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Autore: Parmandil    12/07/2023    0 recensioni
È l’ultima speranza di tornare a casa per gli avventurieri della Destiny, smarriti nel Multiverso. E sulle prime sembrano avercela fatta: popoli e pianeti sono quelli noti! Ma qualcosa di diverso aleggia su di loro, un’oscura specularità che trasforma gli amici in nemici, la vittoria in sconfitta.
Ritrovatisi nell’Universo dello Specchio, gli avventurieri affrontano la terribile prospettiva di rimanerci per sempre. Molte cose sono cambiate: l’Impero Terrestre è crollato e dalle sue ceneri è sorta la Confederazione, che promette quella pace e libertà mai viste nello Specchio. Ma i nostri eroi scopriranno che la falsa libertà è peggiore dell’aperta tirannia; specie se a elargirla è un vecchio nemico che si credeva sconfitto.
Ancora una volta è guerra aperta, e una corsa contro il tempo per salvare la Terra; sempre che gli abitanti vogliano essere salvati. Toccherà a Giely, la Vorta che ha sviluppato la propria individualità, affrontare le forze decise a estirparla. Intanto le pareti stesse del Multiverso iniziano a scricchiolare e la misteriosa specularità che lega le due realtà si affievolisce. Vada come vada, lo Specchio è infranto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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-Capitolo 1: Spes, ultima dea
Data Stellare 2612.061
Luogo: USS Destiny
 
   «Signori, questa è l’ora della verità» disse il Capitano Rivera, ritto davanti allo schermo principale, osservando i suoi ufficiali di plancia. «Abbiamo esplorato il Multiverso per due anni, cercando di tornare nel nostro cosmo. Siamo stati in luoghi che nessuno, nella Federazione, aveva mai visto né immaginato. Essere ancora qui insieme, dopo tante avventure, è già una vittoria. Sono fiero di voi, perché sebbene non abbiate avuto il lusso di frequentare l’Accademia, avete dimostrato un talento da far invidia alla Flotta. Ora, però, tutto questo sta per finire».
   L’Umano fece una pausa, osservando il suo eterogeneo equipaggio. Per la maggior parte erano contrabbandieri conosciuti sul mercantile Ishka, prima di abbordare l’USS Destiny e finire dispersi nel Multiverso. Il Primo Ufficiale, Losira, era un’aristocratica decaduta, trasformatasi in abile truffatrice. L’addetto ai sensori e alle comunicazioni, Talyn, era un ragazzo di strada trovato tra le macerie della Guerra Civile. La timoniera, Shati, era una cadetta espulsa dall’Accademia in seguito a un incidente. Anche il resto dell’equipaggio aveva storie difficili. Solo tre ufficiali si distinguevano dagli altri, essendo dei professionisti. L’Ingegnere Capo Irvik era un Voth proveniente dal Quadrante Delta, dove prestava servizio su una Nave Bastione del suo popolo. Il suo desiderio di visitare la Terra, patria comune di Umani e Voth, lo aveva portato a farsi dare un passaggio dagli avventurieri e poi a diventare, suo malgrado, responsabile della sala macchine. L’Ufficiale Tattico Naskeel era un militare tra la sua gente, gli enigmatici Tholiani dal corpo cristallino. Dapprima aveva disputato agli avventurieri il recupero della Destiny; solo dopo essersi smarriti nel Multiverso aveva accettato di collaborare, nella speranza di tornare a casa. Infine c’era Giely, la Vorta fuggita dal Dominio, nonché unica superstite dell’equipaggio originale, che aveva assunto l’impegnativo ruolo di medico di bordo. Per questi tre ufficiali il ritorno non aveva controindicazioni, poiché avrebbero ripreso le loro carriere: Irvik coi Voth, Naskeel coi Tholiani e Giely con la Flotta Stellare. Ma per Rivera e la sua banda di fuorilegge, tornare nella Federazione non era affatto una garanzia di salvezza, per quanto fosse preferibile a quell’odissea nel Multiverso.
   «Mi riferisco al fatto che, di tutte le coordinate quantiche trovate nel computer, ce ne resta solo una. Tutte le altre ci hanno deluso, conducendoci in realtà strane e pericolose. Questa è l’ultima possibilità» disse il Capitano, confermando le voci che correvano tra l’equipaggio. «Ora, so a cosa state pensando. Se queste ultime coordinate si rivelassero giuste, molte cose cambieranno, si spera in meglio. Ma se si rivelassero errate? Se quelle che cerchiamo fossero irrecuperabili?». Rivera scrutò i suoi ufficiali, riconoscendo il timore che li aveva rosi per tutto quel tempo; lo stesso che rodeva lui.
   «Ebbene, vi chiedo di prepararvi anche a questa eventualità. E vi dico che, per quanto difficile, non sarà la fine» riprese il Capitano. «Abbiamo già scoperto alcune dimensioni in cui potremmo sopravvivere a lungo; persino per il resto delle nostre vite. Ma non ci rassegneremo nemmeno a questo. Se le coordinate conosciute sono finite, ebbene, ne proveremo altre! Ogni tentativo ci darà una maggior comprensione del Multiverso e ci permetterà di correggere le prove successive, scremando le realtà più aliene e avvicinandoci sempre più alla nostra. Per questo io vi chiedo coraggio e perseveranza. E vi prometto che, finché saremo insieme su questa nave, uniti negli intenti, avremo sempre una speranza».
