Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: NyxTNeko    23/06/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 151 - Solo due forze uniscono gli uomini: l'interesse e la paura -

Pavia, 26 maggio

Un rumore assordante ruppe il silenzio di quella giornata. Le porte della città vennero sfondate con pochi colpi di cannoni: i francesi erano arrivati. Dopo aver distrutto la debole resistenza locale, il 6° battaglione di granatieri, guidati dal generale Dammartin, piombò in città, sparando come gli era stato ordinato dal comandante. Non avrebbero dovuto avere alcuno scrupolo nei loro riguardi.

Nonostante Bonaparte avesse più volte intimato la resa, volendo evitare inutili spargimenti di sangue e di risolvere la situazione similmente al caso di Binasco, i pavesi non avevano fatto altro che tenere prigioniera, nel loro castello, la guarnigione 'punitiva' che avevo fatto inviare. Ciò spinse il giovane generale ad usare le maniere forti, intenzionato a ridurre in cenere quella città facoltosa e dalla storia millenaria, dopo aver fatto liberare i suoi uomini. "Non posso permettere che un simile atto resti impunito, specialmente perché non avevo intenzione di muoverle guerra contro" rifletteva nel mentre attraversava, con i suoi aiutanti, la strada verso Pavia.

- Una piccola guarigione francese dopo essere entrata è stata catturata - emise uno dei membri del consiglio della città. Era visibilmente preoccupato, si era tenuto aggiornato circa la situazione di Milano, che era apparentemente tornata alla normalità, e specialmente di Binasco. Un simile esito aveva spaventato le cariche più influenti: temevano non soltanto di perdere il posto, ma anche la città che governavano. Non potevano permetterlo.

- A breve sicuramente arriverà il loro comandante - rispose il podestà Camillo Campari, il quale cercava di mostrare ottimismo, ma, come il resto dei colleghi e sottoposti, era inquieto e apprensivo - Che sta dimostrando il suo lato più intransigente, però, dobbiamo impedire che anche Pavia abbia lo stesso destino...

- E come possiamo fare? Parlargli sembra impossibile! - rispose l'altro collega, asciugandosi il sudore sulla fronte. Nonostante le giornate calde, rabbrividiva per il freddo, scosso dalla paura. C'era in gioco il loro destino.

- È l'unico modo che abbiamo - disse Campari determinato - Ci penserò io a parlargli, se per voi risulta difficile, però dobbiamo tentare in tutti i modi di preservare la città - sospirava, immaginava che sarebbe stato difficoltoso - O quanto meno evitare che venga bruciata... - pensava a come avrebbe potuto rabbonire un'autentica belva, quali parole usare per impedire che la sua furia incontrollabile si scatenasse e si abbattesse inesorabile su ognuno di loro. Avrebbe dovuto sfoggiare la sua abilità da oratore e avvocato al massimo, avrebbe difeso la città ad ogni costo.

Intanto Bonaparte aveva raggiunto anch'egli Pavia, che era stata sgomberata dai popolani, che si erano sollevati contro i francesi, e aveva fatto ricongiungere il reggimento liberato al proprio. Avrebbe voluto calmarsi, ma sentiva la rabbia salirgli nuovamente. Era un affronto alla sua persona, più che alla sua armata, il suo orgoglio era stato ferito.

Eppure non aveva alcuna voglia di distruggere pure quella città, così ricca di storia, lo avrebbe fatto solamente se fosse stata l'ultima soluzione possibile da applicare, per ottenere la calma e vendicare, così, i propri uomini. In cuor suo sperava di trovare un po' di diplomazia "E persone che abbiano davvero a cuore la pace e il forte desiderio di collaborare con noi, abbattendo queste spinte anti-rivoluzionarie, che non fanno bene a nessuno, tantomeno a loro, tuttavia non indietreggerò suoi miei propositi di ridurla in cenere". La paura era uno dei sentimenti che spingeva gli uomini a muoversi e a indirizzarli verso ciò che era giusto.

Nel mentre pensava ciò, quasi come se fosse stato guidato da qualcuno, si trovò dinnanzi ad uno dei palazzi più importanti della città: il Collegio Caccia di Novara. Era proprio lì che voleva stabilirsi durante il breve soggiorno pavese: un edificio di stampo neoclassico, riscontrabile dalla facciata razionale e sobria, in bugnato. Era la residenza collegata all'università di Pavia, all'epoca l'unica presente nel ducato di Milano, vi studiavano i discendenti del fondatore, Giovanni Francesco Caccia e altri membri della nobiltà novarese.

