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Autore: Kakashi_Haibara    02/04/2023    0 recensioni
Stati Uniti, 1985
Il governo statunitense ha indetto una caccia spietata ai mutanti, esseri umani dotati di poteri soprannaturali, per proteggere l'umanità in pericolo.
Feliciano Vargas è un mutante arrestato dall'esercito e rinchiuso nell'inespugnabile fortezza di Westbrook, dove vengono catturati e studiati i mutanti più temuti. Dovrà sopravvivere all'interno della prigione, tra esperimenti e lavori forzati, per poter tornare a casa e riabbracciare il fratello maggiore, aiutato nel frattempo da un gruppo di mutanti rivoluzionari determinati a salvare i prigionieri.
È una storia in cui due mondi opposti si scontrano e si uniscono continuamente tra il dolore, l'amore, l'amicizia e l'odio.
[Mutant!AU, supernatural powers]
(Coppie principali: GerIta, Spamano, FrUK)
!ATTENZIONE! il rating potrebbe salire da arancione a rosso, per scene future con contenuti violenti e/o sessuali espliciti
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Prologo

 

3 settembre 1971, Maine, USA

 

La pioggia estiva batteva forte sull'asfalto irregolare, che faceva inciampare i piedi nudi del piccolo Arthur a ogni passo falso. Il suo mantello verde ormai era zuppo di acqua e sporco di fango.

Il vento gli pungeva il viso e, per quanto volesse, non poteva tenere gli occhi chiusi.

La stradina di città immersa nell'ombra della notte era illuminata dalle fioche luci gialle dei lampioni.

Correva. Correva e non guardava indietro. Aveva il fiato corto e sentiva le gambe sempre più deboli. Avrebbe voluto fermarsi, riprendere fiato per qualche attimo, riposarsi, ma non poteva.

Erano sempre più vicini. Erano grandi e grossi rispetto a lui, così piccolo e gracile. Avevano dei fucili e, sparandogli, gli avevano graffiato la guancia destra. Il bruciore e la vista del sangue lo avevano spaventato.

Lui invece non aveva nulla. O quasi. Avrebbe potuto difendersi con i suoi... No. Non poteva farlo. Aveva paura. Paura di non riuscire a fermarsi mai più.

Singhiozzò, mordendosi il labbro inferiore. Non voleva essere preso, non voleva morire.

Dalla disperazione e dal timore di poter essere raggiunto, svoltò nel primo vicolo alla sua sinistra. Troppo tardi si rese conto che non vi era via d'uscita.

Andò a sbattere contro il muro di pietra che sigillava il passaggio. Stordito, tentò in tutti i modi di scavalcarlo, di distruggerlo con i suoi piccoli pugni, di graffiare la roccia come un topo rinchiuso in una cupola di vetro, ma invano. Tremava e ansimava spaventato più che mai.

- Sei in trappola, finalmente - disse una voce roca alle sue spalle.

Il bambino si voltò di scatto con il cuore a mille. Gli occhi verdi colmi di terrore.

Erano in sei: uomini alti, robusti, dalle barbe lunghe e incolte e dallo sguardo feroce. Due di loro tenevano i fucili puntati su di lui, altri tre avevano delle torce che lo accecavano e lo obbligavano a proteggersi gli occhi con le braccia. L'uomo al centro, quello che aveva parlato, era il più spaventoso di tutti e sembrava essere colui che impartiva ordini ai compagni: era più grosso e aggressivo degli altri, ma era altro a fargli paura. Una spessa cicatrice bianca gli attraversava l'intera parte sinistra della faccia, partendo dal sopracciglio, passando sull'occhio ormai cieco e finendo poco vicino alle labbra. Quando ghignava, la cicatrice si increspava e lo rendeva ancora più inquietante.

- Lasciatemi in pace! - gridò il piccolo, completamente esausto. Le parole gli uscivano a fatica.

L'uomo inquietante rise e così fecero anche i suoi compagni. - E perché dovremmo, mostro? Sappiamo cosa sei e noi non tolleriamo creature come te nella nostra città!

Fece un passo in avanti e pestò il piede in una pozzanghera, facendo sussultare Arthur, che tentò di indietreggiare, ma andò di nuovo a sbattere contro il muro e crollò a terra, sfinito. - Vi prego, non vi ho fatto nulla di male! Ho solo preso un pezzo di pane caduto! Non lo avreste mangiato!

