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Autore: NyxTNeko    29/04/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 148 - Passato, presente e futuro -

18 maggio

L'attività riformatrice del generale Bonaparte era soltanto agli inizi, il progetto che aveva in mente era vasto, immenso, ma sapeva che doveva realizzarlo con calma, tassello per tassello, al pari di un mosaico. Pur non avendo molta pazienza era consapevole del fatto che la fretta fosse uno dei mali più insidiosi per chiunque volesse realizzare qualcosa di duraturo, ma non avrebbe di certo permesso alla lenta burocrazia di rovinare la portata della rivoluzione.

E decise di abolire le istituzioni austriache, in modo del tutto indipendente, senza neppure chiedere il parere del Direttorio "Credo che quando arriveranno le mie missive, capiranno definitivamente quale sarà il loro posto" pensava con un'arroganza che a molti poteva risultare fastidiosa e del tutto ingiustificabile; però a Bonaparte non importava minimamente di tali reazioni, sarebbe andato avanti per la sua strada. Dopo anni in cui aveva dovuto quantomeno mostrare obbedienza a dei superiori, era finalmente giunto il momento di poter fare ciò che più gli aggradava "Devo soltanto continuare a vincere, sempre, in questa maniera nessuno potrà mai mettersi contro di me" gli occhi brillavano intensamente.

Si sentiva rinvigorito, pieno di energia. Anche se di natura solitaria, riflessiva e introversa, amava in un certo senso essere al centro dell'attenzione, specialmente quando esponeva le sue idee, mostrando la sua infinita conoscenza; si stava rendendo conto della propria superiorità, del proprio genio, per la prima volta in modo consapevole. Non che in precedenza non lo fosse, però non aveva mai avuto un'occasione come la Campagna d'Italia per poterla dimostrare ampiamente: erano state solamente delle manifestazioni momentanee e limitate.

Così incoraggiò l'apertura di circoli politici a Milano e nell'intera regione, aveva bisogno di quanti più intellettuali possibili, con i quali conversava normalmente, nonostante fosse un militare. "Anche se con moderazione ho bisogno che gli italiani si risveglino dal loro letargo, vero è che a Milano, sotto gli Asburgo, nacque una corrente dei Lumi con i loro caffè letterari che promossero grandi pensatori, ma la teoria, assieme a dei timidi tentativi, non sono più sufficienti, occorre maggiore energia".

Come di consueto Napoleone aveva letto le opere degli illuministi milanesi e italiani, favorito anche dalla lingua, affinché sapesse come potersi muovere tra le élite più avanzate della città e capire immediatamente dove agire. Ma non disdegnava nemmeno gli inviti all'opera e a teatro, al contrario, era più che entusiasta di assistere alla rappresentazione di certi spettacoli e al bel canto di lirici dalle voci incredibili e coinvolgenti.

Anche in quelle occasioni dimostrava il suo sapere, dando giudizi e pareri sempre lucidi e chiari. Nessuno era in grado di metterlo in difficoltà, aveva sempre la risposta a tutto, ribaltando letteralmente la situazione; i suoi interlocutori restavano senza parole, senza la capacità di ribattere in modo convincente e non potevano fare altro che annuire e accettare, che fossero d'accordo o meno. Erano incapaci di andargli contro, come ipnotizzati dalla sua voce, dal suo carisma, avevano notato che non parlava così per ingraziarseli o per ostentare in maniera sterile, anzi era seriamente convinto e, per molti sensi quasi innamorato, di quanto proferiva.

Ovviamente la spinta rivoluzionaria continuava senza posa e aveva già dato ordine di riformare da cima a fondo l'università di Pavia, una delle più prestigiose: la cultura doveva essere incentivata il più possibile. Creare uomini colti, responsabili, meritevoli e capaci, che potessero essere in grado di dare vita ad una società nuova, basata sui principi rivoluzionari e, al tempo stesso, unirli alla tradizione e al passato. A differenza di molti altri rivoluzionari, infatti, Napoleone non era estremista, ma un moderato che cercava sempre di coinvolgere tutti al rinnovamento.

Quanto era accaduto in Corsica, che aveva visto e vissuto in prima persona, era stata una dura e importante lezione, assieme al Regime del Terrore. Da quel momento era maturata una visione più realistica della vita: gli ideali, senza basi solide e razionalità portavano alla distruzione incontrollata, indiscriminata del passato e di conseguenza del futuro. Non poteva permettere che potesse accadere in Italia, in una terra così ricca, per non dire colma, di storia, cultura e arte. Voleva che la Francia tutelasse questo tesoro inestimabile, direttamente o indirettamente, per questo accettava comunque le richieste del Direttorio del trasporto delle opere d'arte a Parigi.

