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Autore: MollyTheMole    11/06/2023    0 recensioni
Zhalia non aveva mai partecipato agli esperimenti di Klaus. Preferiva non sapere che cosa facesse nel suo laboratorio. C’era entrata, naturalmente. Aveva visto tante carte con strani incantesimi, uno svariato numero di animali morti, qualcuno in gabbia, diverse parti anatomiche in formaldeide e aveva accuratamente evitato un certo numero di porte chiuse a chiave ed insonorizzate. Amava lavorare alla ricerca di antichi manufatti, ma, crescendo con lui, si era sempre sentita una donna di scienza e la cosa l’aveva fatta sentire inadeguata. Lei era brava in informatica, sapeva far girare bene i numeri, e non credeva - sbagliando clamorosamente - che quelle capacità potessero renderla un valido agente. Lei preferiva studiare cose curiose, come la meccanica quantistica. Come può del materiale subatomico essere in due stati di esistenza contemporaneamente?
Eppure, quel giorno, un uomo che sembrava uscito direttamente dalla Divina Commedia l’aveva messa di fronte all’amara verità.
Ovvero, che lei stessa era il gatto di Schrodinger.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dante Vale, Zhalia Moon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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3. Quel giorno più non vi leggemmo avante

 

Zhalia era seduta su un aereo.

Non avrebbe mai creduto di poter definire un aereo il posto più surreale che avesse mai visto, ma scoprì di essere a corto di altri appellativi. 

Di fronte a lei c’era Dante Vale, in bermuda a fiori, che sorseggiava una bevanda con tanto di ombrellino e con i piedi poggiati sullo schienale del sedile di fronte.

- Non sai che è maleducazione? Disturbi i passeggeri e i tuoi piedi di sicuro non profumano di acqua di colonia!-

Per tutta risposta, quello si tirò su gli occhiali da sole e le tese il bicchiere.

- Goditi la vita, Zhalia! Trattati bene tra una missione e l’altra!-

La ragazza roteò gli occhi, biasimando ogni singola fibra del corpo del cercatore seduto di fronte a lei e decise di guardare fuori.

Con suo grandissimo sconcerto, stavano volando sul nulla, in mare aperto, e non c’era traccia di terra all’orizzonte.

L’assistente di volo con il carrello del pranzo sfrecciò in corridoio passando tutti i sedili senza nemmeno calcolarli, mentre borbottava tra sé, come se fosse in stato di shock:

- Non possiamo atterrare. Non c’è personale. C’è sciopero.-

Zhalia le fece presente che stavano volando sopra l’oceano, ma quella non la considerò neppure.

- Non possiamo atterrare. Non c’è personale. C’è sciopero.-

Bah.

Poi, d’un tratto, sentì qualcuno ridere in modo strano, una risata stridula con uno strano soffio, come di aria che passa da un grosso foro tra i denti. 

Si voltò per guardarsi alle spalle e rimase a bocca aperta quando scorse lo strano uomo con la scala che aveva incontrato a Venezia, mentre borbottava in quella lingua strana:

- De corsa, che mi me tòca tajare la verza!- 

Tanto ci capivo prima, tanto ci capisco adesso.

Poi, ad un tratto, una forte turbolenza prese a far tremare l’aereo. Zhalia si tenne stretta al sedile e cominciò seriamente a pensare di star precipitando. Sentiva la testa pesante, come se fosse pericolosamente inclinata in avanti e in balìa della gravità.

  • Zhalia?-

La voce di Dante le giunse alle orecchie, e lo osservò mentre, seduto sul sedile con i piedi nudi e i bermuda a fiori, la fissava e la chiamava.

  • Zhalia!-

Ma che accidenti…

 

- Non sto dormendo!- disse, aprendo gli occhi di botto e trovando inginocchiato di fronte a lei un Dante Vale tutto sorridente, che teneva una mano sulla sua spalla e una sulla sua gamba e la faceva dondolare lentamente cercando di svegliarla.

- Non ne dubito.- disse, con quella sua solita malizia negli occhi.- Hai tenuto soltanto gli occhi a riposo per un’ora.-

Un’ora?

Guardò l’orologio digitale del televisore e notò con rammarico che segnava le quattro e mezza del pomeriggio. 

Si era veramente addormentata per un’ora filata?

Stava sbagliando tutto.

Mai addormentarsi con la propria vittima ad un tiro di schioppo.

Che accidenti mi sta succedendo?

Abbassò lo sguardo con aria colpevole.

- Scusa.- mormorò, sincera.- Saremo in ritardo, immagino.-

- Dipende da cosa intendi per ritardo. La sede della Fondazione chiude alle sette quindi immagino che no, non siamo in ritardo. Hai ancora un po’ di tempo per svegliarti ben bene. Ah, giusto, non stavi dormendo, vero?-

Zhalia si strofinò gli occhi con il dorso della mano, cercando di riprendere gradualmente conoscenza ed ignorando volutamente la battuta di quel maramaldo da strapazzo. 

Ancora lo vedeva con i bermuda a fiori.

All’improvviso, uno strano senso di freddo si impadronì di lei, come se avesse avuto la febbre, o come se si fosse appena tolta una coperta di dosso e ne sentisse la mancanza. Si guardò attorno, spaesata, accorgendosi di essere in un luogo che non le era affatto familiare - in una casa di cui conosceva solo due stanze, se si escludeva il bagno - e soprattutto di essere vicina al suo nemico numero uno, un uomo che le era stato insegnato di dover temere. 

Sotto sotto, chi non era un pericolo per lei? Tutti quanti hanno degli interessi, tutti sono pronti a tradire i loro cari per conseguirli. Le era bastato accompagnare un’amica avvocato - cioè, un’informatrice - in tribunale per rendersi conto di quanta gente c’era che aveva voglia di litigare, e per delle piccolezze per di più, a fronte delle quali le parti in causa si facevano i peggiori dispetti.

Zhalia era sola. Non aveva nessuno, a parte Klaus, del quale non si fidava per ovvi motivi. Non appena aveva potuto, se ne era andata da quella libreria scura in Via degli Alchimisti ed aveva preso un appartamentino tutto per sé nella sua Rotterdam, la città che le era stata familiare e che allo stesso tempo le aveva rovinato la vita. Non era niente di speciale. Una stanza con soppalco in pieno centro, all’interno di un condominio ultramoderno. Un buco piccolo ma avvolgente e soprattutto molto luminoso. 

Aveva tutta la luce che le era mancata, chiusa per anni in quel bunker sotto la strana libreria di colui che chiamava padre.

