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Autore: moira78    22/05/2023    8 recensioni
Candy e Albert partono per il viaggio in Africa che sognavano da tempo di fare insieme. Ma l'imprevisto, tragico e inaspettato, è dietro l'angolo e si ritroveranno immersi in un'avventura tra cielo e mare.
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Albert si risvegliò a causa di un conato che si arrampicò su per lo stomaco con una sgradevole pressione e sfociò in un rigurgito liquido e salato. Aprì le palpebre pesanti e annaspò alla ricerca d'aria, ma a quanto pareva il suo stomaco non era ancora soddisfatto e stava comprimendo i polmoni impedendogli di respirare. Il corpo sussultò e si ribellò ancora una volta al liquido estraneo e poté giurare che, assieme a quello, uscì anche l'ultima molecola di ossigeno che avesse tra le costole. Il cuore martellava disperato, temendo quasi più del cervello di non avere la possibilità di inspirare come era ormai vitale. Il panico lo avvolse mentre spalancava la bocca cercando di prendere un ansito che, per fortuna, arrivò al posto del conato e fu alquanto gutturale e sibilante, ma gli diede un sollievo quasi catartico. Tuttavia, non gli bastava, aveva bisogno di altra aria. Aveva fame di aria, ed espirare gli parve quasi una violenza contro se stesso. Eppure Albert lo fece, ignorando stoicamente le contrazioni a livello dello stomaco che volevano restituire altra acqua salata.

Mentre lottava per respirare ed espellerla da stomaco e polmoni, Albert vide una sagoma con la coda dell'occhio e cominciò a rendersi conto che le mani stavano affondando nella sabbia.

"Nuota, muovi le gambe, Candy!".

"Cah...!". Mai il suo nome era suonato in maniera tanto sgraziata e gracchiante dalla sua gola. Ma, diamine, avrebbe sfidato chiunque a parlare sentendosi annegare! Si concentrò sullo sgradevole e ancora complicato compito di avere sufficiente ossigeno tra un conato e l'altro. L'ultimo restituì una discreta quantità d'acqua e si domandò quanta diavolo ne avesse bevuta. Con gesti frenetici, si liberò del proprio giubbotto di salvataggio.

Un lumicino oscuro nell'angolo del cervello gli suggerì che quello poteva benissimo essere solo il corpo di Candy, con i riccioli biondi sparsi in maniera disordinata sulla sabbia, immobile in quella luce rosata che pareva quella dell'alba. E se anche fosse stata ancora viva non le sarebbe risultato molto utile finché non fosse stato sicuro di sopravvivere lui stesso. Eppure, fu con uno sforzo sovrumano che s'impose di strisciare, letteralmente, verso di lei, mosso da una forza che proveniva dai recessi della propria anima. Un istinto quasi animale che prescindeva da qualunque ragionamento o volontà, riportandolo a Candy anche se stava tossendo e boccheggiando ancora e di parlare e chiamare il suo nome non c'era proprio verso.

Quando finalmente la raggiunse, trascinandosi nella sabbia come una sorta di creatura marina riluttante, allungò una mano verso il viso: cercò di scoprirlo scostando la massa dorata dei capelli. E anche se si trovava in un momento disperato che era tutto fuorché romantico, non poté fare a meno di notare quanto fossero belli. E quanto lo fosse il suo viso, pallido e con le labbra appena socchiuse.

"Ca...", ritentò, terminando con una sorta di sibilo. Il petto gli bruciava per il sale e l'insufficienza d'aria e un altro conato lo costrinse a voltarsi un poco da lei per non vomitarle acqua addosso. Eppure non uscì nulla e Albert sentì solo un fiotto salato risalirgli su per il naso fino a farlo starnutire. Si concesse qualche istante, solo pochi secondi per verificare se, alfine, riuscisse a respirare con maggior facilità e... incredibilmente, bruciore a parte, l'aria entrava e usciva senza più ostacoli e i conati cessarono.

Adesso era pronto per dedicarsi a Candy senza rischiare di doversi più interrompere. La prima cosa che fece fu toglierle il giubbotto e verificare che respirasse lei e, con orrore, si rese conto che non era così. Il petto immobile, nessun soffio dalle labbra o dalle narici. Tremando, non sapeva se per il freddo o lo shock, Albert accostò l'orecchio al petto di Candy, dove quello che era stato un abito si stava attaccando al suo corpo come una seconda pelle. Per un solo, terribile istante, il battito che non udì gli fece gonfiare dentro un urlo feroce che non sapeva nemmeno se sarebbe stato in grado di emettere, poi lo colse. Lieve, stentato. Ma presente. E non indugiò, Albert: aprì la bocca di Candy e la coprì con la propria, soffiandole dentro più aria possibile.

 
- § -
 
 
Tre ore prima

Quando si era verificata la tragedia del Titanic, Candy non aveva compiuto tredici anni e si trovava ancora alla Casa di Pony. I Lagan l'avrebbero adottata a breve, se così si poteva dire, e avrebbe conosciuto Anthony subito dopo. La tragica storia del naufragio era apparsa su tutti i giornali per mesi, soprattutto a seguito delle inchieste aperte successivamente, tuttavia lei era coinvolta in altri problemi a quel tempo, oltre a essere ancora molto giovane.

