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Autore: Risa_chan    26/04/2023    3 recensioni
[Questa storia partecipa alla Challenge Bingo spring del gruppo fb "Non solo Sherolock #fuorichalenge]
Certi amori non si dimenticano, rimangono scolpiti dentro, e ciclicamente ritornano nei pensieri. Basta poco: chiacchiere con l’amico di sempre, una parola in un libro, un volto di uno sconosciuto che gli somiglia, un incontro casuale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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FANDOM: Haikyuu!!
TITOLO: La lunga strada che mi porta a te
PERSONAGGI: Ushijima Wakatoshi, Oikawa Tōru
PROMNT:
@MartaBiagini
Vittoria amara
Acqua alta
Oltre il muro
@Elena Altamura
“Vorrei dire che non è stata colpa mia, ma il colpevole lo trovo riflesso nello specchio ogni giorno.”
@FedericaRayColombo
“Che ne diresti di provarci insieme?”
CAPITOLO UNO: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4051489&i=1
CAPITOLO DUE: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4051931
PREMESSA: Sono partita con un idea ben precisa in testa, sia come rendere bene i prompt sia come concludere la fic, e spero di averla resa al meglio. Chiedo scusa per eventuali errori (segnalateli pure) fuggiti al mio controllo (li vedo sempre dopo).
 

Capitolo tre

 
 
Oikawa Tōru sistemò le sue cose in un borsone e uscì dalla palestra dei Falcons. Come sempre era l’ultimo ad andarsene; era una vecchia abitudine del liceo, dettata non solo dalla sua dedizione, ma essere l’ultimo a sistemare ogni cosa per il giorno successivo, aveva il magico potere di schiarire i suoi pensieri.
E di cose su cui riflettere ne aveva molte.
Quando aveva accettato di allenare i Red Falcons, non pensava che avrebbe potuto riassemblare tutta la sua vita nel modo corretto, riavere ciò che aveva perduto anni prima.  Tornare a casa sua era stato un modo per non affogare nell’acqua alta, trovare un posto per riprendere il respiro.
Poteva vantare una carriera ineccepibile, sia come giocatore sia come allenatore. Di premi, coppie poteva tappezzare un intero palazzo, eppure il sapore della vittoria rimaneva sempre amaro.
Gli ultimi anni erano stati davvero faticosi, non avere altro che il lavoro lo stavano consumando. Non si fermava mai in un posto per più di cinque anni, e sentiva mancargli le forze ogni giorno sempre di più.  Non sapeva più cosa facesse, dove andava e nemmeno perché. Intorno a lui spesso le cose diventavano sfuocate, lontani e indistinguibili, i volti dei ragazzi, la sua stessa voce diveniva un mormorio indistinto, ogni cosa non aveva più il minimo significato, nessuna importanza.  Aveva perso completamente il controllo della sua vita, non era più lui l’artefice del suo destino. Così aveva deciso di prendersi una pausa: tornare alle origini, almeno avrebbe avuto la sua famiglia e gli amici, anche se quello significava rivedere senz’altro Wakatoshi. Tōru si era promesso di essere forte: avrebbe fatto l’indifferente e forse sarebbero potuti tornare ad un rapporto cordiale ma strettamente professionale.
Il suo brillante piano, invece, era fallito al primo incontro con Ushijima.  Dentro di sé Tōru non poté soffocare la speranza di riappropriassi di un’opportunità che si era negato.
Non si pentiva di nulla se non di quell’unica scelta; aver lasciato l’uomo che amava era il suo peggior rimorso. Se ne era pentito nel momento stesso in cui aveva preso quella decisione, ma era troppo testardo per lasciare perdere.
Aveva ragione Wakatoshi quando lo accusava di essere fuggito. Poteva accampare mille scuse, non era pronto ad un passo del genere, si sentiva schiacciato nel dover prendere quella decisone forzatamente ma la verità che voleva essere il sole al centro dell’universo.  Quando era con Wakatoshi l’asse inevitabilmente si spostava: Tōru diventava un piccolo girasole che si muoveva dove il sole andava.  Senza la pallavolo rimaneva spogliato ed inerme di fronte a qualcosa di così grande e potente.
Ma ora finalmente aveva la preziosa occasione di rimediare agli errori.
Prese il su smartphone dalla tasca dei pantaloni. Il numero di Ushijima era sempre lo stesso, Iwa-chan glielo aveva confermato. Tōru compose il numero e Wakatoshi rispose dopo tre squilli. “Ciao Tōru.”
“Hai ancora il mio numero?” chiese sorpreso. Aveva questa insana idea che, dopo la loro rottura, Wakatoshi avesse distrutto qualsiasi cosa lo riguardasse.
Wakatoshi tagliò corto. “Posso fare qualcosa per te?”
 “Ti andrebbe di uscire?”
 Ushijima fece una lunga pausa prima di chiedere: “Fai sul serio?”
Oikawa scoppiò a ridere. “Ti riferisci a quello che ti ho detto l’altra sera? Certo che faccio sul serio.”
“Mi dispiace Tōru, non credo che possa far bene tornare insieme, a nessuno dei due.”
“Mi hai chiesto se faccio sul serio perché pensi che io stia giocando con te?” chiese Tōru dolcemente. Non c’era biasimo né rabbia ma solo comprensione.
 “No, non lo penso,” rispose, “in ogni caso credo che non sia la scelta giusta.”
“Perché allora?”
 Oikawa non poteva vederlo ma immaginò Wakatoshi sistemarsi lo smartphone tra la spalla e lo orecchio; prendere il bicchiere di vino e poggiarlo davanti alla sua cena, perché di sicuro a quell’ora stava cenando, poi sedersi su uno degli sgabelli introno all’isola della cucina.
“La domanda giusta è perché adesso, Tōru? Cos’è cambiato? E perché proprio adesso?” disse, “con te mi sembra sempre di stare ad un passo nel vuoto, e non riuscirei a sopportare un’altra volta una tua fuga. Puoi comprendermi?”
“Certo che posso! Lo so che io…accidenti!”  la voce di Tōru era cristallina, “quindi è un rifiuto?”
“Si.”
Oikawa annuì al vuoto. “Okay…ci vediamo, buona sera.”
 