   Lo sguardo del Capitano indugiò su Irvik, il più ossessionato dal desiderio di tornare, in quanto aveva lasciato moglie e figli nel Quadrante Delta. Se quell’ultimo tentativo fosse fallito come gli altri, c’era il rischio concreto che il povero Voth avesse un crollo mentale. Forse avrebbe dato di matto, prendendosela con gli altri, o magari sarebbe caduto nell’apatia e nella disperazione. Il che avrebbe ulteriormente peggiorato le cose, perché lui era l’unico che ci capiva qualcosa del Multiverso, e quindi era a lui che si affidavano per tornare a casa.
   «Beh, leviamoci il dubbio!» disse Giely, con una strana leggerezza. Per il resto dell’equipaggio, la Vorta era sempre stata un mistero, fin da quando l’avevano trovata sola e senza memoria sulla Destiny alla deriva. Alcuni la consideravano squilibrata, anche dopo che aveva recuperato i ricordi, e in effetti nei primi tempi il suo atteggiamento era ai limiti dell’autismo. Ma qualcosa era cambiato in lei, man mano che legava coi colleghi; e ancor più da quando aveva intrecciato un’intensa relazione col Capitano. Essendo la prima Vorta a innamorarsi dopo millenni di clonazione e soppressione emotiva, non c’erano precedenti per il suo comportamento. Ma per chi la conosceva meglio era innegabile che fosse diventata più affascinante e sicura di sé. Ad esempio, mentre prima la si vedeva indossare sempre e solo l’uniforme della Flotta Stellare, adesso quand’era fuori servizio vestiva da civile, con uno stile sorprendentemente elegante. In generale, la Vorta mostrava più personalità di prima. Ed era una personalità eccentrica, a volte spiazzante. Ad esempio, se Irvik era il più ansioso di tornare a casa, Giely era quella che se ne preoccupava di meno; forse perché era più felice lì sulla Destiny di quanto fosse mai stata prima.
   «Sì, vamonos» convenne Rivera, scambiando un’occhiata d’intesa con la compagna, che sedeva sulla poltroncina del Consigliere di bordo. «Irvik, quando vuole» aggiunse il Capitano.
   L’Ingegnere Capo si concentrò sui comandi. In precedenza, quando la Destiny apriva una breccia interdimensionale, Irvik era in sala macchine a dirigere le operazioni. Di recente però aveva posto una nuova consolle per farlo in plancia, così da coordinarsi meglio con gli ufficiali superiori ed essere più pronto a rimandare indietro l’astronave, in caso di pericolo. «Deflettore carico» riferì il Voth, attivando i comandi con le mani tridattile. «Impulso gravitonico fra tre... due... uno...».
   Il deflettore della Destiny brillò, emettendo il raggio concentrato di particelle. Ancora una volta il prodigio scientifico si compì: i gravitoni squarciarono il velo tra le realtà, aprendo una breccia interdimensionale. Come da prassi, Irvik spedì prima una sonda con campioni biologici, per accertarsi che non ci fosse nulla di letale nelle leggi fisiche di quell’altro Universo. Solo quando la sonda fu tornata e Giely ebbe dato l’okay, Rivera dette il fatidico ordine: «Avanti a impulso».
   «Groan, ci siamo...» mormorò Shati, dirigendo la Destiny attraverso la fenditura simile a un vortice dorato. L’astronave abbandonò il Vuoto – il cosmo senza stelle in cui si rifugiava fra un tentativo e l’altro – per finire... altrove.
 
   Rivera trattenne il fiato mentre attraversavano il vortice e lo rilasciò appena furono dall’altra parte. Il primo impatto col nuovo cosmo fu buono: lì almeno c’erano le stelle. Ma ormai il Capitano sapeva che ci sono molti Universi provvisti di stelle, eppure tristemente diversi da quello in cui era nato. «Talyn, analisi a lungo raggio» ordinò. Solo un’analisi accurata delle stelle circostanti, unita all’intercettazione delle trasmissioni subspaziali, poteva sciogliere il loro dubbio. Girandosi a mezzo verso l’addetto ai sensori, tuttavia, il Capitano lo vide barcollare. «Ehi, che ti prende?!» si allarmò.
   Tutti si girarono verso il giovane El-Auriano, che era stranamente pallido e si reggeva alla consolle per non cadere. «Non so spiegare» mormorò. «Per un attimo la vista mi si è sdoppiata. Mi sono sentito come se non avessi più il senso dell’equilibrio. Ma sta passando». Staccò cautamente le mani dalla consolle, vacillando un poco mentre riacquistava l’equilibrio.
   «Vuoi andare in infermeria?» chiese Losira, sempre apprensiva verso il figlio adottivo.
   «Non occorre, ora sto bene» assicurò Talyn. «Procedo con la scansione a lungo raggio».
   «Dicci appena avrai dei risultati» raccomandò il Capitano, sedendo in poltrona. Anche se non lo dava a vedere, quella strana crisi del giovane lo inquietava. Talyn era un El-Auriano: il suo popolo aveva un’indefinibile, ma profonda comprensione istintiva della realtà. Ad esempio gli El-Auriani percepivano le alterazioni nella linea temporale, cosa che in genere riusciva solo alle entità più potenti del Multiverso. E all’occorrenza Talyn aveva mostrato altre strane capacità, di cui tuttavia non aveva il controllo, essendo cresciuto in strada e poi tra gli avventurieri. Ma solo un folle avrebbe ignorato le sue percezioni.
   «Ho i primi dati» disse il giovane di lì a poco. «Interessante... guardate un po’!». Trasferì sullo schermo le letture dei sensori, mostrando un ammasso di stelle azzurrine, ancora avvolte dalla nebulosa che le aveva generate.
   «Le Pleiadi!» riconobbe il Capitano, irrigidendosi sulla poltroncina. Mai prima d’ora avevano visitato un Universo così simile al loro da presentare le stesse stelle.