Ora, in quell'estate dei suoi ventun'anni, pensò davvero di assistere a un evento troppo simile per sperare che si risolvesse al meglio. La nave sulla quale viaggiava con Albert era inclinata su un lato e alcune scialuppe furono risucchiate dal vortice creato dall'enorme natante. Con orrore, si accorse che il vortice si stava allargando e pareva estendere i suoi tentacoli mortali verso la loro imbarcazione.

"Dobbiamo remare più veloce!", gridò un uomo dietro di sé e la barca si mosse ondeggiando forte quando alcuni lo raggiunsero per aiutarlo. Con orrore, si accorse che anche Albert aveva allentato la sua stretta su di lei per spostarsi.

"No, ti prego, non mi lasciare!", lo pregò, non sapendo bene perché si sentisse tanto vulnerabile in quel momento. Lei, che si era imbarcata come clandestina e aveva rischiato la propria incolumità in un viaggio verso la speranza quando era solo una ragazzina. Certo, un naufragio non le era mai capitato, eppure un terrore atavico le fece afferrare la giacca di Albert con tutte le sue forze, come aveva fatto una sera al Lincoln Park di Chicago per supplicarlo di restare.

"Candy...?". Gli occhi azzurri erano spalancati per lo stupore.

Forse fu proprio quello che le impedì di separarsi da lui quando la scialuppa si rovesciò, d'improvviso, in un marasma di urla, braccia, gambe e vestiti che intralciavano i movimenti. Non seppe quanto rimasero sott'acqua, né per quale miracolo divino riemersero praticamente nello stesso istante, stringendosi come bambini spaventati, mentre la scialuppa rovesciata sembrava essersi allontanata di almeno trentacinque piedi.

Il suo nome uscì in un gorgoglio assieme a un fiotto d'acqua dalla bocca di Albert, che la stringeva a sé con un braccio e stendeva l'altro per galleggiare, mentre lei lo emulava in modo speculare con l'altro lato del corpo. Nonostante la stagione, l'acqua era abbastanza fredda e in breve Candy sentì il suo corpo tremare. Ma poteva essere anche il terrore nel vedere la scialuppa rovesciata che parve allontanarsi, gli uomini e le donne urlanti cercare di raggiungerla e ribaltarla per potervi rientrare.

E le altre scialuppe che non erano state risucchiate dall'affondamento sembravano puntini scuri sotto le stelle e la luna. Come nella precedente tragedia, non sarebbero tornati indietro per loro, rischiando la medesima sorte, rischiando che fossero troppi. Se la dovevano cavare da soli.

L'infermiera che era in Candy nuotava aggrappata ad Albert, muovendo energicamente le gambe sott'acqua, desiderando avvicinarsi alla precedente imbarcazione per salvarsi e salvare. Per aiutare. E ci stavano provando davvero, separandosi persino per muoversi meglio ed essere più veloci.
Il fondo della scialuppa rovesciata aveva una falla e un uomo stava tentando di staccare un'asse di legno per usarla come galleggiante. Ne seguì una colluttazione nella quale volarono insulti, grida sconnesse. Mio figlio è sott'acqua e non riesco a trovarlo, aiutatemi! Un pugno, un urlo di terrore e dolore. E Candy gridò a sua volta, mentre Albert la raggiungeva ansimando e parlandole con tono urgente.

"Vieni via da qui, è il caos. C'è dell'altra legna che galleggia laggiù". Candy seguì la direzione del suo braccio e notò che aveva il giubbotto di salvataggio sulla giacca che indossava a cena, solo poche ore prima, ma aveva tolto il papillon. Erano tutti talmente impegnati con la scialuppa ormai inservibile che non si erano resi conto dei relitti delle altre che l'oceano stava restituendo. Pochi, fatti a pezzi. Su uno galleggiava un corpo e si affrettarono proprio là. Era una donna e sembrava dormire. Candy allungò una mano cercando il battito, mentre Albert le scostava i capelli dal volto. Era morta.

Cominciò a singhiozzare, lottando per rimanere a galla nonostante il proprio giubbotto di salvataggio lo stesse già facendo, tentando irrazionalmente di rianimarla senza poter fare molto, immersa nell'acqua. Come era accaduto che, pur essendo aggrappata a una tavola di legno fosse annegata? Aveva bevuto? Stava cercando qualcuno?

"Candy, Candy basta, non c'è niente che possiamo fare per lei", boccheggiò Albert avvolgendole di nuovo un braccio intorno alla vita, controllando di persona più volte il corpo della poveretta e infine lasciandolo scivolare via. Al suo sguardo orripilato rispose con uno colmo di dolore: "Noi possiamo ancora salvarci. Forza, aggrappati, dobbiamo tenere il busto fuori dall'acqua".

Candy non seppe per quanto nuotarono aggrappati su quell'asse. Ricordava solo la voce di Albert, sempre più affaticata, che le diceva, in un tono perentorio che non gli aveva mai sentito, che doveva muovere le gambe, nuotare, non mollare la presa. Non addormentarsi. Ma lei era solo un'infermiera che sapeva arrampicarsi sugli alberi. Nuotare così a lungo, facendo forza sulle braccia per non scivolare dall'asse, era una fatica che non riusciva a sostenere. Forse Albert era più allenato di lei o magari dipendeva dal fatto che, essendo un uomo, aveva i muscoli più forti. Fatto sta che si ritrovò stesa a galleggiare sulla tavola di legno sotto alla volta stellata e ricadde in acqua in un vero e proprio attacco di panico, chiamando il suo nome, ricominciando a muoversi per tenersi a galla.