***
 
 
 
Se Wakatoshi pensava di aver finito con quella chiamata ogni discussione sulla possibilità di riprendere la vecchia relazione, si sbagliava di grosso.
In sei anni di relazione, Wakatoshi non si era mai sentito tanto corteggiato nonostante Tōru non facesse nulla di eclatante: mandava messaggi, trovava sempre la scusa giusta per chiamarlo; si interessava alla sua vita, ai suoi interessi, a come stava. Incredibilmente riusciva ad incontrarlo con finta casualità, una quantità di volte impressionante. 
“Questa conferenza è interessante!” esclamò Tōru mentre prendeva la tazzina di caffè, “grazie di avermi invitato, Iwa-chan.” Il diretto interessato bofonchiò qualcosa di incomprensibile, nascondendosi dietro il suo bicchiere di spremuta d’arancia. Wakatoshi sospettava che Oikawa avesse chiesto di essere invitato.
Si voltò verso Kageyama Tobio cercando un diversivo dal suo ex compagno. “Come sta Hinata?”
Tobio sorrise ignaro. “Bene, Shoyo ha parecchio da fare con le Lil' Tykes Volleyball Class.”
Tōru si intromise: “me ne ha parlato la scorsa settimana; ha detto che ci sono parecchie leve interessanti!”
La pallavolo era l’argomento di conversazione che più amavano, il legante che li teneva uniti. Cominciarono a parlare dei prossimi nazionali liceali e dei giocatori più promettenti del momento.  Quando Wakatoshi li guardava giocare, animarsi per ogni punto, innervosirsi per ogni muro subito, provava un moto di nostalgia del tempo in cui anche lui giocava su quel primo palcoscenico.
“Vi ricordate quando eravamo così giovani innocenti?”  chiese Tōru con lo sguardo perso nel vuoto.
Hajime aggrottò la fronte: “tu innocente? E quando?”
“Certo che lo sono stato!” Tōru puntò un dito contro Tobio, “e tu non stare ad annuire per dargli ragione!”
“Devi ammettere che innocente non è proprio il primo aggettivo a cui penseresti per descriverti,” notò Wakatoshi.
“Ti ci metti pure tu?”
La discussione continuò fino alla fine della pausa pranzo. Doveva ammettere che avere intorno Tōru era… piacevole e divertente.  Non c’era disagio, imbarazzo ma sembrava naturale come se non si fossero mai lasciati.  E questo lo spaventava; montava in lui il desiderio di riprovarci e tuttavia la ragione lo sconsigliava di farlo.
I vasi rotti non possono essere aggiustati.
“Ci vediamo…” cominciò Tōru finita la conferenza, ma Wakatoshi lo bloccò: “te l’ho già detto non credo sia il caso…”
“Wakatoshi parlavo della partita…” disse perplesso Oikawa.
Ushijima si diede dell’idiota: la prossima partita dei Green Rocket era contro i Red falcons di Oikawa. Era talmente concentrato nel pensare ad un modo per rifiutare gli inviti di Tōru da farlo in automatico. Eppure, nonostante avesse avuto molte occasioni per farlo, l’ex alzatore non aveva ancora fatto nessuna nuova proposta.  Non lo aveva assillato con continue richieste, anzi sembrava attento a ricucire un rapporto strappato con minuzia e pazienza.
“Si, hai ragione, scusa…”
“Beh, non posso darti torto, è vero che spero in un tuo sì.”
 