Essere soli aveva i suoi vantaggi. Poteva fare qualunque cosa senza dover rendere conto a nessuno. Poteva fare colazione a letto e restare un pomeriggio intero a guardare Gareon acchiappare le mosche invece di allenarsi. Poteva cenare di fronte ad un film strappalacrime con i toast e la cioccolata. Tanto Klaus non lo sapeva. Quando la chiamava, bastava dirgli sì sì, ho fatto tutto, tranquillo, e lui era contento.

La solitudine, però, aveva anche i suoi difetti, e non erano pochi. Quando sei da solo, nessuno ti aiuta se ti senti male. Dal medico ci devi andare con le tue gambe, in farmacia anche. Se il portinaio non c’è i pacchi tornano al mittente. Le spese del vitto e dell’alloggio, le tasse non sono condivise. E uno ogni tanto soffoca.

A volte, per strada, si sentiva vuota, sola. Si guardava attorno e si domandava che cosa ci facesse in quel posto affollato di gente in cui non conosceva nessuno, nessuno parlava, nessuno staccava gli occhi dallo schermo del telefono, nessuno si sfilava le cuffie dalle orecchie quando chiedeva un’informazione.  

Ecco, in quei momenti in cui il vuoto si impadroniva di lei, si stringeva le braccia attorno al corpo ed andava avanti. Alla fine, si va sempre avanti, anche se non si vorrebbe. Anche se si vorrebbe urlare. Anche se ci si sente male.

Quella non era decisamente casa sua. C’era una bella differenza tra la sua tana in un quartiere di una metropoli affollata e la villa del Cinquecento dai colori caldi in cui viveva il suo nemico numero uno. 

- Stai bene?-

- Come?-

Dante la stava guardando, con le spalle incastrate nell’angolo, l’aria di chi aveva capito tutto stampata sul volto.

Quanto mi fa imbestialire quest’uomo, convinto di sapere tutto ciò che in verità non sa.

- Ti ho chiesto se stai bene.-

- Certo.-

- Non voglio farmi gli affari tuoi né metterti a disagio, ma questo tuo stringerti nelle spalle…- e mimò il gesto di avvolgersi le braccia attorno al corpo. - Ecco, è da quando sei arrivata che ti comporti in modo strano. Se non ti senti bene ti capisco, dev’essere stata davvero una pessima giornata per te. Possiamo dire al Consiglio che ci prendiamo un giorno in più prima di partire, se ne hai bisogno.-

- Ti ho detto che sto bene, anzi, andiamo?- concluse, balzando in piedi.

Non voleva continuare quella conversazione.

Decise che la causa del sul torpore e dei suoi sogni strani dovesse essere stato il vino. Di solito non beveva molto.

Le sarebbe passato presto.

- Se lo dici tu.- concluse Dante, afferrando l’impermeabile. 

La seguì fuori dal portone e lungo le scale. Era ancora caldo, nonostante il sole avesse passato lo zenit. Posò lo sguardo sulle increspature dell’acqua del canale. Un gondoliere era appena passato. Dei piccioni si erano levati alti nel cielo lontano, direttamente dalle cupole di San Marco.

Sogghignò, malizioso.

Aveva in mente un bel piano, che avrebbe attuato dopo la loro scampagnata alla sede della Fondazione. Un piano che aveva accuratamente progettato nei giorni precedenti e che Milano Malpensa aveva quasi rischiato di mandare a monte. Per fortuna non c’era riuscita. 

Oggi desisterai dal tuo intento, Zhalia Moon.

 

Per strada il silenzio si era fatto di piombo. Zhalia si guardava attorno, godendosi finalmente il bellissimo panorama che offriva la città di Venezia. I luoghi turistici ed affollati erano bellissimi, ma lei aveva sempre avuto una passione sfegatata per i luoghi dimenticati, i piccoli scorci, quegli sprazzi di artisticità che emergevano in contesti di assoluta normalità. Quell’angolo di Venezia regalava perle bellissime, come il ponticello vicino al cortile della casa di Dante. 

Lo stesso cercatore che non le aveva mai tolto gli occhi di dosso mentre le camminava a fianco, tenendosi appena dietro di lei. Non sapeva spiegarsi per quale motivo non la affiancasse definitivamente. Poteva percepire il suo sguardo sulla nuca e si sentiva esposta, scoperta, vulnerabile. 

Tossicchiò ed attaccò il discorso con la prima domanda che le venne in mente pur di rompere quel silenzio imbarazzante e costringere il giovanotto ad accelerare il passo.

- Sei nato a Venezia?-

- No, a Firenze. A Venezia ci sono piovuto anni fa.-

- Esigenze della Fondazione?-

- Anche. C’è stato un periodo in cui ho avuto spesso bisogno di passare il confine dello Stato italiano, così ho preferito un luogo più di frontiera alla mia città natia. Doveva trattarsi di una soluzione temporanea, poi è diventata stabile e posso dire di essere contento così.-

Zhalia potè percepire una nota di malinconia nel suo linguaggio, verbale e non verbale. Intuì che oltre confine dovesse esserci qualcuno a cui voleva molto bene e prese nota di questo fatto. 

Avrebbe dovuto indagare a fondo quell’aspetto.

- E tu, invece?-

Presa in contropiede, Zhalia trasalì. 

- Che mi dici di te?-

- Io?- fece, passandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. - Non saprei da dove cominciare.-

- Magari dal posto in cui sei nata?-

- Il punto è che non lo conosco. Credo che sia Rotterdam, ma non ne sono certa.- 

Sentì gli ingranaggi nella mente di Dante ponderare bene le parole.

- Ho toccato un tasto dolente?-

- No. Non ho mai conosciuto la mia famiglia. Tutto quello che ho è un atto di ammissione in orfanotrofio. Nulla di più. Potrei anche essere nata ad Anderlecht ed essere stata abbandonata lì. Chi lo sa. Però ho vissuto per gran parte della mia vita a Rotterdam e l’olandese è la mia lingua madre, quindi…-

- Capisco. Se avessi anche solo immaginato, non avrei chiesto.-

- No, va bene.-

Il primo approccio era sempre il più imbarazzante. Del resto, Zhalia faceva cilecca proprio sui convenevoli di rito per cominciare un’amicizia o una frequentazione qualsiasi che potesse dirsi normale. La gente di norma chiede nome, cognome, origine, interessi…

Nome: Zhalia. Forse. Chissà chi me lo ha dato e perché.

Che lingua è? Bah, non l’ho mai capito. Forse greco. Forse no.

Cognome: Moon. E’ davvero il mio? Bah, nessuno me lo ha mai davvero spiegato.

Età: ventisette anni, ammesso e non concesso che abbiano contato bene quando mi hanno ammessa in orfanotrofio.

Origini: forse olandesi. Forse no. Forse sono di Rotterdam, se non spunta qualcosa di diverso. 

Interessi: risolvere misteri per un’Organizzazione che sta cercando di dominare il mondo con l’ausilio di poteri magici ed antiche creature. 

