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Autore: A_Typing_Heart    29/04/2023    1 recensioni
Due morti accidentali identiche. Dubbi, sospetti e insabbiamenti. Una chiesa che cela gelosamente i suoi segreti e i suoi tesori. E una richiesta silenziosa che Mikaela, sopravvissuto a una pericolosa setta, non può lasciare inascoltata.
* segue Il Vampiro di West End *
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Se c’era una cosa che Ferid amava della sua permanenza a Fort Royal era il caminetto elettrico nella sua stanza. La sera, quando finalmente non gli veniva più chiesto di incontrare questa o quella persona importante o di presenziare a delle lunghissime preghiere pubbliche, indossava qualcosa di più comodo, accendeva il caminetto, sedeva alla poltrona e rileggeva Il poeta che non c’era. Lo rileggeva a piccole dosi, godendosi la scelta delle parole delle poesie che raccontavano la storia, la punteggiatura e il significato. Non durava molto, ma era l’unico conforto che aveva.

La quarta sera, di ritorno da una cena con un aspirante senatore originario della contea di Wise, si stava godendo il riposo di piedi stanchi appoggiati sul tavolino. Li stiracchiò nel tepore del caminetto e non si sforzò neanche di aprire gli occhi quando bussarono alla sua porta.

«Di nuovo qui, Mika?»

«Sono io… mi apri?»

Ferid spalancò gli occhi, saltò in piedi come una molla e si fermò solo per raccogliere il libro che gli era caduto dal bracciolo nello scatto. Aprì la porta e trovò un viso che gli era davvero mancato in quei giorni.

«Sei già qui, Liebe? Pensavo di vederti domani!»

«Posso entrare un minuto?»

«Anche un’ora, se non hai paura che ci cavino la pelle a frustate.»

Notò subito che Liebe non era serena. Aveva le occhiaie scure, il viso smagrito, e teneva una mano nell’altra strizzandosi le dita come se le si fossero gelate dal freddo. Le fece segno di sedere sulla poltrona di fronte e tornò al suo posto.

«Tesoro, qualcosa non va? Non per essere scortese, ma sembri malata…»

«Mi hai fatta chiamare veramente?»

Rimase perplesso da quella domanda; non perché priva di senso ma perché vi lesse una paranoia non tipica della donna che credeva di conoscere.

«Sì… tutti i Padri hanno un assistente. Io ho chiesto di avere te e Maim me l’ha concesso.»

Le spalle si rilassarono appena, ma non sorrise. Si strofinava il braccio e stava chiusa, ingobbita, come se avesse freddo. Ferid ebbe un’idea che gli sembrava valida, così prese da un cassetto la bottiglia di whisky che Mika aveva lasciato e i due bicchieri.

«Prendi un goccetto, Liebe… ti riscalderà e ti farà rilassare un po’.»

Versò due volte e per sé aumentò la dose che gli avrebbe offerto un barista. Aveva il bicchiere pronto per un brindisi quando vide Estelle fissare il bicchierino come se fosse la prova di un tradimento.

«Che c’è? Cosa… ti ho per caso detto di essere astemio? Ogni tanto mi capita di bere qualcosa, però di rado.»

«Non hai capito» mormorò lei, e lo guardò seria. «Non l’hai capito.»

«Non ho capito che cosa?»

«Ferid… io sono incinta.»

Un paio di volte era stato a una visita oculistica, e quello che gli successe gli sembrava lo stesso che capitava quando tentava di guardare il tabellone mentre il medico gli cambiava due o tre lenti in un secondo alla ricerca di quella giusta: il volto di Estelle divenne sfocato e si rimise a fuoco, e sembrava una donna diversa da prima.

Abbassò gli occhi, stordito, rendendosi conto che il rumore ovattato che aveva sentito era il bicchiere che cadeva sulla moquette. Li rialzò per guardare quelli di lei, che era sempre più afflitta.

«Tu… tu che cosa?»

«Sono incinta… ne sono sicura.»

Nei secondi che seguirono a Ferid passarono mille ricordi e foschi pensieri nella testa, mentre guardava le fiamme del caminetto: dal suo arresto da minorenne che segnava il suo destino alla piccola lapide senza nome nel giardino di Krul, fino all’anello che non aveva mai visto nella credenza della cucina di Crowley.

Rideva, con le mani sulla faccia, senza avere ragioni per farlo se non l’isteria.

