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Autore: Vavyr5    17/04/2023    0 recensioni
OS stony ispirate a varie canzoni.
ch.1: Let me down slowly
ch.2: Someone you loved
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La stanza di Tony era buia, illuminata solo dai deboli raggi della luna che, a fatica, passavano tra le tende scure e spesse. Lui era li' steso su quel letto, ormai troppo grande per una persona sola, pensieroso e stanco. Erano mesi che il sonno tardava ad arrivare e la sua mente cominciava a giocargli brutti scherzi. La sera prima infatti, verso le tre del mattino, si era immaginato di sentire la voce della donna che poco tempo prima, aveva lasciato quella casa, senza mai farci ritorno. Aveva sentito i suoi passi nel corridoio e il suo profumo attraverso il tessuto delle lenzuola; ma se il ricordo lo aveva ferito, la realizzazione che tutto quello fosse solo frutto della sua fervida immaginazione e del dolore ancora presente nel suo cuore, era stata una pugnalata. Un boccone troppo amaro da ingoiare e digerire, e mentre l'adrenalina riempiva le sue vene, le gambe lo avevano portato allo scantinato, nel suo laboratorio, dove aveva semplicemente fatto finta di sapere cosa stesse facendo, cominciando ad unire fili e pezzi di metallo, fino a quando, ore dopo non era crollato su quella dura e fredda scrivania.

Ora, nella stessa situazione, si chiedeva come fosse arrivato lui, miliardario che si accontentava di chiunque pur di non restare da solo, a ridursi cosi' per una donna che non solo si era presa qualsiasi cosa Tony le avesse offerto, senza mai accennare ad un rifiuto, ma che aveva chiesto sempre di più fino a quando non lo aveva consumato e lasciato vuoto. Dopo di che, lo aveva semplicemente abbandonato, facilmente come si butta via un pennarello scarico o una maglia rovinata. Forse lui non era che poco più di quello.

Nella sua vita, chiunque lui avesse avvicinato, lo aveva abbandonato con una facilita' disarmante e dopo tutti questi anni, stava cominciando a chiedersi se, forse, non fosse lui il problema, il denominatore comune.

La testa cominciava a pesargli, il cuore a battere sempre più forte e la paura comincio' a prender possesso dei suoi pensieri. L'ansia inizio' a rendere il suo respiro sempre più pesante.

Odiava tutto questo. Odiava sentire quelle sensazioni ogni giorno della sua vita, e odiava ancora di più quando le emozioni diventavano troppo forti e lui non riusciva più a controllarle. Lo faceva sentire debole, indifeso e questo non lo aiutava a superare lo stato di dolore in cui già si trovava.

Aveva perso le speranze, non credeva più che qualcuno potesse arrivare a salvarlo, non credeva più nei supereroi, nonostante lui stesso fosse uno di loro. Nessuno poteva salvarlo da un mondo che nemmeno esisteva, che lo aveva racchiuso in una gabbia mentale e che lo aveva portato a non credere più a nulla.

Ed e' forse per questo che, quella sera, quando JARVIS lo avviso' di un ospite inatteso fuori dalla sua porta, lui si incuriosì e si alzo' dal letto per andare ad aprire.

Dall'altra parte dalla spessa porta di legno, l'ultima persona che Tony potesse immaginarsi, aspettava con pazienza e braccia incrociate che il padrone di casa lo lasciasse entrare. Li', in piedi, maestoso come sempre, Steve Rogers lo guardava, aspettando che dicesse qualcosa.

La confusione e l'aspettativa crescevano ogni secondo di più, mentre i due continuarono a fissarsi per secondi interminabili. Nessuno dei due sapeva perché si trovassero li', in quella situazione, ma nel profondo, erano consapevoli che entrambi avevano molto da dirsi.

Era passato molto tempo da quando, per cause terze, i due si erano ritrovati a combattere l'uno conto l'altro in uno scontro che li aveva lasciati un po più vuoti e divisi di prima. Steve era cambiato, e questo era evidente. Il soldato era più muscoloso, notò Tony con grande stupore, e una folta barba incorniciava il suo volto, accompagnata dai capelli, ormai di media lunghezza, tirati indietro dalla cera.

Il silenzio quasi imbarazzante che si era creato tra di loro venne spezzato dalla voce di JARVIS che cautamente chiese "Signore, faccio entrare il Signor Rogers?"