"Albert! Dove sei? Dove sei?!". Era annegato pur di salvare lei che si era stupidamente addormentata o era svenuta? Non se lo sarebbe mai perdonato! Si sarebbe lasciata morire a sua volta, piuttosto che vivere con quel peso sulla coscienza e sul cuore!

"Candy, sono qui". Era alla sua sinistra e nuotava con movimenti fluidi e lenti, quasi cercasse di non sprecare energie. "Ero solo andato a controllare quella che mi sembrava una sagoma lontana, ma temo che abbiamo...".

Senza pensare, come se si trovassero sulla terraferma, Candy gli gettò le braccia al collo mandandolo sott'acqua e colando a picco con lui. Riemersero tossendo e spuntando acqua entrambi e Candy cercò di scusarsi.

Ma Albert guardava con vivo allarme un punto alle proprie spalle e si voltò per seguire i suoi occhi nell'oscurità punteggiata di stelle. "L'asse!", gridò galvanizzata. Una scarica di adrenalina le permise di nuotare più velocemente di quanto pensò di aver fatto quella sera e Albert la superò in poche bracciate, recuperandola. "Mi dispiace, scusami, scusami!".

Lui respirò a fondo per qualche istante, appoggiato con le braccia sulla tavola. Tremava e batteva i denti e non poteva biasimarlo, lei stessa faceva lo stesso, ora che se ne rendeva conto: "Ok, tranquilla, va tutto bene. Però, Candy... niente più gesti impulsivi. Alcuni ci hanno salvato la vita, altri rischiano di costarci cari. Quello che cercavo di dirti prima è che purtroppo ho cercato di portarci verso una scialuppa ma non sono stato abbastanza veloce. Inoltre temo che abbiano accelerato per evitare di finire come quella su cui eravamo noi".

Candy rabbrividì ancora di più: era la stessa cosa che era accaduta ai pochi superstiti del Titanic ancora in acqua. Le scialuppe semivuote, a quanto pareva, avevano preferito lasciarli in mare piuttosto che rischiare di sovraccaricarsi.

"Quindi moriremo qui?". Candy non seppe se fu per la situazione disperata e anomala nella quale si trovasse, né se dipendesse dalla stanchezza. Forse solo quando si era risvegliata vicina a una cascata su una barchetta trascinata dalla corrente aveva temuto davvero di morire. All'epoca, però, c'era Albert che l'avrebbe salvata sulla sponda. Ora invece, si trovavano entrambi nel medesimo pericolo, in pieno oceano Atlantico, non sapeva nemmeno bene a che altezza. E nessuno dei due era immortale, nonostante la temperatura dell'acqua non fosse così fredda da costituire un pericolo immediato. Pensava che lui l'avrebbe rassicurata come al solito. Ma la risposta che le diede, scrutandola serio con i suoi occhi azzurri che sembravano quasi neri nell'oscurità, le gelò il sangue nelle vene.

"Non lo so, Candy, ma farò di tutto perché non accada".

E lo fecero. Lo fecero fino all'ultimo.

 
- § -
 
 
Candy vomitò acqua e cominciò a tossire e Albert si ritrovò a singhiozzare di sollievo come un bambino. L'ultima volta che lo aveva fatto in modo così plateale era stato alla morte di suo padre, perché aveva solo otto anni. Persino quando era morta sua sorella era rimasto a piangere discretamente nella solitudine della sua stanza, perché nessuno potesse dirgli che non si comportava da uomo o da futuro patriarca.

Ma in quel momento era solo un naufrago che aveva visto compiersi un miracolo. Doppio, per la precisione. Quando la tempesta li aveva colti...

"Ti amo, Candy!".
Gli occhi di lei spalancati, un sorriso che forse sarebbe rimasto congelato per sempre quando la presa sull'asse sarebbe stata spezzata dalla forza delle onde.
"Ti amo anch'io, Albert".
Il cielo appena tinto di rosa. L'onda. L'aria che mancava. Il buio.

...non pensava che si sarebbero salvati solo con un giubbotto di salvataggio addosso. E infatti stavano entrambi per morire.

La strinse a sé, sentendo il suo corpo sussultare mentre prendeva lunghi respiri. "Brava, così... respira, Candy, respira. Così...". Ripeteva come una nenia, cercando di controllarsi e fallendo.

Sentì le mani di lei afferrare il tessuto fradicio della sua camicia e finalmente vide il suo viso alzarsi per guardarlo: "È la prima volta che ti vedo... piangere così... scusa... non volevo farti...". Tossì di nuovo, scossa dai conati e lui le sostenne la fronte, tirando gentilmente indietro i capelli che sembravano alghe dorate. Le strofinò con carezze decise la schiena.

"Va meglio?".

Lei annuì, portandosi il dorso della mano alla bocca. "Non mi ricordo... nulla".

Albert prese un lungo respiro, riuscendo finalmente a dominare le emozioni. Anche lui dovette fare uno sforzo per ricordare: "La tempesta ci ha sorpresi quando abbiamo avvistato l'isolotto e siamo finiti sott'acqua. La corrente deve averci trascinati qui".

Candy prese a strizzarsi i capelli stringendone le punte con le mani, guardandosi attorno: "Se non siamo annegati non dev'essere accaduto molto tempo fa. Forse siamo svenuti e abbiamo bevuto mentre la corrente ci trascinava. Il cielo non è ancora del tutto sgombro, ma il peggio sembra passato".