Questi si erano sporti alle finestre, incuriositi e intimoriti allo stesso tempo, erano al corrente di quanto stesse accadendo in quel periodo, con l'arrivo delle truppe francesi. Videro un giovanissimo comandante, dall'aria marziale e seria alla testa delle truppe, fermarsi all'ingresso della struttura. I professori decisero che fosse meglio annullare le lezioni della giornata e sgomberare il palazzo, avevano concesso a Bonaparte di poter occupare il collegio. L'ultima cosa che desideravano era di morire sotto le armi degli Oltralpe o di diventare loro ostaggi.

In poco tempo fu svuotato, evitando di far innervosire il generale, che pareva già molto agitato e irritabile - Allora è davvero così giovane! - mormoravano fra loro gli studenti - Io credevo fosse soltanto una voce... - sussurrò un altro - Muoviamoci o ci faranno fuori, dovreste sapere di cosa sono capaci i francesi! Evitiamo di farli arrabbiare! È già tanto che non ci abbiano ucciso a sangue freddo!

Napoleone subito diede l'ordine di convocare le municipalità cittadine, per poter parlare con loro e riferire quanto avesse in mente per punire il comportamento anti-francese. Cercava di mantenere l'autocontrollo, però non era facile per un individuo focoso, impaziente, come lui. "Mentre aspetterò che arrivino osserverò questo palazzo, da quel che so, ha delle decorazioni tipicamente settecentesche, per non parlare della struttura". Sperava di potersi tranquilizzare in questo modo, immergendosi nell'arte.

Il podestà Campari aveva ricevuto "l'invito" di convocazione da parte del comandante corso e immediatamente fece preparare il tutto per raggiungerlo al luogo stabilito, assieme ai suoi collaboratori. Si stavano giocando il tutto per tutto, era più che consapevole di dover essere cauto e prudente con Bonaparte e salvare quanto più possibile. Cominciò a sudare freddo, nonostante ciò, era determinato.

Giunsero, al pari di un fulmine, al cospetto di Napoleone e per un attimo rimasero stupiti: non credevano di trovarsi davanti un ragazzo dall'aspetto gracile, trasandato, quasi malatticcio. Si erano spaventati di più nel vedere le guardie che si erano appostate a difesa del loro comandante, fuori dalla porta e dal palazzo. Eppure c'era qualcosa che non quadrava, lo avevano intuito tutti, gli assistenti e aiutanti da campo presenti nella sala con lui lo trattavano con un rispetto incredibile, come se la loro vita dipendesse da quella del corso. In un certo senso era vero, dovevano ringraziare Bonaparte se erano arrivati a quel livello, era riuscito a ridestarli attraverso il suo carisma, risvegliando il loro coraggio, vincendo ripetutamente. Questo, però non lo potevano sapere.

- Mi fa piacere vedere che vi sta a cuore il destino della vostra città - emise Napoleone in italiano, a braccia conserte, squadrandoli uno per uno, dopo averli salutati con il dovuto rispetto. Nonostante tutto ci teneva a non passare per il tipico conquistatore senza scrupoli e senza morale - Siete giunti con una rapidità che raramente ho riscontrato in altre zone d'Italia, ma forse ciò è dovuto alla gravità della questione - ci tenne subito a precisare, in modo graffiante, tagliente.

- Ci avete tolto...le parole di bocca... generale - emise uno dei religiosi che era stato convocato, tremante, in quanto consapevole del fatto che gran parte dei responsabili fossero proprio dei sacerdoti, che avevano aizzato la gente comune contro i francesi. La presenza dell'arcivescovo di Milano Visconti non aveva portato ai risultati sperati; pregava Dio di fare sciogliere il cuore di Bonaparte e di mostrare pietà e comprensione verso di loro.

Stava per continuare quando il podestà si fece avanti e prese la parola - Siamo perfettamente consapevoli delle conseguenze, generale Bonaparte, abbiamo saputo quanto è accaduto a Binasco e...