«Non è possibile… non di nuovo… che umorismo macabro hai!»

«Come, di nuovo? Hai… hai un altro figlio?»

La voce di Estelle spense la sua risata e lo distolse da un dialogo con Dio che rischiava di degenerare molto in fretta. Si tolse la mano dalla faccia lentamente e sospirò, prima di riprendere il bicchiere dal pavimento.

«Ho avuto un’altra donna, un po’ di anni fa… rimase incinta anche lei dopo una volta soltanto. Ma non ho un figlio, la gravidanza si interruppe. Per cause naturali.»

«Ah… mi dispiace tanto…»

Estelle si raggomitolò sulla poltrona. Non l’aveva mai vista così a disagio e capì che le ragioni delle sue stranezze recenti erano tutte spiegabili con la gravidanza: il caffè che non faceva più, l’aria stanca, e le sue parole l’ultima volta che erano riusciti a restare soli.

«Per questo… non ti importava che tuo padre ti diseredasse?»

«Lo farà in ogni caso…»

Spostare i mobili in legno massiccio sulla moquette era assurdamente faticoso e l’aveva imparato quando aveva cercato di avvicinarsi al caminetto, così per starle più vicino si mise in ginocchio accanto alla poltrona.

«Liebe, non ti preoccupare per i soldi… non ti mancherà niente, non mancherà a nessuno di voi. Se ti angoscia il futuro ti prometto che non dovrai mai preoccuparti di una bolletta o di una retta del college. Non dovrai neanche lavorare se non vuoi.»

Estelle tese un sorriso che aveva dell’eroico con le lacrime che aveva negli occhi.

«Ma non resterai con noi… vero?»

«Sono già legato a qualcuno… immagini come si sentirebbe se lo lasciassi perché una donna può darmi quello che entrambi desideriamo così tanto?»

Il suo sorriso si allargò, ma le lacrime rotolarono giù quando chiuse gli occhi. Fu difficile contenere l’onda di emozione quando lei gli diede un bacio sulla fronte, come così spesso faceva lui.

«Mi dispiace, Liebe… non ho imparato niente e ti ho messa in una situazione terribile. Meritavi di avere questo figlio con qualcuno che ti avrebbe scelta senza esitare.»

«Ma tu… tu vuoi lui, almeno? Vuoi vederlo, e… passare con lui del tempo?»

«Certo che lo voglio! Lo voglio, lo voglio assolutamente!»

Era strano immaginarlo dopo aver passato tanto tempo a rassegnarsi all’impossibilità di essere un genitore, ma la sola ipotesi di trovarsi – da lì a dieci anni – ad aspettare delle pagelle o ad accompagnare un figlio a lezione di musica o a un allenamento sportivo era emozionante. Era spaventoso, schiacciante, ma anche entusiasmante.

Tornò a guardare Liebe e non riusciva a non sorridere.

«Non mi sono addormentato sulla poltrona, vero?»

«No» fece lei, con una risata acquosa. «No, non è un sogno…»

Si chinò passando le braccia intorno al suo collo e posò la testa sopra la sua.

«Come lo chiamiamo? Se è femmina la chiamiamo Liebe? Adoro come suona.»

«E se è maschio lo vuoi chiamare Pepper?»

«Pepper è ancora un nome stupido. Ma Raphael mi piace.»

«Abbiamo deciso in fretta.»

Estelle rise con uno strascico di pianto. Ferid aveva mille paure indistinte, dal timore di un aborto spontaneo come era accaduto a Krul a un cambio di idea di una donna che sapeva di non avere davanti il quadro di famiglia tradizionale, ma sotto il mare un mostro si annidava silenzioso, certo e inevitabile come la morte stessa.

Poteva tacere a Crowley una notte di follia, ma non poteva nascondergli il figlio che ne sarebbe conseguito. Non sapeva se avrebbe trovato abbastanza forza da perdonargli persino il tradimento, per lui il più grave dei crimini non violenti.

La sua copia de Il poeta che non c’era aveva la copertina sollevata dalle tante letture e si vedeva la dedica, che sembrava scrutarlo da una porta socchiusa con tutta l’intensità del suo senso di colpa.

 

***

 

Al mattino venne disturbato da un rumore che non riuscì a classificare, assonnato com’era, ma uno schiocco accompagnato da un dolore al gluteo sinistro lo svegliò all’istante. Mikaela era in piedi accanto al letto con un sorrisetto lezioso sulla faccia e la cintura che arrotolava tra le dita.

