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Autore: Neamh Moonstar    27/04/2023    2 recensioni
«Sapete, la gente tende a cacciare i demoni per vedere esaudito qualsivoglia desiderio. Credono che confinarli sia abbastanza da poter chiedere loro ciò che desiderano ed ottenerlo, ma non c'è niente di più sbagliato. Un po' di gesso per terra e qualche parola ben pronunciata non sono abbastanza; inoltre, i demoni sanno sempre come fregarti una volta che hai deciso di fare patti con loro. Gli angeli, invece? Oh, loro sono così difficili da trovare ma così facili da intrappolare. Non possono mentire ad un essere umano, sono fatti per proteggerci e consigliarci, feriscono solo i demoni e i loro stessi simili se Dio glielo chiede. Ma quando sono dentro quegli stessi cerchi è come se sparissero: i ponti con l'Altissima vengono tagliati, e per chiedere loro qualcosa basta strappargli una sola, candida piuma.»
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Gabriele, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli umani lo chiamano "sesto senso", quella sensazione che ti coglie per dirti che qualcosa sta per succedere, buona o brutta che sia. Per alcuni è una questione di pancia, per altri un processo totalmente mentale. Per Crowley era più come un gps che si attivava esattamente nel momento in cui le cose stavano per andare a rotoli. Lo sentiva subito: un picco di ansia che gli faceva rizzare i capelli dietro al collo. Era il brivido che solitamente accompagnava gli eventi non esattamente positivi. Era un qualcosa che sperava di non dover mai più provare, ma che adesso si stava facendo strada per ogni millimetro del suo corpo, veloce e inarrestabile.

La sua mente volò all'ultima volta in cui aveva provato quel mix letale di paura, ansia e preoccupazione; in un attimo era volato verso la porta d'ingresso e, senza neanche chiudere - tanto nessuno sarebbe mai entrato - si fiondò giù per le scale.


Si stava godendo ciò che rimaneva del suo già semi vuoto appartamento, mezzo stravaccato sul suo scomodissimo ma stilosissimo divano. Avrebbe potuto andare da Aziraphale e restarci, ma voleva dargli i suoi spazi. Era una creatura abitudinaria il suo angelo: aveva bisogno delle ore di cosiddetto lavoro, delle telefonate, delle ore di solitudine in vista del tempo che avrebbero passato insieme. In fondo, era proprio quella separazione a rendere speciale la compagnia. Crowley lo sapeva bene, così come sapeva quanto dolci fossero i baci dopo che li aveva resi desiderabili. Lui che scattava sempre per fare qualsiasi cosa, lui che non andava mai ad una velocità consona, aveva imparato ad attendere e far attendere. Tutto per amore.

Adesso però stava sfrecciando per le strade, piede fisso sull'acceleratore. A guidarlo c'era un rimescolamento nello stomaco che gli faceva venire in mente solo pareti in fiamme e odore di fumo. Si era ripromesso di stare attento, di far sì che nessuno fosse più in pericolo; aveva passato i primi mesi a guardarsi attorno, sguardo fisso agli angoli delle vie. Quando niente e nessuno era più venuto a dar loro fastidio, aveva tirato un sospiro di sollievo e si era dedicato in tutto e per tutto all'amore della sua vita. Aveva abbassato la guardia come un perfetto imbecille, e adesso ne stava pagando le conseguenze imprecando e quasi ammaccando tutti i veicoli sul suo cammino.


Parcheggiò davanti all'ingresso della libreria ignorando pedoni, lamentele, marciapiede e senso di marcia. Il nodo nel suo stomaco si fece strettissimo e il tremore nelle gambe quasi gli impedì di reggersi in piedi. Nonostante tutto avanzò, pronto a spaccare in due la porta se necessario. Effettivamente, lo stesso ingresso che normalmente si apriva con immediatezza d'innanzi al suo cospetto era adesso completamente chiuso, fermamente serrato, bloccato da qualcosa che Crowley non fu in grado di smuovere nemmeno con il più convinto schiocco di dita.