Era vero. Quel tozzo di pane era caduto dal loro tavolo dritto sul pavimento sporco e bagnato. Uno di quegli uomini aveva espressamente pensato che non lo avrebbe mai raccolto. Lo avrebbe lasciato ai piccioni.

- Smettila di mentire! - ringhiò il capo, avvicinandosi a grandi passi. - Abbiamo visto cosa hai fatto. Il pezzo di pane è volato dal terreno alla tua mano! Non tentare di ingannarci!

La sua figura imponente si stagliò su quella piccola del bambino. L'ombra che formò con il suo corpo lo inondò, nascondendolo dalla luce delle torce. L'uomo poggiò un ginocchio a terra, estrasse un coltellino dalla sua cintura e prese Arthur per il colletto del mantello, sollevandolo a pochi centimetri da terra.

Il bambino scalciò e afferrò con le unghie la mano grossa e forzuta che non aveva alcuna intenzione di mollarlo.

- Conosco quelli come te - continuò l'uomo, puntandogli il coltello sotto il mento. - Siete la feccia di questo mondo. Non sapete fare altro che ferire e uccidere. Volete sterminare gli umani perché li ritenete inferiori... Allora, è così?!

Strattonò il piccolo talmente forte che per qualche attimo vide solo dei puntini neri che gli danzavano davanti agli occhi. Se poté, Arthur pianse ancora più forte. - Io non uccido nessuno! Avevo solo fame! Lasciami andare!

Evidentemente all'uomo non interessavano affatto le sue implorazioni. Lo strinse con più forza e spinse la punta del coltello sul collo esile del bambino. - Se sei davvero così strepitoso da far volare gli oggetti, perché non ti liberi da solo con i tuoi superpoteri? Facci vedere, avanti! Vedremo quale delle due razze è davvero superiore!

Con il coltello che gli premeva sul collo, Arthur faceva fatica a respirare. Sentiva il sangue che cominciava a uscire dalla ferita e gli rigava il petto. Le parole di quell'uomo non avevano assolutamente senso per lui. Non voleva uccidere, non sarebbe mai arrivato a tanto solo per del pane. Boccheggiò, tentando di parlare, ma il panico e la stanchezza non contribuivano. La vista gli si stava appannando e ormai non riusciva nemmeno più a muoversi. Gli mancava l'aria, quell'uomo lo stava strozzando a morte.

- Patetico. - mormorò il suo assalitore. Ormai aveva perso completamente interesse perfino a terrorizzarlo.

- Che facciamo, capo? - chiese l'uomo alla sua sinistra che teneva un fucile. - Lo uccidiamo?

L'uomo con la cicatrice fissò il bambino negli occhi con un'espressione annoiata. Forse stava ancora valutando l'idea se continuare a spaventarlo o ucciderlo subito.

Proprio quando sembrò che lo stesse per lasciare, mollò il coltellino, che cadde ai suoi piedi con un tintinnio, e sollevò la mano ormai libera, chiusa a pugno, pronto a colpire il bambino dritto in viso.

- Hey, Moreau! - una voce calma e acuta lo richiamò poco prima che potesse anche solo sfiorare il viso di Arthur. - Che cosa stai facendo?

L'uomo si voltò lentamente, scocciato. Quando si rialzò, lasciò la presa dal mantello e il piccolo cadde a terra, battendo la nuca. Un conato di vomito gli risalì in gola.

- Che cosa vuoi, moccioso? - ringhiò al nuovo interlocutore. - Questi non sono affari tuoi, torna a casa a giocare.

Una risata flebile e delicata fu la sola risposta. Quando finì, la persona appena arrivata, ancora ferma in fondo al vicolo, continuò. - Oh, invece io credo che siano proprio affari miei, caro Moreau! Riesci a riconoscere dove siete finiti?

Ci fu un momento di silenzio. Arthur non capiva cosa stesse succedendo, era troppo stordito per riuscire ad alzarsi, ma notò che l'uomo malvagio (Moreau, a quanto pare) si stava guardando intorno con fare nervoso. Anche i suoi compagni cominciarono ad agitarsi e ad abbassare torce e fucili. Moreau sbuffò stringendo i pugni.

- Esattamente. - il tono del ragazzino era allegro. Arthur non riusciva a vederlo bene: la sua figura, protetta dalla pioggia da un ombrello viola che teneva in mano, appariva bassa e minuta contro la luce del lampione alle sue spalle, portava i capelli chiari lunghi fino alle spalle e indossava dei vestiti eleganti. Non poteva avere più di dodici anni. - Avete oltrepassato i confini della mia proprietà privata. Ora mi occuperò io di lui, se non ti dispiace. - Era un invito, ma il suo tono non ispirava gentilezza.