Tony rispose positivamente a voce per far sì che JARVIS potesse intendere dopodiché annuì lievemente, spostandosi e aspettando che Steve entrasse all'interno della dimora. Il più alto sorrise ringraziando con il capo e avanzò lentamente all'interno della mansione. Si guardò intorno, con le mani nella tasca dei jeans.

La tensione era palpabile nella stanza e nessuno dei due aveva la minima idea di come spezzare l'imbarazzo; c'erano cosi tante cose dette e non dette che il tutto diventò quasi troppo. Tony non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che, in un modo o in un altro, tutto ciò fosse tremendamente sbagliato.

Il capitano non doveva stare lì, nel suo soggiorno. No, doveva tornare a casa sua, o da qualunque posto fosse arrivato, con il suo amico, Bucky. Mesi prima, infatti, anche lui non si era fatto problemi a lasciarlo andare, quindi perché tornare ora che la ferita si era rimarginata? Perché ora che tutto era diventato solo un brutto ricordo?

La rabbia montò nella sua mente, nelle sue vene e nel suo corpo. Era tornato per questo? Ricordargli di come era stato la sua seconda opzione?

"Perché sei qui?" Chiese alla fine, Tony. Il tono duro, distaccato, come se cercasse di ferirlo. Forse stava solo cercando di coprire la propria cicatrice e di nasconderla dietro all'indifferenza. Steve lo guardò impassibile e solo per un'istante, malinconia e nostalgia si fecero largo nella sua espressione. Poi sospirò abbassando il capo e fece un passo verso l'altro uomo, che aspettava impaziente di sentire la sua voce.

"Te l'ho detto mesi fa. Se mai avessi avuto bisogno di aiuto, io ci sarei stato. Sto solo mantenendo una promessa, Tony"

Il chiarore della luna filtrava tra le finestre della sala e illuminava a malapena metà del soggiorno e parte del viso del soldato, che ora, preoccupato, aveva fatto un altro passo avanti, in attesa di una reazione. Non si parlavano da così tanto tempo e tutto questo era diventato cosi estraneo, lontano. Steve si sorprese a risentire, per la prima volta in tanto tempo, delle sensazioni che non ricordava Tony potesse scatenargli.
Tony, d'altro canto, non era messo meglio. Anche lui aveva completamente dimenticato di quanto il più alto potesse influenzare il suo battito cardiaco, le sue emozioni e i suoi pensieri. Entrambi erano per l'altro come una droga: si condizionavano, si modificavano reciprocamente e una volta svanito l'effetto si rincorrevano e si cercavano per averne ancora, per provare più emozioni e meno paure.

Tutto quello, tutte quelle esperienze, erano state buttate alle loro spalle quando si erano ritrovati a fare ciò che entrambi speravano non sarebbe mai successo: dover scegliere di schierarsi da una delle due parti e ritrovarsi sulle sponde opposte.

Ma ormai quello che era stato, era stato e non poteva essere cambiato. Il passato bruciava ancora sulla pelle e nel cuore di entrambi e nessuno dei due poteva credere a quanto quello avesse, effettivamente, influenzato le loro vite.

"Non ho bisogno del tuo aiuto, non ti ho chiamato, non ti ho cercato. Quindi suppongo che i tuoi servizi qui non siano i ben accetti. Grazie per la visita ma ora devo riaccompagnarti alla porta."

"Non prendermi in giro, non sei capace di mentire e lo sappiamo entrambi. Basta guardarti negli occhi per capire che non stai bene e che hai bisogno di qualcuno, che hai bisogno di me."

Tony era ancora infuriato. Non aveva bisogno che qualcuno gli facesse notare il suo aspetto penoso o la sua faccia stanca. Non gli serviva un promemoria di quanto facesse schifo a mentire e a nascondere i propri sentimenti, nonostante gli anni di pratica; e soprattutto, non aveva bisogno di Lui e della sua presenza a ricordargli di come il suo cuore e la sua fiducia fossero stati pugnalati, quando aveva scoperto che Steve aveva deciso di nascondergli la verità sulla morte dei suoi genitori solo per coprire le spalle al suo amico, che altro non era, se non la persona che li aveva uccisi a sangue freddo, nonostante le loro suppliche, nonostante la loro innocenza.

