Videogiochi > Genshin Impact
Ricorda la storia  |       
Autore: Tubo Belmont    28/05/2023    6 recensioni
[Genshin Impact]
[Original AU]
Come in ogni buona storia del terrore, era una notte buia e tempestosa.
Una feroce combattente e un sacerdote di antichi culti, si trovano costretti a dover sopravvivere all'interno della Tana di un Dio.
Genere: Generale, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cyno, Dehya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
Dicono che il sonno della ragione generi mostri.
E si dimenticano sempre di dire che può generare anche borghi di periferia non euclidei che fuggono a qualsiasi legge della natura.
“… suppongo che questa sia una di quelle serate, uh?”
“Hai serate di questo tipo di frequente?”
“Quasi tutti i venerdì” la donna chiuse gli occhi, strappò la carta del lecca-lecca alla ciliegia con i canini affilati e se lo ficcò in bocca, stringendo l’asticella di plastica bianca in mezzo ai denti “ma devo ammettere che prima di oggi non avevo mai visto niente di simile…”
Dehya non era solita a sorprendersi. Per una Risolutrice che si era messa a lavorare in proprio, era sempre stata abituata elle cose al di fuori della certezza. Da case abbandonate che fluttuavano a poco meno di dodici metri dal suolo, abitate da spettri violenti intenti a filare lana insanguinata con un arcolaio, a intere colonie di clown demoniaci divora-mocciosi nascoste nei canali di scolo delle grandi città.
Quella volta però, davanti ai chiarissimi occhi azzurri si mostrava qualcosa di uno scalo completamente diverso da qualsiasi altra sua esperienza nel settore: quel borgo suburbano, che un tempo non doveva ospitare più di mille persone, era imprigionato sotto ad una titanica cupola trasparente di ombre e tenebre, al cui interno la realtà si distorceva in modo inquietante, con le abitazioni che erano diventate dipinti di puro inchiostro nero, prive di particolari o lineamenti, fatta eccezione per le finestre e le porte d’ingresso illuminate come fanali di pallida luce.
Le strade sembravano fiumi di oscurità, con le superfici che si sfaldavano a mezz’aria in sbuffi simili a lingue di fuoco nere, imitate dai lineamenti delle case che si sfaldavano nel nulla, come grani di castelli di sabbia sospinti da violente folate.
Si ficcò le mani nella giacca di pelle e si convinse di non aver bisogno più di alcuna prova: quello non era il lavoro di una semplice Anomalia.
“Mi chiedo per quale motivo un Arconte rimasto letteralmente nell’ombra per tutto questo tempo, abbia deciso di muoversi proprio adesso. Divorando un intero villaggio, tra l’altro.” Si voltò verso il partner provvisorio, coi due ciuffetti di capelli dorati che danzavano davanti alla fronte.
Il ragazzo non dimostrò segnali di averla minimamente ascoltata. Le braccia erano incrociate al petto e il collo era piegato lievemente all’indietro, coi lunghi capelli che fluttuavano mogiamente ai leggeri sbuffi di vento. Gli occhi, che alla luce della luna brillavano come inquietanti rubini, erano incollati alla cupola.
L’espressione seria trasudava un intensità che non aveva mai visto prima, nemmeno nella faccia di quelli che aveva massacrato di botte. Non sembrava paura, tuttavia, solo estrema concentrazione.
E per qualche motivo la cosa la infastidì un goccio.
Che diavolo, pure lei si sentiva un po’ intimorita davanti a quello spettacolo.
Chi si credeva di essere quel damerino?
“Ehi” disse, affilando lo sguardo suonando e decisamente più caustica di quanto si aspettasse “Non sei tipo… un po’preoccupato di stare per entrare in quella che sarà probabilmente la tua tomba? Non stiamo certo andando a raccogliere le mimose, dopotutto.”
Per tutta risposta, Cyno chiuse gli occhi ed inspirò a fondo.
Per poi piegare le gambe e chinarsi a terra, dove stava poggiata la stessa ventiquattrore con cui si era presentato al suo appartamento qualche ora fa.
“I Risolutori dell’Accademia sono istruiti fin dall’inizio all’eventualità di doversi cacciare in situazioni estremamente pericolose, come questa” mormorò con voce calma, quasi monotona, aprendo la valigetta nera e cominciando a frugare all’interno “ho fatto pace con la possibilità di morire sul lavoro dal mio primo incarico, Signorina Dehya. Ero convinto che anche lei fosse preparata a questo. L’ho forse sopravvalutata?”
Per tutta risposta, quell’altra chiuse gli occhi e forzò un sorriso, mentre una vena pulsante si formava sulla fronte. Ho proprio voglia di infossargli la faccia nel cranio con un cazzotto.
Ma la verità, era che vedere un Risolutore così giovane mostrare una simile freddezza persino davanti all’evidente segnale di pericolo più grande della storia, era decisamente ammirevole. Invero, anche quando si erano visti la prima volta si era decisamente sorpresa. Quel moccioso era completamente diverso rispetto a tutti gli altri cagnolini che avevano mandato sulle sue tracce.
Ed era decisamente stato il primo ad averle fatto gelare il sangue nelle vene in quel modo.
 
In fin dei conti, poteva dire che non se lo aspettasse?
Inoltre, si sarebbe sentita molto sola senza il periodico tentativo di ammonizione da parte dei suoi ex colleghi. Quando le sue mani non erano impegnate a pestare a sangue Anomalie, riteneva fosse necessario mantenerle in allenamento con altro.
E le facce dei cagnolini dell’Accademia erano meglio di un sacco pieno di sabbia.
Di volta in volta, oltretutto, quelli arrivavano sempre più numerosi, mentre usciva a fare qualche compera, o quando tornava la sera tardi dopo aver concluso un lavoretto.
Se le poteva immaginare le voci di quei fossili su gambe dire di ‘accerchiarla quando era più vulnerabile o distratta’. E ogni volta si spanciava dalle risate pensando sempre alle loro espressioni una volta ricevuta la notizia che, nuovamente, i loro ‘formidabili guerrieri’ erano tutti finiti in terapia intensiva.