- E allora volete fare la stessa fine anche voi? - sbottò rabbioso. Batteva i pugni sulla scrivania, gli occhi erano fiammeggianti, percepiva la loro paura. Non avrebbe voluto rapportarsi a loro in quella maniera, tuttavia doveva continuare a recitare la parte del generale inflessibile.

Campari fece un passo in avanti e si trovò faccia a faccia con Napoleone, poteva osservarlo meglio, percepire quei minimi e involontari movimenti che il corpo e il viso mostravano, rivelando la vera natura di una persona. Oltre a dimostrare enorme coraggio - Assolutamente no, generale, per questo siamo giunti fino a qui! Per poter trattare e ottenere una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti...

- Voi siete l'avvocato Campari, nonché il podestà di Pavia, non è così? - domandò Napoleone. Doveva aspettarsi un discorso del genere da parte di un avvocato, avendo un fratello come Giuseppe in casa, conosceva i modi, le tecniche, persino le frasi che adoperavano per vincere la causa e salvare il malcapitato di turno, che fosse innocente o meno. Ed ecco perché si fidava poco di loro. - Sembrate conoscere la verità da come state parlando - si rimise dritto e spostò le braccia dietro la schiena.

- Sì - annuì fermamente Campari - La verità è che gran parte dei cittadini pavesi è estranea alla vicenda e ha espresso contrarietà per quanto accaduto - si esprimeva sicuro e con scioltezza, i gesti erano ben studiati e moderati, un perfetto Cicerone - I responsabili sono i contadini e alcuni preti locali che li hanno istigati, assieme a qualche pavese radicale, se non volete credere alla mia parola, ho con me i documenti che...

Napoleone allungò il braccio, come a volerlo fermare e Campari si ammutolì improvvisamente. Non sapeva come interpretare tale gesto, anche perché l'espressione di Bonaparte era assolutamente impenetrabile. Inoltre aveva chiuso gli occhi. Probabilmente sapeva come muoversi con un avvocato - Ho capito, cittadino Campari - li riaprì fulminei - È più che sufficiente quanto avete riferito...

- Vi prego risparmiate almeno le chiese di bravi pastori come noi che...che non hanno fatto nulla...contro i vostri soldati - si intromise uno dei prelati, a nome di tutti gli altri, che erano a mani giunte e supplicanti, chiedevano pietà. "Non mi importa della sua furia, dovevo fare presente che non tutti sono contro la rivoluzione, anche se non approvano l'estrema radicalità di alcuni giacobini locali".

- Ho capito tutte le vostre ragioni - ci tenne a precisare Bonaparte - E non farò bruciare la città, né demolirla in alcun modo - notò del sollievo in loro - Tuttavia devo avere la prova concreta che non farete mai più una cosa del genere... - li guardava severo, anche facendo la voce grossa sapeva che avrebbero accettato ogni condizione. Erano stati più diplomatici di quanto si aspettasse - Ovvero fucilazione immediata di tutti i capi riconosciuti della rivolta, la deportazione di 500 personalità influenti come prigionieri di stato e il saccheggio della città - riferì duramente.

Poi aggiunse - Dato che avete accettato, dimostrando grande intelligenza, pretenderò dai miei uomini che nessun monumento, palazzo o casa venga danneggiato, né che gli uomini vengano offesi, né tantomeno che le donne vengano violentate o toccate, soltanto gli oggetti di grande valore verranno confiscati - aggiunse infine Napoleone, congedandoli. "Se dovessero trasgredire questo mio imperativo, anche per i miei uomini ci sarà il plotone d'esecuzione".

A Campari e al resto della delegazione non restò che accettare, se non l'avessero fatto, Bonaparte si sarebbe infuriato ancora di più e la distruzione di Pavia sarebbe stata ordinata nell'immediato. Avevano scelto il male minore, stupiti, sorpresi dal trattamento tutto sommato rispettoso, la violenza c'era, ma non era stata esagerata come avevano temuto in molti.

Uno ad uno uscirono dalla sala, lasciando Napoleone in solitudine, stava osservando una parte della città dalla finestra, l'animo un po' pesante, per via della decisione che aveva preso. "Non potevo fare altrimenti, ho promesso ai miei uomini che ci sarebbe stato il saccheggio, che i loro compagni e superiori dovevano essere vendicati" sospirò rumorosamente, poi strinse i pugni "Ci sono dei mali necessari..." Ammetteva di aver esagerato con il suo atteggiamento, ma il timore di perdere il controllo su quella parte della Lombardia lo aveva messo sull'attenti. Per fortuna non aveva dovuto abbattere la città, sarebbe stata una perdita per l'umanità, per la cultura in generale.

