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Autore: Orso Scrive    16/05/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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14.

 

 

Roma, Italia, marzo 2022

 

 

L’ufficio dell’ispettrice Esposito si trovava in un seminterrato.

Per raggiungerlo, dovettero oltrepassare un paio di porte tagliafuoco e inoltrarsi all’interno dell’area vietata al pubblico. Superarono la cella di sicurezza in cui venivano rinchiusi i sospetti quando erano fermati al check-in e svoltarono a destra. Il nuovo corridoio non differiva in alcun modo da quello che si erano appena lasciati alle spalle.

Se non ci stesse guidando, mi perderei di sicuro, pensò Manfredi.

Mentre, nella parte pubblica dell’aeroporto, era tutto uno sfavillare di luci e un brillare di superfici pulite, lì sotto le pareti erano di cemento grezzo, come il pavimento. Lungo il soffitto correvano tubazioni che, a intervalli regolari di circa un paio di metri, erano affiancate da lampade al neon. Alcune di questa sfarfallavano a intermittenza. Da ogni tubo, proveniva un sordo ronzio e un leggero fischio.

Sembra di essere all’interno di una base segreta, si disse Alberto, esaltato. Come in un film di James Bond o roba del genere.

Era sempre stato il suo sogno, quello di entrare in una qualche installazione segreta. Da adolescente, quando aveva trascorso intere estati sul lago di Garda in compagnia di Aurora, aveva spesso fantasticato di scoprire l’ingresso della misteriosa base che si diceva fosse stata scavata nelle viscere del monte Baldo e che, secondo lui, nascondeva piste di atterraggio per dischi volanti o cose del genere.

Ma prima o poi la scopro, eccome se la scopro.

Non aveva ancora rinunciato del tutto al suo sogno, in effetti. Uno dei tanti che gli riempivano il cuore.

Gli altri non parvero essere attraversati da pensieri simili. Continuarono a incedere, incuranti. A giudicare dalla smorfia che aveva in viso, Aurora avrebbe di gran lungo preferito trovarsi da qualche altra parte.

Ma quella è sempre schifata dal mondo intero, meditò Alberto, sogghignando.

Lei lo fulminò con lo sguardo e lui cercò di azzerare la propria mente.

Gli aveva letto nel pensiero.

Tanto per cambiare.

«Siamo arrivati», annunciò l’agente Martini, fermandosi davanti a una porta di metallo tinta di bianco. Alla base e lungo il bordo esterno era un poco scrostata e arrugginita. Le luci al neon le conferivano un aspetto cupo e sinistro.

Si dice che, nell’aeroporto di Denver, vivano extraterrestri e cose così. Prima o poi ci vado, continuò a riflettere Alberto, molto più interessato alle sue fantasie che non a ritrovare il vaso rubato.

Da un mazzo di chiavi che gli pendeva dalla cintura, Martini ne scelse una e la infilò nella serratura. Aprì e rivelò l’interno dell’ufficio: una piccola stanzetta, qualche schedario e una scrivania di metallo con tre sedie scompagnate. Un armadietto e un computer che doveva risalire agli anni ‘90 completavano l’arredamento. Le pareti erano stata intonacate alla meglio di bianco. Un anonimo calendario era l’unico ornamento appeso.

E poi mi lamento che Iannaccone è un tirchio, ma anche qui con i tagli alle spese non si è scherzato, pensò Alberto, dimenticando gli alieni e scrutando le macchie scure di muffa e di umidità che screziavano qua e là i muri.

L’ispettrice Esposito assunse un’aria preoccupata. Prima che avesse potuto esternarne il motivo, Aurora proruppe: «E il vaso?!»

L’ispettrice ebbe un’esitazione.

«Io l’avevo messo qui…» disse, facendo un cenno verso la scrivania, «e avete visto, la porta era chiusa a chiave…»

Shelton fischiò.

«Non ce la si può fare, con un apache», commentò, sornione.

La radio dell’ispettrice Esposito gracchiò. Lei quasi la strappò dalla cintura, per poter rispondere.

«Ispettrice, il sospettato ha recuperato in qualche modo l’oggetto rubato e si sta dirigendo di corsa verso l’uscita G18», annunciò una voce affannata. «Non siamo riusciti a fermarlo, ci è sfuggito e…»

«Vi raggiungiamo subito!» gridò l’ispettrice.

«Dove conduce quell’uscita?» chiese Aurora, mentre tutti ricominciavano a correre alle spalle dell’ispettrice.

«È un’uscita secondaria, la utilizziamo soprattutto per le merci destinate ai locali dell’aeroporto, dà sulla campagna…» rispose lei, affannata.

«Affrettiamoci!» gridò Shelton. «Se Black Eagle riesce a far perdere le sue tracce tra i campi, non lo acciufferemo più!»

Guardate te che razza di serata che ne è venuta fuori, si disse Alberto, chiudendo il gruppetto. E ho pure avuto il coraggio di lamentarmi.

Perlomeno, adesso non aveva più nemmeno una minima traccia del mal di testa.

 

 
   
 
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