   «E non è tutto!» aggiunse Talyn, sempre più emozionato. «Oltre le Pleiadi rilevo alcuni sistemi federali, come Velara e Typerias. La posizione delle stelle e l’analisi spettrale non lasciano dubbi, siamo ai confini dello spazio federale. Dietro di noi c’è la Nebulosa del Toro, dove trovammo la Destiny due anni fa».
   «Rilevi astronavi, trasmissioni...?» chiese Rivera, non osando cantare vittoria prima di avere la certezza d’essere tornati a casa.
   «Vediamo... sì, capto la trasmissione di un mercantile Tellarita diretto a Velara!» esultò Talyn. «È disturbata per le interferenze delle Pleiadi, ma sono certamente Tellariti. Quindi...».
   «Quindi siamo tornati a casa, finalmente!» concluse il Capitano, ormai convinto. Un peso opprimente gli scivolò di dosso. Comunque andassero le cose, erano salvi. Non avrebbero dovuto vagare per il resto della vita in Universi strani e ostili. Quelli tra loro che avevano famiglia, come Irvik, sarebbero tornati dai loro cari. Gli altri... beh, per gli altri le cose erano più complicate, ma tornare nel loro Universo era comunque un bel passo avanti. E infatti la notizia fu accolta con un boato di trionfo dall’equipaggio. L’espansiva Shati balzò in piedi con un «Yu-huuu!» vittorioso e batté le mani. Persino Losira, solitamente distaccata, si concesse un caldo sorriso. E Irvik andò da Rivera per stringergli la mano.
   «Beh, Capitano... ci siamo salvati proprio all’ultimo!» commentò il Voth, giulivo. Le sue scaglie, solitamente verdi, si erano tinte di giallo, il colore della gioia per i sauri.
   «Già... grazie a lei» riconobbe l’Umano. «Se non l’avessimo avuta a bordo, non avremmo neanche ritrovato quella lista di coordinate. E di certo non ce la saremmo cavata, tutte le volte che abbiamo avuto guasti seri o siamo rimasti senza energia».
   «Già, già, siete stati fortunati ad avermi a bordo!» convenne Irvik, orgoglioso come tutti i Voth. «Beh, ora finalmente potrò tornare dalla mia famiglia. Due anni... non oso immaginare quanto saranno cresciuti i miei figli!» sospirò.
   A quelle parole, il Capitano provò una strana malinconia. Tutti loro avevano passato due anni a cercare di tornare indietro, ed erano terrorizzati all’idea di non riuscirci. Eppure, in qualche modo, quell’esperienza gli aveva dato un senso d’appartenenza e uno scopo comune che molti non avevano mai conosciuto prima. Ora che era finita, parecchi se ne sarebbero andati per sempre. «Shati, rotta per Velara, velocità di crociera» ordinò, ricordando che su quel pianeta c’era una piccola base della Flotta Stellare.
   «Ricevuto, arriveremo domani» riferì la timoniera.
   «Capitano, le ricordo la promessa che mi fece due anni fa» intervenne subito Naskeel, con la sua voce metallica resa dal traduttore. «Deve concedermi una navetta, così che io possa fare ritorno all’Annessione Tholiana».
   «Non l’ho scordato» si adombrò Rivera. «Appena avremo contattato la Flotta Stellare, e avrò qualche garanzia sulla sicurezza dell’equipaggio, avrà la sua navetta» garantì.
   «Ricevuto» disse il Tholiano, e tornò alla sua postazione. Era difficile stabilire se fosse soddisfatto, dato che il suo volto cristallino col becco da rapace non mostrava alcuna emozione. Presumibilmente lo era, avendo appena ricevuto la conferma del Capitano.
   Ma era proprio il Capitano ad essere senza pace per questo. Non gli piaceva l’idea che il Tholiano – che aveva familiarizzato coi sistemi tattici federali – tornasse dalla sua gente, a spifferare tutto ciò che aveva imparato. Tra l’altro i Tholiani avevano una memoria fotografica: Naskeel poteva rivelare così tanti segreti militari, e in modo così dettagliato, da compromettere seriamente la sicurezza federale. Scambiando un’occhiata con Losira, Rivera notò che anche lei aveva smesso di sorridere. Ricordavano entrambi la breve conversazione avuta due anni prima, dopo che il Capitano aveva preso la sofferta decisione di affidare la Sicurezza a Naskeel. A quel tempo avevano bisogno di lui per sopravvivere nel Multiverso, ma se ora avevano a cuore la sicurezza federale, allora il Tholiano doveva morire prima di tornare dai suoi simili. E Rivera non avrebbe ordinato a nessun altro di occuparsi della cosa.
 
   Quella notte il Capitano rimase sveglio a lungo nel suo letto, rimuginando su ciò che li aspettava. Il fatto che Giely fosse tra le sue braccia, forse per l’ultima volta, non lo aiutava a pensare con chiarezza.
   «Sei ancora sveglio» sussurrò la Vorta, rigirandosi tra le coperte per guardarlo in faccia. Dal finestrone sopra la testata del letto veniva la luce soffusa del tunnel di cavitazione, così che i due amanti potevano guardarsi.
   «Lo sei anche tu, querida» notò l’Umano, carezzandole un lato del viso in modo da sfiorarle l’orecchio zigrinato.
   «Siamo diretti a un mondo federale. Cosa conti di fare, una volta lì?» chiese Giely, alludendo alla sua fedina penale non proprio immacolata.
