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Autore: Francine    03/05/2023    4 recensioni
Milo Papadopoulos, rampante chef, re dei social network e host di innumerevoli programmi sulla cucina, ha indetto un concorso per trovare un dolce che incarni la vera essenza di S. Valentino. E un bel giorno nella sua casella di posta elettronica trova la candidatura del Cafè Verse-Eau, elegante locale di Parigi, a Montmartre, a due passi dal Sacro Cuore e dal Carousel des Abbesses.
Peccato che Étienne Arnoul, il giovane proprietario del Cafè, non solo non badi molto alla promozione sui social, affidandosi al traffico di turisti che affollano Montmartre, ma non abbia neppure candidato il proprio locale alla singolare tenzone...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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7.

 

Linee pulite, sartoriali quasi; un’atmosfera elegante; un servizio impeccabile. Il Susumella vi offrirà l’opportunità di assaporare i sapori di Calabria ad ogni ora del giorno… e di buona parte della notte!

Marco, il proprietario, sarà il vostro Cicerone alla scoperta del multi sfaccettato universo della sua terra, che profuma di cedro, lavanda, zafferano e liquirizia. Sapori forti, decisi, che si ingentiliscono nel suo cavallo di battaglia per San Valentino: le Nepitelle i Agatina.

Si tratta di un dolce del periodo pasquale - frolle dalla forma a mezzaluna ripiene di frutta secca, composta di amarene e cioccolato - preparate secondo la ricetta della nonna del proprietario. La quale, in occasione di San Valentino, amava aggiungere al cioccolato - rigorosamente sciolto a bagnomaria - una spolverata di peperoncino tritato finissimamente.

Se volete far breccia nel cuore di una persona, le Nepitelle i Agatina sono il miglior viatico al mondo, parola del proprietario. E di chi scrive.

 

Rodrigo lesse e rilesse il pezzo.

Controllò il numero di cartelle. Spostò un paio di blocchi all’interno dei periodi. Snellì il tutto. 

Adriano era stato chiaro.

«Deve essere poco più di una didascalia. Un biglietto da visita, non il tour guidato.»

E così aveva fatto. Ma era davvero difficile riuscire a raccontare il bouquet che gli era esploso in bocca al primo morso ad una Nepitella. E non tanto perché il suo palato aveva esperito quasi ogni possibile sfumatura sensoriale; ma perché Marco aveva - ancora una volta - ragione: ogni morso è un abbraccio caldo e avvolgente che arriva dritto al cuore. Con la promessa, non tanto implicita, di momenti molto, molto intensi tra le lenzuola. Una sorta di Preludio di Chopin ad un Crescendo rossiniano.

Pazienza. Ci avrebbe pensato Adriano a sfrondare, tagliare, aggiustare quello striminzito paragrafo. Allegò il file alla mail per Adriano - due righe di buona creanza e saluti assortiti - e rimase a fissare lo schermo del proprio laptop.

E uno, si disse.

Domani avrebbe inviato un resoconto sul Gokötta. E per il Cafè Verse-Eau si sarebbe affidato a qualche santo volante. Prima o poi, quel cocciuto di Tiennot avrebbe iniziato a produrre il Plaisir d’Amour. Febbraio era appena cominciato, non mancava poi tanto a San Valentino. Aveva o non aveva iscritto il locale al concorso?

Certo che sì.

E allora sapeva - doveva sapere - che Milo - l’unico e il solo - sarebbe apparso per gustare questo benedetto dolce. E siccome a Milo piaceva cogliere le persone con le braghe calate, non si premurava mai di avvisare. Anzi. Appariva come un fulmine a ciel sereno, così da evitare chiasso, paparazzate e confusione gratuita.

La versione riveduta e corretta della parabola evangelica.

Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora… o qualcosa di molto simile.

Sì, a Milo piaceva metterci un (bel) po’ di teatralità. Molta teatralità. E melodramma.

Gemiti e stridor di denti inclusi.

 

Il bip della posta in arrivo lo scosse da quei pensieri foschi.

 

Ciao, noi stiamo bene.
Come vanno le cose a Parigi?

Shaina lavora troppo, quindi niente di particolare.
Il pezzo va bene. Nel caso, aggiusteremo il tiro una volta che Milo li avrà assaggiati tutti e tre.

Mandami gli altri due appena puoi.