Arrabbiato, spaventato e confuso, si mise a prendere la porta a spallate. Continuó fino a farsi male, poi cambiò spalla. Passò a prendere il legno dell'ingresso a calci intanto che attorno a lui la gente continuava a passare come se nulla stesse accadendo: era come essere dentro ad una bolla. Non si chiese il perché di tutto ciò: l'unica cosa che voleva era entrare, il resto sarebbe venuto poi.

Fece due passi indietro, si sfilò gli occhiali dal viso e fece per prendere la rincorsa. Cazzo, avrebbe ridato fuoco a tutto pur di fare breccia; a frenarlo era l'amore incondizionato che il suo angelo serbava per quel luogo. No, doveva smuovere quella porta, fosse anche stata l'ultima cosa che-

A bloccarlo fu l'inconfondibile "click" della serratura che si sbloccava. Per un attimo, Crowley sentì il sollievo breve ma intenso dell'ultimo briciolo di speranza, poi corse dentro. Avrebbe voluto urlare, ma la voce gli morì in gola per due motivi: uno, che se Aziraphale non aveva risposto all'incessante sbattere della porta, allora non avrebbe certo risposto adesso; due, ciò che si ritrovò davanti agli occhi fu abbastanza da far crollare l'intero universo sulle sue spalle.


Prima di tutto, c'era un'oscurità innaturale, molto più evidente di quella che rimarcava il semplice passaggio dalla sera alla notte. Sotto la luce fioca e vagamente inquietante che adesso invadeva la sua nuova casa, il demone potè intravedere una serie di chiazze rossastre sparse sul normalmente immacolato pavimento. Ce n'erano svariate di altrettante svariate dimensioni, ognuna di esse presentava una tenue sfumatura tendente al dorato.

Con il cuore in gola, la pelle d'oca e il fiato corto, Crowley le seguí come se fossero lì apposta per indicargli la strada. Tutta la foga di pochi minuti prima andò dissolvendosi, trasformandosi prima in sudore freddo, poi in adrenalina e infine, a percorso terminato, in terrore.


Le chiazze culminavano in un'unica grande pozzanghera in mezzo ad un cerchio bianco sul pavimento. Il parquet in quel punto era arso e puzzava di bruciato; e tra i tenui raggi dei primi lampioni si poteva intravedere del fumo biancastro che, lentamente, partiva dal centro della figura e si innalzava leggiadro verso l'alto soffitto. Fu allora che qualcosa nel tessuto stesso dell'universo si ruppe e il demone sentì un senso di vuoto scavargli l'aura.

Non fece in tempo a reagire, però. Non una lacrima cadde dal suo viso, né un urlo irruppe dalla sua gola. Tutto venne riavvolto come un nastro dalla voce alla sua sinistra.

    «Non mi avvicinerei fossi in voi. È ancora bello caldo.»

Lentamente, Crowley si voltò. Comodamente seduta su una poltroncina se ne stava una donna che aveva già visto. La sua incasinatissima testa fece due più due e collegò il lentigginoso viso di porcellana alla fioraia che gli aveva venduto il giglio nero, lo stesso che adesso se ne stava tranquillo sul tavolino accanto a lei - sì, tranquillo, a differenza di tutte le altre piantine della libreria, le quali parevano tremare dalla paura d'innanzi alla loro Regina.

Aveva le gambe accavallate, la camicetta abbottonata male e le mani sporche intente ad intrecciarle i lunghi capelli neri. In mezzo alle miliardi di efelidi sul suo viso facevano capolino le stesse macchie che ora decoravano il pavimento. Le stesse che erano scolate dai suoi polpastrelli fino al braccio semi scoperto. Le stesse che rilucevano di angelico sangue dorato.


    Fu come accendere un interruttore, schioccare le dita, sbattere le palpebre. «Tu» fu l'unica cosa che il demone riuscì a dire, o meglio, ruggire in un tono basso e gorgogliante che da solo fece tremare le pareti.