   «Beh, conosci il piano» disse il Capitano. «In questi anni ne ho parlato tante volte con quelli della vecchia banda, e sono tutti d’accordo. Non possiamo passare il resto della vita a fuggire e nasconderci. Eravamo allo stremo già sull’Ishka. Ora che abbiamo questo vascello sperimentale, la Flotta Stellare farà di tutto per riaverlo. E la Destiny è così riconoscibile che non potremo fermarci in nessun astroporto senza dare nell’occhio. Inoltre senza Irvik e Naskeel avremo difficoltà a governarla. Quindi ci consegneremo alla Flotta Stellare, restituendo l’astronave in cambio dell’amnistia».
   «Ma basterà? Voglio dire, non rischiate che la Flotta vi sbatta dentro lo stesso?» si preoccupò la dottoressa, scrutandolo con gli occhioni violetti. Lei non aveva nulla da temere, essendo a tutti gli effetti un ufficiale della Flotta Stellare; il problema erano gli altri.
   «Beh, il rischio c’è» ammise Rivera. «Comunque io e Losira abbiamo spulciato le leggi federali e il regolamento di Flotta, per capire come andranno le cose. Ci sono alcuni precedenti d’individui, e anche intere bande, che furono graziati in cambio di servigi come questo. Considera, inoltre, che non restituiremo soltanto la Destiny: c’è anche la Scorpion» disse, riferendosi alla bionave degli Undine che avevano catturato a inizio viaggio. «E c’è una montagna di dati sul Multiverso che abbiamo raccolto in questi anni. È per questo che ho sempre insistito per attardarci a esplorare le varie realtà. Così abbiamo raccolto informazioni senza prezzo per la Flotta Stellare. E ci sono le tue ricerche sulla tecnologia organica degli Undine... insomma, abbiamo un sacco di roba da scambiare» concluse.
   «Quindi sei sicuro che sarete graziati?» insisté Giely, ancora in apprensione.
   «Beh, sicuro è una parola grossa... diciamo che ci sono buone probabilità» rispose il Capitano. «Almeno per la ciurma» si lasciò sfuggire.
   «Che intendi? Perché per te dovrebbe essere diverso?!» si allarmò la Vorta.
   «Beh, essendo il Capitano ho la responsabilità delle nostre azioni, anche di quelle più discutibili» sospirò l’Umano. «Ho praticamente dichiarato guerra agli Undine, ho saccheggiato la colonia Thalassa, ho creato il caos nello Spazio Fotonico, eccetera eccetera. Per quante cose possa offrire in cambio alla Flotta, è difficile che mi perdonino tutto. Probabilmente dovrò scontare qualche pena» rivelò.
   «Intendi il carcere? E per quanto tempo?!» gemette Giely, abbracciandolo.
   «Non lo so, okay?» s’innervosì Rivera. «Forse me la caverò con una pena simbolica. Ma c’è anche la possibilità che mi vada peggio... molto peggio. Non so, non sono un esperto legale» sospirò, afflitto.
   «Stai dicendo che, dopo tutto quel che hai fatto per salvarci, potrebbero darti ugualmente l’ergastolo?!» inorridì la Vorta. «Non è giusto! Non te lo meriti. E io... io non voglio perderti!» esclamò, stringendolo ancora più forte, come se i poliziotti fossero già lì per trascinarlo via. «Ora che finalmente siamo felici, non devono dividerci!» ansimò. Non aveva mai conosciuto l’affetto di una famiglia, e anche il suo mentore Ome’tikal le era stato strappato troppo presto. Se ora le avessero tolto l’unico amore romantico della sua vita...
   «Guarda che anch’io soffro, ma non c’è alternativa!» sbottò l’Umano. «Se voglio salvare questo equipaggio, devo consegnare la nave... e anche me stesso. Almeno tu starai bene, querida. Tornerai nella Flotta Stellare, probabilmente sarai promossa per le tue ricerche. E se sarai felice... allora lo sarò anch’io» promise. Prese a carezzarla ovunque, cercando d’imprimersi quelle sensazioni nella memoria, per rievocarle quando fossero stati lontani.
   «Ma io non sarò affatto felice, se tu sarai in prigione!» obiettò la Vorta. «Continuerò a pensare a quello che c’è stato fra noi, a quanto poco tempo abbiamo avuto, e... e...!» singhiozzò.
   «Abbiamo sempre saputo che poteva finire così» le ricordò Rivera.
   «Sai, è brutto dirlo, però... vorrei che non avessimo ritrovato la Federazione» sussurrò Giely con le lacrime agli occhi. «Così le cose non cambierebbero».
   «Ormai sono già cambiate, non c’è nulla da fare» sospirò il Capitano.
   «E se tu e gli altri non vi arrendeste? Se continuaste a fare gli avventurieri?» insinuò la Vorta, dilaniata dal dolore.
   «Ti ho già spiegato i motivi per cui non dureremmo a lungo. E poi tu che faresti?».
   «Resterei con te!» dichiarò Giely con passione. Aveva già abbandonato il Dominio; poteva benissimo abbandonare anche la Flotta Stellare. In fondo era sempre stata più affezionata alle persone che non alle organizzazioni o ai principi astratti.
   «Così saresti rovinata anche tu» avvertì Rivera. «No, la mia unica consolazione, in tutta questa faccenda, è che almeno tu sarai libera. Non voglio trascinarti nei miei guai, solo per restare con te».
   «Neanche se io sono d’accordo?» obiettò la Vorta.
   «Non... tentarmi, va bene?!» fece l’Umano, ormai al limite. «Ora la pensi così, ma alla lunga te ne pentiresti. Voglio dire, continueresti ad amarmi se io fuggissi dalle mie responsabilità? E comunque stiamo parlando di un’opzione che non esiste. Non possiamo continuare a vivere da avventurieri, perché ho già parlato con gli altri e abbiamo già deciso di consegnarci. È tardi per andare a dirgli che ho cambiato idea!».