«Ora sei sveglio?»

«Ma che… che cavolo ti dice la testa?» bofonchiò, cercando di districarsi dalle coperte. «Non sono incline a questo genere di divertimenti!»

«Io sì.»

«Non m’interessa affatto! Ahi, fa male…»

«Sai, con tutte le attività di ieri mi devo esser perso il tuo matrimonio… avete passato una bella prima notte?»

Estelle, dal lato opposto del letto, sbadigliò. Era la prima volta che Ferid la vedeva appena sveglia, e anche coi capelli scarmigliati era stupenda. Buffa, ma stupenda.

«’Giorno, Zeke» biascicò lei. «Che ore sono…?»

«L’ora di tornare in camera tua, prima che padre Maim scopra che eri qui… anche lui credo si sia perso lo scambio degli anelli.»

«Puoi anche toglierti quell’aria da faina» borbottò Ferid. «Non è successo niente.»

«Ma se non hai niente addosso?»

«Io non ho mai niente addosso. Odio sentirmi costretto a vestirmi per dormire.»

Mika guardò Estelle strisciare fuori dalle coperte, ragionevolmente vestita, e non insistette. Con sollievo di Ferid si infilò la cintura nei passanti.

«Nereus mi ha mandato a svegliarti… ma domattina, se prometti di non dormire con l’orsetta, ci mando lui. Così si rifà gli occhi.»

«Provaci e ti prendo a cinghiate, e in un modo che non ti piacerà.»

«Dubito esista. Sono proprio il tipo a cui piacciono certe cose.»

Ferid si portò le mani alle orecchie, cercando di respingere il parto di un’immaginazione fin troppo fervida.

«Gh! Non voglio saperlo!»

Gli impegni della giornata, comunque, erano abbastanza frequenti e pesanti da fargli dimenticare presto quel piccolo trauma.

Entro la mattina si spostarono a Blackwell, nella contea di Morgan, dove la delegazione della Chiesa dell’Acqua era stata invitata all’ultimo secondo a una tavola rotonda delle principali chiese cristiane dello Stato. Ferid seguì Maim come una silenziosa ombra blu, stringendo mani quando gli venivano porte e parlando solo se direttamente interpellato, almeno finché non si verificò qualcosa di inatteso.

Il vescovo Price e il pastore protestante Stevens stavano scherzando con padre Maim riguardo dell’insalata di cavolo assaggiata a pranzo nel loro albergo e Ferid era stanco e annoiato a sufficienza da sentirli solo come un ronzio di sottofondo.

Si accorse di qualcosa di anomalo quando quasi urtò Maim, che si era fermato. Davanti all’albergo che avrebbe ospitato il loro dialogo si era piazzata una coppia di giovani donne, bloccando loro il passaggio. A Ferid servì qualche secondo per capirne la ragione, quanto bastò per notare i loro braccialetti con l’arcobaleno e i colori della bandiera delle donne omosessuali.

Il vescovo Price scosse la testa con un’espressione addolorata e disse loro, quasi con cordoglio, di cercare Gesù con tutta l’anima. Il pastore Stevens doveva essere di uno stampo più bigotto perché non fece che distogliere lo sguardo e superarle, forse convinto che la durezza della sua linea gli avrebbe giovato agli occhi della sua comunità. Maim seguì nella sua scia con la sua espressione vacua e il sorriso accennato, come se si fosse trovato incastrato con le ragazze manovrando un carrello della spesa.

Ferid questa volta non lo seguì e restò di fronte alle due donne, una coppia di guerriere sconfitte senza combattere. Non sapeva che cosa si aspettassero da un gruppo di chierici cristiani e, comprendendole meglio di quanto potessero quegli altri, provò una compassione diversa.

«Non abbiamo bisogno della tua pietà» gli si rivolse una di loro, con voce rauca.

«Certo che no… quello che mi fa pietà è un mondo che non ha mai paura di sbagliare quando dice agli altri cosa fare e cosa pensare.»

Ferid mise la mano sulle loro intrecciate e i braccialetti gli fecero emergere un sorriso spontaneo.

«Ma voi non avete paura, perché sapete chi siete e non siete sole… siete fortunate.»

«Adesso la spara. Sta per dire che Dio ci ama lo stesso.»