Adriano.

 

P.S. Se queste Nepitelle sono così fenomenali, me ne porteresti un vassoio?

 

Rodrigo sorrise da dietro le lenti degli occhiali. Perché no?, si disse. Avrebbero retto il viaggio in treno fino a Londra senza problemi. E sarebbe stato un modo piacevole - per entrambi - di festeggiare San Valentino. E chissà che, magari, la cicogna non si fosse decisa a fare visita a quei due ed a portare la bambina che Adriano non faceva mistero di bramare.

Impostò una nota sul cellulare. Ultimamente aveva la tendenza a dimenticare le cose.

Stai invecchiando, si disse. Non aveva definito bistrot il Cafè Verse-Eau?

Sì. Sì, che l’aveva fatto. A onor del vero, era stato Milo a definirlo bistrot, ma avevano sbagliato entrambi. E di grosso.

Bistrot e brasserie forniscono la possibilità di bere e mangiare – o di mangiare e anche di bere – seguendo un menù fisso, mentre un cafè avrebbe fornito un ventaglio di possibilità decisamente più ristretto. Almeno una selezione essenziale di vini per accompagnare il pranzo. E qualche fromage con cui allietare il palato.

Il Cafè Verse-Eau, invece, no.

Il Cafè Verse-Eau era poco più di una pasticceria a gestione familiare specializzata in prodotti da forno (croissant e brioche), cui qualcuno aveva aggiunto un bancone ed una macchina per l’espresso e il cappuccino. O una spremuta d’arancia. Ecco tutto. Era un animale strano, una bestia mitologica né carne, né pesce.

E Rodrigo si chiedeva, sbocconcellando un croissant, in quale categoria aristotelica avrebbe dovuto inserirlo. O avrebbe dovuto crearne una ad hoc?

 

No. Non se ne parla, pensò.

Lo avrebbe inserito tra i cafè, specificando le particolarità: ottimi croissant, buon caffè e atmosfera familiare.

E un pasticcere fuori di testa, pensò, accingendosi a rispondere ad Adriano.

 

Ti mando il Gökotta stasera.

Per l’ultimo, dovrai aspettare che lo chef pâtissier si decida a preparare questo benedetto dolce!

Farò il possibile per le Nepitelle, ma non mi prendo alcuna responsabilità.

 

E cliccò il tasto INVIO.

Un altro sorso di succo d’arancia.

Adriano rispose.

 

Questi francesi!

P.S. Vorrà dire che se sarà un maschietto, lo chiameremo Rodrigo!

 

Che Iddio ce ne scampi e liberi, pensò. 

Chiuse il portatile.

Sulla soglia della sala da pranzo, Jacques, il padrone di casa, lo fissava con la sua aria perennemente imbambolata.

E adesso che succede?, si chiese.

Avere a che fare con Jacques era piacevole come strappare qualcosa dalle chele di uno scorpione. Era Isabelle a tenere i rapporti coi loro ospiti. Le veniva meglio. Jacques si limitava a ciabattare per casa, quando non era impegnato a parlare – ad urlare – al telefono.

«Grazie per avermi permesso di usare il WIFI», disse. Tanto per rompere il ghiaccio.

Jacques bofonchiò qualcosa di inintellegibile – una scusa, un discorso tra sé e sé, un pensiero volante – e attese.

Rodrigo decise di alzarsi.

Non aveva la benché minima voglia di spendere la mattinata a giocare agli indovinelli con Jacques e la sua patata in bocca. Ed era pur sempre ora di mettersi in marcia; anche se, ad essere sinceri, con quel cielo grigio che prometteva neve, se ne sarebbe rimasto rintanato nella chambre d’amis più che volentieri. E pazienza per il WIFI. Avrebbe controllato tutto e spedito ad Adriano il pezzo domani mattina, dal tavolo della colazione, nell’appartamento di Isabelle.

Tanto Tiennot – Oh. Adesso lo chiami Tiennot? – non avrebbe messo mano al Plaisir nemmeno quel giorno.

Se gli aveva preso correttamente le misure (e in questo era sempre stato molto bravo [ Prima di incappare in Aiolia, almeno]), Tiennot –  e insisti?! – avrebbe atteso qualche altro giorno prima di aprire il frigorifero, selezionare gli ingredienti e mettersi all’opera. Un’altra settimana. Oggi avrebbe preparato le crêpe per la Candelora. Come in qualsiasi altra casa di Francia. E Rodrigo si chiese come sarebbero state. Buone, certo. Ma quanto buone? E le avrebbe fatte dolci, o anche salate?