"Prima di proseguire però" si disse in un momento di solitaria riflessione e pausa "Vorrei mandare una lettera alla mia adorata moglie...non è passato molto tempo dall'ultima volta, ma sono sufficienti per farmi sentire solo". Guardò l'orologio che aveva nella stanza, non era basato sull'orario rivoluzionario: erano quasi le due del pomeriggio. Toccò il ritratto, anche se rovinato, crepato lo teneva sempre con sé, nonostante avesse una memoria straordinaria e che quindi non dimenticasse i volti facilmente, vedere e rivedere quel ritratto lo rincuorava.

Armatosi di carta e penna, approfittando del silenzio, dopo aver riportato l'ora e la data sul foglio, cominciò a scrivere 'Bonaparte, generale in capo dell'Armata d'Italia, a Josèphine. Non so perché, ma da questa mattina sono più contento. Ho il presentimento che tu sia partita per costì: l'idea mi riempie di gioia. Sempre che tu passi per il Piemonte, la via è decisamente migliore e più breve' ed era stato proprio lui a rendere più fluido quel collegamento tra Francia e Regno di Sardegna, grazie alle vittorie e ai trattati. Ci teneva particolarmente a ribadirlo, in fondo era stato un risultato assolutamente vantaggioso, ottenuto con diplomazia, sapendo che in qualche modo quelle lettere finivano nelle mani di Barras e degli altri Direttori.

'Verrai a Milano, ove ti troverai benissimo, poiché questo è un luogo assai bello. Quanto a me, la cosa mi renderà talmente felice da farmi impazzire. Muoio dalla voglia di vedere come sei con un bambino in grembo' e come era già accaduto in precedenza, si era immaginato la sua amata moglie come una dea della fertilità, le cui forme portavano prosperità a sé e alla famiglia 'Ciò deve darti un'arietta maestosa e rispettabile, che mi sembra debba risultare assai piacevole; l'importante è che tu non stia male'. Bonaparte non aveva dimenticato le lettere passate, nelle quali erano ben chiare le difficoltà che la gravidanza comportava e l'ultima cosa che desiderava era di alimentarle e di farla soffrire.

'No, mia buona amica, verrai qui, starai benissimo, farai un bambino grazioso come sua madre, che ti amerà come suo padre e quando sarai vecchia, vecchissima, quando avrai cento anni, lui sarà la tua consolazione e la tua felicità, ma, sino ad allora, attenta a non amarlo più di me!' Pur utilizzando dei toni esagerati, nel ricreare il rapporto madre-figlio aveva riportato, inconsapevolmente, quello che vi era tra lui e sua madre Letizia.

Il ruolo della madre era, per Napoleone, fondamentale per la crescita di un bambino. Si poteva vivere senza padre, anche se dolorosamente, con fatica, ma non senza la figura materna. E Bonaparte questo lo stava vivendo sulla propria pelle, Letizia era la roccia sui cui il giovane poteva sostenersi. Poteva contare su di lei, anche se autoritaria e severa, era certo che non gli avrebbe mai voltato le spalle, che non lo avrebbe abbandonato, nemmeno nei momenti più duri e difficili.

Dalla madre partiva l'educazione, i figli venivano plasmati dall'esempio, dalle regole, dalla presenza della madre e in base a quanto aveva ricevuto durante l'infanzia sarebbero diventati gli uomini di domani. E in seguito sarebbe stato il sostegno della madre, come lei lo era stato per il bambino, ora adulto, ricambiando il suo amore totale, puro, accompagnandola con rispetto e dignità, nell'ultima fase della vita. Napoleone sperava di poter vivere abbastanza a lungo per adempiere a questo compito, dopo averla resa orgogliosa e felice. Con il mestiere delle armi non si poteva mai essere sicuri della durata della propria esistenza.

"Meglio tornare alla lettera" sospirò profondamente e riprese con il medesimo tono scherzoso, 'Comincio già ad esserne geloso!' che però, in parte, tradiva la natura quasi possessiva del generale, la quale originava dal desiderio sconfinato di essere amato completamente da una donna che non fosse la madre. Infatti soltanto colei che generava la vita era in grado di amare completamente, senza limiti, la propria creatura.