«Certo che lo fa. Vi ha fatto così, non potete essere un errore. Alcune persone sono create per popolare il regno della terra, altre il regno del cielo. E voi… avete la forza necessaria per essere un esempio. Grazie di essere venute qui.»

Ferid fece loro un sorriso che la donna silenziosa ricambiò, mentre la sua compagna era ancora confusa. Le superò e non fece neanche caso alla stampa presente che lo stava immortalando; aveva ogni pensiero rivolto a quella coppia e a quanta ispirazione gli aveva dato vederle sfidare così chi pretendeva di dire loro quanto sbagliassero.

Nereus gli si accostò non appena varcò le porte dell’albergo e lo prese per il braccio. Temette una tirata d’orecchi per aver preso iniziative, ma lui stava sorridendo.

«Che belle parole, Regen…»

«Ah, non sono mie… me le disse un amico, una volta.»

«Anche io la penso come te. Persone diverse nascono con scopi diversi… a volte è evidente subito, altre volte si coglie più tardi… ma tutti servono alla causa del Regno Celeste. Hai proprio ragione tu.»

Era molto serio e stringeva il suo braccio con fermezza, e più di ogni altro momento da quando lo conosceva aveva l’aspetto di un pastore esperto con un solido vincastro. Non ne avrebbe mai fatto parola con Mika, ma Ferid si sentiva più sicuro quando Nereus gli mostrava di sostenerlo senza esitazioni.

Con la scusa di andare al bagno si separò dagli altri e si chiuse dentro la toilette, rinfrescandosi il viso al lavandino. Avrebbe voluto potersela svignare di nascosto come aveva fatto più volte a scuola e alle lezioni a Bluefields, ma con la condizione delicata di Estelle aveva paura di fare un passo senza l’approvazione di Maim, temendo che usasse lei per punirlo.

Il gabinetto non era confortevole come la sua stanza a Blackwell Inn, ma vi si chiuse per prolungare quel momento di solitudine e silenzio il più possibile e iniziò a progettare mentalmente un nuovo soggiorno che comprendesse un caminetto elettrico.

 

***

 

«Preghiamo.»

Ancora una volta Ferid era stato armato di un foglio e lanciato in un’impresa per la quale non si sentiva pronto. Il Lloyd Park di Blackwell era gremito di persone che avevano indossato abiti azzurri o blu per partecipare alla messa pubblica tenuta per la prima volta dal famoso profeta di Bluefields, l’uomo dei miracoli che era già sulla bocca di mezza America grazie al potere di internet.

Si sentiva sacrilego a celebrare una messa con un falso noviziato, un falso battesimo e delle false profezie. Ogni volta che richiudeva la bocca dopo una preghiera era sempre più difficile riaprirla.

Nereus stava intonando la seconda orazione canora quando Ferid vide le prime gocce di pioggia sul suo volantino. Grosse macchie scurirono lentamente il cemento dei sentieri del parco, ma Maim li informò – a cenni minimi, come un monarca – che non avrebbero sospeso.

La celebrazione dunque continuò con un ombrello che copriva il microfono e i fedeli non si spostavano, ma Ferid non riuscì a far finta di nulla guardando tutte quelle persone sotto una pioggia mista a neve, che restavano dov’erano perché convinte che lui ne valesse la pena.

«Il Tempio è un luogo di ritrovo concordato… tuttavia…»

Il suo opuscolo si era increspato per la pioggia. Era ancora leggibile, ma non aveva la forza di mentire a quelle persone. Forse poteva raggirare Nereus per una questione di giustizia, ma non riusciva a fingersi un sacerdote mentre dei fedeli soffrivano il freddo per starlo a sentire.

Abbandonò il microfono a metà frase e si allontanò dal piccolo pulpito. Camminando tra le persone inginocchiate presero a guardarlo come se fosse pronto a mostrare loro un miracolo come Mosè che apriva le acque.

Raggiunse un’anziana signora, aggrappata a un bastone, che stringeva forte gli occhi e pregava muovendo le labbra. Non si accorse di nulla finché non le mise la mano sulla spalla, e allora spalancò occhi e bocca per l’emozione.

«Va bene così. Torni a casa.»

«Reverendo Padre» fece lei con una voce fragile come la sua costituzione, «sono qui a chiedere una grazia. Starò in ginocchio quanto serve…»

«È sufficiente così… sta piovendo. Ha ascoltato le vostre preghiere. È con voi.»