Moreau avanzò con prepotenza verso l'uscita del vicolo. - Te lo scordi, ragazzino, è la nostra preda e lo finiremo per bene, proprio come merita di essere trattato.

Un'altra risata fine e fredda risuonò nel silenzio della sera. - Preda? Ah certo! Tu sei il lupo cattivo che se la prende con il coniglietto paralizzato dalla paura, un essere assolutamente innocuo. Non è un atteggiamento molto virile. - lo schernì e la sua figura si avvicinò lentamente a Moreau, senza alcuna esitazione. Si fermò davanti a lui, guardandolo dal basso verso l'alto: non gli arrivava nemmeno al petto. - Oh, aspetta! Non crederai mica alla storia degli uomini con i “superpoteri” di cui parlano i giornali, vero? E' ridicolo! Se questo bambino davvero ne avesse qualcuno, ti avrebbe già fermato, non credi?

A quel punto Moreau sembrò non trovare più le parole. I suoi compagni cominciarono a lanciarsi delle occhiate confuse, come se non fossero davvero sicuri del perché avessero seguito il capo in quel vicolo.

Il ragazzino appoggiò una mano sul braccio enorme dell'uomo, con grande disinvoltura e per niente spaventato. - Adesso ti conviene levarti di torno, se non vuoi che la mia famiglia rovini la tua intera carriera da bravo cittadino.

Moreau serrò i denti e scansò con un gesto brusco la mano del giovane. Fece un cenno ai suoi compagni che subito si riversarono fuori dal vicolo buio. Prima di svoltare l’angolo, puntò lo sguardo di fuoco su Arthur che nel frattempo si era rimesso seduto, tutto dolorante. - Non è finita qui, mostro. Se ci rivedremo, la pagherai molto cara. - quelle parole non sembrarono indirizzate solo a lui. Sputò per terra ai piedi dell’altro ragazzino e levò le tende.

Passarono secondi o forse minuti. Arthur si sentiva ancora frastornato dal dolore, il cuore non aveva affatto smesso di martellare veloce come un treno e la pioggia gli batteva sul viso.

A un certo punto il ragazzino all'entrata del vicolo sospirò e si avvicinò, appoggiando la mano libera sul fianco. - Bene, ora veniamo a noi.

Qualcosa scattò nella mente del bambino, che in qualche modo aveva capito che quella era una persona ancora più potente dei suoi inseguitori, ed ebbe la forza di indietreggiare, impugnando il coltello abbandonato da Moreau e puntandolo contro di lui. Ma la paura ebbe il sopravvento e non fece solo quello. All'improvviso i sassolini sparsi nel vicolo cominciarono a levitare, i vasi si staccarono dai davanzali delle finestre e, per un impercettibile attimo, pure il ragazzino fu sollevato da terra, che, nonostante tutto, sembrava calmo. Vi era solo una lieve traccia di stupore nella sua voce. - Sei tu l'artefice, non è vero?

-No, non sono io! Io non voglio tutto questo! - Ma proprio mentre pronunciava queste parole, allungò una mano in avanti e gli oggetti si mossero verso il nuovo arrivato, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso.

Spaventato, Arthur ritirò la mano e i vasi si infransero a terra, i sassi rotolarono via e il ragazzino tornò a toccare terra.

- Telecinesi completamente incontrollata... - mormorò l'altro accarezzandosi il mento con le dita sottili. - Sei anche un telepate?

Fece un passo in avanti, ma il bambino indietreggiò ancora di più, terrorizzato.

- Non ti avvicinare!

- Se lo sei davvero, allora leggi la mia mente.

Il piccolo scosse il capo, tenendoselo tra le mani. - No, no! Mi scoppia la testa!

Tremava dalla paura, le dita delle mani e le labbra avevano assunto un preoccupante colore violaceo e perdeva molto sangue dal collo e dalla nuca. Il ragazzino non voleva spaventarlo ancora di più. Doveva assolutamente aiutarlo.

- Come ti chiami? Non voglio farti del male, fidati di me. - disse con il tono più calmo e gentile possibile.

Il più piccolo abbassò lo sguardo, riluttante. - E perché dovrei?