Fondata in parte dai Romani, con il nome di Ticinium, seppur fosse stata sede di varie popolazioni antecedenti, Pavia aveva acquisito sempre più importanza con le invasioni barbariche e i Longobardi. Ne fecero la capitale del loro regno, denominata Papia. Tale regno durò circa duecento anni, per poi venir conquistata da Carlo Magno, il quale mantenne il rango di capitale della settentrione d'Italia, una delle parti fondamentali del glorioso impero carolingio. Per questo non poteva farsela sfuggire: era stata una delle poche ad aver sostenuto Federico Barbarossa contro la Lega Lombarda.

Tuttavia con il passare dei secoli venne inglobata nel ducato di Milano, e da centro mercantile e politico, ne divenne il fulcro culturale, con la fondazione dell'università che attirava studenti da tutta Europa. Nel 1525 si svolse l'omonima battaglia tra i francesi guidati da Francesco I e le truppe imperiali di Carlo V, che vide vincitore quest'ultimo. Ciò aveva comportato la fine dell'indipendenza non solo della città lombarda, ma di tutti gli Stati Italiani. Una dominazione straniera, alternata tra spagnoli, francesi e austriaci, che sarebbe durata da quel momento in poi.

"Ed ora è nuovamente in mano francese" rifletteva silenziosamente Bonaparte "Attenderò la fine del saccheggio per mettermi in viaggio verso Brescia e raggiungere Berthier, sperando che stavolta non abbia cattive notizie" emise un profondo respiro, massaggiandosi le tempie "Altrimenti non so nemmeno io come reagirei questa volta...".

Parigi

Joséphine era nel consueto salotto dell'abitazione di Rue Chantereine, il vero "regno" della creola, con indosso l'ultimo modello di abito realizzato dalle più rinomate sartorie della capitale. La fama del marito stava aumentando di giorno in giorno e non vi era più quasi un attimo di respiro e di vita privata. Ciò non dispiaceva la donna, al contrario, la lusingava non poco. Dopo il brutto periodo del Terrore aveva desiderato tornare alla normalità o quantomeno acquistare popolarità e ricchezze sufficienti a mantenere i suoi bambini e ad avere una vita di agi e lussi.

Però anche una donna di mondo come lei sentiva l'eccesso di questi continui elogi e le richieste di partecipazione a feste in suo onore. Ma poteva declinare quelle più fastidiose utilizzando la scusa della gravidanza o della salute. Non in questo caso, perché sentiva la necessità di mostrare il sostegno del marito attraverso tali festeggiamenti, soprattutto perché era presente il cognato, Giuseppe Bonaparte.

Seppur non esplicitamente percepiva dell'astio da parte sua, forse a causa delle voci di tradimenti che, volenti o nolenti, circolavano. Almeno apparentemente doveva nasconderli e smentirli, ora più che mai necessitava della fama crescente di Bonaparte. Lo addocchiò immediatamente, la somiglianza con il marito era incredibile, sembravano quasi gemelli, se non fosse per il naso e i lineamenti leggermente diversi; Giuseppe stesso le aveva detto che fosse una caratteristica che accomunava tutti i fratelli, chi più, chi meno - Con quale gioia vi vedo qui, Bonaparte - emise la donna sorridendo, per attirare la sua attenzione.

Giuseppe se ne accorse e si voltò - Gentili signori e signore devo lasciarvi, la padrona di casa esige la mia presenza - si scusò garbatamente, sfoggiando un francese perfetto, con le persone che si erano avvicinate a lui, spinte dalla curiosità di conoscere e vedere da vicino uno dei fratelli del generale più popolare degli ultimi mesi. Eseguì un profondo inchino - Con permesso - e raggiunse la donna, le regalò un sobrio baciamano - Madame, essere invitati qui è un piacere e lo sapete bene, ve lo faccio presente ogni volta

- Tendo spesso a dimenticarlo - rispose Joséphine fingendosi sbadata - Involontariamente, sapete quando ci sono tanti ospiti e tante feste accade questo... - lo ricordava invece. Era soltanto una piccola bugia per tenere accesa la conversazione il più possibile.