Ed era proprio quello il motivo per cui adesso era così in allerta: gliene avevano mandato solo uno, proprio sotto casa. E si trovava al quarto piano di quell’edificio, a spiarlo dalla camera da letto che dava sulla strada sottostante, quindi non era certa di vederci completamente bene.
Ma quello aveva tutta l’aria d’essere un ragazzino. O quantomeno, doveva avere sì e no un paio di anni in meno rispetto a lei. Cos’è, pensavano che mandandogli contro dei poppanti si sarebbe intenerita per poi lasciarsi catturare?
Studiò meglio il nuovo arrivato, stando bene attenta a nascondersi dietro la finestra, visto che adesso quello stava guardando verso l’alto: i capelli erano così chiari e candidi che sembravano essere stati filati direttamente dalla luna, creando uno strano ma meraviglioso contrasto con l’elegante giacca nera e lucida che ricopriva un corpo tonico e allenato, scendendo dietro la schiena e un po’ in avanti sulle spalle. Gli occhi brillavano come tizzoni ardenti alla luce lunare, facendo pendant con la cravatta rossa che ricadeva sul petto coperto dalla camicia bianca. Una mano era ficcata nella tasca dei pantaloni, l’altra era stretta attorno al manico di una ventiquattr’ore. Notò infine la carnagione lievemente scura. Simile alla sua.
Il Mondo sembrava ogni giorno sempre più piccolo.
Lo vide svanire dalla strada, probabilmente entrando nel complesso d’appartamenti.
Ghignò e affilò lo sguardo, per poi andare a socchiudere la porta d’entrata.
Era buona educazione dare sempre una buona accoglienza agli ospiti, no?
 
“Sembri molto lontano da casa…” le aveva sibilato a pochissimi centimetri dall’orecchio, sentendolo rabbrividire subito dopo “cosa ti porta qui, ragazzino?”
Come da copione, visto che si aspettava da tempo che quei pazzoidi tentassero di andarle ad invadere la privacy da un momento all’altro, si era nascosta tra le ombre della sala buia, dove nemmeno le luci esterne potevano arrivare. Aveva sentito il ‘damerino’ fermarsi davanti alla porta e bussare, diversamente da quello che si aspettava, per poi comunque entrare senza nemmeno chiedere se ci fosse qualcuno in casa, accorgendosi che la porta era aperta. Non pensava esistessero persone così educate e allo stesso tempo invadenti!
Comunque, dopo avergli permesso di fare qualche metro all’interno del suo appartamento, era sgattaiolata alle sue spalle, rapida e silenziosa, per poi appoggiargli con delicatezza una mano sulla spalla destra e avvolgergli la schiena con il braccio. Lo percepì mentre s’irrigidirsi e sentì un brivido di sadico piacere, mentre appoggiava il mento nell’incavo della spalla sinistra e tendeva indice e medio dell’altra mano, puntandole a pochissimi millimetri di distanza dal collo dell’intruso.
“Posso sapere cosa ci fai in casa mia? Ti manda qualcuno?” domandò, sempre ad un respiro di distanza dall’orecchio “Bada: dalla tua risposta posso decidere di diventare una prestigiatrice e far sparire le mie dita nella tua gola.”
Ovviamente voleva solo cercare di spaventarlo, perché non era ancora diventata una psicopatica omicida. Inoltre non era certo nella sua etica massacrare di botte un ragazzino, quindi se avesse reagito in modo brusco si sarebbe limitata a spezzargli un braccio. Tanto ne aveva due.
Quello rimase immobile e muto come una statua. Poi prese un profondo respiro e pose la domanda “La Signorina Dehya, presumo?”
… Ok. Una voce tanto profonda da un corpicino come quello era L’ULTIMA cosa che si aspettava. Per quanto riguardava invece la calma che aveva percepito nella frase… quello la irritò un po’. Non aveva ancora capito di avere la vita appesa ad un filo?
“Sono io che faccio le domande, moccioso.” Strinse la presa ed avvicinò le dita.
“Chiedo scusa per l’intromissione…” sussurrò l’altro, rilassando le spalle “Posso capire il fraintendimento, ma non sono qui per farle del male.”
Dehya percepì un altro brivido lungo la schiena.
Non di piacere, questa volta.
“Tuttavia, se mi sentirò minacciato, in qualunque modo…” la voce si era fatta ancora più sinistra “… non esiterò a difendermi.”
Il cuore della donna saltò un battito.
Una terribile sensazione le fece raggelare il sangue.
Quella che le gridava a gran voce ‘non siete più in due, all’interno di questa stanza’.
Sentì il gelido respiro di una belva feroce, poco sopra di lei, che le si condensò di fronte come l’apparizione di un fantasma. Dunque, la sua spalla sinistra finì imprigionata tra le grottesche ed oblunghe dita squamate di un mostro, avvolte in qualche punto da una sottile benda di stoffa viola, decorata da geroglifici sconosciuti. Benché la creatura si trovasse alle sue spalle, per qualche ragione, poté immaginarsela chiaramente, nascosta in mezzo alle tenebre, con la testa che sfiorava l’alto soffitto della camera, un lungo muso irto di candidi denti aguzzi e tre paia di occhi rossi come il sangue e brillanti, che si lasciavano dietro un’evanescente scia dello stesso colore.
Cynoooo…” trattenne il fiato, quando quella creatura parlò, sfruttando una miriade di roche voci femminili all’unisono, antiche più dell’inizio dell’esistenza stessa “… questa persona voleva farti del male. Voleva ferirti. Posso mangiarla?
Stava per caso tremando? Indubbiamente aveva smesso di sorridere e adesso la sua espressione doveva essere mortificata… ma addirittura tremare?