La guardò, ammirato. Lui aveva fatto un ragionamento molto simile, ma non pensava che Candy sarebbe rimasta così lucida dopo tutto quello che avevano passato. Tuttavia era indispensabile che continuassero ad esserlo entrambi, così si alzò su gambe dapprima malferme e fece qualche passo abbracciando l'isola con lo sguardo, le sopracciglia aggrottate.

La spiaggia sfumava in un tratto di vegetazione fitta e una sorta di promontorio roccioso sembrava dominarli. Poté individuare alcune palme e altri tipi di albero e pensò che almeno avrebbero potuto procurarsi da bere dalle noci di cocco: quella sarebbe stata la priorità.

"Vieni, Candy. Ce la fai a camminare? Sei forse ferita?". D'istinto le tese la mano e vide che lei strizzava anche la gonna del vestito e si controllava le gambe e i piedi nudi con occhio critico.

"No, direi che sono tutta intera. Mi brucia solo la gola".

"È per via del sale, succede anche a me. Penso passerà quando riusciremo a bere un po'".

"Bere?", chiese lei come se non credesse affatto fosse possibile, intrecciando le dita con le proprie. Albert le indicò le palme e lei sorrise: "Immagino ti servirà la mia grande abilità di arrampicarmi, allora". Si rese conto che anche lei camminava piano, come se fosse sfinita e debole al contempo.

"So farlo anche io", le ricordò facendole l'occhiolino e incamminandosi. Voleva essere ottimista. Doveva esserlo. Non potevano essere finiti su un'isola deserta nel mezzo dei tropici, giusto? Al di là delle rocce, magari a qualche miglio di cammino, avrebbero di certo trovato la civiltà, qualunque essa fosse. Non era l'Africa, ma andava bene lo stesso. Ce l'avrebbero fatta.

Quando arrivarono sul terreno erboso, Candy si chinò per prendere una noce di cocco tra le mani: "Questa è ancora verde", disse con una serietà tale che, nonostante tutto, scoppiò a ridere.

"Ma no, Candy, questo è solo l'involucro esterno. Sta' a vedere". Albert si guardò attorno e individuò un frammento di roccia abbastanza affilato da rompere la parte più esterna, rivelando il guscio duro.

"Accidenti, non sapevo che fossero fatte così!", disse Candy stupita, inginocchiandosi vicino a lui.

"In Africa le ho raccolte spesso per bere. Beh, anche per mangiarle. Ora la cosa importante è non cercare di rompere del tutto il guscio più resistente, o perderemmo tutto il liquido". Aiutandosi ancora con la punta del sasso, praticò un foro su una piccola porzione, picchiettando con colpi brevi ma decisi. Candy lo fissò con qualcosa che poté paragonare all'ammirazione e lui gliela passò, invitandola a bere.

Candy pose le labbra sul foro, rovesciando man mano il capo e allontanando la noce di cocco per far colare tutto il liquido, assaporandolo senza quasi sprecarne una goccia. Alla fine si leccò persino labbra ed emise un sospiro soddisfatto: "Ahh! Non mi ero resa conto di quanta sete avessi finché...". S'interruppe, guardandolo con gli occhi spalancati. "Oh, Albert, scusami, non te ne ho lasciato neanche un po'!".

Lui scosse la testa, afferrandone un'altra che era caduta dall'albero: "Non preoccuparti, Candy, qui ce ne sono in abbondanza, per nostra fortuna". Ripeté l'operazione, bevendo il latte di cocco, e per un po' rimasero seduti a una certa distanza dalla palma, per mangiare insieme il frutto.

"Se una di quelle ci cade in testa potrebbe ucciderci", disse Candy indicando la palma con un pezzo di cocco tra le dita.

"Giusta osservazione. Proprio per questo siamo qui e non lì sotto", le disse infilandosi in bocca l'ultimo pezzo di cocco e strofinandosi le mani sui pantaloni umidi.

Candy ridacchiò: "Credo di avere i riflessi un po' rallentati".

"Non pensare che io sia in gran forma. Ma conosco le palme da cocco e ho letto qualche libro sulle isole tropicali. Tuttavia, le mie conoscenze sono limitate a questo e ora che ci siamo rifocillati e abbiamo trovato un modo per non disidratarci dobbiamo capire come uscire da questa situazione".

I loro sguardi s'incontrarono e Albert fu certo che se non fosse stato per la mera esigenza di sopravvivere, avrebbero parlato a lungo e seriamente. Quella confessione in pieno oceano, quando pensavano di essere in procinto di morire, aveva infine messo a nudo i loro sentimenti. Eppure, mentre lui era certo da tempo di ciò che provava per Candy, non era sicuro che lei lo avesse detto perché lo pensava sul serio. Quante cose potrebbero essere dette d'impulso prima di morire?

I suoi occhi dovettero indugiare un istante di troppo in quelli di Candy, perché lei li distolse apparendo imbarazzata. "Io... non credo di averti ringraziato abbastanza per avermi salvato la vita".

"Sono io che devo ringraziarti per essere ancora con me. Non avrei sopportato...". D'improvviso, l'immagine vivida di lui che seppelliva il corpo di Candy sotto la sabbia dell'isola su cui erano naufragati gli esplose nel cervello. Ci erano andati vicini, maledettamente vicini. Il suo organismo si era ribellato all'acqua che aveva bevuto giusto in tempo per prestare i primi soccorsi a Candy. E se fosse accaduto troppo tardi? Se il fisico di Candy non avesse reagito o se lui fosse persino morto?