   «Allora... questa è la nostra ultima notte?» mormorò Giely, arrendendosi finalmente all’evidenza.
   «Temo proprio di sì, querida» confermò Rivera. La baciò, ripetendosi che non era sfortunato a perderla, bensì che era stato fortunato ad averla, sia pure per breve tempo.
   «Tienimi stretta» sussurrò la Vorta, cercando di prepararsi all’inevitabile addio.
 
   Il giorno dopo, prima ancora di raggiungere il sistema di Velara, la Destiny fu intercettata da un vascello federale. La trasmissione subspaziale chiedeva agli avventurieri d’identificarsi, comunicando i dati dell’astronave e le ragioni del viaggio. Era il momento tanto atteso.
   «Ci siamo, arresto totale. Alziamo gli scudi, per il momento» ordinò il Capitano, nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Stavolta Giely non era in plancia con lui; si era rinchiusa in infermeria, per non assistere alla sua resa davanti alle autorità.
   La Destiny uscì dalla cavitazione quantica, fermandosi del tutto. Pochi minuti dopo l’astronave federale giunse a sua volta, sostando a poca distanza. Rivera e i suoi ufficiali la scrutarono perplessi. Era piccola e così schiacciata che doveva avere pochissimi ponti. Aveva una forma compatta, con le gondole quantiche integrate nello scafo, che era scuro e stranamente privo di finestre. Le sue linee erano taglienti, specie la prua triangolare, con una scanalatura al centro in cui era alloggiato quello che pareva un cannone a impulso.
   «Non ho mai visto niente del genere» ammise Rivera. «Sembra la Keter, ma più piccola e cattiva».
   «Forse è un nuovo modello» ipotizzò Losira.
   «Oppure è un vascello segreto della Sezione 31!» ipotizzò Shati, che alle volte era un po’ cospirazionista.
   «In quel caso non si sarebbero mostrati, ti pare?» notò il Capitano. Aguzzando la vista, lesse il nome e il numero di registro della strana astronave: CSS Mistaya NX-606. Il codice NX la qualificava come un prototipo sperimentale, il che forse spiegava il numero stranamente basso.
   «Apriamo un canale» ordinò l’Umano, preparandosi a vuotare il sacco. Al cenno di Talyn, esordì: «Sono il Capitano Rivera della Destiny. Sì, proprio quella Destiny che scomparve sette anni fa, nel suo viaggio inaugurale. Avrete molte domande; sono qui per darvi le risposte».
   «Qui è l’Intelligenza Artificiale della nave-drone Mistaya» rispose un’armoniosa voce femminile, limitandosi a trasmettere l’audio. «Può chiamarmi Misty, Capitano Rivera. In effetti sono alquanto sorpresa di rivedere la Destiny. La vostra nave è stata data per dispersa e le informazioni su di essa sono strettamente riservate. Le probabilità di rivederla erano ritenute prossime allo zero, il che denota un errore nei miei calcoli. Ma l’elemento più inaspettato siete voi: le mie subroutine di riconoscimento facciale indicano che nessuno di voi era presente a bordo, al momento del varo. Devo chiedervi d’identificarvi e di chiarire le ragioni della vostra presenza a bordo».
   «Beh, è una lunga storia» sospirò Rivera. Almeno la risposta di Misty aveva chiarito il dubbio sullo strano aspetto dell’astronave. Il Capitano sapeva che la Flotta Stellare aveva fatto vari tentativi con le navi-drone, per avere vascelli a basso costo e non rischiare le vite dell’equipaggio. Ma ogni volta qualcosa andava storto e il progetto veniva ritirato. Che questa fosse la volta buona in cui i vascelli automatizzati entravano in servizio? Sarebbe stata una svolta epocale per la Flotta, ma non c’era tempo per pensarci. Nella mezz’ora successiva, il Capitano fece del suo meglio per riassumere la loro storia. Confessò che erano solo una banda d’avventurieri, che avevano abbordato la Destiny alla deriva, finendo dispersi nel Multiverso. Descrisse in estrema sintesi le loro peripezie nello Spazio Fluido e nelle altre realtà che avevano esplorato. Infine chiarì le proprie intenzioni.
   «Il motivo per cui ti abbiamo contattata è che siamo disposti a restituire la Destiny, in cambio dell’amnistia» spiegò il Capitano. «E non solo la Destiny; nell’hangar abbiamo anche una bionave appartenente agli Undine. Inoltre consegneremo tutte le informazioni sul Multiverso che abbiamo raccolto in questi due anni e risponderemo a ogni ulteriore domanda che vorrete farci. In cambio non chiediamo altro che qualche garanzia sul nostro futuro. In particolare esigo che tutto il mio equipaggio sia prosciolto da ogni accusa e riabbia la licenza mercantile. Inoltre chiedo all’Autorità Commerciale Ferengi il risarcimento assicurativo per la perdita del nostro vascello, l’Ishka, e del suo carico. Queste sono le mie condizioni non negoziabili per la restituzione della Destiny. Sul resto potremo accordarci, quando ne discuterò con qualcuno in carne e ossa».
   Ci fu un breve silenzio. Poi Misty rispose con la sua voce armoniosa: «Dalla mia analisi del diritto confederale, ritengo che le sue richieste siano accettabili, Capitano Rivera. Vi scorterò alla base confederale su Velara, dove prenderete contatto con le autorità. Finché la vostra posizione legale non sarà regolarizzata, v’invito a restare in orbita, senza lasciare la Destiny. Qualunque tentativo di fuga, individuale o collettivo, andrà a detrimento della vostra amnistia. Detto questo, mi congratulo per il vostro ritorno e per la disponibilità a collaborare con la giustizia confederale. Le vostre famiglie saranno prontamente informate che siete sopravvissuti».