Mikaela comparve al suo fianco con un ombrello e coprì la signora, aiutandolo ad alzarla.

«Accompagnala, per favore, Ezekiel.»

«Certo… si tenga a me. È venuta qui da sola?»

La pioggia gli stava già inzuppando i capelli. Solo alcuni dei fedeli si erano alzati e sembravano confusi, così Ferid tornò al microfono. Maim aveva tutta l’aria di volerlo fulminare, ma non avrebbe permesso a quell’uomo di abusare tanto di lui e della fede dei presenti.

«La preghiera è finita per oggi. Tornate alle vostre case con il cuore sereno, perché questa pioggia è un segno. Ci vediamo, se vorrete, domani alla stessa ora.»

Non guardò più dalla parte di Maim e non degnò di attenzione il balbettio confuso di Nereus, ancor meno badò a Barak che cercava di ripararlo con un ombrello. Scese dalla pedana assicurandosi di incalzare gli avventori più reticenti ad andarsene, finché non vide, là in fondo vicino a un albero, un uomo che pregava in ginocchio.

Rivolse un morbido rimprovero a Barak che continuava a cercare di coprirlo e riuscì a farlo desistere. Prima che Nereus o Maim decidessero di riportarlo a casa come un cane indisciplinato si avviò a passo veloce fino alla quercia da sughero la cui chioma proteggeva il fedele e si inginocchiò davanti a lui. Con un sorriso mise le mani sulle sue, intrecciate in preghiera.

«Non stare sotto questa pioggia, mio caro. Sei gelato.»

Crowley aprì gli occhi. Il solo contatto visivo con lui lo fece sospirare e il suo petto sembrò uscire dal letargo in un caldo giorno di primavera. La sua bocca non sorrideva, eppure aveva l’impressione che con gli occhi lo stesse facendo.

«Voglio restare.»

«Sono sicuro che qualsiasi grazia ti sarà accordata. Va’ a casa.»

«Allora il mio uomo verrà a casa con me?»

Era in mezzo a una pioggia gelida in una città sconosciuta, ma il solo stare davanti a lui, sentire di nuovo la sua voce e guardarlo negli occhi bastava a farlo sentire come un cucciolo accudito in una tana calda. L’avrebbe preso per mano per scappare via se non fosse stato per Mikaela.

«Di certo tornerà prestissimo.»

«Mi manca terribilmente.»

«Anche tu gli manchi» mormorò Ferid, con un nodo stretto in gola.

Crowley sciolse le mani e prese la sua per darvi un bacio formale come quello dato a un cardinale, per poi fissarlo con un’intensità che Ferid associava a precisi momenti.

«Blue Heron Inn, camera nove.»

Non riuscì neanche a rispondergli. Ripeté nella mente quello che gli aveva detto e restò a guardarlo mentre gli lasciava la mano, si alzava e si allontanava accodandosi agli ultimi fedeli dell’Acqua. Quando passò accanto a Mikaela sembrava che quei due non si fossero mai neanche intravisti prima.

Il ragazzo lo raggiunse mettendoglisi accanto per coprire entrambi con l’ombrello.

«Non che non capisca la situazione, ma i gargoyle là dietro si faranno idee strane se ti vedono così imbambolato. Togliamoci di qui, si gela. Facciamoci portare del tè su nella tua camera, ho rimediato una scacchiera da viaggio in uno scaffale polveroso davanti alla stazione!»

Prese il suo braccio per costringerlo a muoversi e Ferid dovette perdere il contatto visivo con la testa di capelli rossi di Crowley che si allontanava nella direzione opposta. Mika guardava ovunque tranne lui e alzò il braccio per fare un segnale alla macchina di servizio.

«Che cosa ti ha detto?»

Per ragioni che non metteva a fuoco ripensare a quelle parole e a quello sguardo lo fece accaldare – probabilmente arrossire – e non ebbe abbastanza fermezza da rivelarlo a Mika.

«Per caso hai idea di… sai dove sia il Blue Heron Inn?»

O la sua impermeabilità cedeva o la scansione delle microespressioni di Mika migliorava, perché sorrise come se avesse sentito ogni parola nella sua memoria.

«Lo scopro e te lo faccio sapere prima che arrivi il tè.»