E tu, che fai nella vita?

Meno male che aveva imparato presto a svicolare. 

- Ho capito che non sei originario di qui dall’accento. Non parli come le persone a cui ho chiesto indicazioni.-

- Vuoi dire che non parlo con le vocali pronunciate e le esse da tutte le parti?-

Fece ancora quella bella risata calda e gorgogliante, che veniva dal cuore. 

Zhalia fu costretta ad ammettere che sapeva fare buon uso del suo fascino.

- Il veneto è una lingua bellissima, ma l’italiano nasce dal fiorentino, è normale che il mio modo di parlare ti suoni più familiare.-

- Aspetta, non sei inglese?-

- Mio nonno lo era. Io sono italiano, nato e cresciuto qui. Cioè, a Firenze. Veneziano d’adozione. Ormai parlo anche un po’ di veneto, anche se non sono un asso. Strano, però, che ti abbiano parlato in dialetto. Soprattutto in posti turistici come questo l’inglese è di pubblico dominio, ormai.-

Zhalia allontanò dal viso i capelli mossi dal vento.

Ma perché non li ho legati stamattina?

- Ho chiesto informazioni ad un tizio curioso che girava vicino al teatro con una scala sulla spalla. Pensavo che fosse un artigiano che lavora lì, invece mi ha detto qualcosa - almeno credo, spiccico giusto due parole di italiano - a proposito di tagliare un oggetto che si chiama verza…-

Dante trasecolò e scoppiò a ridere di gusto, proprio di cuore.

- Non ci credo! Di tutti i veneziani che potevi incontrare hai chiesto informazioni turistiche a Domè del ponte?- 

Zhalia alzò le sopracciglia senza capire.

- Non saprei. Forse?-

- Direi di sì. Verza in veneto significa cavolo, e Domenico è famoso per la sua strana mania di fare l’orto in alto. Abita in una viuzza laterale piuttosto buia attraversata da un canale, che più che un canale è un rigagnolo. Casa sua è collegata alla casa di fronte da un piccolo ponticello. E’ convinto che il tetto sia l’unico posto in cui le verdure prendono il sole e, soprattutto, in cui nessuno della soprintendenza e delle belle arti verrà mai a dirgli qualcosa perché ha fatto l’orto. Peccato che adesso ce l’abbia coi piccioni. Ha rischiato più di una volta di cadere di sotto. Una volta lo hanno trovato appeso per la salopette al ponte perché era caduto dal tetto, e da quel giorno si è munito di scala. Per questo lo chiamano Domè del ponte. Ci sono voluti tre gondolieri con le picche per tirarlo giù senza farlo cadere nel canale.- 

Zhalia rise di gusto.

- E poi, se ti ha parlato in una lingua simile al serpentese, poteva essere soltanto lui, perché non ha i denti…-

Un attimo.

Aveva riso.

Di sua spontanea volontà.

Non lo aveva fatto per fargli credere di essere pazza di lui.

L’aveva fatto sul serio!

Mi devo riprendere, accidenti!

- Sì, direi che serpentese è la definizione giusta! Però, anche se a gesti, fino a casa tua mi ci ha portato, e credo di doverti riferire che ce l’ha con te. Non ho capito per quale motivo, ma credo che si aspettasse che tu gli dicessi qualcosa che non gli hai detto.- 

- Lascialo perdere, fa sempre così quando vede una donna aggirarsi nei pressi di casa mia. Mi vuole accasare da anni, ormai, specialmente da quando l’ho aiutato a montare i mobili dell’Ikea. Aveva perso tutte le brugole, non si sa come le aveva spedite quando sotto il divano, quando sotto la cucina. Alcune le ho trovate persino sotto il vecchio mobile del bagno.-

Quindi, se quel pazzerello voleva vederlo sposato a tutti i costi e gli andava bene qualsiasi donna gli passasse vicino, c’erano ottime possibilità che il bel cercatore fosse ancora scapolo.

Il che le avrebbe spianato definitivamente la strada.

- Dici che mi ha scambiata per la tua fidanzata?- 

- Scambia chiunque per la mia fidanzata. Anche Antonella, la mia vicina con i gatti.-

- E lei è d’accordo?-

Dante alzò visibilmente un sopracciglio e Zhalia si lasciò intimidire, nonostante l’evidente ironia della situazione.

- Antonella non lo sa, per fortuna. La mia fidanzata? Se ce l’avessi, non credo che lo sarebbe, ma dal momento che non esiste penso che il problema non si ponga.- 

Zhalia si trovò a corto di argomenti un’altra volta e questo significava trovarsi in imbarazzo.

- E’ molto lontano?-

- Cosa, la Fondazione? No, solo un paio di strade. Non ci metteremo molto. Ah, a questo proposito, hai un posto dove dormire?- 

Zhalia sentì una brutta sensazione di freddo pervaderle lo stomaco. 

Non poteva essere. Va bene, Dante Vale era un volgare farfallone capace di far cadere ogni donna ai suoi piedi utilizzando tutto il suo charme, ma non poteva davvero credere che lei si sarebbe prestata al suo gioco praticamente subito, qualche ora dopo essersi incontrati. 

Doveva essere chiaro che lei non avrebbe mai e poi mai dormito a casa sua quella sera. 

- Ci sarà un albergo in tutta Venezia che abbia una camera libera per me.-

- Dato il periodo sinceramente ne dubito, ed anche se tu trovassi qualcosa, temo che ti svuoterebbe il portafogli.- 

Zhalia sentì all’improvviso il bisogno di allontanarsi da lì e scappare lontano. 

Al diavolo Klaus e la sua missione. Era evidente che lei era ancora debole e forse lo sarebbe sempre stata. Non avrebbe avuto tutta la gloria che voleva. Lei non era nient’altro che una goccia in un mare di altre gocce e non avrebbe mai mosso i fili della propria vita per il semplice fatto che non era disposta a fare qualsiasi cosa per ottenere il potere di farlo. 

Non avrebbe mai sacrificato la sua dignità per una missione. 

- Non penso di avere alternative, non trovi?-

Doveva essere stata molto fredda e sulla difensiva, perché potè notare un certo irrigidimento nel corpo del giovane cercatore.

- Ho preparato la stanza degli ospiti. Se vuoi, stanotte puoi stare da me. Ammesso che la cosa non ti metta a disagio, naturalmente.-

Diamine, il ragazzo sa flirtare pesante.

Zhalia era consapevole che rifiutare quell’offerta le avrebbe complicato immensamente la vita, soprattutto in quella giornata in cui tutto sembrava andare storto, ma l’idea di condividere la stanza con quell’uomo che conosceva a mala pena la soffocava. 