 

C’è un solo modo per saperlo, gli sussurrò la sua coscienza. Stavolta aveva assunto la sfumatura complice della voce di Aiolos. Calma, franca, amichevole. Con quel pizzico di sfida, sullo sfondo, che lo rendeva l’amico speciale in grado di capirlo al volo.

Perché non fai un salto a sincerartene?

Perché non è aria, si  rispose.

Meglio attenersi al piano.

Studio matto e disperatissimo fino a sera, e poi via, nella notte, alla ricerca di un ristorante aperto di lunedì. Le mangi stasera, le crêpe, si disse. Ti pare che non lo trovi uno stronzo, uno che sia uno, che proprio oggi non le abbia messe nel menù?

E dopo aver infilato il portatile nella borsa ed essere finalmente addivenuto ad una decisione, il destino, nelle vesti trasandate di Jacques, decise di sparigliare le carte in tavola con una manata decisamente dispettosa.

 

«Dimenticavo», disse Jacques, scandendo bene le parole. «Oggi verranno i tecnici per controllare la caldaia. E un’altra squadra installerà i condizionatori.» 

Pausa. 

Suspense. 

Cliffhanger. 

«Nella chambre d’amis», aggiunse. Tanto per non lasciare adito a dubbio alcuno.

Ed io dove cazzo vado?, pensò Rodrigo, fissando Jacques in silenzio.

«Ha capito cosa ho detto?», domandò il padrone di casa. Poi ripeté: «Oggi…».

«Sì, sì. Ho capito benissimo», rispose spiccio. Più di quanto fosse socialmente accettabile nel Paese di Molière e Corneille. «Stavo solo pensando a come organizzarmi…»

«Sono desolato…», disse Jacques. Sì, certo. E io sono una giraffa. «Ma c’è stata una sovrapposizione e…»

E tu me lo dici adesso. Alle nove del mattino. Logico.

«No, no. Capisco. È che sono stato preso in contropiede e…» non so dove andare a sbattere le corna proprio oggi che avevo deciso di starmene a casa. «Pazienza», aggiunse. «Sono sicuro che la biblioteca di Sainte Geneviève andrà bene lo stesso…»

Jacques lo fissò, come se il suo cervello stesse mettendo assieme i pezzi di un complicato puzzle. Poi, vuoi perché il puzzle era davvero troppo complicato; vuoi perché non erano fatti suoi; decise di tenersi per sé i propri ragionamenti e di aggiungere un altro paio di «Mi dispiace», alla rinfusa.

 

Rodrigo annuì, ringraziò per la colazione e rientrò in stanza.

Pazienza. A mali estremi, estremi rimedi. Sì, gli avrebbe fatto bene spendere una giornata intera in biblioteca. Come quando erano studenti, e Marco ed Yngve gli facevano compagnia –  chi sonnecchiando, chi preparando un altro esame –  prima di prenderlo di peso e di portarlo a pranzo. Una botta di gioventù, si disse. E con questi pensieri nel cuore, in netto contrasto con il cielo fosco sulla sua testa, uscì dal palazzo.

Si strinse la sciarpa attorno al collo, accese l’I-Pod dell’anteguerra – vintage –  e si diresse verso la biblioteca di Sainte Geneviève nel Quinto Arrondissement, tra il Panthéon e il Quartier Latin. Una bella sgambata, certo; ma Parigi era e rimaneva pericolosa per la linea, e una bella passeggiata lo avrebbe aiutato a smaltire un po’ dei chiletti messi su in una settimana. Qualche etto, certo; ma sempre meglio di niente.

Qui si mangia troppo, e troppo bene, sentenziò, infilandosi in un reticolo di stradine strette e viali alberati.

 

Ma perché hai scelto proprio Sainte Geneviève?, si chiese, mentre attendeva che un semaforo divenisse verde. Era una buona domanda. Trovarsi a Parigi, in quel periodo, era difficile già di per sé; che necessità c’era di gettare sale su di una ferita, andando ad infilarsi proprio nel quartiere in cui lui e Aiolia avevano vissuto e condiviso sogni e speranze?