   «Mi fa piacere» disse Rivera, soddisfatto nel vedere che le cose volgevano al meglio. Chissà, magari anche lui avrebbe ottenuto l’amnistia... forse le sue preoccupazioni erano esagerate...
   In quel preciso momento Naskeel lanciò una salva di siluri quantici contro la Mistaya, colpendo il suo deflettore di navigazione e disintegrandola completamente.
 
   Sulla plancia della Destiny cadde un silenzio di tomba. Il Capitano fissava inebetito la nube dei detriti in espansione della Mistaya. Tutte le sue speranze erano andate in fumo con quella nave. La Flotta Stellare non avrebbe perdonato quell’attacco ingiustificato, che aveva comportato la distruzione di un’IA, equivalente a una persona sotto il profilo giuridico. Lentamente, Rivera si riscosse e si girò verso Naskeel, che attendeva immobile e impassibile.
   «Tu... tu devi essere impazzito!» ringhiò l’Umano. «Non avrei mai dovuto metterti a quella consolle, dannato mostro! Ma qui è pieno di testimoni, pronti a confermare che hai aperto il fuoco senza il mio ordine!» avvertì, aggrappandosi all’ultima speranza.
   «Capitano, dobbiamo occultarci e andarcene subito» rispose il Tholiano, imperscrutabile.
   «Hai sentito cos’ho detto?! Sei finito, resterai in cella fino al giudizio! Arrestatelo!» ordinò Rivera al resto degli ufficiali di plancia.
   «Perché dovreste arrestarmi? Ho appena garantito la vostra libertà e forse anche la vostra sopravvivenza» sostenne l’Ufficiale Tattico.
   «Distruggendo senza motivo un vascello della Flotta Stellare?!».
   «Quel vascello non era della Flotta Stellare» ribatté Naskeel, lapidario.
   Ci fu un nuovo silenzio, stavolta perplesso. «Come sarebbe, non era della Flotta? E di che diavolo era, allora?!» chiese il Capitano, ancora alterato.
  «Ritengo che appartenesse a qualcosa d’ingannevolmente simile alla Flotta Stellare» spiegò il Tholiano. «Simile, ma non identico. Osservate la registrazione dell’incontro». Così dicendo proiettò sullo schermo l’immagine della Mistaya, com’era stata ripresa dai sensori della Destiny, prima che fosse distrutta. Zoomò sulla sezione dello scafo superiore che recava il nome e il numero di registro del vascello. «Ora vedete?» chiese a tutti i colleghi.
   «È la designazione dell’astronave, che ha di speciale?» fece Rivera. «CSS... un momento, perché CSS?» si meravigliò.
   «Vedo che ha colto il punto. Le navi della Flotta Stellare hanno la designazione USS, non CSS» confermò Naskeel. «E non è tutto. Riascoltate la nostra conversazione con l’IA. Noterete che, ogni volta che dovrebbe dire “federale”, in realtà dice un’altra cosa». Il Tholiano fece risentire il dialogo dagli altoparlanti e tutti i presenti aguzzarono l’udito, concentrandosi su questo dettaglio.
   «Dalla mia analisi del diritto confederale, ritengo che le sue richieste siano accettabili, Capitano Rivera. Vi scorterò alla base confederale su Velara, dove prenderete contatto con le autorità. […]. Detto questo, mi congratulo per il vostro ritorno e per la disponibilità a collaborare con la giustizia confederale. Le vostre famiglie saranno prontamente informate che siete sopravvissuti».
   «Dice confederale!» notò Talyn, enfatizzando la prima sillaba.
   «Esatto. Confederale, non federale. CSS, non USS. E quella nave era completamente automatizzata, cosa inusuale per la Flotta Stellare» puntualizzò Naskeel. «La mia ipotesi è che non ci troviamo affatto nel nostro Universo d’origine, bensì in uno così affine da averci ingannati. Stelle e pianeti sembrano gli stessi, ma qualcosa nella società è diverso. Ciò significa che in questo momento potrebbero esserci i nostri alter-ego, là fuori, impegnati in tutt’altre faccende. Il che rende il nostro reinserimento in società impraticabile. Dunque sarebbe pericoloso rendere nota la nostra presenza. Ecco perché ho dovuto distruggere la Mistaya prima che trasmettesse alcunché alle sue autorità».
   Ancora una volta cadde il silenzio. Gli avventurieri riflettevano sulle parole di Naskeel, trovandole spietatamente logiche. Si erano davvero ingannati, credendo d’essere a casa, quando invece erano da tutt’altra parte.
   «Beh, questo è... un duro colpo» mormorò Rivera, arrendendosi all’evidenza.
   «State dicendo che abbiamo fallito anche l’ultimo tentativo?! Perché queste erano le ultime coordinate quantiche, non ne abbiamo altre!» ringhiò Irvik. Le sue scaglie trascolorarono verso il rosso dell’ira.
   «Okay, ora si calmi...» fece il Capitano, vedendo guai all’orizzonte.
   «Col frell che mi calmo! Ho mandato avanti questa nave per due anni, ed è stato tutto inutile?! Devo rassegnarmi all’esilio, è questo che stai dicendo, piccolo mammifero?!» tuonò il Voth. Tese le mani verso il Capitano, sul punto di sparargli contro un artiglio avvelenato. Era una capacità unica dei Voth, che la usavano di rado, considerandolo un retaggio animalesco. Ma Irvik era fuori di sé per la delusione e la collera, tanto che avrebbe potuto farlo.
   Notando il pericolo, Naskeel estrasse prontamente il phaser che teneva in un comparto della consolle tattica e mirò il Voth. «Fermo, sangue-freddo! Un solo gesto e ti sparo. Vuole che gli spari, Capitano?» si rivolse al superiore.
