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Autore: LaTuM    10/04/2023    3 recensioni
Kenji Akaaashi veniva spesso definito il baby-sitter del capitano del Fukurodani (baby-setter, dai più spiritosi) ma in realtà nessuno sapeva che ragazzo meraviglioso fosse e che uomo incredibile sarebbe diventato Bokuto Kotaro.
E in fondo Kenji era abbastanza felice di essere l’unico a saperlo.
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Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(I'm not) His Babysetter

Disclaimer: Haikyuu!! non mi appartiene e da questa storia non ci ricavo neanche uno zellino.



E’ una BokuAka,

ma ovviamente ci sono dei

riferimenti KuroTsuki perché sì


Baby-setter



Quella mattina non ci fu il ripetitivo suono della sveglia a strappare Kenji dal rifugio onirico in cui i suoi pensieri si erano accoccolati come un gatto sulla sua poltrona preferita, bensì il ritmico e rassicurante respiro della persona che quella notte, dopo molte trascorse da sole, era finalmente sdraiata accanto a lui, su un fianco. Una posizione alquanto sobria per qualcuno così sopra le righe: l’unica nota stonata erano le braccia vagamente conserte, quasi volessero emulare un abbraccio che gli era – per forze maggiori – sempre negato. Tokyo e Osaka distavano cinquecento chilometri e tre ore abbondanti di treno: vedersi non era impossibile, ma non era sempre fattibile. Gli orari da ufficio di Kenji – per quanto flessibili, le scadenze erano serrate – e gli allenamenti, patite, amichevoli, interviste e tutto ciò che era richiesto a uno sportivo professionista come Kotaro, spesso non gli permettevano di trascorrere insieme più di qualche ora. Quel giorno però era il primo giorno di vacanza che entrambi si erano concessi: Kenji aveva preso delle ferie e la Prima Divisione aveva interrotto le partite per quel lasso di tempo canonico di pausa richiesto tra la fine e l’inizio del nuovo campionato, per la compravendita dei giocatori e un po’ di riposo – per quanto moderato e con l’obbligatorietà di un allenamento costante – per questi ultimi. Tempo che molti impiegavano per tornare dalle proprie famiglie a ingozzarsi di onigiri (più del solito), viaggiare dall’altra parte del mondo per andare a far visita a qualcuno che non voleva saperne di uscire dalle proprie vite (e dal proprio cuore), godersi la tranquillità della campagna e restare ore ad ascoltare i ranocchi che gracidavano nei laghetti (sì, persino i promotori della JVA avevano diritto a qualche giorno di ferie, anche se certi anfibi, quando non giocavano, amavano seppellirsi in un museo) o trascorrere le ore raccontando con entusiasmo cos’era successo in ogni singolo giorno che avevano trascorso lontani come se fosse un soldato tornato da una guerra di trincea.

E Kenji certe volte alzava gli occhi pensando a se stesso come l’amata che attendeva al fronte l’amore della sua vita, nella speranza di vederlo comparire: trasandato, magro, provato dalle battaglie, ma vivo.

E non solo Kotaro tornava che era vivo – e pieno di energie, i muscoli delle cosce di Akaashi potevano confermarlo con assoluta certezza – ma era se possibile ancora più grosso, forte e… beh, un po’ trasandato lo era, ma Kenji adorava vederlo mentre indossava la sua vecchia felpa della Fukurodani, un cappellino nero che gli appiattiva i capelli (e sì, in effetti Bokuto con i capelli schiacciati era un’immagine alquanto disturbante, ma non necessariamente con un’accezione negativa) e degli anonimi pantaloni della tuta neri sempre troppo stretti sulle quelle cosce che Kenji avrebbe (e in effetti aveva) morso.

C’erano delle volte (molte, a dirla tutta) che Kenji su chiedeva come fosse possibile essere così fortunati a essere riusciti a conquistare cuore, anima e corpo (molto corpo) di una persona come Kotaro: buono, disponibile, generoso e bastava vederlo per sentire il flusso del proprio sangue abbandonare il cervello, perché tanto non serviva più ragionare.