Una furia devastante gli corse su e giù per le membra. Tutti gli urli, le lacrime e il dolore che aveva trattenuto esplosero, portandolo a prendere le sue vere, grottesche e letali sembianze.

Non lo faceva mai, non ne aveva motivo. La bestia dalle squame rossastre che aveva appena buttato giù diversi scaffali altro non era che un mostro, un essere nato dalla rabbia, dalla negatività più pura. Il vero Crowley non avrebbe mai nemmeno osato mettere sotto sopra quel luogo, nemmeno per odio. Nemmeno per vendetta.

Eppure eccolo lì, fauci spalancate, le pupille ridotte a due sottili tagli in mezzo all'oro dei suoi occhi. Avrebbe staccato la testa a quella stronza. Quella maledetta bastarda aveva osato toccare il suo angelo. Aveva le mani ancora macchiate del benedetto sangue dell'unico essere che rendeva la sua misera esistenza degna di essere vissuta. Avrebbe sparso le sue membra in ogni singolo angolo di Inferno, se necessario.

Senza nemmeno pensarci, fece scattare la testa in avanti, guidato dalla rabbia più cieca.


Fu un semplice movimento a bloccarlo.

Difatti, la fioraia aveva allungato una mano dietro la schiena e, con un unico scatto del braccio, aveva frapposto tra lei e il grosso serpente un'unica, candida piuma.

    «Ricominciamo da capo, vi va?» Chiese, un sorriso furbo sulle labbra. «Sedetevi, su. Parliamo.»

Crowley sentì tutto il suo essere rimpicciolirsi e, in un attimo, fu di nuovo lui: una nera ed esile figurina con gli occhi scoperti; un essere paralizzato, confuso, inebetito, distrutto davanti a quella donna con una piuma tra le dita - piuma che, si accorse solo adesso, non era perfettamente bianca come quelle di Aziraphale, ma leggermente tendente al crema. Una differenza microscopica che fece, beh, la differenza.

Seguì con lo sguardo le dita di lei che, non senza fatica, andavano strappare i bottoni della camicetta. Non appena vide il tatuaggio ben tracciato in mezzo ai suoi seni, assolutamente identico alla voglia che lui aveva sulla tempia, tutto prese un nuovo terribile senso.

    «La famiglia Queen» mormorò infastidito. «Sapevo che c'era qualcosa di strano in te, maledetta.»

Il suo subconscio glielo aveva suggerito ma lui, stupido, non gli aveva dato peso. Quando era entrato in quel negozio alla ricerca della Regina della Notte, aveva percepito qualcosa di bizzarro, un rumore sordo agli angoli della sua mente.

Aveva lasciato correre e per ciò si sarebbe maledetto in eterno.


    Lei parve quasi lusingata da quelle parole. «Mi chiamo Lily» canticchiò. «Voi dovete essere Crowley. È un onore, oltre che un piacere, fare la vostra conoscenza.»

    Il rosso ignorò completamente la mano che gli aveva offerto, combattendo contro l'istinto di strappargliela a morsi. Piuttosto, afferrò una poltroncina e vi ci sedette sopra, sguardo fisso sulla stronzetta. «Meglio sse inizi a parlare,» sibilò, «lui dov'è?»

Si rifiutava categoricamente di credere che lo avesse ucciso. Era semplicemente impossibile, fuori questione, completamente fuori da ogni probabilità. Aziraphale era maledettamente difficile da buttare giù: non sarebbe stata una semplice umana con evidenti problemi ad eliminarlo. No, qualcosa non quadrava. Questo, o stava solo negando l'evidenza.

Lily, in tutta risposta, giocherellò con la sua piuma. Andò avanti per qualche interminabile secondo che Crowley, stranamente, riuscì a non utilizzare come vantaggio per sbatterla contro un muro e tirarle fuori la verità dalla boccaccia.