“Buona, Ammit.” Disse imperioso il giovane Risolutore, rivolto a qualunque cosa ci fosse alle sue spalle “Ho promesso che non sono qui per arrecare offesa a nessuno. Torna pure a dormire.”
La belva non disse nulla, limitandosi a ringhiare gutturalmente.
Poi sentì uno sbuffo, mentre la mano squamata si allontanava dalla sua spalla “Che noooooiaaaaa…
E come era apparsa dalle ombre, in essa doveva essersi immersa di nuovo.
Dehya si lasciò cadere seduta all’indietro, sul pavimento gelido del salotto, col fiato corto e la sensazione di essere stata ad un unico ed insignificante passo dall’orlo di un abisso nel quale NON voleva cadere.
Si portò una mano al petto, cercando di regolarizzare il battito.
“Dunque ci siamo capiti, Signorina Dehya?”
Alzò lo sguardo verso l’interlocutore. I suoi occhi, dello stesso colore del ghiaccio, incontrarono quelli infuocati ma, al contempo, estremamente più gelidi del Risolutore di nome Cyno, che la guardava dall’alto verso il basso, con quell’impietosa espressione incastonata nel viso perfetto, quasi androgino.
Si poteva sapere… chi diavolo fosse quel maledetto bastardo?!
Restarono a fissarsi per qualche minuto, in silenzio, intensamente.
Poi quello barcollò appena, per poi rovinare a terra all’indietro seduto come lei, con una mano stampata sul viso celandolo alla vista della donna.
Donna che sbatté le palpebre, incredula.
Che stava succedendo?
Forse evocare letteralmente una DIVINITA’ risucchiava più energia del previsto?
Si alzò da terra, avvicinandosi incerta, anche un po’ preoccupata, all’intruso “E-ehi, va tutto be-”
“P-perché… sei…”
Aveva detto, a voce troppo bassa per essere effettivamente udito “Come?”
“PERCHE’ DIAVOLO SEI NUDA!?” urlò poi il giovane, indicandola con il dito e stringendo i denti, l’espressione stoica di prima deturpata dal nervosismo e la faccia più ardente di un pezzo di metallo rimasto a contatto con una fiamma ossidrica per ore.
“…eh?” Dehya guardò verso il basso. Ed effettivamente, fatta eccezione per un paio di slippini di pizzo nero, la luce che arrivava dall’esterno carezzava ogni singolo lineamento della sua pelle ambrata senza lasciare nulla all’immaginazione “… oh.”
“NON FARE ‘OH’ A ME!” Cyno non sembrava più nemmeno quel poco di ‘persona’ che aveva conosciuto qualche secondo fa “Se sapevi palesemente che stavo arrivando, perché diavolo non ti sei rivestita!?”
Quella sbatté le palpebre, incredula.
Poi incrociò le braccia sotto al seno, sogghignando sorniona mentre tutta l’ansia provata poco prima diventava un lontanissimo eco “Oh ma dai… che c’è? Il cucciolino dell’Accademia ha perso tutta la sua spavalderia dopo aver visto un paio di tette?” rise, ravvivandosi una ciocca castana “Comunque si dà il caso che questa è casa mia, ed ho la libertà di non indossare il cazzo che mi pare.”
“T-ti prego…” quell’altro sembrava sul punto di esplodere sul serio, riportandosi una mano al volto e distogliendo violentemente lo sguardo “p-per favore… n-non posso riuscire a parlarti in questo modo…”
Dehya sbuffò.
La serata aveva preso la piega più fottuta e surreale che potesse aspettarsi.
E onestamente, avrebbe preferito avere a che fare con un plotone di Risolutori, piuttosto che con quella situazione incredibilmente imbarazzante.
 
Fortunatamente, dopo ancora un paio d’insistenze e l’evidente rischio di crollo mentale da parte del giovane Risolutore, Dehya si era decisa a mettersi quantomeno una sgualcita canottiera bianca, ancora un po’ rivelatoria, ma che aveva comunque permesso al ragazzo di calmare gli esageratamente bollenti spiriti. Dopo essersi ulteriormente sincerata che quel tipo non avesse effettivamente cattive intenzioni, si erano accomodati in salotto, lei con una lattina di birra in mano, nei pressi del largo divano davanti al televisore. Cyno aveva acceso l’abatjour e si era seduto, aprendo poi la valigetta piena di documenti, fascicoli e fotografie sul tavolino di vetro lì davanti, spiegando sbrigativamente qual’ era la situazione.
Benché avesse ricominciato a respirare come un essere umano, un lieve rossore sulle gote ed un evidente disagio erano ancora ben visibili, cosa che fece sorridere la padrona di casa, appoggiata coi gomiti allo schienale del divano intenta a prendere qualche sorso.
Poteva considerarla una piccola e personale rivincita dopo avergliela quasi fatta fare sotto.
Da quello che stava capendo, i ‘pezzettoni grossi’ dell’Accademia avevano riscontrato un elevatissimo livello di Distorsione presso un piccolo borgo di periferia, nelle vicinanze esatte della stessa città in cui adesso Dehya alloggiava, ed avevano mandato alcune persone ad indagare.
Persone che non erano più tornate.
Al loro posto, una strana ed inconsueta cupola trasparente, che pareva essere generata dall’oscurità stessa, aveva imprigionato il borgo al proprio interno, come in un romanzo di Stephen King. La donna aveva cominciato a capire che la questione fosse effettivamente molto più seria del previsto quando era stato tirato in ballo una tipologia di minaccia con cui i suoi ex colleghi avrebbero preferito non entrare mai in contatto:
 
Un Arconte.
 
I Risolutori, dopo aver risvegliato la Vision, erano prelevati e portati nelle varie Accademie in giro per il Mondo, per poi essere istruiti al riconoscimento ed annientamento delle Anomalie, ovvero quelle entità aldilà dell’umana comprensione che minacciavano il tessuto stesso della realtà terrena. Quando si parlava degli Arconti, tuttavia, non si faceva riferimento a concetti così semplici: essi erano Avatar della Distorsione e portatori di angoscia, figli di epoche in cui la paura non era nemmeno ancora considerata un sentimento, e gli uomini erano terrorizzato da tutto ciò che non potevano comprendere.