 

***

 

Crowley ingannava l’attesa con un thriller che aveva comprato per affrontare il viaggio, ma per avvincente che fosse il suo pensiero fisso lo portava a guardare la strada ogni volta che sentiva il motore di un veicolo o che girava una pagina. Si flagellò in questa ansia fino alla mezzanotte, quando si arrese chiudendo il libro.

Non viene… forse è più difficile del previsto andarsene senza essere notato.

Aveva appena spento la lampada quando sentì bussare piano, tre volte, sulla porta. Riaccese la luce e si scaraventò via dal letto verso la porta. Era così nervoso che non riusciva a togliere la catena.

Sulla soglia attendeva un uomo che avrebbe riconosciuto da qualsiasi centimetro di corpo gli avessero mostrato, che celava la sua chioma d’argento sotto una mantellina impermeabile verde militare.

I loro sguardi si incontrarono ancora una volta, senza parole, e Ferid gli saltò al collo con un tale slancio che Crowley barcollò per riuscire a tenersi in piedi. Appena saldo sulle gambe lo strizzò dentro la sua mantellina.

«Crowley» sospirò Ferid vicino al suo orecchio, «Crowley, Crowley…»

«Mi mancavi da morire.»

«Mi manchi da morire anche tu» mugugnò lui, appoggiato contro la sua spalla. «Dio, quanto è bello stringerti, tenente.»

Crowley scoppiò in una risata allegra. Gli era mancato letteralmente ogni nomignolo, ogni sua stupida vocina quando voleva prenderlo in giro, e tutte le sue manie. Aveva sentito più pesanti quei mesi di separazione inaspettata che i quasi due anni precedenti.

Gli prese il viso con entrambe le mani per dargli un bacio – quello che George avrebbe chiamato “un bacio ben fatto” – che sentì ricambiato almeno quanto sperava. Fu felice di non sentire alcuna distanza tra di loro, nessuna differenza rispetto alla sera in cui si erano rivisti a luglio.

La mano con cui Ferid l’accarezzò tremava appena.

«Ho saputo di tuo padre… come sta adesso?»

Crowley sorrise.

«Ora sta bene… è stato operato. Come me ha pagato una vita di trascuratezza, ma ora lo rimetteremo in riga. L’ho lasciato con quattro angeli che di sicuro lo terranno al guinzaglio.»

«Quindi è fuori pericolo?»

Gli spiegò in parole povere dell’operazione e della convalescenza che l’aspettava, e gli rivelò che Cara, Samara e Camila andavano a trovarlo uscite da scuola, mentre l’assistente sanitaria passava al mattino.

«Che sollievo… ero così preoccupato. Avevo paura che fosse molto più grave.»

«Superata la convalescenza dovrà solo mangiare meglio per stare bene… e smettere di fumare, ma se il mio vecchio si fissa su qualcosa è capace di smettere una brutta abitudine fin da subito. È sempre stato così.»

Ferid riuscì a sorridere di nuovo, ma le tracce di quella malinconia che gli aveva visto nello sguardo in televisione e poi durante la messa al parco erano ancora visibili come i segni di una lunga malattia.

«Ferid… tu stai bene? Intendo, stai davvero bene? Sembri a pezzi.»

«Lo sono» ammise lui, in un soffio.

Ferid emise un sospiro tremulo e si toccò l’occhio in un gesto rapido.

«Non ce la faccio più e… v-vorrei tornare a casa. Sono stanco…»

«Non devi restare se non ce la fai. L’FBI non ti può obbligare, non sei un poliziotto. Lascia perdere e andiamo a casa. Subito. Stanotte.»

La sua resistenza non andò oltre. Sorrideva ma gli gocciolavano gli occhi, una lacrima dopo l’altra come se si fosse rotto un tubo. Non faceva neanche in tempo a tamponarle con il polsino della camicia.

«Ah, lo vorrei… m-ma ho promesso a Mika che saremmo arrivati insieme alla fine… io credo che ci siamo vicini. Mentre io faccio il fantoccio lui sparisce in giro, chiama persone e fruga… e ha sempre quel sorriso, sai, di quando fai la mossa che vuole lui e hai già perso anche se non lo sai.»

«Sì, ma guarda come stai tu! Sono preoccupato, Ferid. Sei anche dimagrito, e non ne avevi davvero bisogno.»

«È vero… mi spiace, Crowley, non mi sono curato molto di me ultimamente… ma volevo… tornare a casa presto.»