Scacciando con decisione qui pensieri lugubri, Albert si alzò in piedi e fissò un punto verso l'orizzonte. L'oceano sembrava ancora scosso, ma tutto sommato la tempesta era passata: un po' come stava accadendo a lui. A loro.

"Albert...?".

"Andiamo a vedere se siamo soli o se abbiamo compagnia", disse incamminandosi e invitandola a seguirlo.

 
- § -
 
 
Candy sentiva i piedi bruciare anche se stavano cercando di passare dove il sole non picchiava direttamente. Aveva spazzolato via spesso la sabbia e le pietruzze che vi si attaccavano, ma forse avevano camminato su delle ortiche o qualcosa del genere, perché persino Albert si era fermato per fissarsi la pianta di un piede con le sopracciglia aggrottate.

"Credo che avremmo fatto bene a confezionarci delle scarpe o qualcosa che vi somigliasse", commentò strofinandosi la pelle con la mano.

Avevano aggirato la parete rocciosa passando nell'acqua bassa per poi inoltrarsi nel fitto della vegetazione che si alternava ad altri tratti sabbiosi. Erano persino giunti a una piccola cascata e a un corso d'acqua e lei si era quasi precipitata lì per bere. Ma Albert l'aveva fermata, avvisandola che avrebbero prima dovuto bollire quell'acqua se non volevano rischiare di contrarre qualche virus che li avrebbe fatti stare male.

"Bella infermiera che sono", aveva commentato. "Sono certa che questo dovrebbe far parte delle mie conoscenze. Non si dovrebbe mai bere acqua da fonti sconosciute, giusto?". Albert le aveva sorriso e Candy era tornata con la mente a qualche ora prima, quando era certa che sarebbero morti. E, accidenti, ci erano andati tanto vicino! Sentire quella confessione da Albert mentre i flutti stavano portandoli sempre più vicini all'oblio, con la tempesta che infuriava, aveva toccato corde che non credeva avrebbe avvertito vibrare così presto: quel viaggio che doveva portarli in Africa li avrebbe avvicinati, certo, ma pensava ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che le cose tra loro avanzassero fino a quel punto.

Invece si era ritrovata catapultata in un'ammissione reciproca perché si credevano a un passo dalla morte. Quando si era risvegliata, annaspando e con le labbra di Albert sulle proprie, era stato come tornare in vita. Non lo aveva mai visto piangere in quel modo e sapere di essere la causa di quelle lacrime di sollievo l'aveva colpita nel profondo, lasciandola quasi senza parole. La necessità di uscire da una situazione di emergenza aveva lasciato ben poco spazio a parole o spiegazioni e forse sarebbe stato così finché non avessero trovato aiuto. Quella consapevolezza da un lato la sollevava, perché era estremamente imbarazzata e non sapeva bene come reagire; dall'altro, una parte di sé non vedeva l'ora di ripetere e sentirsi ripetere quelle magiche parole.

"Candy, stai bene?". Albert le stava sventolando una mano davanti agli occhi e lei si sentì stupida.

"Sì... sì, sto bene, mi gira solo un po' la testa". Si portò una mano sulla cima del capo: i suoi capelli erano ormai asciutti e notò da come si accigliava che Albert stava pensando la stessa cosa.

"Accidenti, che stupido! Torniamo alla fonte".

Si immersero nelle acque del fiume che sembravano limpide e Candy ricordò quello che scorreva a Lakewood, da cui Albert l'aveva salvata. Non bere fu una specie di tortura e, mentre l'acqua dolce lavava finalmente via il sale e il calore dai vestiti e dai corpi, le venne in mente qualcos'altro: "Pensi che dovremmo mettere ad asciugare i nostri vestiti come quella volta?", gli chiese tra il serio e il faceto, riferendosi all'avventura nei pressi della sua capanna, quando la barca di Stair si era ribaltata. Anche allora, non avevano che quegli abiti, ma lui in casa teneva delle lenzuola e degli asciugamani.

"Buona idea, non sono certo di quale sia l'escursione termica di notte. Tuttavia dovremmo prima trovare un'alternativa e anche se qui c'è della vegetazione ci mancano ago e filo".

"Beh, intanto possiamo cominciare dalle scarpe". Abbassò gli occhi sulla propria gonna e notò che era strappata in più punti, così ne trasse una lunga striscia di tessuto che divise in quattro parti. Le due più piccole le legò ai propri piedi, creando un minimo di barriera tra la pelle e il terreno, mentre le altre le porse ad Albert.

"Penso di dover prendere lezioni di sopravvivenza da te", scherzò mentre le legava.

"Non dire sciocchezze, ti ricordo che ero quella che voleva bere al fiume".

Lui si raddrizzò: "Hai sete?".

"Beh, camminare su un'isola è un'attività fisica piuttosto impegnativa dopo un naufragio", disse quasi in tono di scuse.

Albert sospirò e riprese a guardarsi attorno con occhio critico: "Bene, direi che allora le nostre priorità cambiano. Dobbiamo trovare altre noci di cocco e accendere un fuoco, far asciugare i vestiti e trovare cibo e riparo. Solo dopo potremo continuare con la nostra esplorazione. Potrei arrampicarmi sulle rocce per avere una visione più completa dall'alto".

"Se scivoli su quelle rocce rischi di romperti un braccio o una gamba, se non peggio...".

"Candy...", il tono era quello imbronciato di un ragazzino che stia sottolineando che non c'è nulla di cui preoccuparsi.