"Dimmi una cosa- Tony sentì l'adrenalina scorrere nelle sue vene nel momento in cui fece anche lui un passo verso il più alto, che ora lo guardava attento- perché sei venuto fino a qui? Sei venuto a ricordarmi di quanto tu sia perfetto? Di quanto io non sia in grado di gestire la mia vita? Che poi, dimmi, cosa ne sai tu? Sei sparito per mesi, non una chiamata, non un messaggio. Nulla. Non ci parliamo da quando sei scappato con il tuo amico e vi siete nascosti chissà dove. Quindi dimmi, cosa sai di quello che è successo a me? Di quello che mi è capitato? Pensi di venire qui, e cominciare a farmi la morale come il bravo soldatino della patria che sei? Forse ti è andata bene nel 1940, quando ancora la gente pensava di potersi fidare di te, ma credimi quando ti dico che quella fase l'ho superata da un pezzo."

Le parole uscirono a raffica dalla bocca del miliardario che ora puntava tutto sull'attacco. Voleva scalfire quella corteccia di cui il grande Capitan America era ricoperto. Voleva colpirlo e abbatterlo con la violenza della parola perché aveva perso la forza e la voglia di ingaggiare una lotta fisica. Non voleva più combattere, vedere persone morire. Non lo voleva più.

Steve rimase muto, come se le parole sputategli addosso, gli fossero solo scivolate sul corpo verso il pavimento dove erano poi state dimenticate, ormai prive di significato.

Perché nel profondo sapeva che Tony non le intendeva davvero. Tutte le cose che aveva detto e che stava per dire, erano frutto di un dolore radicato nel profondo della sua anima.

Si conoscevano troppo bene per sapere che quella sera sarebbe potuta essere un nuovo inizio o la fine di una relazione già naufragata; stava solo a loro decidere quale strada prendere. Insieme, questa volta.

"Come pensavo..." Tony annuì lievemente, come per confermare un'idea nella sua testa e poi si voltò, verso la porta d'ingresso, per scortare il soldato fuori dalla sua abitazione e dalla sua vita.

"So del tuo disturbo post traumatico, so della tua insonnia, so di Pepper, so della tua dipendenza, so che ogni due giorni ti presenti nell'ufficio del tuo terapista perché ti senti sempre estremamente solo, so dei tuoi attacchi d'ansia..." cominciò a parlare Steve mentre l'altro si allontanava deluso. Lo vide fermarsi, però. Probabilmente colpito da quelle parole che non si aspettava di sentire. Tony si girò a guardarlo, attendendo. Entrambi sapevano che il soldato stava per dire di più. "... e so di quanto io ti abbia ferito. Delle notti che hai passato a chiederti perché io abbia scelto ciò che ho scelto. Delle giornate passate a ripensare al momento in cui ci siamo ritrovati a lottare l'uno contro l'altro, forzati da persone che volevano solo quello: dividerci. Tony, lo so, so quello che hai passato perché, anche se solo in parte, l'ho passato anche io. Ho passato notti intere a fissare il soffitto della mia camera, chiedendomi come stessi tu e che cosa stessi facendo. Ho passato giornate seduto su uno sgabello a fissare il telefono, chiedendomi se chiamarti sarebbe stata una buona idea o se sarei stato troppo egoista. Volevo sentire la tua voce" fece qualche passo verso il più basso che ora lo fissava con un'espressione persa, indecifrabile. Steve non si aspettava che lo perdonasse, ma aveva bisogno che l'altro sapesse tutte quelle cose "avevo bisogno di parlarti, di sentirti dire qualsiasi cosa. Dovevo sentirti raccontare come stavi, anche se lo sapevo già."

"Come?" Chiese a quel punto l'altro mentre il biondo continuava la sua lenta avanzata. Non era possibile che il soldato sapesse davvero cosa aveva passato: non si erano scritti o parlati. Non era possibile, no.

"JARVIS... lui mi ha tenuto informato su tutto quello che ti succedeva. Vedi, poco tempo prima che tutto il casino con Bucky- Steve vide Tony diventare teso al solo sentire il nome della persona per cui si erano ritrovati a combattere- cioè, il casino con Lui, venisse a galla, mi sono ritrovato qui a casa tua. Non ricordo perché, ma mi sono semplicemente ritrovato sull'uscio della porta. Pepper non era in casa ma JARVIS mi ha lasciato entrare. Mi è sembrato strano all'inizio ma subito dopo aver messo piede nel tuo salotto, ho capito perché nemmeno lui aveva opposto resistenza: eri sul pavimento, circondato da bottiglie di vetro vuote e pezzi di metallo della tua armatura."