- A differenza di mio fratello, che come ben sapete, tollera difficilmente questo tipo di cerimonie e preferisce starsene appartato, a me piace moltissimo stare in società e so perfettamente di cosa state parlando, madame - le sorrise gentile. Doveva scoprire come stavano davvero le cose, aveva sentito molte voci discordanti e gli affari militari di Napoleone lo avevano tenuto impegnato: convincere il Direttorio a rispettare l'Armistizio di Cherasco e renderlo concreto era stato tutt'altro che semplice.

Doveva trovare la prova schiacciante con il quale far separare suo fratello dalla moglie. Sapeva quanto Napoleone si fidasse di lui, nonostante l'orgoglio, la testardaggine e lo spirito solitario. Il suo sguardo si posò sull'ufficiale vicino a Joséphine, il chiacchierato tenente Hippolyte Charles: era lui che teneva costantemente d'occhio. L'eccessiva confidenza tra i due non passava inosservata al giovane corso.

- Ho notato la vostra differenza di indole e carattere - disse Joséphine sorridendo sempre a labbra serrate. Giuseppe era effettivamente a suo agio in mezzo a quella gente, forse era dovuto al suo mestiere, abituato alla platea. Inoltre ci teneva particolarmente al proprio aspetto, i capelli ben tenuti e raccolti, le basette curate. Pur non disponendo di frac e calzoni di qualità eccellente, doveva ammettere che quelli che sfoggiava fossero comunque di ottima fattura, quasi aristocratica. In effetti Bonaparte le aveva detto, tempo addietro, che la famiglia apparteneva alla piccola nobiltà corsa e che il padre li aveva educati e fatto studiare in accademie di alto livello.

- Avete ragione, madame - rispose Giuseppe, a braccia conserte - Napoleone è un militare diverso da tutti gli altri, non lo dico solo perché è mio fratello, ma perchè lo conosco, abbiamo poco più di un anno di differenza - con la mente tornò tra le spiagge soleggiate della Corsica, correndo lungo la riva, durante l'ennesima gara di velocità che Napoleone aveva indetto e che stava vincendo, stracciandolo - Siamo cresciuti insieme e con il tempo ho imparato a rispettare il suo lato solitario e introverso - la guardava intensamente, non possedeva gli occhi penetranti del fratello, ma era riuscita a catturare non soltanto la sua attenzione, ma anche quella dei figli di lei, Eugène ed Hortense, desiderosi di saperne di più sul loro patrigno - Tuttavia ci sono dei momenti in cui desidera stare con le persone a lui care, ne sente la mancanza quando non sono presenti e le vorrebbe accanto, anche solo per sentirsi apprezzato...

Joséphine intuì a cosa stesse alludendo, ma non poteva accontentarlo, non aveva alcuna intenzione di andare in Italia a confortarlo, lasciare Parigi con la sua vitalità per seguire il marito sui campi di battaglia era fuori discussione. Per fortuna aveva la scusa pronta, ma per quanto tempo poteva durare? Non poteva usarla per troppi mesi, specialmente se non vi era alcun cambiamento fisico dovuto allo stato interessante. E inoltre il cognato sospettava di lei, forse era nei paraggi con lo scopo di tenere informato il marito? La gelosia di Bonaparte potrebbe averlo spinto a tanto - Non appena starò meglio o avrò tempo sufficiente mi attrezzerò per raggiungerlo - i due figli sospiravano, conoscevano la verità, ma per amore della madre non dicevano nulla.

- In tal caso avvisatemi, affinché possa avvertire Napoleone del vostro arrivo, muore dal desiderio di vedervi e di poter stare del tempo con voi, Madame - disse un poco convinto Giuseppe. Le riservò nuovamente un baciamano e si accostò al tavolo del buffet per mettere qualcosa sotto i denti, allontanò quella donna dai suoi pensieri e si dedicò al godersi la fama riflessa del fratello, sperando che durasse il più a lungo possibile. L'abisso che si era creato fra i due fratelli era una voragine oramai, non gli dispiaceva più di tanto, non aveva mai avuto la stoffa del capofamiglia "Napoleone, invece, è nato per comandare e dominare, la sua scalata è appena cominciata".

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: NyxTNeko