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Autore: Orso Scrive    19/05/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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15.

 

 

Monti della Superstizione, luglio 1865

 

 

Il caldo si era fatto asfissiante. Il sole implacabile picchiava addosso ai due esploratori tedeschi, dando loro la sensazione di starsi lentamente cuocendo. La pelle sulle mani, sulle braccia, sulla nuca e sul viso, cotta e rinsecchita, si sfaldava e si staccava a pezzi, che il vento bollente e secco trasportava subito lontano, disperdendola tra rocce e sabbia. Gli occhi bruciavano per la polvere e le sagome diventavano sfocate a causa del riverbero accecante. La stanchezza e la spossatezza minacciavano di prendere il sopravvento a ogni istante, e ossa e muscoli gemevano per la sofferenza atroce a cui erano di continuo sottoposti.

Andavano avanti a piedi, trasportando gli attrezzi a mano. I cavalli erano morti per la fatica e la sete e, quel poco che erano riusciti a recuperarne, era adesso riposto dentro le bisacce che avevano in spalla, sotto forma di carne secca. I loro stivali erano logori, lisi, e minacciavano di rompersi a ogni passo.

Eppure, le difficoltà e i continui patimenti non avevano fermato l’Olandese e Weisner. Incapaci di arrendersi, i due uomini avevano continuato le loro ricerche, e non si erano lasciati sopraffare neppure quando, ormai, era apparso chiaro di come la vecchia mappa in loro possesso fosse incompleta, se non addirittura una mistificazione.

Ma non potevano arrendersi. Nulla li avrebbe fermati, al di fuori della morte. Tornare indietro, adesso, sarebbe stato impossibile. Non avevano più né i mezzi né le possibilità. Avevano giurato che, se non avessero trovato la ricchezza che cercavano tra quei monti maledetti, almeno vi avrebbero incontrato la propria fine.

«Credi che lo troveremo mai, Olandese?»

La voce di Weisner era fioca, stanca. Non era più abituato a parlare. I due uomini, da ormai qualche settimana, risparmiavano il fiato. Waltz quasi sobbalzò, nel sentire quel suono umano risuonare alle proprie spalle.

Era sempre così. L’Olandese andava avanti, e Weisner lo seguiva. Erano soci, condividevano ogni cosa, ma era sempre e solo Jacob Waltz colui a cui toccava prendere l’iniziativa, che doveva decidere, scoprire le piste, scegliere. Weisner lo seguiva senza fiatare, senza porre domande.

Almeno, fino a quel momento.

«Se esiste, lo troveremo», replicò l’Olandese.

Si voltò a guardare il socio. Con una manata, sollevò la tesa del cappello logo. Poi allontanò i capelli dagli occhi e si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte solcata da rughe profonde.

«Ne dubiti, forse?» chiese.

Weisner non disse nulla. Si limitò a scrollare le spalle, piagate dal sole e dal manico del piccone che vi teneva appoggiato sopra. Entrambi erano a torso nudo, perché la calura era tanto opprimente da rendere fastidiosa anche la camicia più leggera. Le loro carni erano tanto scottate e rovinate che, ormai, non sentivano quasi più la tortura di fuoco dei raggi solari.

«Se hai qualcosa da ridire, dillo adesso», lo esortò l’Olandese.

Di nuovo, il suo socio non proferì verbo. Si limitò a spostarsi di qualche centimetro, ciondolando sulle gambe un poco instabili. E fu in quel momento che Waltz lo vide.

In lontananza, proprio sulla traiettoria che in quel momento era stata coperta dalla figura di Weisner, svettava una sorta di campanile di pietra. Una forma che l’Olandese conosceva molto bene, e che da qualche tempo lo tormentava persino in sogno, sebbene ancora non fosse riuscito a vederla con i suoi occhi affaticati.

La mano gli tremò mentre la ficcava nella bisaccia che portava a tracolla – la cinghia di cuoio, a contatto con la pelle, gliel’aveva praticamente scavata, imprimendovi un profondo solco rossastro e bruciante – e ne estraeva la mappa di Chini. La dispiegò in fretta e confrontò un disegno sulla carta con il torrione di pietra che si innalzava all’orizzonte.

«Guarda, Weisner!» sbottò. «Lo abbiamo trovato!»

Indicò il punto in lontananza. Il suo socio si voltò a guardarlo, senza realmente capire a che cosa stesse alludendo.

«Quel picco di pietra è disegnato sulla mappa!» esclamò l’Olandese. «Finora lo abbiamo sempre visto dall’altro versante, per cui non lo avevo riconosciuto! Ma adesso lo vedo bene, ed è di sicuro quello che è rappresentato sulla mappa!»

Weisner si grattò un braccio. Per meglio dire, vi conficcò le unghie.

«Ed è importante?» domandò.

«Lo è!» confermò Waltz. «È importantissimo, Weisner! Perché se il tesoro del capitano Kidd esiste per davvero, è lassù che lo troveremo!»

Gli sguardi dei due uomini si fissarono sul torrione. Doveva essere imponente, ma visto da quella distanza sembrava poco più grande del campanile di un qualche piccolo villaggio della Baviera.

Il miraggio dell’oro risvegliò in loro tutte le forze residue.

Senza più avvertire nessuna fatica, spronati dalla possibilità di fare finalmente fortuna, i due soci si avviarono in quella direzione.

 

 
   
 
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