Steve interruppe il suo racconto vedendo che l'altro stava cercando di ricordare. Quella sera aveva cambiato la sua vita e la cosa divertente era che Tony nemmeno se la ricordava. Steve cercò di non lasciare che la tristezza prendesse il sopravvento; era andato lì per aiutare Tony e in un modo o nell'altro, doveva riuscire ad essere forte per entrambi, quindi riprese a raccontare: "Ti ho portato in camera, ti ho messo a letto e ho pulito la sala. Dopodiché ho chiesto a JARVIS cosa fosse successo e mi ha raccontato di Pepper e di come, da quando lei se n'è andata, passavi le notti sveglio, a bere o ad armeggiare nel tuo laboratorio. Avevi smesso di mangiare e di vedere i tuoi amici...

Ed è sempre JARVIS che qualche giorno fa mi ha avvisato del tuo stato. Vedi, quella sera, dopo averti portato dell'acqua in camera, stavo per andarmene ma mi hai bloccato. Probabilmente non eri cosciente di ciò che stavi facendo ma mi hai preso per il polso e mi hai guardato. Avevi gli occhi così stanchi, facevi fatica a rimanere sveglio."

Steve si fermò ancora, non voleva parlare troppo e dire qualcosa che avrebbe fatto scattare l'altro. Aveva pensato tanto a cosa dire, ma alla fine aveva deciso di lasciare che le parole venissero fuori da sole, in qualsiasi ordine esse volessero.

Tony non sembrava troppo infastidito, ma sicuramente era confuso. Non ricordava quella notte. Non ricordava di essere svenuto in salotto o di aver parlato con Steve. Ricordava, però, di essersi risvegliato nel suo letto con una nausea e un mal di testa assurdo.

Ricordava di aver trovato dell'acqua e del paracetamolo sul comodino, e una zuppa coperta da della carta stagnola in cucina. Aveva pensato che la sua domestica si fosse sentita più gentile del solito, ma mai avrebbe immaginato che tutto quello fosse stata opera del soldato.

Tony lo guardò annuendo per fargli capire che aveva il suo consenso per andare avanti; perché anche lui voleva sapere, ricordare.

Steve guardò verso il suolo per un'istante, come per rimettere insieme le idee e poi rialzò lo sguardo e lo puntò in quello dell'uomo più basso.

"Quella sera non hai detto molto ma mi hai guardato negli occhi e per un'istante ho anche creduto che fossi di nuovo pienamente cosciente. Mi hai fissato e poi hai sussurrato 'Resta, perché ho paura di perdermi senza di te', poi sei crollato e ti sei addormentato. Io sono rimasto con te, fino alla mattina dopo, ma non sapevo se la mia presenza fosse davvero gradita o se la notte prima tu stessi delirando. Non volevo che tra di noi si creassero situazioni imbarazzanti, quindi mi sono alzato presto, ti ho preparato da mangiare e poi me ne sono andato. Prima di uscire, però, ho chiesto a JARVIS di chiamarmi ogni volta che tu ti fossi ridotto così. E lo ha fatto, mi ha chiamato, ogni singola volta che hai ceduto e sei crollato."

Il silenzio calò, ora nuovamente sovrano, in quell'ampia casa. Così maestosa eppure così vuota, quasi come il suo proprietario.

Tony era così, forte fuori ma fragile e freddo dentro, consumato da anni di perdite e sacrifici, colpe e rimorsi.

"Se ogni volta che sono stato male hai ricevuto una chiamata, perché non sei tornato prima? Perché dopo tutto questo tempo?" Chiese Tony a quel punto; era stato male così tante volte nell'arco di quei mesi. Troppe volte si era ritrovato a dormire sul tavolo del suo laboratorio, dopo ore di bevute e disperazione, ma Steve non era mai stato al suo fianco, se non per quell'unica volta in cui, a quanto pare, lo aveva scoperto nel suo stato più vulnerabile.

Steve sembrava quello impreparato ora. Non si aspettava che Tony gli ponesse quella domanda, anche se era molto più che lecito che se lo chiedesse.

Non era impreparato perché non sapeva come rispondere, no, la verità è che non era pronto a raccontargli quello che aveva passato lui ogni volta che il telefono vibrava e il nome di Tony appariva sullo schermo. Sapeva che dall'altra parte del dispositivo non c'era il miliardario, ma solo un computer, un'intelligenza artificiale che rispondeva solo ai comandi che lui gli aveva imposto. Non voleva rivelare queste cose ad alta voce perché sapeva che non c'era modo di tornare indietro, se lo avesse fatto e fosse andata male.