Agli occhi di molti, Bokuto non era altro che un sempliciotto dall’umore instabile ma con un talento ineguagliabile in campo. Non c’era nessuno, ma veramente nessuno, che poteva provare dei sentimenti negativi verso di lui: certo, sicuramente in campo la rivalità e la voglia degli avversari di schiacciarlo era innegabile, ma non appena conclusa la partita, che avessero vinto o perso (spesso perso, perché Kotaro riusciva quasi sempre a portarli alla vittoria… non l’avevano nominato capitano del Fukurodani a caso, per quanto umorale, questo suo modo di essere riusciva a unire la squadra e la sua bravura in campo era indubbia), alla fine sorridevano sempre nel vederlo raggiante. Anni fa il coordinatore del Karasuno aveva detto che una persona come Bokuto riusciva a trascinare chiunque e che instillava il buon umore in tutti, anche negli avversari. Era una conversazione che non aveva sentito in prima persona, ma quando glielo aveva riferito Yachi-chan, Kenji si era sentito così orgoglioso. Sapeva che fin dal primo giorno lui e Kotaro avevano avuto un rapporto speciale, per quanto apparentemente freddo e distaccato, sempre pronto a portare l’altro con i piedi per terra e non fargliene scappare una (con gentilezza, a differenza di come succedeva a Kuroo che si era scelto un corvo ribelle che non si faceva problemi a beccarlo con discreta cattiveria… ma al Gattaccio pareva non importare molto), mai una volta aveva mancato di supportarlo e incoraggiarlo, premendo sui tasti giusti per riuscire a fargli tirar fuori il meglio di sé (e che meglio…).

Quello che però spesso le persone non vedevano era quanto questo fosse assolutamente reciproco. Con il fatto che tutti lo consideravano un sempliciotto muscoloso non ci facevano molto caso, ma Kotaro era sempre affianco a Kenji quando era preoccupato di non riuscire a dare il meglio negli esami (e per Akaashi la media alta era una conditio sine qua non), oppure si sentiva particolarmente apatico e desideroso di restare sulle sue. Kotaro era lì a incoraggiarlo, dargli quella spintarella in più se aveva bisogno oppure assecondarlo nei suoi momenti più introversi, restandogli affianco in silenzio (sì, ne era capace, e la cosa aveva stupito notevolmente anche Kenji e forse persino lo stesso Kotaro).

Uno dei momenti più memorabili per Kenji era stato quando, con l’assoluta innocenza e purezza (anche se dato il tema forse non era il termine più appropriato) Kotaro gli aveva detto che voleva invertire i ruoli. Era stato uno shock perché stavano scoprendo tutto insieme, un passo alla volta, e Kenji aveva dato per scontato che Kotaro fosse l’attivo della coppia, non si era mai fatto problemi a riguardo quelle tre volte (di numero) che era successo.

Quando Kotaro glielo aveva detto, Kenji aveva strabuzzato gli occhi senza riuscire a balbettare parole di senso compiuto. Forse aveva bubbolato un perché molto confuso, non ne era del tutto sicuro, ma Kotaro sembrava aver capito.

Beh, mi è sembrato ti piacesse, hai sempre un’espressione così bella in quel momento che vorrei provare anch’io. Voglio condividere tutto con te, perché non dovrei condividere anche questo? O ti fa schifo l’idea? Perché a me no, penso sarebbe bellissimo, ma se non ti piace, o ti fa schi-”

Kenji l’aveva zittito con un bacio perché dopo due anni che lo conosceva (e anche piuttosto bene) aveva capito che nei momenti più importanti, a volte era meglio usare gesti semplici per farsi capire.