"Dobbiamo evitare il più possibile gli incidenti: sono infermiera, ma non sono attrezzata", insisté con una sfumatura minacciosa. "Direi che abbiamo già sfidato a sufficienza la sorte".

Albert allargò le braccia e guardò in aria: "Posso almeno verificare che ci sia un sentiero sicuro per salire in alto? E prima che tu me lo dica: lo so che non è come arrampicarsi su un albero".

"Va bene, ma verrò con te. Quindi, per quel fuoco?". Aveva cambiato discorso in maniera repentina solo per evitare che lui protestasse, ma gli lesse sul viso che il discorso era tutt'altro che chiuso. Forse non le avrebbe permesso di seguirlo, ma lo avrebbe fatto, a costo di stargli dappresso di nascosto.

"Il fuoco dovremmo provare ad accenderlo subito, ma non qui in mezzo alla vegetazione dove rischieremmo di provocare un incendio. Considerando che possiamo provare a pescare direi di tornare vicino alla spiaggia".

Cercando di unire l'esigenza di riavvicinarsi alla sabbia con quella di vedere qualcosa di più di quell'isola, seguirono una strada diversa, dove il verde era più raro e il canto degli uccelli meno presente. Non si poteva dire che l'ecosistema non fosse variegato, perlomeno. Mentre camminavano, inoltre, individuarono alcuni frutti e raccolsero dei fichi, lasciando stare quelli che non conoscevano.

Quando arrivarono di nuovo vicino alla riva erano esausti e per prima cosa cercarono altre noci di cocco per bere. Albert lo fece avidamente, più della volta precedente, e anche lei si sentì come se non bevesse da giorni: sì, il fuoco era prioritario visto che avevano dell'acqua dolce disponibile e così, mentre Albert si trasformava in una sorta di uomo delle caverne armato di ramoscelli e legna secca, lei si mise a cercare qualcosa che potesse fungere da contenitore.

 
- § -
 
 
Quando Albert si decise a usare le scarpe improvvisate come guanti, le sue mani erano già escoriate a forza di strofinare il legno sulla base che avrebbe dovuto prendere fuoco. Nei libri sembrava molto più facile, invece ora non sapeva cosa avrebbe dato per una confezione di fiammiferi, anche piccola. Inoltre c'era il problema della pioggia: aveva trovato della legna asciutta per puro miracolo, ma se avesse di nuovo piovuto il fuoco si sarebbe spento.
Chino sull'esca, ripetendo il movimento ancora e ancora per creare calore con l'attrito, la camicia legata in testa per evitare un'insolazione, Albert pensò che la cosa migliore sarebbe stata portare il fuoco al riparo di una caverna, ma dovevano prima trovarne una sicura nella quale non vivessero animali pericolosi o velenosi. Non sapeva di preciso dove si trovassero, anche se avrebbe fatto una stima con la mente più lucida, e non conosceva che la fauna africana e le specie più note delle isole tropicali.

"Dai, dai, ti prego!", mormorò rivolto al proprio lavoro. La sete non riusciva più a essere placata solo con le noci di cocco, forse per mero riflesso psicologico dopo aver visto quanta acqua dolce ci fosse nel fiume all'interno.

Sperava solo che Candy fosse stata altrettanto fortunata nel trovare un contenitore per bollire l'acqua e si augurò che se la cavasse e tornasse presto. Non poteva neanche voltarsi per cercarla: si erano tolti i vestiti perché asciugassero sulle rocce e avevano tenuto addosso solo la biancheria. La barba che cominciava a pungergli il viso gli indicò che la trasformazione in uomo delle caverne sarebbe stata completa a breve: gli mancava solo una lancia per la pesca.

Albert aveva appena aggiunto altre foglie secche e gli pareva che la base che aveva creato fosse un po' più calda di prima, quando udì la voce di Candy: "Albert? Ho trovato... altra legna asciutta e alcuni gusci di noci di cocco. Inoltre a riva c'era qualcosa trascinato dalla corrente... un secchio impigliato a un ramo e quello che mi sembra quasi un lenzuolo!". La voce, titubante all'inizio e lontana come se fosse di spalle, divenne più entusiasta verso la fine.

"Bene, questa è un'ottima cosa!", disse asciugandosi il sudore dalla fronte. "Potresti usarlo per coprirti così vieni a darmi una mano qui? Successivamente possiamo usarlo per provare a pescare".

"Io... sì, certo, mi copro con questo, però tu sei... uhm...".

Albert sospirò e scoccò un'occhiata ai suoi pantaloni appesi su una struttura di fortuna assieme all'abito di Candy: "Se vuoi posso rivestirmi, ma dovrai controllare tu che gli abiti siano sufficientemente asciutti".

Senti il rumore di qualcosa che veniva posato a terra, quindi di un tessuto e infine dei suoi passi in direzione del loro insolito bucato.
"In realtà, nonostante il sole, sembrano un po' umidi, ma...".

Albert soffiò forte e si alzò un filo di fumo. "Aspetta, guarda!". Soffiò ancora, senza smettere di strofinare la legna, e finalmente si alzò la prima, timida lingua di fuoco. "Sì!", gridò saltando in piedi e voltandosi verso di lei, che urlò e saltò a sua volta e gli si gettò tra le braccia, trascinandosi dietro il lenzuolo senza inciampare per puro miracolo.