Era in guerra con se stesso e sapeva che, in qualunque caso, ci avrebbe rimesso lui e lui soltanto.

"Pensavo di poterlo fare, pensavo di poter correre qui, per reggerti in piedi quando non riuscivi a farlo da solo. Ma la verità è che quella notte, mi ha segnato, Tony. Quando sono tornato al mio appartamento, ho pianto perché vederti in quel modo mi ha distrutto, così quando ricevevo quei messaggi, li ignoravo e cercavo di convincermi che non fosse troppo grave, che potevi farcela, perché sei Tony Stark, il miliardario, genio playboy e filantropo che non ha bisogno del mondo per vivere, che è indipendente e superbo... mi ero convinto che questa immagine che mi ero creato nella mente, appartenesse davvero alla tua persona, ma non è così. Però, tornando indietro non cambierei le cose, soprattutto perché dopo quello che è successo, JARVIS è stata l'unica connessione che avevo con te."

Tony era confuso, non sapeva cosa provare, cosa pensare, come reagire. Voleva credergli ma aveva smesso di fidarsi di ciò che gli diceva la gente, tanto erano tutte bugie e quelle poche volte in cui non lo erano, non valevano il dolore e il rimorso che provava quando scopriva che qualcuno gli aveva nuovamente mentito.

Dall'altra parte, quello era Steve e per quanto lo avesse ferito in passato, per quanto non glielo potesse perdonare, era sempre Steve, il super soldato, il suo amico ed eterno rivale, la sua retta via. Si trovava davanti ad un bivio, una scelta: fidarsi e accogliere di nuovo il biondo nella sua vita o andare sul sicuro e lasciarlo nuovamente andare, farlo uscire da quella porta per la seconda e forse ultima volta?

In quel momento, fuori, un lampo rischiarò la stanza e pochi secondi dopo, il rumore assordante di un tuono riempì le mura della casa, riecheggiando fra le pareti grigie e le innumerevoli stanze vuote. Il suono della pioggia seguì poco dopo e, quasi come in un film, sembrò rilassare entrambe le parti.

Il più basso, spostava il peso da una gamba all'altra quasi ritmicamente, mentre il soldato respirava piano e rimaneva fermo, immobile, composto e maestoso come un leone di fronte al proprio branco.

"Non so cosa ti aspetti che ti dica, ma per quanto mi riguarda tu sei morto il giorno in cui ho visto quel filmato. Il giorno in cui hai preferito lui a noi, a me, ai tuoi amici, i tuoi compagni."

Steve sentì il cuore fermarsi, perdere un battito. Il dolore che risaliva piano dalla bocca dello stomaco, fino a ogni sua singola fibra. Sperò che Tony dicesse qualcos'altro e così fu perché pochi secondi dopo aggiunse: " E' vero, non ho più nulla, se non un briciolo di dignità ed amor proprio, ed è proprio perché sono stufo di farmi prendere in giro da tutti e passare per l'idiota di turno, che adesso ti chiederò di uscire da quella porta e di, per favore, non tornare più in questa casa."

Era finita, non c'era spazio per altre risposte. Il moro aveva definitivamente chiuso i battenti con lui e con le persone in generale, e l'unico che poteva e doveva prendersi la colpa, era lui.

Cercò di pensare in fretta ad un modo per sistemare le cose, un piano B, un freno d'emergenza che però non trovò.

"Tony, ti prego, ascoltami."

E furono quelle parole che fecero scattare il miliardario.

"NO, Steve, ora mi ascolti tu! Non m'importa chi ti abbia chiamato e perché, non m'interessa nemmeno sapere cosa tu pensi di poter salvare qui, stasera, perché notiziona: non c'è più nulla da salvare. Ho imparato a vivere da solo, e si, forse non sarò il migliore ma almeno sono qualcuno e conto ancora qualcosa. Ho i miei problemi, le mie paure, le mie debolezze ma sto imparando a conviverci e ora, per l'amor di Dio, torna a fare l'eroe con qualcuno a cui interessa qualcosa di quello che hai da dire e smettila di sprecare il mio tempo. Vattene o sarò costretto a portarti fuori personalmente."

Non faceva paura a nessuno, e sicuramente non era convinto nemmeno di lui di quello che stava dicendo. Certo, non voleva perdere la persona che aveva davanti perché era stata l'unica che era riuscita a fargli provare qualcosa di vero in un lungo periodo, ma dall'altra parte, riaprire quella porta sarebbe significato esporsi e mettersi a nudo. Togliersi l'armatura in guerra.