- Vedremo.-

Dante abbozzò un sorriso malizioso e Zhalia ebbe la conferma che quella giornata, già cominciata male, sarebbe andata a finire ancora peggio.

Se il giovane cercatore aveva voluto confermare la sua ipotesi - ovvero che la bella signorina Moon era in realtà una creatura fragile invischiata in una trama più grande di lei, le cui conseguenze non voleva del tutto - aveva appena trovato la sua conferma. Qualunque compito le fosse stato affidato la terrorizzava. Era evidente che Zhalia non voleva rimanere da sola con lui, nemmeno sotto tortura, nemmeno se questo avesse significato dover riprendere un aereo quella sera stessa. 

Parte del suo comportamento, però, lo faceva ben sperare. C’erano momenti in cui Zhalia perdeva genuinamente ogni freno inibitore. 

A meno che non stia recitando. In tal caso, dovrebbero darle un Oscar.

Dormire con la propria - probabile - aguzzina nelle vicinanze era un azzardo bell’e buono, ma rideva alle sue battute, di una risata genuina e saporita che gli faceva dubitare delle sue capacità drammatiche. 

Parte di tutta questa sceneggiata è reale.

Così, aveva sfruttato la situazione ed aveva cercato di metterla a proprio agio, facendola sentire apprezzata e al sicuro, magari anche un po’ corteggiata. La sua reazione, fino a quel momento, era andata ben oltre ogni previsione, forse finanche oltre ogni previsione della stessa Zhalia. 

Gli era sembrata sinceramente interessata quando aveva cercato di informarsi sulla sua fantomatica fidanzata. 

Non poteva rovinare tutto, se voleva portare a termine il suo piano. L’aveva fatta sentire esposta e avrebbe dovuto rimediare.

- Se preferisci, c’è una locanda piuttosto comoda un paio di incroci più in là. Altrimenti puoi usare la foresteria della Fondazione, anche se non te lo consiglio. Le pareti sono di carta velina e gli agenti vanno e vengono a tutte le ore. Rischi di non chiudere occhio per tutta la notte.- 

Dante osservò il volto della ragazza rischiararsi in un’espressione di sollievo e si domandò che cosa potesse terrorizzarla tanto, che cosa ci fosse di così scandaloso nell’ospitarla una notte a casa sua. 

Dal canto suo, Zhalia cominciava a sospettare di star proiettando i propri fantasmi là dove non ve ne erano.

- Ti ringrazio. Magari dopo do un’occhiata.-

 

Ciò che il Consiglio Huntik aveva loro inviato non era altro che una manciata di fogli pinzati e chiusi dentro una cartellina sottile. Per sbrigare la pratica ci misero giusto qualche minuto. Il custode li stava aspettando e salutò Dante con gioia quando lo vide arrivare. Fece un saluto caloroso a Zhalia e poi ammiccò alle sue spalle rivolto al cercatore. 

Ancora? Questo Dante Vale, nonostante i suoi talenti, deve essere scapolo da tanto se tutti gli stanno cercando una fidanzata.

Le venne da ridere al pensiero che il genio della Fondazione in realtà non riuscisse a battere chiodo. 

Con sua grande sorpresa, scorse Dante riflesso nella finestra fare un gesto amichevole al custode, invitandolo a non commentare oltre e a tagliare corto.

Forse, Zhalia stava davvero proiettando i propri fantasmi in contesti in cui non ve ne erano.

Si promise di rimanere più razionale per quel che restava della giornata.

Seduta alla scrivania, osservò Dante firmare un po’ di carte. Gli fece eco pochi secondi dopo. Un paio di strette di mani e tante buone cose. 

Si trovarono fuori in men che non si dica, immersi in un imbarazzante silenzio.

E ora che si fa?

Non dovette pensare a lungo, però, perché il bel cercatore aveva evidentemente qualcosa in serbo per lei.

Zhalia non sapeva se esserne felice o meno.

- Bene, quindi…-

- Quindi abbiamo tutto il resto del pomeriggio davanti. Per farci un bel giro è più che sufficiente. Sei mai stata a Venezia prima d’ora?-

- Onestamente no.-

- Bene. Allora vieni con me.-

E prima che Zhalia potesse replicare, Dante Vale l’afferrò per mano e la trascinò al riparo di un antico porticato, camminando spedito verso un luogo a lei del tutto ignoto.

Dal canto suo, il giovane cercatore aveva tutta l’intenzione di giocarsi il tutto e per tutto.

Del resto, quello era proprio il caso di dire che si trattava di una questione di vita o di morte.

Se fosse riuscito a vincere la sua resistenza - non a farla innamorare, sarebbe stato chiedere troppo; era sufficiente che si fidasse di lui, magari ciecamente - non gli avrebbe mai fatto del male. 

In fondo, lei era buona.

Tra lui e la carriera, avrebbe scelto lui.

O almeno, sperava.

Zhalia invece aveva una boccia di pesci rossi piena d’acqua al posto del cervello. Il contatto con la sua mano era stato fugace. Aveva sentito le dita del bel cercatore serrarsi per una frazione di secondo attorno alle sue, il tempo necessario per spingerla sotto il portico e farla camminare di fronte a lui. Nulla di più che un mero contatto funzionale, ma tanto era bastato per annullare il controllo della cercatrice sulle sue emozioni. 

Aveva istintivamente ritratto la mano per allontanarsi il più possibile da lui. 

Non essere sciocca, è un ottimo segnale. Significa che, nonostante tutti gli intoppi, il tuo piano sta funzionando.

A Zhalia, però, faceva ribrezzo quel piano. 

Quando avevano deciso, si erano riuniti in una stanza Klaus, il Professore e Rassimov. Zhalia non si fidava di nessuno dei tre. Klaus era l’uomo che considerava un padre, ma che a tratti la trattava come un utile strumento e niente di più. Il Professore, il capo indiscusso dell’Organizzazione, era noto per avere poteri di manipolazione mentale.

Non era un caso se gli incantesimi di protezione della mente erano stati i primi che Zhalia aveva imparato. 

Per quanto riguardava Rassimov, di lui non si fidava nemmeno Klaus. Non ne aveva fatto un ritratto molto invitante. Com’era che lo aveva definito? 

Ah, sì.

Un uomo spietato e senza scrupoli. Tutti lavoriamo per nostro tornaconto, ma Rassimov ha una personalità talmente doppia che non gli affiderei nemmeno i tuoi pesci rossi.

Alla fine di quell’incontro, Klaus era tornato a casa illustrandole il piano.

Zhalia era stata d’accordo solo in parte.

Insomma, finalmente qualcuno si prende la briga di sistemare quella spina nel fianco che è Dante Vale, ma devo farlo proprio così? Insomma, Klaus, conosci la mia storia. Non è che impazzisca all’idea.