Esistevano così poche informazioni sul loro conto da far pensare addirittura agli Archivisti che non fossero mai esistiti. O che qualcuno, prima di loro, se ne fosse già occupato.
Stupidi vecchiacci di merda.
“Non ho idea del perché gli Archivisti ci abbiano messo così tanto tempo per agire…” Cyno aveva assunto un tono di voce che non la faceva impazzire. Notò anche le mani che si stringevano a pugno sopra ai pantaloni neri “… un intero villaggio di persone innocenti è stato cancellato dalla faccia della terra, per convincerli a fare qualcosa… dannazione, era necessario che svanissero così tante persone per fargli capire che questo era un problema d’affrontare immediatamente?”
A giudicare da quel discorso, il cagnolino non era esattamente stato ammaestrato a dovere nel convincersi che ogni scelta fatta dai suoi capi fosse quella giusta. Se ne rincuorò.
Non seppe tuttavia come rincuorare lui.
In fin dei conti, quella non era stata certo la prima volta che i bastardi sacrificavano delle persone, senza motivi apparenti, con tutte le possibilità per evitarlo.
Non sarebbe stata l’ultima.
Scavalcò il divano e si sedette al suo fianco, parecchio vicina, facendolo sussultare e distogliere lo sguardo, rosso in viso.
Strappò di mano la foto che Cyno aveva appena raccolto, sorseggiando altra birra, studiando poi con attenzione la cupola di ombre che si vedeva nell’immagine. Poté, molto poco chiaramente, notare le silhouette di qualche abitazione, ma sembravano solo le riproduzioni in scala di un diorama.
“Se sto’ posto era così vicino…” si passò due dita sotto al mento, perplessa “… come diavolo è che non me ne sono mai resa conto?”
“Se si tratta veramente di un Arconte, si tratta di creature estremamente subdole e con una pazienza disarmante” spiegò il Rislutore, guardandola “E’ probabile che abbiano deciso di muoversi così in ritardo solo perché all’inizio nemmeno avevano percepito la sua presenza. Ma ne dubito fortemente…”
“Mmh…”
Se non si trattava di un Arconte – ne dubitava –, si trattava comunque di un’Anomalia bella potente.
“Sono qui per lei, comunque, Signorina Dehya.”
Si voltò verso l’interlocutore.
“So che lei ha problemi d’attrito piuttosto pressanti con l’Accademia, ed ha già mandato all’ospedale un sacco di miei colleghi” chiuse gli occhi, sospirando rassegnato “e le chiederei cortesemente di non farlo più, visto che i costi per le spese mediche si sono impennati in modo piuttosto inquietante. Anche se, da come mi pare di aver capito, non ascolterà una singola parola di quello che le sto dicendo…”
La padrona di casa sollevò il mento, con un’espressione fiera ed incrociando nuovamente le braccia al petto “hanno solo da lasciarmi in pace! O comunque da mandare qualcuno che non va giù al primo cazzotto.”
“Ad ogni modo, sono riuscito a convincere gli Archivisti a permettermi di venirle a parlarle in privato, senza mezzi termini od ulteriori piani in mente” proseguì Cyno, tornato serissimo “e per chiedere il suo aiuto.”
Dehya smise di sorridere.
Finì la birra in un solo sorso, per poi accartocciare la lattina con una mano e lanciarla dietro le proprie spalle. Lo fulminò poi con lo sguardo “Quindi, fammi capire bene: hanno mandato il loro segugio più carino per vedere se riuscivano a convincermi a tornare a lavorare per loro? Insomma, sono così pavidi da non avere nemmeno il coraggio di venire loro stessi a chiedermi di tornare in ginocchio?”
Cyno chiuse gli occhi, e quel silenzio la fece solo irritare di più.
“Ah, questa poi…” si alzò dal divano, passandosi nervosamente una mano sulla nuca castana mentre digrignava i denti “… puoi dire a quei fossili, gamberetto, di baciarmi il culo. Dopo l’ultimo scherzo che mi hanno fatto e dopo tutti i ‘sicari’ che mi hanno mandato dietro perché gli rubavo i profitti lavorando per i cazzi miei, l’unica cosa che possono ottenere da me è solo un enorme dito medio.”
“Signorina Dehya, mi ascolti!” anche Cyno parve scaldarsi, alzandosi a sua volta dal divano e alzando al voce “Non si tratta più di una stupida questione d’orgoglio! Se quella… cosa, continuerà ad espandersi ed a consumare la realtà come ha fatto con quel borgo, le garantisco che presto non avrà nemmeno più il tempo per lamentarti della pessima gestione degli Archivisti” la puntò con il dito “lei è una delle guerriere più potenti che abbiano mai fatto parte dei Risolutori ed è stata benedetta da un dono che le permette di annientare qualsiasi nemico con estrema facilità. Ha un DOVERE nei confronti della gente!”
Cyno ammutolì, quando quella tornò a guardarlo dritto negli occhi. L’oscurità nascose ogni lineamento del suo visto, fatta eccezione per quei diamanti che aveva incastonati nella faccia.
“Il dovere che ho… è solo nei confronti di me stessa” ringhiò la donna, con ogni sillaba che conteneva abbastanza acido da sciogliere l’acciaio “non ho intenzione di mettere a rischio la mia vita solo per permettere ai tuoi cari datori di lavoro di farsi belli agli occhi delle persone, dopo aver sacrificato probabilmente più di mille innocenti solo per vedere se una palese minaccia alla realtà era così pericolosa come credevano. L’orgoglio non c’entra, è una questione di principio.” Si avviò con passo pesante verso la porta dell’appartamento “Non ti prendo a calci in culo fuori di qua solo perché sei stato abbastanza educato da bussare alla porta. Quindi ti chiedo di levarti dai coglio-”
“L’Accademia non vuole essere la sua padrona!” esclamò Cyno, bloccandola con la mano sulla maniglia. Poi sospirò, massaggiandosi dietro la nuca, forse sentendosi in colpa per essere stato troppo brusco “… vuole essere una sua cliente.”