Aveva ripromesso a se stesso che non si sarebbe più ritrovato a dover curare le proprie ferite. No, non avrebbe più lasciato a nessuno la possibilità di usarlo. Ora le regole le stabiliva lui e non avrebbe cambiato idea, nonostante l'esitazione, nonostante il dubbio, nonostante la paura; in quella battaglia era lui e lui soltanto e, anche se solo, ne sarebbe uscito vincente.

"Se esco da quella porta, sarà l'ultima, Tony. Non farmi questo. Mi basta una parola sola, una soltanto e io butto tutto all'aria, dimentico il passato e anche i piani per il futuro. Pensaci, ti prego, dammi una possibilità in più."

Steve non aveva mai pregato nessuno. Non quando nessuno lo voleva accettare nell'esercito, non quando si era ritrovato in situazioni disperate dove pregare era sembrata l'unica via d'uscita. Mai. Eppure quella sera si distrusse pezzo dopo pezzo, fino a diventare qualcuno che non era mai stato e che non pensava sarebbe mai diventato.

"Esci" disse solo il proprietario e Steve si lasciò andare, lasciando che una lacrima colma di dolore, solcasse la sua guancia e si perdesse nella folta barba.
Aveva perso e questa volta, per sempre. Annuì, accettando la decisione dell'altro uomo, cominciando ad allontanarsi, verso l'uscita, verso la fine. A pochi passi dall'uscio però prese una decisione e siccome sapeva che sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe visto l'ex compagno decise di agire e di mettere da parte la ragione.

In quell'arco di tempo, Tony non si mosse e non disse nulla. Rimase immobile quando il soldato cominciò ad allontanarsi e anche quando lo vide girarsi e avanzare verso di lui, velocemente, sicuro e impavido, fino a quando non furono a pochi millimetri di distanza. Il biondo pregò che non andasse troppo male e mise la mano sulla guancia del più basso, piegandosi verso di lui e posando le sue labbra su quelle morbide e calde del proprietario.

Il cuore di entrambi cominciò a battere ed un brivido percorse la spina dorsale dei due uomini che ora, persi nella foga del momento, dimenticarono la loro litigata e il loro imminente addio.

La barba di Steve pizzicava il volto di Tony, che preso impreparato, ora si stava lentamente riprendendo dallo shock, e stava cominciando a ricambiare quel bacio che non sapeva avesse atteso e desiderato per così tanto tempo. Libertà, euforia e adrenalina resero la sua mente un pò più leggera. Il più basso avvolse le braccia intorno al collo del più alto, cominciando a ricambiare il gesto e avvicinandosi sempre di più a quel corpo caldo e sicuro di cui tanto aveva bisogno.

Steve stringeva il volto dell'altro, come se avesse paura che da un momento all'altro sarebbe potuto sparire.

Si baciarono, in piedi, nel mezzo della sala buia, con in sottofondo la pioggia battente, persistente, che si schiantava sui vetri delle finestre, come a volerli rompere.

Era questo che Steve sperava di fare con quel bacio: forzare le mura di cui Tony si era circondato fino a farle crollare, mattone dopo mattone, e poter finalmente entrare in quella magnifica reggia che sapeva nascondersi dietro a tanta paura.

Rimasero lì, a stringersi, baciarsi e consolarsi l'uno con l'altro per minuti che parvero pochi secondi ma anche interminabili ore e quando si staccarono, la mancanza di ossigeno fece salire il fiatone ad entrambi, che ora appoggiati uno alla fronte dell'altro, cercavano di incanalare più aria possibile per riprendersi da quell'evento che entrambi avevano desiderato inconsciamente per mesi, forse anni interi.

Steve era preoccupato ora: aveva giocato tutte le carte che aveva a disposizione e non sapeva se questa sua ultima mossa aveva avuto l'effetto desiderato, ma era cosciente del fatto che se non avesse funzionato, avrebbe solo potuto accettare la sconfitta e ritirarsi, scomparire e seguire il destino che la vita aveva scelto per lui.

Tony aveva gli occhi chiusi, la mente piena di pensieri fugaci che si rincorrevano e cercano di trovare il loro posto, fallendo miseramente. Il coraggio e la poca sicurezza che poco prima era riuscito ad acquistare, ora stavano lentamente lasciando il posto al bisogno di un nuovo contatto con l'altro uomo in piedi di fronte a lui. Sapeva che Steve era come una sostanza stupefacente per lui, e ora, dopo mesi di astinenza, aveva finalmente avuto la sua dose e non era sicuramente pronto a lasciarla fuggire nuovamente.