   «No, fermi tutti!» gridò Rivera, vedendo che la situazione gli sfuggiva di mano. «Qui nessuno sparerà e nessuno scaglierà artigli! Abbiamo appena distrutto un’astronave, non è abbastanza per oggi?! Volete fare altri danni?! Perché possiamo accapigliarci fino a sera, ma poi ci ritroviamo con gli stessi problemi!».
   A quelle parole gli animi si stemperarono. Naskeel calò il phaser e anche Irvik abbassò le mani. Ma l’Ingegnere Capo era tutt’altro che rasserenato. «Ne ho abbastanza, vado nel mio alloggio. Per oggi cavatevela senza di me!» sbottò, e lasciò la plancia.
   Andato Irvik, tornò un surrogato di calma. Ma il Capitano si avvide che anche gli altri ufficiali erano frustrati dalla scoperta di aver fallito l’ultima possibilità. Shati era così stressata che la sua pelliccia era tutta arruffata, e a Rivera parve di vederla sputare una pallina di pelo.
   «Ordini, Capitano?» chiese Talyn, anche lui sconsolato.
   Osservandolo, Rivera ricordò la strana crisi che il giovane aveva avuto quando erano giunti in quel cosmo. L’El-Auriano aveva detto che per un attimo la vista gli si era sdoppiata. Alla luce della nuova scoperta, questo dettaglio assumeva una sfumatura sinistra. Forse erano davvero in un Universo simile, ma speculare al loro...
   «Occultiamoci e allontaniamoci da questa zona. Non voglio che la Flotta Stellare, o come diavolo si chiama qui, c’identifichi come i responsabili di questo attacco» disse l’Umano, alludendo ai detriti della Mistaya.
   «Sì, ma... che rotta devo inserire?» chiese Shati.
   Al Capitano servì un tempo penosamente lungo per rispondere. «Per il momento teniamoci lontani da qualunque sistema abitato» decise infine. «Però voglio che ci addentriamo nello spazio federale... cioè, confederale. Ci servono più informazioni, quindi restiamo in ascolto. Cerchiamo di captare qualche trasmissione subspaziale, o meglio ancora di connetterci alla rete Olonet, se c’è. Dobbiamo capire dove diavolo siamo capitati».
   «Pensi che ci tratterremo a lungo, Capitano?» chiese Losira, per capire le sue intenzioni.
   «Questo dipenderà da cosa scopriremo» rispose l’Umano, tormentato. «In fondo questo è l’Universo più simile al nostro che abbiamo mai trovato. Se la nostra esplorazione del Multiverso restasse infruttuosa, potremmo anche considerare l’ipotesi di stabilirci qui» borbottò.
   «Non è proprio quello che speravamo. Alcuni saranno... insoddisfatti» sussurrò Losira, alludendo in primo luogo a Irvik.
   «Lo so» annuì cupamente Rivera. «Comunque per ora non è deciso niente. Prima ci occorrono più informazioni, quindi fate come ho detto. Addentriamoci nello spazio confederale, restando occultati, e stiamo in ascolto».
 
   Fu la mattina dopo che gli avventurieri ebbero le prime risposte. Giunti al sistema di Velara, dove nel loro Universo c’era un piccolo avamposto federale, si trovarono in mezzo a uno sciame di detriti. Dovettero alzare gli scudi e scendere a minimo impulso per non mettere a repentaglio l’astronave.
   «Sono frammenti metallici. Dall’analisi delle leghe, direi che sono compatibili con scafi della Flotta Stellare. E dalla forma dei detriti più grandi è chiaro che erano navi con equipaggio, non droni» disse cupamente Talyn. Zoomò su uno dei resti maggiori, che conservava la forma della sezione a disco di un’astronave, crivellata di colpi. Un altro frammento, a poca distanza, non era altro che una gondola di curvatura, staccata dal corpo del vascello.
   «Un cimitero spaziale» riconobbe Rivera con un groppo in gola. «Dev’esserci stata una grande battaglia... ma quando?».
   «Dal decadimento degli isotopi radioattivi, direi circa trentacinque anni fa» rispose Talyn.
   «Quindi la Flotta Stellare, o il suo equivalente di questo Universo, ha combattuto una grande battaglia... e l’ha persa» ricapitolò Shati.
   «Sì, ma una battaglia contro chi?» chiese Losira. «Ci sono resti di un’altra flotta, dei loro avversari?».
   «È difficile dirlo, ma... non rilevo leghe diverse» rispose Talyn dopo qualche analisi.
   «Allora ci sono solo due possibilità. O i vincitori hanno accuratamente rimosso ogni resto della loro flotta, o si è trattato di un conflitto tra lo stesso tipo d’astronavi» ragionò Naskeel.
   «Uhm, stento a credere che i vincitori si siano presi la briga di bonificare tutto il sistema» commentò il Capitano. «Questo ci lascia con l’altra possibilità: una guerra civile».
   «Come, anche qui?!» gemette Shati.
   «Beh, se l’abbiamo avuta noi...» borbottò Rivera, sempre più accigliato. «Resta da vedere quale fazione ha prevalso, e qual è lo stato attuale del Quadrante».
   «Credo di aver trovato qualche... indizio» disse Talyn, stranamente reticente. «Attenti, non è un bello spettacolo». L’El-Auriano inquadrò un’altra porzione di spazio, amplificando al massimo. Allora in plancia scese il gelo, perché il vuoto era affollato di... corpi.