Da quella discussione, però, non era riuscita a cavare un ragno dal buco e si era conclusa con una solida ribadita.

Quindi la mia opinione non conta nulla?

Beh, tecnicamente no.

Per quanto Zhalia stesse dunque cercando disperatamente un modo per risolvere la situazione, ormai la strada era tracciata e non vi era una consistente via d’uscita.

E’ solo che non sono abituata al contatto fisico.

Era una scusa da poco. Non era vero che Zhalia non era abituata al contatto fisico, era lei stessa a rifuggirlo come la peste.

C’era di buono che, nonostante diffidasse profondamente di Dante Vale, non era aggressivo né volgare. Aveva messo in chiaro con classe che ci stava provando ed aveva negato con tutto sé stesso l’evidenza per rendere la pantomima ancora più credibile. Non aveva mai esagerato. Aveva lasciato che fosse lei a dettare i tempi. Per ogni proposta avanzata, il giovane cercatore aveva in serbo un’alternativa eticamente più accettabile, e per ogni avance mossa le lasciava lo spazio per replicare, prendere l’iniziativa o nessuna delle due. Si era tenuto su una forma di corteggiamento galante, fatta di buon cibo, buon vino, fugace contatto fisico e soprattutto spiccato umorismo, a modo suo talmente serio che poteva quasi piacerle.

Quasi.  

Dante non le piaceva e non poteva piacerle. Sotto questo profilo, era un povero illuso, lui e tutta la sua combriccola di amicizie e conoscenze veneziane che da un pezzo a questa parte gli stavano cercando moglie. 

Come avrebbe potuto ucciderlo, altrimenti?

Doveva ammettere, però, che con le donne ci sapeva fare.

- Dante, dove stiamo andando?-

- In piazza San Marco, ovviamente. Non puoi andare via senza averla vista.-

E Zhalia capì che aveva intenzione di conquistare il premio di quella sera facendole fare il giro romantico di Venezia.

Solito cliché. Che caduta di stile. 

Pensare che bastasse un bel pranzo cucinato con le sue belle manine, una bella statua, magari un giro in gondola per vincere la sua incertezza mandava la cercatrice su tutte le furie, e si convinse ancora di più che no, quella sera lei  avrebbe dormito da un altra parte. 

- Magari possiamo dare un’occhiata a qualche hotel nei paraggi?-

Il sorriso sul volto di Dante non si spense.

- Ovviamente.-

Se credeva davvero di riuscirci, il ragazzo si stava decisamente sopravvalutando.

All’andata, Zhalia aveva attraversato piazza San Marco quasi di corsa. Non si era concessa il lusso di fermarsi a guardare. Lo scorcio, però, era stato suggestivo anche così. Adesso, Dante le stava offrendo la possibilità di ammirare con calma nella colorata luce della sera incipiente un vero e proprio capolavoro di arte e storia. La basilica sembrava un palazzo uscito dalle fiabe che galleggiava senza peso, nel niente, scivolando sull’acqua. Zhalia rimase incantata dalle cupole dorate e dal rumore dei gabbiani, dallo sciabordio leggero dell’acqua e soprattutto dal sole, che scintillava abbagliante sulle guglie.

- E’ magnifica.- disse, e lo pensava davvero.

- Dentro è ancora meglio. Vuoi entrare? Oggi che si festeggia lasciano aperta la cattedrale per le visite qualche ora in più.-

Fu così che Dante Vale l’accompagnò in un piacevole giro turistico della basilica. Piacevole, sì, perché per una volta Zhalia fu accompagnata da uno chaperon che stava zitto. Dante non fiatava, mentre sfilava al suo fianco attraverso le navate ed ammiravano con il naso all’insù i bellissimi mosaici dorati. Non sentiva evidentemente il bisogno di mostrarle quanto fosse bello, bravo e talentuoso facendo sfoggio di tutte le sue conoscenze. Zhalia apprezzò molto questo suo comportamento. Era perfettamente in grado di distinguere la maggioranza degli artefatti antichi presenti dentro la cattedrale senza che lui sentisse il bisogno di insegnarle il mestiere. 

Solo di tanto in tanto il bel cercatore raccontava qualche aneddoto curioso nel tentativo di farla ridere. Suo malgrado ci riuscì quando raccontò di un parroco che, rimasto attaccato all’incensiere, finì a gambe all’aria e puzzò di incenso per due settimane, oppure quando le riferì che una volta un incauto consigliere comunale si lasciò sfuggire che, in verità, uno dei calici in pietra dura del tesoro di San Marco era il Sacro Graal.

- E lo era?-

- Figuriamoci. Doveva essere una battuta per prendere in giro i complottisti, ed invece ha dovuto spingere il Sindaco a fare un’ordinanza per tenerli lontani.-

La fece passeggiare anche sulle guglie, sotto le cupole, ammirando la città dall’alto e guardando i piccioni volare verso il sole. Dante aveva ragione quando diceva che era dotato di un pass speciale, che consisteva in nientemeno che un bell’Hyperstride diretto sulla vetta della basilica.

Quello sarebbe stato un ottimo momento per tentare un approccio. Il posto era bello, l’atmosfera era romantica e non avevano il lavoro ad impedire loro di comportarsi come due persone normali. 

Il pensiero la innervosì e Dante se ne accorse. Per questo motivo preferì dirottare la sua attenzione su altro.

Anche questa volta Zhalia dovette riconoscere che il ragazzo aveva classe e sensibilità.

- Vedi quel palazzo laggiù? E’ la sede distaccata del Comune. Lì lavora l’attendente del Sindaco che riferisce alla Fondazione Huntik. E’ un cretino di prima categoria, un certo Moscardini.-

- Come l’animale?-

- Sì, come il polipo. Come lo sai?-

- Me ne hanno offerto un piatto una volta a Capri.-

- Sicuramente erano meglio di questo qui. Siccome nessuno vuole averci a che fare, indovina chi ci hanno mandato?-

- Te?-

Dante fece un gesto con le mani come a dire e certo.

- Quello là invece è il molo dove attraccano le navi, anche quelle da crociera. In molti ne hanno fatto una battaglia, dicono che sono pericolose e deturpano il paesaggio.-

- E tu che ne pensi?-

- Preferisco tenermi fuori dalla politica locale, ma una volta ho visto uno di quei giganti triturare un peschereccio in porto perché aveva calcolato male la velocità d’attracco. Meno male che non c’era nessuno a bordo. Tragedie del genere si possono sicuramente evitare. Che dici, scendiamo? Tra poco calerà il vento e quassù farà troppo caldo per restare.-

Mentre si mescolavano alla folla e si apprestavano ad uscire dalla basilica come dei normalissimi turisti, Dante decise di stupirla ancora una volta. 