'Addio mio dolce amor, addio amatissima! Vieni presto a sentire la buona musica e a vedere la bella Italia. Non le manca che il tuo sguardo. La renderai più bella, almeno ai miei occhi la eclisserai'. Da dea della fertilità qual era, la creola diffondeva la sua capacità di procreare a tutto il resto. Qualsiasi cosa o persona che entrava in contatto con lei, ne subiva il fascino e si sentiva ispirato alla realizzazione di capolavori senza tempo.
'Quando la mia Josèphine è da qualche parte, vedo soltanto lei'. Chiuse la lettera con delle semplici BP, la piegò con attenzione e la strinse al cuore. Voleva godersi un po' di quella dolcezza prima di farla spedire e di tornare al suo dovere.

"Penso che sia arrivato il momento di tenere delle elezioni municipali" pensò poi, accavvalando le gambe magre "Provvisorie ovviamente, ma che saranno utili per cementificare negli Italiani l'idea di volerli liberare dal giogo straniero, certo un giorno accadrà, ma adesso non sono ancora maturi, pronti per arrivare all'indipendenza" e dopo aver indetto l'ennesimo banchetto, si preparò per discuterne animatamente con le élite milanesi e cercare sempre di ottenere vantaggi per sé e per la Francia.

20 maggio

Despinoy entrò nella stanza del comandante con dei fogli in mano, dopo aver bussato energico e aver ricevuto l'ordine; Napoleone nel vederlo sospirò sia perché gli mancava il sostegno di Berthier, che aveva dovuto lasciare a Lodi, in quanto l'unico in grado di riuscire a registrare ogni evento, data e cifra che proveniva dal quartier generale; sia perché sapeva del contenuto di quella missiva.

- Quando si tratta di denaro, Saliceti si fa subito avanti eh? - sbuffò nel mentre gli veniva consegnata il documento da firmare - Potevo capire qualche milioncino, ma venti milioni di contribuzione da imporre all'intera città di Milano continuo a reputare che sia una misura esagerata - Napoleone stesso aveva preteso delle somme di denaro in precedenza, però non si era mai spinto così tanto. Tuttavia era il prezzo che doveva pagare per mantenere l'esercito e per poter continuare ad agire in maniera indipendente dal Direttorio.

- Pensate che almeno i soldati potranno ricevere una vera paga in franchi e non tramite assegnati, generale - ci tenne a precisare Despinoy, che, come tutti, conosceva le condizioni miserevoli dell'armata d'Italia.

- Questa è l'unica consolazione - sospirò Bonaparte nel mentre firmava in fondo alla pagina - I soldati sono coloro che più di chiunque altro fanno sacrifici, è giusto che vengano ricompensati non soltanto con le parole e i fatti, ma anche con il denaro necessario e avere così un'esistenza dignitosa, assieme ai loro cari...

I presenti, tra questi vi era anche Francesco Melzi d'Eril, uno dei membri più importanti del comitato delle finanze della città lombarda, nell'udire ciò sussultarono, consapevoli del fatto che non si sarebbero potuti sottrarre ad una simile richiesta. Melzi era disposto a tutto pur di realizzare concretamente il suo progetto di creare una nazione italiana, anche accettare tale pretesa. Così come aveva fatto quando Bonaparte aveva reclamato che agli esponenti del giacobinismo locale venissero aggiunti, per fare da contrappeso alle elezioni locali, almeno una quindicina di aristocratici illuminati. Dimostrando un fine acume politico, che non gli era sfuggito.

- Inoltre - disse ancora Despinoy - È giunta notizia dell'arrivo della delegazione di esperti inviati da Parigi per il trasferimento delle opere d'arte e scientifiche...

- Date il permesso di farli entrare in città - ordinò immediatamente Napoleone. Despinoy si mise in posizione e corse immediatamente a riferirlo agli interessati. Il corso si scusò con gli italiani presenti - Riprenderemo le discussioni circa il governo locale più tardi, onorevoli cittadini, mi spiace doverle interrompere così bruscamente...

- Non vi preoccupate generale Bonaparte - lo interruppe Melzi sorridendo appena - Comprendiamo le vostre ragioni e i vostri impegni che riguardano principalmente la vostra patria - dovevano pazientare ancora, ma era necessario farlo, se volevano ottenere ciò che desideravano. Con educazione si alzarono, lo salutarono ed uscirono dalla stanza, sperando che alla fine di tutto sarebbero stati ricompensati "Venti milioni...chi lo avrebbe immaginato... sarà dura cercare di evitare delle sommosse e di continuare a mostrare fiducia nei confronti dei francesi...ma non abbiamo alternative purtroppo...non siamo abbastanza forti per combattere da soli, gli austriaci ci annienterebbero in men che non si dica e soffocherebbero anche questi piccoli progressi che stiamo ottenendo con enorme sforzo...".