    Alla fine, dopo un sospiro di soddisfazione, la giovane Queen prese parola: «Kathatiel è davvero brava per essere una custode. Questa piuma è sua, sapete? La porto sempre con me: è una specie di porta fortuna. Gliel'ho strappata dall'ala destra: dicono sia quella più simbolicamente importante.»

Chi cazzo è Kathatiel?

    Crowley strinse così forte i braccioli della sedia che temette di sbriciolarli. «Che vai blaterando?»

    Lily gli puntò addosso le iridi scure, ora totalmente seria. «Sapete, la gente tende a cacciare i demoni per vedere esaudito qualsivoglia desiderio» spiegò. «Credono che confinarli sia abbastanza da poter chiedere loro ciò che desiderano ed ottenerlo, ma non c'è niente di più sbagliato. Un po' di gesso per terra e qualche parola ben pronunciata non sono abbastanza; inoltre, i demoni sanno sempre come fregarti una volta che hai deciso di fare patti con loro. Gli angeli, invece? Oh, loro sono così difficili da trovare ma così facili da intrappolare. Non possono mentire ad un essere umano, sono fatti per proteggerci e consigliarci, feriscono solo i demoni e i loro stessi simili se Dio glielo chiede. Ma quando sono dentro quegli stessi cerchi è come se sparissero: i ponti con l'Altissima vengono tagliati, e per chiedere loro qualcosa basta strappargli una sola, candida piuma» concluse. «Ma immagino che questo lo sappiate già, o grande Tentatore.»

Quelle parole raggelarono l'aria. Dopo il suo primo e ultimo incontro con quei mentecatti, Crowley aveva deciso di star loro il più lontano possibile. Non aveva riferito niente a chi di dovere, anche perché l'Inferno intero lo venne a sapere da subito, così come il Paradiso - dato che avrebbe dovuto proteggere i suoi componenti. La famiglia Queen era presto diventata un pericolo comune: i demoni avevano provato a portarla dalla loro parte, ma si era presto capito che il Tentatore era l'unico essere oscuro con cui volevano davvero avere a che fare; mentre gli angeli, beh, loro ci tenevano alle loro piume e alla loro vita. I più potenti Cacciatori di angeli della Terra erano un gruppo particolare che per secoli era stato tenuto d'occhio a distanza, ma che per altrettanto tempo era comunque riuscito a portare avanti i suoi loschi affari senza che niente e nessuno li fermasse.

Crowley aveva provato ad estirpare quello scempio alla radice, ma non c'era riuscito. La storia del suo incontro con Chrys e famiglia gli aveva fatto ricevere tante occhiate di ammirazione che aveva preferito evitare come la peste. Si era categoricamente rifiutato di rimettere mano in qualsiasi cosa avesse a che fare con quella famiglia di pazzi assassini. Sapeva quanto importanti fossero le piume degli angeli, accidenti, lui ne conosceva uno - ne era stato uno anche, ma ne era passato di tempo. Sapeva quanto sacrilego fosse ottenerne una e possederla: solo Dio e gli altri angeli avrebbero potuto farlo. Erano talmente importanti che persino i demoni le vedevano come i più preziosi dei trofei. Eoni addietro, quando l'Inferno era appena nato, riuscire a strappare le piume dalle ali dei nemici era visto come un atto eroico.

Le cose erano cambiate solo per favorire quegli umani più ficcanaso di altri, i quali avevano scoperto cose che non avrebbero dovuto. Avevano iniziato ad assoggettare gli angeli per far piacere a lui, salvo poi scoprire come ottenere dei vantaggi a loro volta. Al solo pensiero, a Crowley venne la nausea. Sapeva di essere al centro delle attenzioni di molti umani, ma la famiglia Queen era l'apice della venerazione malata.

    «Risparmiami la tiritera» rispose infine, faticando a tenere i sibili a freno. «Non hai risposto alla mia domanda.»