Dehya rimase a guardare l’uscio di legno per un po’, aguzzando per bene le orecchie.
“… cosa offrono quei maledetti?” girò appena il collo verso di lui.
“Un’altissima somma per la fatica… e la totale libertà d’azione.”
“Vale a dire?”
“L’Accademia smetterà di mandarle contro i suoi Risolutori” Cyno chiuse gli occhi “Per quanto questa cosa potrebbe creare sicuramente dei precedenti, è meglio avere lavoratori in proprio, piuttosto che Risolutori in ospedale.”
Lentamente, Dehya si allontanò dalla maniglia. E fece per rispondere, quando…
“Inoltre” Cyno la bloccò prima che potesse parlare “l’idea di aspettare che io me ne sia andato per poi andare ad occuparti del problema per conto suo, è controproducente per me, e per lei.”
La donna sussultò e si voltò di scatto.
Cyno aveva messo entrambe le mani in tasca dei pantaloni.
E quello… quello era per caso l’accenno di un ghigno?
“Non un’idea intelligentissima quella di buttarsi a testa bassa contro una minaccia che conosciamo poco. La credevo più cauta, Flame-Mane.” Il come facesse a suonare così impertinente rimanendo così monotono era probabilmente un’Anomalia di per sé.
Ma bastò per farle nuovamente stringere i denti rabbiosamente “Razza di-”
Lo superò di corsa, scomparendo nella camera da letto.
“Potevi dirmelo subito!” gridò dall’altra stanza “Ora fuori di qui. Il tempo di cambiarmi e ti raggiungo fuori dall’edificio.”             
“Uhm, intende uscire vestita? Facciamo progressi.”
“Impiccati.”
 
In tutta onestà… quello lì aveva davvero intenzione di combattere vestito come James Bond?
Che voglio dire, se ci riusciva Daniel Craig…
Anche se quell’altro aveva combattuto sempre contro esseri umani, ora che ci pensava meglio.
Di contro, lei aveva optato per un semplice top rosso, un paio di pantaloni della tuta neri e la larga felpa ricevuta quando era entrata nella squadra di football – maschile – al liceo, che ancora le andava bene.
Si ficcò le mani in tasca, liberando le braccia dalle maniche della felpa, quindi puntò nuovamente lo sguardo sul proprio compagno, mentre si faceva passare il lecca-lecca sulla lingua. Non poté fare a meno d’inarcare un sopracciglio, quando lo vide estrarre dalla valigetta un rotolo di bende violacee, cosparse di simboli geroglifici molto simili a quelli che aveva visto sulla zampa del mostro. Ne usò… tante, per bendarsi le mani. Veramente tante. Aveva praticamente creato dei veri e propri guanti d’arme.
“Yo.” Inclinò la testa di lato, interrogativa “Di un po’… ma quelle non dovresti tipo metterle dopo essere stato ferito?”
“Mi dispiace deluderla” Cyno chiuse gli occhi, e poi lentamente la valigia, dopo aver finito di prepararsi “queste non sono quel tipo di bende.”
Dehya si costrinse a fare uno scatto indietro, con annessa bestemmia, quando una serie di fulmini violacei circondarono il corpo inginocchiato del Risolutore. Allo stesso tempo, geroglifici spettrali cominciarono a fluttuare attorno a lui, come fuochi fatui.
Il giovane aveva piantato il palmo della mano al suolo, recitando parole in una lingua che, benché non avesse idea di quale diavolo fosse, sembrava spaventosamente antica. I fulmini d’energia presero a farsi sempre più intensi e, inesorabilmente, dal suolo cominciò ad emergere una lunga asta intagliata, blu come l’Oceano in tempesta, al cui culmine svettava la riproduzione in pietra di un Ank che sembrava intagliato nell’oro.
Cyno smise di sussurrare, quando l’asta raggiunse i due metri d’altezza, quindi spalancò gli occhi e l’afferrò di scatto, alzandosi in piedi e, con tutte le sue forze ed un grugnito di fatica, estrasse dal suolo il resto di quella micidiale arma, distruggendo l’asfalto e sollevandone i ciottoli, assieme alla polvere.
A Dehya venne rivelata la testa mummificata di uno sciacallo, privo di occhi e dai denti affilati, dalle cui fauci spalancate fuoriusciva una terribile lama ricurva, realizzata in un lucido ed oscuro materiale simile all’ossidiana, su cui brillavano altre parole in lingua antichissima, brillanti di rosso come le crepe fiammeggianti sulla superficie di un vulcano.
Sotto lo sguardo sconvolto della donna, il ragazzo fece roteare la gigantesca falce sopra la propria testa, nemmeno pesasse quanto un cucchiaio, per poi sbattere la parte inferiore al suolo, generando una ragnatela di crepe sfrigolanti.
“Queste bende” Cyno voltò lo sguardo verso di lei, serio, appoggiandosi l’arma sulla spalla “mi servono per poter utilizzare appieno gli Artefatti della Duat, senza incresciose conseguenze.”  
Per tutta risposta, quell’altra sputò a terra lo stecchino nudo, puntandolo con un dito e aggrottando le sopracciglia “Ma porca put- ma tu sei uno stramaledetto Cavaliere di Anubis!”
Il Risolutore inarcò un sopracciglio “L’aver quasi rischiato di essere mangiata dalla Divoratrice non mi aveva ancora tradito? Curioso…”
“Ma… ma…” Dehya si grattò la testa nervosamente “Dico: che cazzo ti salta in testa!? La ‘Seconda Biblioteca’ non ha nulla da invidiare all’Accademia! Cosa ti ha portato a lasciare un posto decisamente molto più rinomato – ed onesto – in favore del finire sotto le direttive di quei mentecatti!?”