Il dilemma iniziale tornò a farsi grande e potente nel suo cuore come nella sua testa e ora sapeva che qualsiasi decisione avrebbe preso, sarebbe stata quella definitiva.

Un nuovo silenzio, un nuovo peso cominciò a gravare sul petto di entrambi e questa volta sembrò durare molto più di quelli precedenti.

"Mi dispiace..." cominciò a parlare il moro con un nodo in gola doloroso come mai altre cose prima di allora. "ma non posso"

Due cuori si infransero contemporaneamente quella sera, nel preciso istante in cui quelle parole vennero fuori dalla bocca dell'uomo più basso.

Steve, ancora ad occhi chiusi, si staccò dal corpo dell'altro ed annuì lentamente.

Si allontanò verso la porta, dando le spalle alla persona che lo aveva appena rifiutato.

Questa volta non si guardò indietro, non ostentò: uscì dalla porta d'ingresso e dalla vita di Tony Stark, una volta per tutte.

Quella sera, quella notte uguale alle altre, era appena stata segnata da una fine, una rottura, una divisione che non sarebbe mai potuta essere sistemata. Quella notte, Steve Rogers e Tony Stark tornarono ad essere due estranei, due sconosciuti, con un passato assieme che li avrebbe tormentati fino al giorno del loro giudizio.

 

Passò una settimana da quella fatidica notte. Tutto era tornato come prima e Tony non aveva più avuto notizie del biondo, che proprio come aveva richiesto, era tornato a casa sua.

Nonostante i suoi desideri fossero stati avverati, quando quel giorno il campanello di casa suonò, una parte di Tony, nascosta sotto una montagna di bugie, sperò di rivedere il soldato fuori dall'uscio, ad aspettarlo con i suoi capelli lunghi e le braccia muscolose, incrociate impazientemente.

Rimase segretamente deluso quando invece, trovò la sua squadra.

Li fece entrare, sperando che non fossero andati lì anche loro per commentare sul suo aspetto o sulla sua misera vita. Si accomodarono al tavolo della cucina, dove erano presenti abbastanza sedie per tutti loro.

Non si vedevano da qualche giorno, ma tutti quanti notarono che l'aspetto di Tony era nettamente peggiorato dopo la visita di Steve.

"Come mai qui? Fury ha organizzato una riunione a casa mia senza mettermi al corrente?"

Nessuno rispose e Tony notò, per la prima volta da quando avevano messo piede in casa sua, che l'espressione di tutti era colma di tristezza e probabilmente rabbia.

"Cosa è successo?" Si ritrovò a chiedere allora, avendo realizzato che i suoi compagni portavano cattive notizie con loro. Si aspettò catastrofi e anche qualche morte, ma non di vedere Natasha alzarsi dal tavolo con le lacrime agli occhi e sbattergli sul petto una busta bianca. Non aveva mai visto la spia piangere; sinceramente, non credeva ne fosse capace. L'aveva vista affrontare tragedie e disgrazie con la stessa espressione impassibile stampata in faccia, ogni singola volta. Quindi quando, con il magone e le lacrime a solcare il volto, lei gli disse: "Mi ha detto di darti questa. Spero tu sia contento ora" Tony capì che qualsiasi cosa fosse successa, doveva essere grave. Molto grave.

Natasha tornò verso la sua sedia e prese la giacca di pelle che solo pochi minuti prima aveva poggiato sullo schienale, rimettendosela addosso. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e aggiunse: "Mi dispiace che sia finita così, spero tu possa trovare qualcuno che possa aiutarti, e spero anche che questa volta tu non lo respinga come hai fatto con lui." E detto questo, uscì dalla porta.

Tony si voltò verso Bruce, che a sua volta, si stava preparando per seguire la sua ragazza.

"E' ancora sconvolta, non prendertela." Gli battè una mano sulla spalla in segno di saluto e prima di uscire disse ancora "Riposati Tony, ne hai bisogno"

Una volta spariti entrambi, ci fu silenzio per qualche secondo, finché il rumore di un motore non venne udito nella stanza e una macchina cominciò ad allontanarsi, segno che Natasha e Bruce se n'erano andati.
Nella stanza Tony, Thor e Clint rimasero in silenzio finché il proprietario, stanco di questi silenzi inutili, sbottò e chiese spiegazioni.