- Sembrerò un disco rotto, ma non posso fare a meno di notare che ti senti a disagio, e mi dispiace se proponendoti di fermarti da me ti ho messo in una brutta posizione. Non vorrei che tu male interpretassi la mia proposta. Davvero ho preparato la camera degli ospiti. Forse l’hai vista, è la stanza di fronte al bagno. E’ tua per stanotte, se vuoi. Se ciò che ti impensierisce è quello che penso io, sei completamente fuori strada. Non sono quel tipo di persona.-

Zhalia non sapeva che dire.

Veramente aveva intenzione di lasciarla dormire?

Soltanto dormire?

Nella sua esperienza di spia, in tal caso, Dante era forse il primo uomo a farle una proposta simile in completa buona fede. Questo lo portava immediatamente al primo posto della lista. 

Dei buoni o dei fessi, questo ancora non lo sapeva.

Ma a lei non piaceva, eh. Assolutamente no.

In piazza centinaia di turisti vagavano nei dintorni, armati di macchina fotografica, cercando di catturare i ricordi.

Cercarono di attraversare la piazza, ma con un colpo di vento tutti i piccioni si alzarono in volo, investendoli in uno stormo scuro che sembrava senza fine.

Dante la guardò ripararsi la testa con le mani e cercare di evitare i piccioni. La guardò ondeggiare sui piedi, incerta. Vide il vento sollevarle un poco la gonna e spettinarle i capelli. Poi la guardò ridere di gusto mentre gli uccelli le volavano attorno, persa nella magia di quello stormo nero che si librava nella luce di un sole che ormai stava cominciando a tramontare, e si disse che era bella, troppo bella per essere reale, forse la creatura più bella che avesse mai visto, e quella risata, cristallina, pulita, genuina, le si addiceva molto di più di quell’espressione sempre seria ed imbronciata che aveva la maggior parte delle volte. 

Si chiese che cosa le fosse capitato per renderla così triste e cupa, e si disse che forse non voleva saperlo.

Zhalia era rimasta nel mezzo alla piazza, a guardare lo stormo di piccioni che diventava sempre più piccolo. Un refolo di brezza, uno dei pochi e degli ultimi di quella giornata afosa, le fece oscillare ancora la gonna. Dante la guardò togliersi i capelli dal viso, con ancora l’ombra di un sorriso sulle labbra, e si chiese se veramente un angelo come lei potesse essere cattivo. 

Si vergognò un po’, anche solo per aver dubitato di lei.

- Pensi che l’albergo possa aspettare qualche minuto?-

La ragazza, con una mano dietro l’orecchio per sistemarsi i capelli, parve non capire.

- Vieni con me, c’è qualcos’altro che mi piacerebbe farti vedere.-

E, sfiorandole di nuovo la mano, la trascinò via tra la folla.

 

Avevano camminato per qualche minuto lungo uno dei tanti canali di Venezia, alla ricerca di qualcosa che Zhalia non aveva ben capito. Dante, in proposito, aveva la bocca cucita e i pochi tentativi che la ragazza aveva fatto per riuscire a capire dove la stesse portando erano andati completamente a vuoto. Il bel cercatore aveva eluso le sue domande con i suoi soliti sorrisi maliziosi e qualche aleatorio vedrai

- Non mi piacciono le sorprese.- 

- L’ho notato.-

Si accorse che stavano girando attorno all’area di San Marco. Zhalia non aveva avuto molto tempo per studiare la mappa di Venezia, ed anche se ci fosse riuscita in breve tempo avrebbe dimenticato l’innumerevole quantitativo di meraviglie che quella città sapeva nascondere. Ovunque si girasse spuntavano capolavori e scorci mozzafiato. 

Fu presa dalla disperazione quando si accorse che Dante la stava conducendo su un ponte affollatissimo di turisti. L’idea di restare a contatto con un sacco di gente sudaticcia e maleducata, dopo il viaggio che aveva fatto quel giorno, la disturbava. Con sua grande soddisfazione, però, il giovane cercatore la fece svoltare in una strada laterale.

- Dove stiamo andando?-

- Siamo arrivati, Miss Impazienza.-

Zhalia si trovò ben presto su un tetto umido e coperto di muschio. L’incredibile agilità di Dante Vale gli permettevano di restare in piedi su quella superficie scivolosa e stretta senza cadere nel canale, nonché di sparire al momento giusto, prima che qualcuno potesse vederlo, raggiungerlo e multarlo. 

Lei, forse, non era altrettanto capace, ed osservò con sospetto l’acqua maleodorante sotto di loro. Voltò lo sguardo a destra e a sinistra dentro quella gola stretta tra due palazzi, soltanto per accorgersi che il bellimbusto italiano l’aveva portata nel posto più romantico di tutta Venezia.

- Il Ponte dei Sospiri?-

- Esattamente.-

Le venne da ridere.

- Tu sei proprio sicuro che non ci stai provando con me?-

Dante le restituì il sorriso.

- In verità, c’è ben poco di romantico nel Ponte dei Sospiri. Collega il Palazzo Ducale alle Prigioni Nuove. Fu Lord Byron, rifugiatosi a Venezia per scappare dai creditori, a dargli questo nome. Non si tratta di sospiri romantici, bensì di quelli dei carcerati che guardavano per l’ultima volta la luce del sole dalle finestre del ponte. Puoi scegliere, dunque, se credere che stia cercando di provarci con te portandoti in uno dei luoghi più famosi e romantici di Venezia, o se credere che io stia cercando di provarci con te portandoti in carcere. Con la seconda avresti sicuramente un aneddoto da raccontare!-

Nonostante l’allusione infelice - se fosse stata scoperta il suo destino, in qualità di spia, non sarebbe probabilmente stato difforme da quello dei detenuti veneziani di secoli prima - Zhalia non si sentiva a disagio, anzi, era elettrizzata, eccitata. Tutto sommato si stava divertendo un mondo. Dante Vale non poteva sapere della sua doppia identità, o almeno così credeva. Per questo motivo la prese solo come l’ennesima battuta fatta col suo umorismo nero e cinico, un umorismo che le andava a genio. 

Va bene che è bravo, ma non così tanto. 

Arrivò persino a pensare che forse Dante Vale non meritava di essere ucciso, se era veramente così buono - cioè, ingenuo - come aveva dimostrato di essere quel pomeriggio. 

Si sedettero sul tetto e Zhalia si tolse i sandali, il muschio che le solleticava i piedi. Essere una cercatrice le dava un’enorme senso di libertà. Poteva andare dove nessun altro poteva, anche sul tetto di un grande palazzo storico di fronte ad uno dei ponti più famosi del mondo.

Anche se aveva paura di finire a mollo in quel canale composto dal novanta per cento di nafta e dal cinque per cento d’acqua.