***
 
“Signore e Signori Benvenuti! I Azuma Pharmacy Green Rocket sfideranno i Tachibana Red Falcons,” esclamò lo speaker dalla sua postazione privilegiata, “ecco le formazioni!”
I red falcons erano la squadra ospitante e furono presentati per primi; Ushijima rimase con lo sguardo fisso davanti fino a quando il giornalista non nominò il suo ex compagno.
“Sono guidati Oikawa Tōru, tornato in Giappone per allenarli!” Tōru salutò la folla con il suo fare suadente e frivolo, poi si sedette sulla panca osservando i suoi ragazzi sfilare con i piccoli bambini.
Non c’era giorno in cui Wakatoshi non lo avesse pensato, aspettando la prossima occasione di rivederlo. Se ne vergognava profondamente ma il potere che Oikawa aveva su di lui non era diminuito affatto.  Pur essendone consapevole, Tōru non ne aveva approfittato, era rimasto ai margini senza oltrepassare mai la linea sottile che Wakatoshi aveva tracciato tra di loro. Ed eccoli l’uno contro l’altro come allenatori.
Fin dalla prima azione, Ushijima notò la presenza del direttore d’orchestra: la squadra avversaria si muoveva in sinergia, fluidi come se fossero un solo uomo e una sola testa. Quel tipo di gioco tanto diverso dal suo ma che amava osservare ed ammirare.  Arrivarono a giocare il quinto set, con un divario di punto davvero minimino, ma i green rocket riuscirono a vincere.
“Bella partita” Tōru si avvicinò con la mano tesa, “la prossima volta vinceremo noi.”
Ushijima gliela strinse. “Un tempo, non l’avresti presa così bene,” notò. Tōru alzò le spalle, “sono cresciuto, e poi mi porterai a cena fuori per consolarmi!”
L’avances arrivò talmente improvvisa che Wakatoshi non riuscì a reprimere uno sbuffo divertito. “Tōru…”
“Sto scherzando…” si difese l’altro, “però davvero dovremo uscire una volta; non ci siamo mai davvero chiariti, perciò voglio farlo, se poi vorrai non ti infastidirò più.”
Il problema era che non voleva che smettesse di farlo, almeno il suo cuore. “Va bene, dove?”
Oikawa fece l’occhiolino. “Sorpresa!”
 