Thor e Clint si guardarono e l'arciere decise di prendere parola. "Steve se n'è andato"

Tony non capiva. Cosa voleva dire che se n'era andato? Era tornato dall'amico Bucky? Ma se fosse stato questo il caso, perché erano tutti così sconvolti?

Mise su un'espressione corrucciata, per far capire ai due che aveva bisogno di altre informazioni, perché chiaramente, non riusciva a capire.

"Quello che Clint vuole dire, è che Steve è tornato negli anni '40" si fece avanti Thor, guardando negli occhi Tony per la prima volta in settimane.

"Come, prego?"

Non era possibile, la macchina del tempo non era ancora stata inventata, quindi a meno che Wanda non avesse cominciato a praticare magia nera o riti strani, Tony vedeva questo solo come uno scherzo di pessimo gusto.

"Qualche settimana fa, Strange ha trovato un modo per viaggiare nel tempo e quindi tornare nel passato. Non chiedermi i dettagli perché quello che so è una versione molto parafrasata di tutte le cose strane che ha detto lui. Essenzialmente, in poco tempo la notizia si è diffusa e non si sa come, Steve e Bucky ne sono venuti al corrente. Nell'esatto momento in cui Bucky ha scoperto questa cosa, ha proposto a Steve di tornare con lui nel loro tempo, a settant'anni fa, prima del ghiaccio; ma diversamente da quello che Bucky si aspettava, Steve non accettò subito. Disse che aveva bisogno di tempo e che non poteva andarsene prima di aver parlato con te. L'altra notte, Steve si era finalmente sentito pronto e aveva deciso di venire qui. Pensavamo tutti che lo avresti convinto a rimanere... ma quando quella notte rientrò alla base, i suoi occhi erano gonfi e disse solo che sarebbe stato pronto a partire in due giorni. E così fu, ieri Strange ha fatto la sua magia, il tempo di qualche saluto e in pochi secondi Steve e Bucky erano spariti nel nulla, tornati al loro tempo, per sempre. Mi dispiace."

Thor batté anche lui qualche pacca sulla spalla di Tony, che ora aveva lo sguardo puntato sulla parete di fronte a lui.

Clint e Thor si avviarono verso l'uscita dopo poco tempo, salutandolo e lasciandolo nuovamente da solo con la sua mente e la coscienza che pesava per una colpa involontaria e che ora gravava sul suo stato psicofisico.

Si sedette al tavolo, prima occupato da quella che una volta era stata la sua squadra, e che ora probabilmente lo detestava ed incolpava per quello che era successo solo il giorno prima.

La lettera datagli da Natasha, ora appoggiata sul tavolo di fronte a lui, sembrava brillare di un bianco pallido quasi sinistro.

La sua mente cominciò ad elaborare tutte le informazioni che aveva ricevuto.

Se solo avesse saputo, se solo Steve gliene avesse parlato, ora lui sarebbe ancora con loro, nel presente perché quello era il loro periodo, il loro tempo, la loro vita.

Avrebbe voluto poter far qualcosa per rimediare, per cambiare, per migliorare la situazione; ma tornare nel passato e convincere Steve a rimanere, sarebbe stata una cosa troppo egoista da fare, anche per Tony Stark.

Passò minuti, forse ore seduto in quella cucina silenziosa e cupa, finché non trovò il coraggio di prendere tra le mani quella lettera e aprirla, tirando fuori il biglietto rettangolare racchiuso al suo interno.

Poche parole scritte in corsivo, macchiavano il bianco puro della carta. La calligrafia di Steve, sottile ed elegante, sfoggiava e spiccava nel casino della mente di Tony. Le lesse lentamente e poi, semplicemente pianse, per ore e crollò definitivamente. Tony Stark era stato perso nell'oblio di dolore e rimpianti di cui la sua vita era piena.

Si addormentò ore dopo, rileggendo quelle parole all'infinito e ripetendole nella mente come un mantra:

"Perché sarò con te fino alla fine"

Quella notte, Steve si sbagliava. Non era stato lui l'unico a perdere. Quella notte, entrambi avevano perso una parte di loro stessi e ora, a settant'anni di distanza, quei due pezzi cercavano inutilmente la loro metà, persa nella tristezza umana e nella speranza ormai consumata, di una vita parallela in cui le cose fossero migliori. In cui loro erano migliori, insieme.

 

   
 
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