- Qua vicino c’è un’ottima gelateria, se ti va di fare merenda.-

- Devo ancora buttar giù tutto il pesce che ho mangiato oggi. Non sono neanche sicura di cenare, stasera.- 

- Ad essere sincero, sono pieno anche io. Posso offrirti una tazza di tè?-

- Volentieri.-

Restarono sul tetto mentre la brezza scemava e l’aria diventava più fresca. Il sole stava ormai calando e riempiva la laguna di una tenue caligine azzurrina. 

Il paragone con il suo appartamento a Rotterdam era impietoso, davvero. La città era bellissima, ma era ultramoderna, almeno nel quartiere dove abitava lei. Per cercare uno scorcio storico doveva spostarsi davvero tantissimo e per una cercatrice come lei, naturalmente attratta dalle antichità, era una vera e propria tortura. 

Svernava nei musei, quando poteva.

A Venezia tutto era storia. Persino il cercatore seduto vicino a lei sembrava essere uscito da un museo, tanto era capace di fondersi con l’ambiente. Quando si era immaginata l’Italia, aveva visto la Fontana di Trevi, il Colosseo, il Cupolone del Brunelleschi e i ponti di Venezia. Nonostante il suo cognome e le sue origini, Zhalia non riusciva ad immaginarsi niente che sapesse più di italiano di Dante Vale.  

- Mi spieghi una cosa?-

- Spara.-

- Come mai Defoe ce l’ha così tanto con te?-

Sul viso del ragazzo passò un’ombra scura nell’azzurro della sera. Non c’era rabbia né rancore nei suoi occhi, soltanto profonda delusione.

- Non saprei. Non abbiamo mai avuto screzi che andassero oltre il mero rapporto professionale. Credo che sia una questione di pelle. Lui odia tutto quello che faccio e io faccio davvero tanta fatica a non restituirgli la cortesia. Non ho mai incontrato nessuno capace di rivoltarmi lo stomaco come Defoe.-  

Zhalia ammiccò.

Sapessi a me…

- E’ un uomo meschino.- continuò Dante, fissando il vuoto. O forse stava fissando le dita dei piedi di Zhalia che accarezzavano il muschio? - Vuole il potere tutto per sé e sarebbe disposto a vendere anche sua madre, pur di ottenerlo.-

Una fitta al petto la fece trasalire.

Klaus le aveva promesso il potere, la fama, la gloria, se avesse ucciso Dante Vale.

E lei Defoe lo conosceva bene. Era per questo, del resto, che lo odiava con tutta sé stessa.

Dante lo aveva descritto bene. Faceva rivoltare lo stomaco. Viscido, untuoso e perverso. Le veniva voglia di scappare via ogni volta che lo incrociava e doveva farsi una buona dose di violenza per non seguire il proprio istinto e mantenere la faccia di bronzo.

Lei non era uguale a Defoe, vero?

No. Tu sei diversa.

In effetti, non era una predatrice.

Forse.

Quello che stava facendo con Dante Vale, allora, che cos’era se non predare? 

Scoprì di non riuscire ad immaginare in che cosa fosse diversa da Defoe e la cosa la disgustò.

- Non ha freni, limiti alcuni. E’ la personificazione dell’eccesso. Non ha rispetto né per le cose, ed eventualmente potrei capire, né per le persone, cosa che invece non posso proprio condividere. E’ un membro dell’Organizzazione, per cui non dovrei stupirmi…-

Un’altra fitta al petto che le fece abbassare lo sguardo sulle tegole del tetto.

- Fa un uso del tutto strumentale dei manufatti che trova o dei titani che usa. E’… Non so come definirlo, se non meschino.-

- Viscido?-

Dante sorrise.

- E’ un valido sinonimo, sì.-

- Certo, tu gli stai dando del filo da torcere.- 

- Faccio solo il mio lavoro. L’ho incrociato un paio di volte in qualche missione, gli ho messo i bastoni tra le ruote. Da quando si trova contro di me, non ha più portato a termine un compito che fosse uno.-

- Però, la modestia fatta persona, eh?- ironizzò Zhalia, aggiustandosi quella ciocca di capelli che proprio non ci voleva stare, dietro l’orecchio.

Aveva disperatamente bisogno di cambiare argomento. 

- Non c’entra la modestia o meno, purtroppo è un dato di fatto, e temo che non gli stiano facendo passare dei bei quarti d’ora all’Organizzazione. E’ uno dei motivi per cui mi odia, suppongo. Sospetto che anche i suoi non siano contenti. Grier è un uomo tutto d’un pezzo dal viso di pietra, non si capisce bene quali siano le sue intenzioni, ma non penso sia felice. L’ho visto insofferente ultimamente.-

Zhalia avrebbe voluto poter dire la sua. In effetti, a Grier, come a tutti i membri dell’Organizzazione da un pezzo a quella parte, il boccone Defoe proprio non andava giù. Con il tempo tutti quanti avevano imparato a conoscerlo per quello che era, un elemento davvero ributtante. Per certi versi, Zhalia rimaneva stupita ogni volta che incrociava la strana coppia. Il cercatore mingherlino e il luogotenente ben piantato che prendeva ordini in continuazione.

Com’era che Grier non aveva ancora fatto fuori Defoe, nonostante il suo vergognoso atteggiamento?

- Deve essergli molto fedele, se non l’ha ancora strangolato con le sue mani.- disse, fingendo di essere ironica.

Non seppe perché, ma quel sorriso malizioso sulle labbra di Dante proprio non le piaceva.

- Zhalia, posso farti una domanda personale?-

La giovane cercatrice sentì il tetto aprirsi sotto i suoi piedi e fu seriamente tentata di rispondere di no.

Si limitò a fare spallucce.

- Perché lavori sempre da sola?-

Ah, meno male. A questo ho una risposta. 

- Le persone sono… Come dire? Complesse. Poco sincere. Se vai a restringere il campo, ti rendi conto che tutti quanti hanno un movente per fare quello che fanno. Per perseguire quell’interesse superiore sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa, anche tradirti. Da sola è diverso. Su di me posso sempre contare.-

- Tranne quando non puoi.- commentò il cercatore, allungando le gambe sul tetto e stirandosi come un gatto.- Ad esempio, se in uno scontro con Grier tu dovessi farti male, come potresti difenderti da sola? Dovresti perdere o arrenderti, ed in certe circostanze significa morte certa.-

Zhalia fu costretta ad ammettere che non aveva tutti i torti.