Il ragazzo si lisciò il mento “Già, chissà perché l’ho fatto…”
Le mani mi prudono sempre di più, stasera.
“Facciamo così” Cyno richiamò la sua attenzione, puntandola con un dito “Dopo questa Risoluzione, e soprattutto se saremo ancora vivi, io ti dirò per quale motivo non sono rimasto in Medio Oriente. Solo però se le mi spiega perché hai rinunciato ad un posto sicuro e alla sua probabilissima prossima carica come Archivista all’Accademia, in favore dell’essere braccata come una belva feroce solo per mettersi a lavorare in proprio. Può essere un’idea?”
Ah certo. E poi? Arriverai anche a chiedermi quali erano le mie cotte a scuola?
Dehya sospirò.
Quel tipo era decisamente impossibile da inquadrare. Ma, onestamente, che gliene poteva fregare a lei? C’erano due modi in cui quella missione poteva finire: l’Anomalia si rivelava un Arconte, non erano preparati e ci crepavano male. Oppure, per qualche malaugurata buona stella – che era sicura di non possedere – riuscivano in qualche modo a vincere, a sconfiggere il nemico e lei, oltre a ricevere una lauta ricompensa, sarebbe stata finalmente libera di fare il suo lavoro in pace.
Quel Cyno sarebbe uscito dalla sua vita, e lei dalla sua.
E sarebbe tornata al suo appartamento.
Da sola.
Perché questa prospettiva… all’improvviso m’infastidisce?
“Dopo di lei, Flame Mane.” voltò lo sguardo verso il ‘compagno della serata’, che le faceva segno di fare strada con il braccio libero.
La bocca della donna si fece una linea dura, ma proseguì comunque verso la cupola di tenebre.
“Solo… non usare quel titolo con me, d’accordo?” girò appena la testa, mentre gli dava le spalle “non faccio più parte dei Trenta… da molto tempo.”
Diamine. Doveva essere suonata molto più depressa del previsto, perché sentì un paio di scuse mortificate subito alle sue spalle. Cavolo, non era quello il suo obbiettivo. Non voleva essere compatita!
Ad ogni modo, adesso si trovava a poco meno di mezzo metro dalla superficie di quell’inspiegabile struttura di ombre, a fronteggiarla. Ok, come diavolo si entra nell’antro di una probabile divinità sconosciuta? Questa fu la prima domanda che si pose.
… ma che cazzo? La seconda domanda.
Dall’altra parte della cupola, come un’immagine riflessa nello specchio, sopra ad uno di quei rivoli di tenebre, in piedi come una tetra sentinella, c’era lei.
O meglio, non proprio ‘lei-lei’, ma una sua rappresentazione più o meno approssimativa interamente fatta d’ombra. Poteva riconoscere fino ai bordi del suo felpone. Oltre a quello, però, quell’immagine tremolante non aveva altri lineamenti.
Fatta eccezione per gli occhi.
Due puntini luminosi sul viso avvolto da tenebre impenetrabili, simili a minuscoli fanali.
Dehya inarcò un sopracciglio “Cosa sta su-”   
Un nuovo dettaglio apparve sul viso dell’altra se stessa: una falce di luna rovesciata.
Un agghiacciante sorriso di scherno, mentre la sua testa s’inclinava paurosamente ed innaturalmente verso destra. Fino a staccarsi ed a rotolare al suolo, con tanto di fontana di sangue nero che partiva dal moncherino. Il corpo decapitato cadde scompostamente, svanendo tra le ombre.
L’originale non fece alcun commento, quando la visione fu terminata.
“Oi, Risolutore.”
Cyno sussultò, sentendosi chiamato in causa.
“Non sono solita ad agire impulsivamente, io. Fondamentalmente perché non ho ancora ragioni valide per gettare del tutto via la mia vita.”
Sussultò ancora di più, quando quella si voltò verso di lui.
Dire che c’era della furia sulla sua faccia, sarebbe stato un eufemismo.
“Ma se qualcuno mi sfida così platealmente, potrei rischiare di non riuscire a controllarmi …” con una vena che pulsava sulla fronte, digrignò i denti in un sorriso feroce, mentre la luce della notte illuminava i canini affilati e gli occhi brillanti, assieme al realistico ricamo della leonessa sul retro della felpa “quindi stammi attaccato al culo. Non vorrei rischiare di lasciarti indietro.”
 
In realtà, tutta quella spavalderia durò ben poco, dopo aver attraversato la cupola.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=Vf76_GMlmyk]
 
La struttura era effimera, come un muro di nebbia.
Bastò posarci contro una mano, spingere in avanti, e tutto il corpo di Dehya già si trovava dall’altra parte.
Cyno la seguì a ruota, comparendo dietro di lei guardandosi attorno circospetto, in cerca di qualsiasi possibile minaccia. La lama della falce appoggiata sulla spalla rifletteva la pallida luce dei lampioni, che affiancavano la strada come guardiani immobili e silenziosi.
Già.
I lampioni.
Gli stessi lampioni che da fuori sembravano non esistere nemmeno.
Ciò che i due avevano visto oltre la cupola, dall’esterno, era completamente diverso da ciò che trovarono all’interno. Non c’erano fiumi di tenebre, nemmeno edifici fatti d’ombra. Niente era fuori posto, niente fuggiva alle leggi della realtà, a prima vista. Erano semplicemente all’interno di un piccolo borgo di periferia, notturno e sonnacchioso.
Le case erano illuminate dalle luci dei lampioni e le strade d’asfalto nero erano deserte.
E nonostante ciò, Dehya sentì angoscia e inquietudine strisciare sotto la sua pelle come vermi.
Quello… quello non era un borgo di periferia.
Quello era un set cinematografico abbandonato, che imitava un borgo di periferia.
Era troppo silenzioso, anche per un villaggio addormentato.
Troppo vuoto, troppo fasullo.