Ci fu un attimo di attesa tra di loro. Nessuno fiatò, c'era solo lo scrosciare della pioggia sui tetti delle case e sul ciottolato. Si fissarono negli occhi e si studiarono a vicenda: quelli del ragazzino in piedi non erano affatto feroci e cattivi come quelli degli uomini che avevano inseguito Arthur. Al contrario erano di un bellissima tonalità di blu, il colore del cielo dopo un temporale, del mare al seguito di una tempesta. Ispiravano calma e tranquillità. Quelli del più piccolo invece erano spaventati, sì, ma risplendevano di una luce color smeraldo talmente luminosa che incuteva timore.

Poi, il bambino dagli occhi blu sospirò, raddrizzando la schiena. - Perché io sono come te.

Ciò che avvenne dopo fu così straordinario che per Arthur fu sempre difficile da rendere a parole: a un tratto una strana foschia violacea, talmente fine da essere quasi impercettibile, avvolse il ragazzino. Le scarpine lucide nere scomparvero e si ritrovò a piedi nudi, agli abiti candidi e ordinati prese posto una lunga mantella verde stagno, putrida e sfatta, l’ombrello sparì, i lunghi capelli biondi divennero più corti e spettinati, coperti da un cappuccio, gli occhi cambiarono sfumatura, dal blu al verde, e infine tutto il viso e la corporatura mutò: Arthur si ritrovò davanti la figura di sé stesso.

Il bambino rimase senza parole dallo stupore.

Con un sorriso soddisfatto, l'altro si ritrasformò nella sua figura originale. - Sono un mutaforma, un essere dotato di poteri sovrannaturali. Allora, ti ho convinto adesso? Qual è il tuo nome?

- A... Arthur. - balbettò il piccolo. - Mi chiamo Arthur.

L'altro sorrise. - Bene, Arthur. Io sono Francis Bonnefoy, erede dell'antica casata franco-canadese Bonnefoy, e sono anche io un mutante.

 

 

 

12 ottobre 1980, Maine, USA

 

A quel punto tutto divenne confuso.

In un attimo, Francis si ritrovò circondato da una decina di soldati dell'esercito statunitense che gli puntavano pistole e fucili addosso, impartendogli ordini di ogni tipo. Prima che potesse anche solo fare una qualsiasi mossa, quattro di loro lo immobilizzarono, buttandolo a faccia a terra: uno gli bloccava le gambe, due gli tenevano ferme le braccia e un altro gli mise un ginocchio sulla schiena e gli stringeva la testa con la grossa mano, impedendogli qualsiasi movimento e facendogli sfregare la guancia sull'asfalto ruvido.

Un vento forte arrivava dall'alto e in un attimo capì da dove provenisse: con un tuffo al cuore, fissò con gli occhi sgranati un enorme robot rosso e grigio che si stagliava sopra di lui, fari accecanti al posto degli occhi lo illuminavano per renderlo visibile anche se era ancora giorno. E così era vero: le “Sentinelle” anti-mutanti di cui si era parlato tanto negli ultimi anni erano finalmente state brevettate. La paura che l'enorme mano di quella macchina colossale potesse disintegrarlo in un secondo prese il sopravvento. Si dimenò, tentò di scalciare, ma il militare che gli stava sulla schiena gli afferrò i capelli e gli fece sbattere la fronte sull'asfalto.

Stordito e con il sangue che gli colava sul viso, a malapena si rese conto di sua madre e sua sorella che urlavano il suo nome poco lontano da lui.

Qualcosa gli cinse il collo con un sonoro click. All’improvviso si sentì totalmente prosciugato di ogni sua forza e a stento riuscì a rimanere sveglio.

- Hey! - ringhiò, tentando di trovare le forze per ribellarsi. - Cosa mi state facendo? Che mi avete messo al collo?!

Sentì una risata rilassata, ma che ispirava malvagità, accompagnata da un rumore di passi provenire da dietro di lui. - Mi diletta notare che il nostro collare degno di voi creature sia di tuo gradimento, giovane mutante. Anni e anni di lavoro hanno finalmente dato i loro frutti a un oggetto capace di annullare completamente i poteri di qualunque mutante lo indossi. Impressionante, non è vero?

Due mocassini neri e un bastone da passeggio gli si stagliarono davanti. Francis alzò lo sguardo sull'uomo che aveva parlato: i capelli lunghi biondi erano legati in una coda ordinata, gli occhi cristallini erano freddi e crudeli, il sorriso appagato e sadico. Inconfondibile: era Walter Beilschmidt, generale delle forze armate degli Stati Uniti, da sempre nemico giurato dei mutanti.