    «È al sicuro, non preoccupatevi.»

    «Dove?»

    Lily alzò le sopracciglia: «Si vede che ci tenete al vostro angioletto. Quasi vi invidio: da piccola avrei fatto i peggio passi falsi pur di ottenere un amore come il vostro. Peccato che i principi azzurri siano piuttosto rari.»

    Il rosso prese a fremere. Quella stronza aveva chiesto la protezione di un angelo apposta per renderlo docile come un cagnolino, e adesso, dopo aver osato allungare un dito su Aziraphale, giocava persino a fare la finta tonta. «Ssi può sapere cosa cazzo vuoi da noi?»

    «Io? Oh, vi sbagliate. Non ho fatto tuto questo per un mio tornaconto personale. Non solo, almeno.»

    Ma certo. La famiglia Queen era comparabile ad un gruppo di sicari: da tempo ormai lavoravano per conto di altri e non più solo per se stessi. «Ne hai approfittato per arrivare a me» concluse lui, «bene, sono qui. Fammi quello che ti pare, ma lascia Aziraphale fuori da questa storia.»

    La Cacciatrice sospirò: «Mi piacerebbe, sapete? Ma non posso. Verrei meno ad un patto e non è da me.»

    «Me ne fotto dei tuoi patti!»

Crowley era scattato in piedi, nuovamente fermato dalla stessa forza esterna che gli aveva impedito di fare del corpo di Lily un ammasso di budella. Tremava da capo a piedi, stufo di quella conversazione a senso unico. Rivoleva il suo angelo e lo rivoleva adesso.

    Ma lei, tranquilla come non mai, gli sorrise: «Lo so bene, ma vorrei che capiste: dopo secoli sono finalmente riuscita ad arrivare dove la mia famiglia avrebbe voluto. Dopo ciò che è successo a Chrysanthemum ci siamo perfezionati e lo abbiamo fatto solo per voi. Ogni singola piuma strappata, ogni singolo angelo fatto sparire, era tutto a vostro nome. Lasciate che vi faccia capire quanto ci tengo.»

Con la mano libera andò a frugare nella tasca della sua pesante giacca. Ne tirò fuori un'altra piuma: lunga, bianchissima, vagamente luminosa. L'inutile cuore di Crowley perse un battito.

    «Mi piace il vostro angelo» disse Lily con un rispetto per la sua vittima che poco le si addiceva. «Non ho nessuna intenzione di chiedergli qualcosa: ho già Kathatiel che lo fa per me. Il mio compito era tagliare i suoi ponti con Dio e l'ho fatto. Non tengo piume che non mi servono, perciò...»

Gli passò la piuma e Crowley gliela strappò dalle dita macchiate. La tenne tra le mani come fosse fatta di vetro: era bellissima come il primo giorno in cui l'aveva vista tra le ali che lo avevano protetto. Gli salirono le lacrime agli occhi e, finalmente, si lasciò andare. Cadde in ginocchio sul parquet e se la strinse al petto, lasciando che i singhiozzi lo scuotessero e il pianto lo soffocasse.

Aveva fallito. Aveva un solo ed unico compito da quando l'Apocalisse non era avvenuta, e aveva fallito. Vide il suo futuro sbriciolarsi, cadere pezzo dopo pezzo, sostituito da un vuoto che mangiava l'anima.

Era da solo. Lo sarebbe stato per sempre.

Non avrebbe più rivisto gli sguardi che tanto amava, né avrebbe più accarezzato la pelle morbida del suo angelo. Non gli avrebbe più dato baci a tradimento. Tutto era finito lì, nella loro casa, a causa della stessa umana che adesso gli si era inginocchiata di fronte. Le lacrime gli impedirono di vederla, ma potè chiaramente sentire la sua fredda carezza attraversargli la guancia.

    «Siete due esseri bellissimi» sussurrò Lily. «Forse siete persino fatti l'uno per l'altro, ma il vostro amore è un affronto all'equilibrio del mondo. Lo avete sempre saputo, vero?»