La luce dei lampioni era troppo spettrale. La volta celeste troppo nera.
Nessuna stella, nemmeno lo sguardo vacuo della luna, puntava su di loro. Tutte cose che, poco prima, si vedevano in mezzo al cielo notturno con perfetta chiarezza.
La realtà risultava appena distorta eppure la mente, per qualche motivo, era già sul punto di spezzarsi.
“P-proseguiamo.” Mormorò Cyno balbettante, superandola “Non troveremo mai quello che stiamo cercando, restando fermi qui.”
Dehya confermò a bassa voce, riprendendo a camminare per la strada vuota. E la sensazione che ogni singolo edificio la stesse scrutando, non l’abbandonò per tutto il tempo. Persino i fili d’erba perfetti, attorno ai vialetti che conducevano fino alla porta d’ingresso, parevano avere occhi.
Proseguirono nell’estremo silenzio, senza che nessun grillo cantasse, senza che nessun uccello notturno facesse loro compagnia. Soli coi loro pensieri, che man mano divenivano sempre più oscuri ed insensati. Dehya scacciò quelli che erano i peggiori scuotendo la testa vigorosamente, digrignando i denti e piantandosi una mano sulla fronte.
Quel luogo la stava facendo impazzire.
Dovevano andarsene il prima possibile.
La loro esplorazione andò avanti per un tempo indeterminato, particolarmente infruttuosa, finché i loro piedi non li portarono al luogo che, intuirono, doveva essere il fulcro principale del borgo: un parco giochi per bambini. Sopra ad una collinetta d’erba umida, disposta in un cerchio dal diametro che doveva superare i trenta metri, videro panchine, qualche altalena, un quartetto di dondoli a forma d’animale ed una larga giostra girevole. Nel centro esatto, come il castello di un vecchio e sanguinoso feudatario, l’immensa struttura di uno scivolo dai colori sgargianti e variopinti. Un’immagine che non poco stonava con il buio stantio alla quale i due si erano ormai abituati.
“… sto cominciando a perdere la pazienza.” Dehya digrignò nuovamente i denti, passandosi la mano dietro la testa “siamo esattamente certi che quaggiù ci sia una dannatissima Anomalia? Perché sicuramente qua qualcuno ci è passato a fare casino, ma non sono sicura che il colpevole sia ancora nei paraggi!”
In realtà, Dehya stava semplicemente tentando del suo meglio per inventarsi una scusa che l’avrebbe portata via da lì. Nemmeno gl’incarichi più inquietanti che aveva dovuto portare a termine coi Trenta le avevano schiacciato lo stomaco così tanto.
Dovevano andarsene. In fretta.
“A tal proposito” Cyno ruppe il ghiaccio, cambiando discorso, probabilmente perché parlando le voci che in quel momento stavano probabilmente assillando anche la sua mente si sarebbero fatte meno rumorose “per quale motivo lei non ha portato nessuna arma?”
Le luci sfarfallarono per un millisecondo.
Dehya pregò che le figure umanoidi che aveva visto per un attimo fossero semplicemente frutto della suggestione “Ragazzo…” si sforzò di sorridere, sollevando il braccio destro liberandolo da sotto la felpa e mostrando la mano coperta dal guanto nero a mezze dita, chiusa a pugno “… sono sempre stata convinta che, con una Vision simile, portarmi dietro uno strumento sarebbe stato solo un peso.”
Il Risolutore non ebbe tempo di rispondere a tutta quella forzata spavalderia.
Quando ogni singolo lampione esplose in una cacofonia di scintille, l’ultima goccia di volontà di chiacchierare si spense assieme ad ogni singola luce.
Schiena contro schiena, i due si guardarono attorno con gli occhi sgranati, senza capire come fosse possibile che, ad un buio così intenso, potessero comunque riuscire a vedere tanto bene. Li circondavano, da ogni lato, figure umanoidi prive di lineamenti, fatta eccezione per un paio di occhietti bianchi sul viso vuoto, interamente fatti di oscurità.
Alcuni di quegli esseri non superavano il mezzo metro, altri sfioravano i tre.
Tutti, puntavano con l’indice e il braccio teso gli ‘intrusi’, con le teste che si muovevano spasmodicamente come quelle di un pupazzo a molla impazzito. Non emettevano alcun suono.
“C-Cyno…”
L’altro si limitò a digrignare i denti ed a stringere con più vigore l’asta di pietra della falce, come a cercare d’infondersi coraggio.
E poi, esattamente come avevano fatto la loro comparsa… gli esseri sparirono, nel nulla.
Inghiottiti dal terreno, come risucchiati da una forza sconosciuta.
Fatta eccezione per la luce dei lampioni… tutto parve tornare alla normalità?
?
??
???
Non potevano certo saperlo con certezza.
“… che razza di spettacolino inutile era questo…?” si domandò Dehya, mentre riacquistava un po’ di autocontrollo. Poi sgranò gli occhi.
“Non credo di aver capito…” Cyno si guardò attorno, senza mollare la presa sulla falce, poi girò la testa verso di lei “… forse, l’Anomalia ha solo intenzione di spaventa-”
Le mani della compagna lo colpirono con forza al petto, facendogli sgranare gli occhi e spingendolo all’indietro. Cadde a terra con violenza, sulle natiche, e stringendo i denti alzò lo sguardo verso quell’altra, pronto a dirgliene quattro. Solo per rimanere sconvolto mentre vedeva la donna abbassare le braccia.
Poco prima di finire imprigionata da uno sciame di gigantesche mani scheletriche spuntate da una larga pozzanghera d’ombra simile a petrolio, formatasi sotto ai suoi piedi.
“SIGNORINA DEHYA!” urlò, mentre quegli arti si chiudevano su di lei con violenza, scatenando un rumoroso impatto che generò una possente folata d’aria. Dove c’era poco prima Dehya, adesso vi era uno spesso bozzolo sferico di ombre e dita ossute, gocciolante di nero.