La sollevò e la fece girare, sentendo il fuoco scoppiettare dietro di sé e fu solo allora che si rese conto delle condizioni in cui era, dal rossore sempre più pronunciato di Candy e dalla sensazione del lenzuolo umido contro le gambe nude e il torace.

Si ritirò da lui tanto in fretta che si mise a ridacchiare: "Perdonami, Candy, non volevo metterti in imbarazzo. Però possiamo quasi dire che io sia in costume da bagno, no? Inoltre sei o non sei stata la mia infermiera?". Non voleva suonare audace, ma solo scherzoso, tuttavia l'immagine di lei che si portava le mani al viso e gli diceva di smetterla gli indicò che le cose non erano affatto come un tempo, tra loro. E quello poteva essere davvero un bene: avrebbero parlato, prima o poi, nonostante la situazione critica.

Albert si voltò e lasciò che lei ricavasse due parti di stoffa da drappeggiare intorno al corpo. Quando si avvolse con la sua parte, sussultò: aveva pensato a coprirsi il capo per non prendere un'insolazione, ma non il torace e probabilmente si era scottato anche la schiena.

"Come faremo se viene a piovere?", chiese Candy all'improvviso.

"Ci avevo già pensato", rispose mentre studiava le noci di cocco vuote e il secchio. "Dovremo trovare un rifugio o costruirne uno coperto. Inoltre occorre fare in modo di avere il fuoco accanto all'acqua da bollire, mettendo in sicurezza un'area lì intorno, perché non ne raccoglieremo molta così".

Lei gli parve contrita: "Mi spiace, sapevo che un solo secchio non era sufficiente, ma non ho davvero trovato altro. Però potremmo usare le noci di cocco per bere! Come...".

"Come le nostre tazze con le iniziali alla Casa della Magnolia", terminò per lei. I loro sguardi rimasero allacciati per istanti interminabili, finché con un sorriso decisero che era ora di rimettersi al lavoro.

 
- § -
 
 
Bere acqua calda non fu esattamente un'esperienza gradevole, tuttavia Candy apprezzò la possibilità di dissetarsi completamente e di colpo si sentì stanchissima. D'altronde, la notte prima avevano nuotato a lungo aggrappati a un'asse, rischiando la vita, e avevano camminato su un'isola deserta per miglia mangiando solo un po' di cocco e qualche piccolo frutto. Il suo stomaco brontolò con un rumore piuttosto udibile, ma non fece in tempo a vergognarsene perché accadde lo stesso a quello di Albert. E, nonostante la situazione disperata, scoppiarono a ridere.

"Credo sia ora di tornare sulla spiaggia. Bolliamo altra acqua per stanotte, domani penseremo a creare una postazione qui. Dobbiamo trovare subito un riparo", disse Albert alzandosi con una smorfia. Candy lo guardò accigliata, da come si muoveva sembrava avere un problema alla schiena.

Cercando di comportarsi come un'infermiera e non come una ragazzina alla prima cotta, lo indusse ad avvicinarsi: "Vieni qui, fammi vedere", gli disse cominciando a liberarlo del mantello improvvisato sulla parte superiore del corpo.

"Cosa... che... ahi!".

"Santo cielo, Albert! Il sole ti ha ustionato!", disse lei in un ansito, notando la pelle arrossata su tutto il busto. Lei aveva tenuto la sottoveste, oltre alla biancheria intima, e si era bagnata con acqua di mare più volte durante la sua ricerca, ma Albert era rimasto sulla spiaggia cercando di accendere il fuoco e di sicuro non aveva prestato attenzione a coprirsi, visto che sia gli abiti che i giubbotti di salvataggio erano stesi ad asciugare.

"Non è niente, Candy, mi passerà", disse sussultando quando lo sfiorò.

"E dire che sei stato anche in Africa, dovresti ricordare quanto il sole possa far male soprattutto a una pelle chiara", lo rimproverò cominciando a guardarsi intorno. La vegetazione era più rigogliosa intorno al fiume e Candy cercò di individuare qualche pianta a lei nota che potesse alleviare il bruciore.

"In Africa non sono mai stato in una situazione di emergenza come questa. Comunque hai ragione, avrei dovuto stare più attento". Candy gli scoccò un'occhiata di traverso mentre lui metteva a bollire altra acqua. Frugò nell'erba riconoscendo alcune piante, stupendosi davanti a fiori che non aveva mai visto e individuando qualcosa che le parve Echinacea. La annusò e la strofinò su una mano, attendendo qualche istante per capire se avrebbe avuto una reazione allergica, ma non accadde nulla: il colore delle foglie era un po' diverso e anche i petali del fiore non sembravano proprio gli stessi. Ne strappò uno e osservò la radice.

"Albert, dammi la tua mano, per favore". Lui parve sorpreso, ma obbedì e Candy ripeté con lui l'operazione sul dorso per controllare eventuali reazioni. "Dimmi se tra qualche minuto provi bruciore o prurito".

"Va bene". Quando l'acqua bollì, vide Albert togliere il secchio dal fuoco e cominciare a soffocarlo con della terra. Non aveva trovato altre piante che le potevano sembrare utili e sperò che quel fiore andasse bene. "Questo sito è abbastanza buono anche per le prossime volte, ma avremo bisogno di un contenitore più grande o di altri piccoli per trasportare una maggiore quantità d'acqua sulla riva".

"Ma scusa, perché allora non cerchiamo un riparo qui? Siamo vicini al torrente e le piante ci proteggono dal sole", chiese aiutandolo a soffocare del tutto il fuoco.