***
 
Wakatoshi guardò perplesso le norme cupola grigia posizionata al centro del maestoso edificio. Perché scegliere un acquario per vedersi?  Se il suo obbiettivo era sorprenderlo, Tōru c’era riuscito alla grande.
“Andiamo?” lo invitò Oikawa con un gesto del braccio, “è un ottimo posto per parlare.”
L’acquario era enorme: oltre al foyer ben illuminato dove acquistare i biglietti e un negozio di souvenir, al piano rialzato c’era un’enorme caffè. Dal basso, Wakatoshi poteva vedere la folla di persone che sedevano ai tavoli; parlare con quel chiasso sarebbe stato difficile. Il suo accompagnatore aveva però altri programmi; acquistò due biglietti e si diresse verso l’ingesso che portava alle vasche.
Fu come entrare in un altro mondo fatto di luci soffuse, calma e silenzio; i visitatori parlavano piano ma per lo più rimanevano rapiti dalle creature straordinarie che nuotavano nelle vasche trasparenti.
Wakatoshi era rimasto colpito da un branco di pesci dalla forma particolare, quando Tōru gli rivolse la parola: “Vorrei dire che non è stata colpa mia, ma il colpevole lo trovo riflesso nello specchio ogni giorno.”
Ushijima si voltò verso Tōru, ma anche lui stava fissando lo stesso branco di pesci che aveva colto la sua attenzione. “Non volevo smettere di giocare, non accettavo l’idea di dover abbandonare lo sport che più amo per vivere una vita fatta, magari, di un altro lavoro, casa e famiglia con te.”
“Soprattutto con te,” ribadì Oikawa.
Wakatoshi provò un moto di delusione e di dolore profondo: “mi odiavi ancora nonostante tutto?”
“No! Non hai capito ancora quanto sono meschino?”, esclamò l’ex alzatore voltandosi a guardarlo, “ti ho sempre amato ma tu eri il muro contro cui mi sono scontrato finendo con il perdere ogni singola volta; mi ricordavi il mio senso di inadeguatezza, qualcosa di cui ho sempre faticato a superare. Così ho sempre cercato di allontanarti nonostante farlo mi costasse dolore e lacrime.”
Wakatoshi inspirò; proseguirono il giro fino alla vasca delle balenottere mentre osservavano uno splendido esemplare chiese: “mi hai spiegato perché mi hai lasciato, ma non mi hai spiegato perché dovremmo tornar insieme adesso…”
“Non ti ho detto tutto; sono già tornato sui i miei passi una volta.”
Le spalle di Wakatoshi si irrigidirono. “Cosa intendi dire?”
Circa un anno dopo Tōru tornò in Giappone per ricucire la sua relazione con Wakatoshi: si era reso conto di quanto fosse stato stupido a lasciarsi frenare da sentimenti tanto irrazionali.
“Ti ho cercato ma tu avevi iniziato a frequentare Shirabu, sembravi felice e mi sono chiesto: con che faccia tosta torni a rovinare ogni cosa? Lui ti amava come nessun al mondo, era di certo migliore di me, così ho lasciato perdere.”
Le parole che si erano scambiati dentro il parcheggio acquistarono finalmente un senso; non mentiva quando gli aveva detto che voleva vederlo felice: era tornato ma aveva fatto un passo indietro dimostrando quanto fosse cambiato. Non prendeva più tutto quello che voleva, ma era capace di lasciare agli altri lo spazio, l’arte di donare.
“Non ho mai smesso di amarti neanche un secondo,” disse e Ushijima sapeva che quelle parole erano vere. Oikawa appoggiò un dito sul vetro e i pesci lì vicino si allontanarono velocemente. “Mi rendo conto di non poter cambiare il passato, che ciò che avevamo, ciò che avremmo potuto essere non potrà più essere. Non ti sto chiedendo di fare coppia fissa, ma di passare del tempo insieme. Magari frequentarci facendo le cose che fanno quelli della nostra e età, e aspettare di vedere cosa accade.”
Aveva lasciato andare Tōru senza opporre nessuna resistenza perché lo amava talmente tanto da dargli qualsiasi cosa volesse. Era andato avanti ma lasciarlo andare era stato come strapparsi il cuore dal petto.
Bisogna lasciare andare le persone che amiamo, se non tornano vuol dire che non ci sono mai appartenute, se invece lo fanno, vuol dire che sono davvero nostre.
“Cose tipo?”
“C’è un corso per fare il pane fatto in casa. Una sera a settimana uno chef ti insegna i segreti della lievitazione,” disse Oikawa, “Che ne diresti di provarci insieme?”
Wakatoshi sorrise: “Mi sembra una bella idea.”
Era un nuovo inizio, né più né meno; la prima pagina di una nuova storia tutta da raccontare.
 
   
 
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