“M-maledizione!” il ragazzo si tirò subito su da terra, facendo roteare la falce di lato e creando un lungo solco sulla strada sfregandoci sopra la lama.
Affilò lo sguardo cremisi.
Ma la sua preoccupazione fu mal riposta.
All’inizio, un paio di colonne di fumo spuntarono dai solchi tra le ciclopiche dita.
Poi raddoppiarono. Poi triplicarono.
Poi quella prigione di tenebre esplose in un’intensa esplosione di fiamme incandescenti, sbriciolandosi come fogli di carta in mezzo ad un focolare. Dehya sfrecciò al suo fianco, piegata in avanti con le ginocchia, facendolo voltare verso di lei. Le sue braccia erano avvolte dal fuoco, formando enormi corazze di fiamma che ricordavano le zampe artigliate di un mostruoso felino.
“Quindi ti piacciono i colpi bassi, pezzo di merda?” tornò eretta, sbuffando dal naso e digrignando i denti, con un serpentello di fumo che fuoriusciva dal lato destro della bocca. Sbatté i propri fiammeggianti pugni tra loro, generando una ragnatela di crepe incandescenti e fumanti sotto le scarpe da ginnastica rosse “STAVO PARLANDO COL MIO AMICO! Perché non vieni fuori così mi spieghi bene perché non posso farlo in santa pace?”
Ciò che rimaneva delle enormi braccia scheletriche, si reimmerse nella pozzanghera di buio formatasi nel centro del giardinetto. E tutto rimase immobile, per pochi secondi.
Poi… poi Dehya ne era certa come il sole, adesso estremamente lontano da qualsiasi luogo d’inferno si trovassero ora: non si sarebbe mai più dimenticata di quell’evento per tutto il resto della sua vita.
La pozza prese a ribollire.
Da essa, lentamente, presero ad emergere lentamente e danzanti, diversi tentacoli neri e gocciolanti.
Ed ecco che, in mezzo a quei tentacoli, s’eresse un pilastro.
O almeno, all’inizio era un pilastro.
Fino a quando non cominciò ad assumere una forma più nitida.
Più riconoscibile.
Il sudore del suo corpo si fece gelido, le sue gambe molli come prive d’ossa.
Il cuore cominciò a battere all’impazzata, mentre un sentimento che doveva essere la versione più antica e terribile di un terrore dimenticato, divorava qualsiasi altra sensazione.
Non si sincerò nemmeno di vedere come se la stesse passando il Risolutore, talmente era presa dallo spettacolo che aveva davanti. Spettacolo che arrivò al culmine quando, quel pilastro, raggiunse i sei metri d’altezza, assumendo lineamenti che ricordavano tanto un pastrano maschile, largo e nero come la pece, indossato da un corpo longilineo e stretto che molto lontanamente poteva ricordare quello di uomo.
Su di una testa dai lineamenti palesemente umani, spuntavano due minuscoli occhietti rossi, circolari e malevoli.
Ai lati del capo, s’estendeva la comicamente larga tesa di un alto cappello.
Cosa diavolo ci fai qui…
Aveva… parlato? No… era stata lei a parlare.
Riconobbe la propria voce.
Ma che diavolo… cosa stava dicendo?
N-non può essere vero…
L’entità inclinò la testa di lato, come un bambino curioso.
E lei continuava a parlare, a dire frasi senza un vero e proprio senso.
Quella… quella era la prima volta che vedeva una creatura simile, vero?
Non aveva mai visto nulla del genere prima, giusto?
Allora… perché era convinta che quell’altissima figura perseguitasse ogni suo incubo da che ne aveva memoria? Perché credeva di averla sempre intravista, a scrutarla dall’angolo più recondito dei suoi occhi quando camminava da sola, solo per poi svanire nel nulla ogni qual volta si voltava?
Perché… perché si sentiva così… così
ACK!
Ma si passò una mano sulle guance, scoprendole umide.
Quando… quando era stata l’ultima volta che aveva pianto?
No.
Riformulò la domanda: quando era stata l’ultima volta che aveva pianto di terrore?
Cosa diavolo stava succedendo?
Ed inconsapevolmente, i suoi occhi tornarono a specchiarsi (?) in quelli del suo interlocutore (?).
Li scoprì più profondi del più antico degli abissi. Si perse in essi.
Cyno forse parlò. La chiamò.  
Ma ormai Dehya non era più lì.
Non era più Dehya.
Non era più lei.
Adesso non era altro che una bambina lacrimante di paura, molto piccola, che si era appena svegliata nel cuore della notte a causa di un forte rumore o di un incubo, ritrovandosi impaurita tra le coperte del suo lettino e sola in una stanza che non riconosceva, che le sembrava così aliena e terribilmente spaventosa, a causa delle tenebre.
E proprio lì, nell’angolo più lontano dal letto della stanza, l’Hat-Man osservava, immobile ed impassibile con quei suoi occhietti rossi e malevoli e le mani nelle tasche del soprabito fatto di buio, trasudando tutta la malvagità e l’orrore di cui era capace.
Le ginocchia cedettero.
Cedette il coraggio.
Cedette ogni cosa.
Dehya si ritrovò a terra.
In quale maledetta storia era finita…?
Due gelide mani le presero delicatamente le guance. La costrinsero a guardare verso l’alto.
Rivide quelle sfere sinistre, come minuscoli semafori, che la scrutavano dall’abisso che divorava ogni singola luce. Come aveva fatto ad avvicinarsi così tanto senza che lei se ne accorgesse?
“… no. Non è possibile…”
Apparve, poco sotto a quello sguardo scarlatto, una falce di luna rovesciata.
Un sorriso terribile e sadico, irto di affilatissimi denti aguzzi.
Denti che servivano per strappare la carne.
E lo spirito.
Non usciremo da qui vivi, questa notte…” mormorò infine la donna, con le lacrime che ormai rigavano copiose e violentemente il suo viso.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Genshin Impact / Vai alla pagina dell'autore: Tubo Belmont