Crowley non le rispose, non ci riuscì. La voleva fuori dalla libreria e fuori dalla sua esistenza, ma non riuscì a cacciarla. Aveva un groppo in gola che premeva sempre di più per uscire sottoforma di tremanti lamenti.

    «Sono una persona rispettosa, per quanto strano vi potrà sembrare. Vi lascerò al vostro lutto. Prendetevi tutto il tempo che volete.»

Il demone trattenne a stento un conato di vomito di fronte a quelle parole dette con un tono di miele. Sentì le labbra di lei sfiorargli la fronte in un bacio terribilmente tiepido, prima di vedere la sua figura sfocata andare a riprendere le sue cose.

Si sarebbero rivisti, questo lo sapeva. Era l'unica cosa che la sua mente annebbiata dal dolore riuscì a concludere.


Lily se ne andò, lasciando Crowley da solo in una libreria divelta e sporca di sangue. Se l'apocalisse avesse avuto effettivamente compimento, era così che il rosso se la sarebbe immaginata: fredda, buia, vuota e senza la presenza di Aziraphale al suo fianco.

Non avrebbe potuto pensare a niente di peggio.

E adesso quel peggio si era realizzato.


**


Gli sembrava di fluttuare. Poggiava su un fianco, ma sotto di lui sembrava non esserci niente. Fu proprio a causa della leggera vertigine che aprì gli occhi.

Venne investito da una luce abbagliante che si fece subito più tenue, simile al sole al tramonto. Gli faceva male la pancia, tanto che si portò una mano sul ventre. La testa gli girava, si sentiva a pezzi, strinse gli occhi un po' per il dolore e un po' perché faticava a tenerli aperti. Non sapeva dove fosse, né capiva cosa fosse accaduto. Registrò solo una mano sulla spalla e una voce cordiale.

    «Fa male, vero?» gli disse con infinita compassione. «Ci sono passata. Riposa: vedrai che starai meglio.»

E Aziraphale le diede retta. Si raggomitolò, cullato da una carezza che faceva su e giù per il suo braccio. Non era da solo: una magra consolazione d'innanzi alla sua confusione mentale, ma pur sempre una consolazione.


Passò un tempo indefinito in cui si riaddormentò persino. Quando si svegliò di nuovo, la carezza era ancora lì e davanti ai suoi occhi si estendeva un tappeto di nuvole immerso in un cielo rosato.

    «Stai meglio?» Chiese la voce.

"Meglio" era una parola grossa. Si sentiva rivoltato come un calzino e non aveva ancora idea di cosa stesse succedendo.

Provò spostare lo sguardo verso la sua interlocutrice nella speranza di riuscire a ringraziarla ma, appena la vide, lo colse il panico.

Aveva due grandi occhi scuri, lunghi capelli neri e la pelle bianchissima puntellata di efelidi.

La sua carnefice, la libreria, il pugnale... Tutto gli tornò alla mente come un fiume in piena.

    Provò a scostarsi, ma il dolore e la stessa mano che l'aveva accudito lo bloccarono. Riuscì ad emettere un solo, strozzatissimo: «No...»

    «Sssh, lo so, scusa» lo calmò lei. «Tranquillo, sono un angelo anche io. Vedi?»

    In effetti, Aziraphale notò con sorpresa due malandate ali color crema che le spuntavano fuori dalle scapole. Si sentì improvvisamente costernato, e fece in modo di poggiarsi perlomeno sui gomiti, fallendo. «Chi sei?» Chiese in un rantolo.

    L'altro angelo sorrise. Era un sorriso dolce, genuino, vero e sollevato. «Mi chiamo Kathatiel» disse, «e sono l'angelo custode della donna che ti ha portato qui. O meglio, lo ero». Si passò le mani sulle braccia nude, poi, affranta, allungò una mano verso le nuvole: «Benvenuto nel mio cerchio».

   
 
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