Preferì rimandare il tempo delle critiche, perché il Ferid che aveva davanti era fragile quanto quello che aveva portato a casa dall’ospedale del West End dopo l’avvelenamento: debole, spaesato e bisognoso di supporto disinteressato. Lo strinse a sé.

«Hai fatto un lavoro meraviglioso, Ferid. Sei stato meglio di tanti poliziotti che conosco che lavorano sotto copertura, e per tanto tempo… hai tutte le ragioni di essere stanco.»

Lo tenne così per a lungo, senza parlare, lasciando che spurgasse le scorie emotive e si prendesse tutto il conforto che gli serviva, finché non fu lui a rialzare la testa. Aveva gli occhi arrossati, ma la sua schiena era meno rigida.

«Quanto puoi restare fuori?»

«Mika ha detto che mi copre fino a domattina, quando di solito mi viene a svegliare… più o meno alle sei e mezzo.»

«Non è un po’ eccitante?»

«Eh? Eccitante cosa?»

«Sembra di essere ancora adolescenti, con il coprifuoco e la stanza in affitto.»

«Non lo so, la mia adolescenza non è stata un granché a relazioni…»

«Neanche la mia. Ho fatto l’amore la prima volta che avevo vent’anni, no? Non fare il guastafeste, Ferid, dai.»

Riuscì a strappargli un risolino che aveva un che di nervoso, ma sentì che gli passava la mano lungo la treccia mentre gli dava un bacio leggero.

«Che posto di lusso… hanno persino il lettore dvd» sussurrò accennando alla tv nell’angolo. «L’hai portato L’alba degli eroi

Il suo sorriso si allargò quando sentì le dita che gli scioglievano i capelli, un intreccio per volta. Si incollò alla sua bocca spingendolo verso il letto; passò le mani ovunque riuscisse ad arrivare, rendendosi conto che aveva perso più peso di quanto non sembrasse a guardarlo. Quando finì sopra di lui sul letto ebbe quasi paura di romperlo, tanto sembrava fragile.

Ma quanto a energia, in quel momento Ferid non sembrava né stanco né malato. Si staccò dalla bocca di Ferid – non senza fatica, perché non sembrava aver voglia di lasciarlo andare - e tuffò la mano nella sacca da palestra davanti al comodino.

«Il dvd l’ho dimenticato… però ho portato questo.»

Ferid inspirò rumorosamente vedendo cosa aveva preso dalla borsa e lo guardò fingendo uno sdegno da manuale, se solo fosse stato capace di non sorridere.

«Oh, che miscredente! Come osi? Io sono un uomo di chiesa!»

«Ah, sì, mi ricordo quanto eri pio e devoto alla messa di Ognissanti…»

«A tutti è perdonato un momento di debolezza, un errore isolato!»

«Parliamo della sera prima in un cimitero?»

Ferid smise la faccia indignata e fece un risolino a labbra chiuse.

«Era un cimitero finto, però.»

«Posso portarti in un cimitero vero e ci staresti lo stesso, ammettilo.»

«Percepisco forse una velata provocazione?»

Crowley pose fine a quel gioco di ruoli dandogli un bacio sulle labbra e poi baciandolo sul collo. Sentirlo sospirare, sentire il suo petto muoversi col respiro contro il suo, era abbastanza per accenderlo.

«Ti va?»

Alzò la testa abbastanza da incrociare il suo sguardo.

«Se non ti va non ti preoccupare. Stiamo solo qui insieme. Parliamo, o se non vuoi non parliamo neanche. Mi basta anche solo stare qui con te.»

Come risposta Ferid lo baciò con trasporto, con una mano in mezzo ai suoi capelli e l’altra che lo tirava per il collo del maglione.

«Mi va» mormorò quando si staccò da lui. «Ho bisogno di sentirmi di nuovo una cosa sola con te.»

Per Crowley andava bene qualsiasi opzione che implicasse tenere Ferid lì con lui fino alla mattina successiva, ma quella era senza dubbio quella in cui sperava. Non aveva sentito una separazione emotiva come durante il suo viaggio, non aveva un bisogno metafisico di ritrovare la sua metà, ma non conosceva lingua migliore di quella per spiegargli quanto gli fosse mancato. Non aveva parole forti altrettanto per dirgli che non gli importava delle sue decisioni impulsive, o di chi aveva avuto senza dirglielo.

O forse le aveva, ma non voleva impiegarci due settimane per trovarle come quando aveva scritto per lui quella specie di poesia.

 

   
 
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