 

Prima o poi ci saresti dovuto comunque andare, gli suggerì la voce di Aiolos. O pensavi di non citare affatto il Quartier Latin? Oppure avevi in mente di riportare notizie poco accurate? No, amico mio, non è da te…

 

No, era stata una pessima idea. Lo sapeva. 

Così come sapeva che Aiolos aveva ragione. 

Così come sapeva che il suo umore si sarebbe inabissato, senza possibilità di ritorno, una volta addentratosi nel Quartier Latin, anche senza passare per Rue du Dragon.

No, non avrebbe potuto scegliere un altro posto, un’altra biblioteca. Perché lui, in cuor suo, avrebbe dimostrato a Milo che Rodrigo Diaz non aveva alcun problema con Parigi. Anzi. 

 

Peccato che Milo non sia qui e che, con buona pace di tutti, sia in ben altre faccende affaccendato…

 

Aiolos, fottiti.

 

E avanzò, come un panzer in un campo di fiori, macinando il pavé sotto le suole degli anfibi; ma quando arrivò all’imbocco del Pont des Arts, il coraggio gli venne meno, e le gambe gli si fecero di piombo.

Dall’altra parte del fiume, da qualche parte tra quei tetti blu stinto, c’era l’abbaino che si affacciava sulla Senna – uno scorcio appena, ad essere onesti, con un atto di fede mica da ridere – e dal quale osservavano la città addormentarsi e destarsi, lentamente, come la Bella Addormentata nel Bosco.

 

«Guarda che è il bosco che dorme, non lei», gli sussurrava Aiolia, un bacio sulla nuca, mentre la città si stiracchiava dal torpore del sonno ed apriva gli occhi piano piano.

«Non sarebbe fantastico se la città tutta si addormentasse e noi due fossimo gli unici esseri umani rimasti svegli?», domandava, prima di sfilargli di mano la tazza del caffè e reclamare la sua attenzione.

«Tempo cinque minuti, e finiremmo in un laboratorio come cavie. Nella migliore delle ipotesi», ribatteva lui, ignorando quel lampo strano che, in quei giorni – gli ultimi –, aveva visto salire a galla nello sguardo di Aiolia. «No, grazie», aggiungeva, prima che Aiolia scuotesse la testa, si scolasse il caffè e passasse dalle parole – dalle intenzioni – ai fatti. 

E a quel punto, tutti i se, i ma, i però ed i perché evaporavano come la rugiada al levar del sole; la logica toglieva il disturbo piano piano, sgattaiolando via in punta di piedi, e restavano solo loro due, mentre, fuori dall’abbaino, la Ville Lumière tirava dritto per la propria strada.

 

No. Non ce la faccio.

 

E il Quinto Arrondissement? Lo ignoriamo del tutto?

 

La voce di Aiolos aveva ragione. Come sempre. Ma no, non ce l’avrebbe fatta. Non oggi, almeno. Un altro giorno, magari.

Quando le orecchie avrebbero smesso di ronzare all’impazzata.

 

E quando succederà?

 

Non lo so. Non so più niente, si rispose, facendo dietro front e lasciandosi alle spalle il Quartier Latin, la Senna e quell’abbaino tra i tetti blu stinto.

Si infilò a forza nell’ennesimo intrico di strade e stradine, come a far perdere le proprie tracce. Come volesse nascondersi. 

Nasconderti da chi?, insistette la sua coscienza, con fare petulante.

Dal passato, si rispose, trattenendo a stento un ringhio.

Prima o poi avrebbe fatto i conti anche con il Quartier Latin – o forse no. Ma lo avrebbe fatto solo all’ultimo momento. Quando non avrebbe potuto allontanare da sé l’amaro calice e avrebbe dovuto berlo fino alla feccia. Un giorno o due prima di partire. O magari la mattina della partenza stessa, prima di salire sul treno che lo avrebbe riportato all’indifferenza un po’ snob di Londra, per archiviare il capitolo Parigi una volta per tutte.

La voce del buonsenso – la voce di Aiolos – tacque.

Non approvava quella risoluzione, ma non infierì. Né gli chiese dove diamine si stesse dirigendo. Non ce n’era bisogno. Lo sapeva già. Verso nord. Verso il Sacré-Cœur.

 
   
 
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