Il piccolo caporale aveva preso a camminare lungo l'ampia sala, che con lo svuotamento pareva ancora più grande e spaziosa. Era diventata familiare ai suoi occhi, al pari dell'intero palazzo, con i suoi affreschi, lampadari, decorazioni, della sua stanzetta privata, della sterminata biblioteca che aveva modo di visitare, consultare e della servitù, la quale mostrava cortesia e disponibilità ogniqualvolta ne aveva bisogno e Bonaparte la ricambiava. Non aveva mai dimenticato della sua condizione di indigenza che gli aveva fatto toccare con la mano la cruda realtà. Poter alloggiare in un palazzo del genere gli faceva battere il cuore sino alla commozione, era il segno che la strada intrapresa fosse quella giusta.

Sentiva un po' di stanchezza, non aveva un attimo di tregua, certo all'ozio preferiva comunque il lavoro, l'attività. Inoltre doveva fare bella figura con quella delegazione che stava per giungere: erano tutti uomini di cultura, scienza. Fece dei profondi respiri tenendo a bada l'ansia crescente "I tempi solitari, trascorsi leggendo, in una piccola camera singola, sono lontani e finiti" le mani dietro la schiena ciondolavano un po' ad ogni passo "E più il mio nome acquisirà fama, più la gente farà di tutto per incontrarmi" sorrise divertito nel pensare che fino a poco tempo prima quasi nessuno sapeva chi fosse. La vita era davvero imprevedibile e bizzarra.

- È davvero un piacere per me poter parlare con voi, onorevoli cittadini - emise un emozionato Bonaparte, quando si era trovato davanti quegli illustri signori. Ed erano: il professor Gaspard Monge, il chimico Berthollet, il naturista Thouin, a cui aveva già mandato un po' di flora locale qualche tempo prima, il botanico La Billardière, lo scultore Moitte e il pittore Barthélemy.

Erano arrivati dalla capitale per questioni puramente pratiche, riguardanti soprattutto "il saccheggio" che il generale aveva promesso al Governo francese, come prova del peso delle conquiste e delle vittorie. Per Napoleone era anche un suo sogno che si realizzava, gran parte di essi li aveva studiati sui libri, altri invece attraverso vari convegni. Milano stava diventando realmente il centro e il cuore del sapere europeo.

- E noi possiamo finalmente conoscere il generale di cui tutti stanno parlando in Francia - disse il professore Monge, una volta accomodatosi vicino a quel giovane che tanto lo incuriosiva e che aveva l'impressione di aver già sentito nominare.

- Il vostro nome in patria è sempre più popolare - ci tenne a precisare lo scultore Moitte, che non smetteva di fissarlo. Non si aspettava un ufficiale così giovane, dal fisico magro e i lineamenti molto particolari, che non si potevano dimenticare e che aveva colpito anche il collega pittore.

La conversazione divenne distesa piuttosto velocemente, soprattutto da quando gli studiosi avevano avuto modo di confermare, e di stupirsi a loro volta del sapere sconfinato di Bonaparte riguardo cosa avrebbero dovuto trasportare in Francia e addirittura dove e come collocarle all'interno della Galleria, in modo che potessero risaltare e balzare all'occhio - Bisogna sempre saper stupire chi sta guardando l'opera, come si auspicava con il Barocco-Rococò e voi potete confermarlo meglio del sottoscritto, ma anche educare, specialmente chi non ha molta istruzione o non è del tutto capace di comprendere appieno le potenzialità dell'arte - Napoleone gesticolava vivacemente, preso da un'euforia incredibile - E attraverso di essa diventare pienamente cittadini, uomin e donne completi, questa è dunque la mia concezione di arte, il piacere assieme all'utilità, la bellezza razionale, lo stato dunque deve essere maestro e padre

E improvvisamente Monge capì dove avesse già sentito parlare di lui: il fratello Louis, anni addietro, quando insegnava a Parigi, presso l'Ècole militaire aveva dato una descrizione molto singolare di un allievo che aveva studiato lì. E nonostante fossero passati gli anni quel giovane non era cambiato: riservato, laborioso, ambizioso, desideroso di aspirare a qualcosa di grande, amante dei buoni libri, taciturno ma dalla risposta pronta, altero e al tempo stesso capriccioso. Il destino li aveva fatti incontrare per la prima volta, eppure era come se conoscesse Bonaparte da sempre. "Avevi proprio ragione fratello nel dire che questo giovane fosse degno di protezione". Lo osservava ed ascoltava sorridendo.



 

 

   
 
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