Poi il generale si voltò verso la folla di giornalisti e cittadini che si era radunata per assistere alla scena. Qualcuno mormorava il nome del ragazzo, altri si scambiavano occhiate preoccupate e confuse, altri invece ghignavano soddisfatti. Tra questi ultimi vide Moreau, che sgomitava e lo indicava con uno sguardo compiaciuto. L’orrenda cicatrice sul viso si increspava quando rideva.

- Cittadini e cittadine d'America e del mondo intero! - esordì il generale Beilshmidt, aprendo le braccia come per accogliere tutti i presenti. - Sono finalmente lieto di annunciarvi che, dopo anni di terrore, la minaccia mutante da oggi verrà debellata dalla faccia del nostro pianeta. Vi presento il primo mutante che varcherà la soglia della Fortezza di Westbrook: Francis Bonnefoy, mutante franco-canadese di diciannove anni.

Centinaia di flash delle macchine fotografiche lo frastornarono e Francis capì di star perdendo i sensi.

Non riuscì più a seguire il discorso del generale che descriveva cosa sarebbe avvenuto all'interno della fortezza, non sentiva più i corpi degli ufficiali che lo tenevano a terra, le voci della sua famiglia erano soffuse e le facce dei presenti erano divenute solo una sfumatura di colori fiochi.

Proprio quando ormai aveva deciso che quella sarebbe stata la sua fine, uno sguardo allarmato e penetrante lo riportò per un attimo nella realtà. Là, in mezzo a quella folla di facce sconosciute, gli occhi verdi del ragazzo che più amava al mondo lo fissavano colmi di preoccupazione e paura. Per un attimo, nulla esistette più per Francis: le persone erano scomparse, le voci si erano interrotte, il vento emanato dal robot era cessato. C'erano solo lui e la persona più importante della sua vita, Arthur.

Nel momento in cui i loro sguardi colmi d'amore si incrociarono, Francis sentì il cuore farsi pesante. Voleva lottare, voleva rimanere vivo per Arthur, non voleva morire. Ma allo stesso tempo non voleva assolutamente che anche l'inglese venisse catturato. Se era vero che le Sentinelle potevano intercettare il potere dei mutanti, allora anche Arthur era in pericolo.

Si lasciò sfuggire un debole singhiozzo. I suoi occhi blu implorarono ad Arthur di fuggire.

“Ti prenderanno. Devi metterti in salvo.” pensò. Sapeva che l'altro poteva sentirlo.

Difatti, Arthur strinse i pugni e una lacrima gli rigò il viso.

Francis non voleva che quella fosse l'ultima immagine di Arthur che avrebbe visto. “Farò tutto il possibile per restare vivo” continuò, senza mai staccare gli occhi da quelli verdi del compagno amato. “Ma tu devi fuggire o troveranno te e gli altri. Sei la persona più intelligente di questo pianeta, so che troverai una soluzione e mi salverai”.

Ormai Francis non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Il potere del collare non solo gli stava sopprimendo temporaneamente i poteri, ma lo stava anche privando di ogni energia in modo che si addormentasse e non riuscisse a reagire.

“Lo farò”. La voce di Arthur che si insinuava nella sua testa lo riscosse per un breve attimo, la sua figura ormai scomparsa dalla folla, fuggita dal radar della Sentinella. “Troverò il modo e ti porterò via di lì. Aspettami. Verrò a prenderti”.

Francis chiuse gli occhi colmi di lacrime e un sorriso sollevato per quella promessa si disegnò sul suo viso poco prima di perdere i sensi.



Spazio dell'Autrice
Bonjour a todos Hetalians!!!
Per chi mi segue, questa è la famigerata fanfiction su cui sto lavorando da ANNI. Mi sta molto a cuore, sto scrivendo tutto nel minimo dettaglio perché deve essere perfetta ahah ^^
Come avrete potuto notare, è ispirata all'universo degli X-Men, di cui io sono una fan sfegata sin da bambina, quando mi mettevo davanti alla tv a guardare il cartone animato di Wolverine e gli X-Men T^T
Questo prologo è ambientato qualche anno prima degli eventi della storia e tratta di due personaggi secondari che però io adoro (sono una sottona per i FrUK, mi dispiace). Tra l'altro l'intera storia l'ho inventata partendo da loro due, anche se il protagonista è Feliciano! (!!ATTENZIONE!! Il rate potrebbe salire da metà storia in poi, quindi forse la ff diventerà accessibile solo ai maggiori di 18 anni, ma ci penserò!)
Spero vi piaccia, fatemelo pure sapere nelle recensioni! Ci si rivede la prossima domenica con il Capitolo 1, ciao ciao!! <3

   
 
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