- Non importa, comunque. Sono abituata a cavarmela da sola.- 

- Questo me lo immagino. Continui a ripetere che la vita è dura.-

- In orfanotrofio non ti aiuta nessuno, ammesso e non concesso che il ricordarti che sei uno scarto della società possa essere considerato un aiuto.-

- Non ci sono leggi in proposito? Trattati internazionali?-

- Certo che ci sono. In certi posti, però, la legge non entra. Il mio era uno di quelli.-

Zhalia non amava parlare di sé. Lo trovava imbarazzante e per ovvi motivi, anche. Parlarne con lui, però, non la faceva sentire a disagio. Si sentiva ascoltata e non le sembrava di piangersi addosso.

Ecco, sarebbe stato proprio ciò che le avrebbe detto Klaus. Le pareva di sentire la sua voce nella testa mentre le diceva di piantarla di piagnucolare e tirare fuori gli attributi, che è il tempo di riscattarsi. 

- Ci sono esperienze che non posso comprendere, me ne rendo conto.- proruppe Dante, distraendola dai suoi pensieri.- Confronto alla tua, la mia è stata una vita nella bambagia. Stare da soli, però, non va bene. La vera forza di un cercatore è la squadra. Unire menti e poteri, talenti diversi: è così che si diventa i migliori.-

- Tu sei diventato il migliore da solo.-

- Assolutamente no. Ho avuto un grande mentore che ha saputo vedere il mio talento, ammesso che ne abbia uno, e lo ha potenziato. Senza di lui non sarei nulla. Ho avuto una famiglia che mi ha seguito nelle mie scorribande quando ha potuto. Ho avuto amici fidati, sfidanti onesti. Tanta fortuna, insomma. Eppure coi ragazzi lavoro bene. So che Sophie Casterwill non ti ispira molta fiducia, ma dalle il tempo di abituarsi. Ti renderai conto di non saper stare senza una squadra.- 

- Lei mi odia perché ci prova con te, è chiaro.-

- E’ un’adolescente, sono fatti così. E poi, sono convinto che in verità abbia un debole per Lok Lambert.-

- Chi, l’imbranato?-

- E’ bravo. Praticamente ha cominciato l’altro ieri. Dai tempo al tempo.- 

Zhalia rimase a fissare un gabbiano ritardatario mentre sfrecciava sulla laguna al tramonto. 

Non aveva avuto la sua stessa fortuna. Nell’Organizzazione fare squadra non esisteva. 

Era un gioco al massacro in cui l’ultimo che restava in piedi conquistava il potere. 

- Il mio maestro diceva sempre che un cercatore solo è un cercatore incompleto. Lo è di nome, lo è nei fatti, ma gli manca qualcosa.-

Le venne da ridere.

- E’ cercatore, ma allo stesso tempo non lo è. Una situazione da gatto di Schrodinger!-

- Eh?-

- Non conosci il paradosso del gatto di Schrodinger?-

Dante si guardò in giro, spaesato, come se questo Schrodinger fosse da qualche parte nei paraggi.

- Dovrei?-

No, effettivamente non avrebbe dovuto. Zhalia sapeva di essere particolarmente nerd per quel genere di cose. Crescere con Klaus l’aveva portata a vivere a cavallo tra due mondi: quello delle belle arti e quello della scienza. Amava gli oggetti antichi - in quanto cercatrice sarebbe stato un problema il contrario - ma con il tempo si era resa conto di avere un approccio diverso alle cose. 

Approccio che l’aveva portata a divertirsi con argomenti che non erano esattamente all’ordine del giorno.

- E’ un esperimento mentale ideato nel 1935 da Erwin Schrodinger per spiegare come la meccanica quantistica fornisca risultati paradossali se applicata ad un sistema fisico macroscopico.-

Dante aveva le ciglia lunghe e scure. Di un rosso intenso. 

Aveva delle pagliuzze color ebano dentro l’iride d’ambra. 

E le lentiggini attorno al naso, a piccoli spruzzi. 

Sapeva di buono. C’era odore di dopobarba nell’aria. 

Zhalia pensò che era proprio un bell’uomo.

E nei suoi occhi non c’era niente di cattivo.

Occhi che, in quel momento, la guardavano con l’aria più perplessa e più buffa del mondo.

- Entanglement quantistico?-

Sopracciglio inarcato.

- Principio di sovrapposizione? Equazione di Schrodinger?-

- Per me è ostrogoto.-

E prima che potesse anche solo pensare di essere socialmente imbarazzante e che forse le sarebbe convenuto stare zitta, Zhalia si lanciò in una spiegazione assolutamente non richiesta del paradosso.

- In buona sostanza, Schrodinger e molti altri scienziati avevano dei dubbi riguardo all’interpretazione di Copenhagen su un aspetto della meccanica quantistica che si chiama entanglement - ma non ci entriamo. In particolare avevano espresso dei dubbi sul fatto che ogni stato quantistico possa essere validamente presentato come somma di due o più stati. Ad esempio, prendi un sistema fisico, cioè prendi due particelle. Il loro stato quantico può essere la somma di due stati differenti. Secondo Schrodinger, questo poteva creare situazioni al limite del paradossale, e per questo si è inventato l’ipotesi del gatto. Metti un gatto dentro una scatola chiusa, in cui c’è un meccanismo a molla che, se attivato, finirà con il rompere una capsula radioattiva causando la morte del gatto. Prima o poi, il gatto finirà col giocare con il meccanismo e lo farà scattare, di fatto suicidandosi. Per te che sei fuori dalla scatola, però, è impossibile stabilire se il gatto sia vivo o morto, perché non lo vedi.-

- E fin qui…-

- Per ovviare al problema, tu affermi che il gatto è sia vivo che morto allo stesso tempo. E non è possibile.-

Dante si grattò la barba.

- Quindi tu mi stai dicendo che una particella può essere sia viva che morta allo stesso tempo in meccanica quantistica?-

Zhalia annuì.

- Più o meno sì.-

- E mi stai anche dicendo che l’esploratore solitario sarebbe, al momento del verificarsi dell’evento scatenante, sia cercatore che comune esploratore perché, da una parte, ha i poteri tipici dei cercatori ma, dall’altra, è senza una squadra?- 

- Esatto.-

- Seguendo la tua linea di pensiero, questo non sarebbe possibile.-

Zhalia allargò le braccia.

- E come potrebbe essere diversamente? Non si può essere vivi e morti allo stesso tempo, no?-

La sera stava calando e con essa la quiete. Dalla loro posizione sopraelevata potevano vedere Venezia che si accendeva di mille luci, mentre i turisti scemavano diretti ad occupazioni più conviviali. I gabbiani ormai non strepitavano più. Attorno a loro c’era solo silenzio e il leggero brusio della gente in strada.

- E com’è finita?- proruppe Dante, interrompendo il loro attimo di contemplazione.

Zhalia sbatté le palpebre, perplessa.

- Che cosa?-

- La diatriba sull’entanglement. Com’è finita? Aveva ragione Schrodinger?-

  
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