Albert la guardò serio e lei cercò di non perdersi del tutto i quegli occhi che la incatenavano sempre di più, imbambolandola per istanti fin troppo lunghi. "Perché se dovesse passare una nave potremmo farci vedere più facilmente".

"Oh...". Candy deglutì a vuoto, quindi annuì. Perciò era questo che pensava Albert? Che avrebbero dovuto sperare che passasse qualcuno a cercarli? L'isola era davvero disabitata? No, di certo lui aveva solo pensato a tutte le possibilità e quella rientrava tra le cose intelligenti da fare in caso di naufragio.
"Come va la mano?".

Lui sembrò smarrito, quindi la fissò: "Direi bene, tutto nella norma".

"Perfetto, allora girati". Albert obbedì e lei provvide a usare quante più parti possibili del fiore per ricoprire le scottature, cercando di essere delicata. I forti muscoli della schiena e delle spalle guizzarono sotto alle sue dita e Candy provò una sensazione inedita che vacillava tra il piacere e il timore reverenziale di avvicinarsi a qualcosa di proibito.

Sono un'infermiera e sto medicando Albert, come ho fatto molte altre volte quando era senza memoria.

Se lo ripeté decine di volte, Candy, mentre provvedeva a strofinare le parti della pianta anche sul torace di Albert, interrompendosi quando passò vicino ai segni che aveva lasciato il leone con i suoi artigli. Un petalo le scivolò tra le dita e lei seguì le linee lunghe e rosate, avvertendo con chiarezza l'ansito di Albert che tratteneva il respiro. "Sc... scusami, ti ho fatto male?".

"No... no, affatto", disse lui voltandosi a guardare il torrente.

Doveva essere impazzita: fino a poco prima si era vergognata da morire solo a guardarlo in biancheria e ora si attardava sui pettorali del suo paziente. No, non andava affatto bene! Con delicatezza e fretta al contempo, cercò di stringergli addosso il mantello improvvisato, ormai appena umido, inserendo all'interno quanta più Echinacea possibile, ammesso che la pianta fosse proprio quella.

"La cosa migliore è fare un decotto, ma evitiamo di inquinare l'acqua che dovremmo bere. Inoltre dobbiamo ancora cercare un riparo...". Imbarazzata, parlò veloce, accorgendosi a malapena di quando Albert le afferrò la mano che stava allontanando da lui come se scottasse davvero.

"Grazie, Candy", le disse con uno sguardo intenso che le sciolse le viscere.

Dio, mi bacerà? Qui, su un'isola deserta dove abbiamo lottato e ancora stiamo lottando per sopravvivere? Dove siamo soli e inermi?

"A...Albert...".

"Torniamo indietro, fra poco il sole tramonterà", disse con voce profonda, roca, una voce che non le parve nemmeno la sua.

Senza più parlare, camminarono fino alla riva, dove li attendeva un'altra ardua sfida.

 
- § -
 
 
Albert lanciò un'altra occhiata al fuoco che avevano acceso al centro della caverna, che non era altro che una sorta di corridoio nella parete rocciosa. Con una torcia di fortuna si era avventurato per primo, appurando che non c'erano animali e che vi era persino un'uscita dall'altro lato. In tutto, lo spazio non doveva superare i quaranta piedi, tuttavia era perfetto e con un po' di accortezza erano riusciti a portare il fuoco lì assieme alle poche cose che possedevano, acqua inclusa.

I vestiti che avevano indosso li avrebbero protetti, mentre i teli si asciugavano, e i giubbotti di salvataggio potevano essere utili se avesse fatto più freddo. Tuttavia, anche ora che erano relativamente al sicuro, la mente di Albert lavorava a pieno regime, alternando gli sguardi dal fuoco al viso addormentato e rilassato di Candy: aveva temuto davvero di averla persa e giurò a se stesso che l'avrebbe protetta a costo della propria vita.

Tanto per cominciare, il giorno dopo avrebbe cercato di osservare l'isola dall'alto come si era ripromesso, quindi avrebbero dovuto cercare di pescare e procurarsi altro cibo che non fosse solo frutta. Immaginò di accendere un falò alto per essere visibili e persino di costruire una zattera per allontanarsi. Dubitava che l'isola, seppur di dimensioni ragguardevoli, fosse abitata: non c'era nulla che facesse pensare alla civiltà e un'altra cosa che aveva in progetto era cercare di stabilire a occhio e croce dove diavolo fossero finiti dopo il naufragio, considerando che navigavano già da una settimana e dovevano essere quasi sulle coste africane. Albert sperava con tutto il cuore che Georges, da Chicago, avesse avviato delle ricerche non dandoli per morti e che la zia Elroy non avesse un malore una volta appresa la notizia dell'affondamento della nave e non vedendoli rientrare.

Le palpebre divennero pesanti e la stanchezza di quella prima giornata piombò su di lui, che si sistemò meglio sul fianco senza interrompere il contatto visivo con Candy, sdraiata accanto a lui. Sperava che il suo letto di foglie fosse sufficientemente comodo come il proprio; sperava che quelle parole che gli aveva detto quando avevano creduto di morire fossero vere. E, soprattutto, sperava che avrebbero trovato un momento per parlare seriamente, mentre cercavano di lottare per la salvezza.

Con questi pensieri, la sua mente infine si spense, trascinandolo nell'oblio del sonno.
 
                                                                                        
 
   
 
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