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Autore: Orso Scrive    15/05/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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10.

 

 

Roma, Italia, marzo 2022

 

 

Roma, di notte, offriva uno spettacolo meraviglioso.

Con gli angoli celati dall’oscurità, i vicoli invisibili e le strade accese dalla luce dei lampioni e dal chiarore lunare, dava di sé un’immagine differente da quella caotica, affollata e spesso trascurata cartolina che passava di giorno in giorno nei telegiornali.

I palazzi antichi, le statue, le colonne e i resti marmorei di un lontanissimo passato evocavano una serena tranquillità. L’intrico caotico delle strade cedeva il passo alla sensazione di trovarsi dispersi nel più grande e più bello labirinto del mondo. Antichità e presente si fondevano insieme nella notte.

Eppure, grattando appena un poco la superficie del sogno, anche a quell’ora la capitale italiana mostrava le sue storture e le sue contraddizioni.

Il traffico frenetico. I graffiti sui muri. L’immondizia abbandonata da giorni e giorni accanto a un cestino dei rifiuti che nessuno si era ancora preso la briga di svuotare. Le prostitute in attesa sotto un lampione. Gli spacciatori fermi contro un muro. Immigrati senza futuro seduti sopra una panchina, con lo sguardo perso a contemplare un passato che avevano abbandonato in cambio del nulla.

Ma, in fondo, la Roma moderna non appariva poi troppo differente da quella che era stata la Roma medievale e, prima ancora, la Roma imperiale. Il suo era un caos che si trascinava e si tramandava nei secoli e nei millenni. Si tramutava nelle forme, nei nomi e nelle lingue, magari, ma non nella sostanza, che era rimasta intatta da sempre.

Forse era quella la reale essenza della Città Eterna.

Anche la frenesia, la sporcizia e la prostituzione, come tante altri esempi “bassi”, erano uno dei tratti distintivi di una città antichissima, la più grande protagonista della storia dell’Occidente, l’erede di un mondo antico che non aveva ceduto del tutto ai flussi giunti dall’oriente.

Mentre procedevano a piedi, a passo sostenuto, guardandosi attorno alla ricerca di Ward, Alberto, Aurora e il professor Shelton non avevano certo il tempo per soffermarsi a riflettere. Eppure, in un modo o nell’altro, questi pensieri dovevano starli almeno sfiorando. Era impossibile muoversi lungo le strade di Roma senza lasciarsi suggestionare e irretire da certi pensieri.

Ciò che aveva davvero in mente Manfredi, in quel momento, era comunque ben altro.

Questa è la città più grande d’Italia, si disse. Qui, quando qualcuno vuole scomparire senza lasciare tracce, ci riesce benissimo, e non c’è inchiesta di Rai Tre che tenga. Mi sa tanto che Ward si sarà volatilizzato, e non lo becchiamo più nemmeno se facciamo intervenire Chi l’ha visto.

Lui, peraltro, quel programma non lo guardava mai.

Gli faceva troppa impressione.

Fissò il didietro di Aurora, che gli camminava davanti, aprendo la fila. L’archeologo americano procedeva alle loro spalle, facendo vibrare il marciapiede con i suoi passi pesanti.

La giovane, sentendosi osservata, si voltò a guardarlo, senza fermarsi.

«Che c’è, Manfredino?» trillò. «Pensi che stiamo perdendo tempo?»

Come suo solito, gli aveva letto nel pensiero.

Alberto evitò di rallentare, per non correre il rischio di venire travolto da Shelton, che camminava con la grazia e la finezza di un bisonte delle praterie.

«No, be’, però penso che avremmo fatto meglio a prendere almeno una macchina…» bofonchiò.

Sì, come no. E poi magari quel tirchio di Iannaccone mi fa pure pagare il carburante…

No.

Molto meglio andare a piedi.

Aurora continuò a fissarlo, sorridente.

«Okay», si arrese lui. «Mi sembra che, inseguire a piedi quel ladrone, sia del tutto inutile…»

Camminare, almeno, gli aveva fatto passare quasi del tutto l’emicrania.

Non tutto il male viene per nuocere.

«Sì, anche per me non ne caveremo granché», convenne Aurora. Il suo sorriso si allargò. «Ma, piuttosto che starmene rinchiusa là dentro a sentire puzza di muffa, preferisco di gran lunga andarmene a zonzo come una trottola.»

Shelton si avvicinò.

«Io credo che Ward sia già lontano», disse. «Per me potrebbe aver preso un taxi per farsi portare all’aeroporto.»

Nel frattempo, erano giunti in vista del foro di Traiano. L’imponente colonna che aveva eternato la conquista della Dacia da parte dell’Imperatore svettava contro il cielo nero e stellato, impassibile e immensa. Sull’altro lato della strada, l’Altare della Patria, quasi grottesco, risplendeva del candore del marmo di Botticino.

Aurora annuì, concorde. Manfredi fu più scettico.

«Davvero pensate che stia cercando di contrabbandare il vaso prendendo un aereo di linea?» chiese. «Suvvia, è impossibile… con i controlli che ci sono adesso negli aeroporti, non andrebbe lontano e…»

La radiotrasmittente che aveva assicurato al cinturone della divisa gracchiò, interrompendolo. Il tenente l’afferrò e fece partire la comunicazione.

«Tenente, ho ricevuto adesso un rapporto da una pattuglia», annunciò la voce del maresciallo De Crescenzo. «Hanno fermato un tassista che assicura di aver appena portato un americano che risponde alla descrizione di Ward all’aeroporto di Fiumicino. L’uomo ha con sé un oggetto avvolto in un panno, molto probabilmente il vaso rubato. Ho dato ordine alle autorità aeroportuali di fermarlo.»

Alberto fece un verso incomprensibile. Aurora gli rivolse una di quelle sue smorfiette irresistibili, a cui Manfredi era sempre incapace di non cedere.

Dalla radio giunse ancora la voce di De Crescenzo.

«Come dice, tenente?» chiese. «Ripeta, per favore, non ho capito.»

Alberto distolse l’attenzione da Aurora, guardò per un breve istante Shelton e poi si girò a fissare i resti dei mercati traianei.

«Ho detto di mandare una macchina a recuperarci su via dei Fori Imperiali, per portarci all’aeroporto a vedere che cosa diavolo pensa di combinare Ward.»

Colonne e resti di templi non gli risposero.

 

 
   
 
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