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Autore: TheSlavicShadow    04/05/2023    0 recensioni
[Multifandom]
[Multifandom]Raccolta di fanfic che partecipano alla challenge MAY I write 2023 del gruppo Non Solo Sherlock https://www.facebook.com/groups/366635016782488
Metto le mani avanti dicendo che non ho idea di cosa ne uscirà....
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg, Tematiche delicate
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Prompt: "E' uno spettacolo", immagine (mare)
Fandom: Hetalia
Personaggi: America, Inghilterra (bonus Sealand perché sì)
Pairing: UsUk
TW: MPREG


 

Regno Unito, 1967

 

Alfred non aveva dormito tutta la notte. Lo avevano spedito a casa, dicendogli di ritornare il mattino seguente, ma non era riuscito ad abbandonare i corridoi dell'ospedale. Vagava lungo il corridoio come un'anima in pena. Se cercava di sedersi, l'attimo dopo era in piedi. Si affacciava alla finestra. Si appoggiava contro il muro. 

Non era mai stato così tanto nervoso come in quel momento. Non era stato così nervoso nemmeno quando aveva dichiarato guerra ad Arthur. O quando gli si era dichiarato. Non era stato così tanto in ansia nemmeno durante tutta la durata della seconda guerra mondiale o quando i tedeschi avevano bombardato Londra. 

No, non riusciva a trovare un attimo della sua vita che lo avesse reso così tanto nervoso ed ansioso come quel momento.

Credeva che l'apice del nervosismo lo avesse raggiunto quando Arthur gli aveva sganciato la bomba senza alcun preavviso. Decenni interi, più di un secolo senza nemmeno pensare ad un risvolto simile. Era impossibile, gli avevano sempre detto tutti. Era rarissimo per le coppie di Stati eterosessuali, figuriamoci quanto sarebbe stato possibile per una coppia come la loro. Impossibile all’ennesima potenza. Non sarebbe mai potuto succedere.

Eppure eccolo lì a fissare fuori dalla finestra ancora una volta. Ormai era l’alba e lui non aveva chiuso occhio. Il sole baciava con delicatezza gli edifici di Londra e aveva pensato subito che fosse una giornata magnifica per venire al mondo. 

Era stata una giornata di sole anche quando Arthur si era presentato alla sua porta qualche mese prima. Nervoso, pallido, e gonfio. E quel nervosismo glielo aveva trasmesso subito.

Arthur Kirkland era alla sua porta con una sorpresa troppo grande da poter essere gestita in un modo maturo per il suo cervello da criceto sulla ruota. 

“Ma è mio?” Gli aveva stupidamente chiesto provocando una sfuriata senza precedenti da parte dell’Inglese. Non lo aveva visto così incazzato nemmeno quando gli aveva dichiarato guerra due secoli addietro. E quella volta era stato molto molto incazzato con lui. 

“E’ impossibile.” Aveva aggiunto mentre Arthur gli urlava contro, eppure eccolo mesi dopo a vagare per una notte intera tra i corridoi di un reparto che non credeva avrebbe mai visto. Era stato minacciato da quella che doveva essere la capo infermiera perché continuava a fermare ogni infermiera che incontrava, ma nessuna che gli dicesse quello che voleva sentirsi dire. Sentiva tutto attorno a sé pianti di neonati. Sicuramente il corridoio e le stanze si sarebbero riempiti velocemente di padri e parenti che erano in attesa di quelle nascite. 

Tra poco sarebbe stato padre anche lui. Era un concetto così strano. Era così inaspettato. Ed era soprattutto qualcosa che era sicuro non avrebbe mai sperimentato. Non in un modo così naturale. Aveva pensato che magari avrebbe potuto fare da figura paterna ad un giovane stato, non che sarebbe stato padre.

Arthur e lui sarebbero stati padri. Avrebbero fatto quella esperienza insieme. Avevano affittato una casetta poco fuori Londra dove stare tranquilli per i primi mesi. Affacciava sul mare, e quello era stato un esplicito desiderio di Arthur. Voleva che la stanza del nascituro fosse quella più vicina alla spiaggia. Non lo capiva, forse era davvero qualcosa che aveva a che fare con il cervello da gravidanza di cui aveva sentito parlare, ma lo aveva accontentato. Lo aveva accontentato in tutto in quei mesi. Non erano stati facili. 

E ora erano alla fine di quel percorso e l’inizio di un altro. 

Aveva guardato l’orologio per l’ennesima volta. Era ancora così presto eppure gli sembrava davvero una attesa infinita. Avrebbe voluto essere accanto ad Arthur durante tutto il travaglio. Non voleva lasciarlo da solo in un momento così spaventoso - o era spaventoso solo per lui? -  ma lo avevano cacciato fuori dalla stanza intimandogli di tornare il giorno dopo. Come potevano essere così crudeli verso un uomo che aveva passato alla fine tutta la notte lì a vagare come un fantasma in pena? 

“Signor Jones.” Si era voltato di scatto vedendo una giovane infermiera accanto a lui. Gli sorrideva dolcemente, e questo era bastato a pietrificarlo. “Congratulazioni.”

Quella parola era bastata per farlo scattare. In poche falcate aveva raggiunto la stanza in cui sapeva essere Arthur e si era bloccato davanti alla porta aperta. 

Arthur era seduto sul letto con diversi letti dietro al schiena. Sembrava stravolto, come se fosse appena uscito da una tempesta, ma sorrideva.

E stringeva la braccia qualcosa di minuscolo. Dalla sua posizione riusciva solo a vedere una piccola mano stretta attorno ad un dito della mano di Arthur. E aveva un groppo in gola. 

“Smettila di stare sulla porta e vieni qui, idiota.” Arthur lo aveva guardato, la sua espressione si era trasformata e lo guardava corrucciato. “Guarda cosa mi hai fatto fare!”

Era accanto al letto in un attimo, ipnotizzato da quella immagine sul letto. Non l’avrebbe mai scordata, ne era certo. L’espressione stanca e felice di Arthur. Era sicuramente dolorante, ma non lo dava a vedere. Ma soprattutto quel minuscolo fagottino che aveva tra le braccia.

“E’ un maschio, se ti interessa.”

“Sta bene? Stai bene? Ero qui fuori, ma non mi facevano entrare. Mi hanno avvertito solo adesso.” Si era seduto sul bordo del letto non riuscendo a togliere gli occhi dal viso addormentato del bambino. Di suo figlio.

“Lo so che eri qui fuori, ridevano tutte le infermiere che sanno chi sei perché non credevano che ti avrebbero visto così in pena tutta la notte.” Arthur gli aveva tirato una guancia, ma lui non aveva reagito. Non riusciva davvero a togliere gli occhi da quella creatura.

“E’ uno spettacolo, Arthur. Guardalo. E’ un’opera d’arte. E lo abbiamo fatto noi. Ti rendi conto?”

Arthur aveva riso e lo aveva guardato. Arthur era felice. Arthur era felice come forse non lo aveva mai visto. E lui in quel momento si era promesso che avrebbe protetto quel sorriso, quella felicità, con tutte le sue forze. Per Arthur, per sé stesso, e soprattutto per loro figlio.

 
   
 
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