Kotaro era rimasto un po’ stupito, ma si era abbandonato al bacio e allo stesso Kenji, a cui erano tremate le ginocchia, il cuore e il cervello nel momento in cui era entrato nel corpo dell’altro. Lui, il ‘piccolo’ Akaashi, all’apparenza così più fragile e delicato, stava scopando Bokuto Kotaro. Un pensiero volgare che non gli si addiceva per niente, ma il solo formularlo lo aveva quasi fatto venire. La voce di Kotaro che continuava a mormorare il suo nome, così deliziosamente storpiato come solo lui faceva, il calore della sua pelle e le gambe che lo spingevano sempre più in profondità, quasi volesse tenerlo lì per sempre, avevano fatto capire a Kenji che forse, nonostante avesse solo diciassette anni, forse stava già imparando cosa volesse dire essere innamorati.

Grazie Agasshi...” aveva mormorato Kotaro, stringendolo a sé, dopo che si erano ripuliti e sistemati sotto le coperte per dormire un’oretta, prima di alzarsi e fingere di aver studiato tutto il pomeriggio.

Grazie a te, Bokuto-san” rispose Kenji passandogli una mano tra i capelli, così meravigliosamente disordinati e afflosciati, così diversi dal solito ma che lo rendevano ancora più magnifico di quanto già non fosse.

"È stato bellissimo, dobbiamo assolutamente rifarlo…" disse Kotaro, sorridendo con gli occhi chiusi, respirando a pieno nell'incavo del collo di Kenji quello che era diventato il loro profumo.

E come quella volta, quella notte appena passata, Kotaro aveva avuto Kenji e Kenji aveva avuto Kotaro, perché per loro era perfetto che fosse così.

Rivedersi dopo così tanto tempo trascorsi lontano rallentava le giornate eppure le ore scorrevano rapide e inesorabili, avvicinando sempre di più il momento in cui si sarebbero dovuti salutare di nuovo. In quel momento però Kenji non voleva pensarci.

Si alzò dal letto, facendo attenzione a non svegliare quella meravigliosa massa di muscoli che ancora dormiva e andò in cucina a preparare la colazione: riso, natto, zuppa di miso, tofu marinato e saltato in padella, alcune verdure al vapore e una porzione di frutta fresca appena tagliata. Di solito si limitava a del riso accompagnato da quello che più lo ispirava in frigo, ma per quella mattina aveva voluto accogliere il suo ex capitano nel miglior modo possibile. Disponendo tutto su un vassoio, insieme a due tazze di tè, raggiunse la camera da letto rimanendo un attimo immobile a osservare la meraviglia che era l’uomo che dormiva nel suo (loro) letto, con la pelle baciata da quei dispettosi raggi di sole che entravano dalla finestra e i segni della notte appena trascorsa che si stagliavano orgogliosi e con fierezza sulla sua pelle.

Kenji appoggiò il vassoio sul comodino vuoto prima di chinarsi verso l’altro e sfiorargli una tempia con le labbra.

Buongiorno...” sussurrò Kenji posando le labbra sulla pelle calda dell’uomo.

Kotaro si girò verso di lui, osservandolo con uno sguardo assonato ma un sorriso raggiante dipinto sul viso.

“’rno agaashi...”

Domito bene?”

Kotaro sbadigliò.

Come non facevo da tempo...” mormorò sfiorandogli il naso con il proprio.

Fame?”

Tanta!”

Kenji fece un gesto con il capo indicandogli il vassoio colmo di cibo riposto sul comodino.

Evviva! La colazione a letto! Akaashi! Sei sempre il migliore!”

Kenji Akaaashi veniva spesso definito il baby-sitter del capitano del Fukurodani (baby-setter, dai più spiritosi) ma in realtà nessuno sapeva che ragazzo meraviglioso fosse e che uomo incredibile sarebbe diventato Bokuto Kotaro.

E in fondo Kenji era abbastanza felice di essere l’unico a saperlo.



Note dell’autrice:

Niente, volevo un po’ di fluff BokuAka perché loro due sono bellissimi, Bokuto è una persona meravigliosa e Akaashi sa di essere l’uomo più fortunato del mondo.

Ho usato i nomi propri perché di base sono i pensieri di Akaashi.

   
 
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