuori da soli, potrebbero essere un'esca dell'esercito per...”

L'artefice di quei pensieri spalancò la porta senza neanche bussare: Alfred si riversò nella stanza e sembrava piuttosto agitato. Era il suo braccio destro, un ragazzo alto, muscoloso, dai capelli biondo cenere tagliati corti e i grandi occhi azzurri circondati da occhiali da vista rettangolari. Indossava un elegante cappotto bianco lungo fino alle caviglie, come di consueto, ma di cui avrebbe fatto volentieri a meno, in quanto lo portava solo e unicamente per coprire le sue enormi ali da aquila, mutazione del gene X. Le sue scarpe da ginnastica rosse e bianche infatti erano sporche di fango e stonavano con il completo elegante, ma rispecchiavano alla perfezione la personalità casinista del ragazzo.

- Arthur! Sono comparsi all'improvviso davanti al cancello di ingresso! - si mangiava le parole dalla fretta. - Hanno chiesto di vederti, non so come sapessero di questo posto, tu non hai reclutato nessuno, vero?

Come al solito, mentre Alfred parlava, Arthur aveva già cercato le menti delle persone fuori dal cancello, ma con sua sorpresa, non trovò nessuno.

- Alfred, di che parli, non c'è nessuno al cancel-

In quel momento una coltre di fumo comparve tra i due ragazzi. Prima che Arthur potesse anche solo fare un passo indietro, tre figure si riversarono nella stanza.

Erano un uomo e una donna forse sui trent'anni e un bambino, tutti e tre asiatici. L'uomo sembrava aver perso i sensi nel secondo in cui aveva messo piede a terra e veniva sorretto dalla donna, la cui vita era circondata dalle braccia esili e tremanti del bimbo.

- Arthur Kirkland. – esordì la donna con il fiatone. - Siamo qui per unirci al tuo gruppo di ribelli, ma prima, ti prego, aiuta mio marito!



Spazio dell'Autrice:
Ecco il capitolo 1 come promesso!!
Siamo entrati ufficialmente nella storia principale! Povero Feliciano, ne passerà di tutti i colori da questo momento in poi T^T Un po' mi dispiace (un po' no perché sono sadica e amo far soffrire i miei personaggi)
Mi ero dimenticata di avvisarvi che il focus della storia cambia da capitolo a capitolo e spesso all'interno del capitolo stesso (nel prologo il POV era di Arthur, poi è passato a Francis, in questo capitolo è di Feliciano e poi di nuovo di Arthur). Renderò SEMPRE chiaro di chi è il punto di vista, così da non creare incomprensioni!
Per precisare: Kiku (Giappone), Li Chun (Hong Kong), Mei (Taiwan), Yao (Cina), Linh (Vietnam) e Yoong Soo (Corea del Sud) sono tutti cinesi, perché giustamente non potevo renderli tutti di nazionalità differenti essendo una famiglia ahah!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Vi aspetto la prossima domenica con il Capitolo 2!
Ciao a tutti e buone vacanze!! <3

   
 
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