   Centinaia, migliaia di corpi umani – sia uomini che donne – fluttuavano nello spazio, perfettamente conservati dalla temperatura prossima allo zero assoluto e dall’assenza di microrganismi decompositori. Erano irrigiditi in pose agonizzanti e sui loro volti restavano, congelate, le ultime smorfie di dolore e disperazione. Tutte le vittime indossavano ancora le uniformi che avevano al momento della morte. Erano divise scure e severe, con tanto di guanti, nonché una mostrina che faceva da comunicatore. Gli avventurieri aguzzarono la vista, cercando di riconoscerne la forma.
   «Ecco, ferma!» ordinò Rivera, nel momento in cui uno dei cadaveri fluttuanti entrava nell’inquadratura. Era il corpo di un Umano, così vicino da riempire quasi tutto lo schermo, ed era anche girato in modo da rendere chiaramente visibile il comunicatore/mostrina.
   Talyn inserì il fermo-immagine. Allora gli avventurieri si sentirono accapponare la pelle nel riconoscere quel simbolo. Era un globo terrestre, come indicava il profilo dei continenti; ed era trafitto verticalmente da un lungo pugnale acuminato. Solo una potenza esibiva quell’emblema: l’Impero Terrestre dell’Universo dello Specchio.
 
   Fu Losira a rompere il silenzio. «Andiamocene, subito!» sibilò. «Non voglio restare un altro istante in questa schifosa dimensione!».
   «Aspetta...» fece Rivera, più paziente.
   «Cosa devo aspettare, Capitano?! Che arrivi l’Impero Terrestre a farci schiavi? Sappiamo come vanno le cose qui: gli Umani comandano e tutti gli altri servono!» sbottò la Risiana.
   «Senti, neanche a me piace l’idea di trovarmi in questo Universo dimenticato da Dio, ma non possiamo andarcene e basta!» rimbeccò il Capitano. «Abbiamo esaurito le coordinate quantiche, ricordi? Significa che o restiamo qui, o torniamo nel Vuoto. E sai cosa comporterebbe subire un guasto nel Vuoto: niente pianeti su cui fare scalo, nessuna risorsa con cui riparare la Destiny. Che ci piaccia o no, questa è la realtà più simile alla nostra...».
   «Sì, una realtà in cui solo tu ci guadagneresti!» insisté Losira.
   «Non dire sciocchezze. Le autorità imperiali non mi lascerebbero mai al comando di questa nave» obiettò Rivera. «Fuorilegge eravamo e fuorilegge rimarremo, perché con l’Impero Terrestre ogni speranza d’ottenere l’amnistia va in fumo».
   «Sempre che l’Impero Terrestre sia ancora al potere» notò Naskeel. «La nave-drone parlava di autorità confederali, e ora ci troviamo in un cimitero spaziale affollato di vittime imperiali».
   «Già, troppo affollato» convenne Talyn, che nel frattempo aveva proseguito le analisi. «Rilevo la bellezza di 2.200 corpi, tutti concentrati in un volume di spazio ridotto. Se fossero morti sulle loro astronavi, si sarebbero disintegrati con esse. Invece sono tutti interi... oserei dire illesi...».
   «Che stai insinuando?» rabbrividì Shati. «Vuoi dire che...».
   «Già, non penso che tutti quegli Umani siano morti durante la battaglia» confermò il giovane. «Credo invece che si siano arresi, o comunque siano stati presi prigionieri. Vedete che, pur avendo le uniformi dell’Impero Terrestre, non hanno i phaser né i pugnali in cintura? Significa che sono stati disarmati. Ma invece d’imprigionarli, o di confinarli su un mondo disabitato, i vincitori hanno preferito giustiziarli così. Credo proprio che fossero ancora vivi, quando li hanno espulsi nello spazio».
   «E dopo trentacinque anni sono ancora lì, abbandonati nel vuoto» notò Rivera, impietosito. «Anche dopo tutto questo tempo, nessuno s’è preso la briga di seppellirli».
   «Forse i vincitori li hanno lasciati lì come monito» suggerì Naskeel.
   «Beh, dopotutto quelli erano soldati dell’Impero Terrestre... insomma...» borbottò Shati, ma non riuscì a concludere la frase.
   «E quindi? Erano cattivi, quindi meritavano d’essere gettati vivi nello spazio?» commentò il Capitano. «Può darsi, Shati. Ma se chi li ha sconfitti fosse migliore di loro, non gli avrebbe fatto questo. Io temo che, chiunque sia al potere adesso, non sia meglio degli Imperiali».
   «Beh, allora dobbiamo capire al più presto chi comanda» concluse Losira, consultando il database federale dall’oloschermo della sua poltroncina. «L’ultimo contatto ufficiale tra le nostre realtà risale all’indomani della Battaglia di Procyon V, nel 2556. Sono cinquantasei anni fa! In tutto questo tempo possono essere cambiate molte cose». Spense lo schermo e si rivolse al Capitano: «Ritiro la mia precedente richiesta. Vale la pena d’esplorare questo cosmo, per capire come stanno le cose».
   «Forse ho trovato una fonte d’informazioni» disse Talyn, inquadrando un’altra porzione di spazio. Una boa spaziale campeggiò sullo schermo; la sua superficie era affollata di antenne che puntavano in tutte le direzioni. «Somiglia ad alcuni memoriali che la nostra Federazione lascia nei sistemi in cui si sono svolte grandi battaglie» notò il giovane. «Se usciamo dall’occultamento, permettendole di rilevarci, dovrebbe trasmettere informazioni storiche».
   «Uhm... non sono ancora pronto a rivelare la presenza della Destiny» borbottò Rivera. «Ma ci occorre ogni informazione, quindi ci avvicineremo con una navetta. Talyn, Shati, venite con me. Losira, a te la Destiny; mantenete la posizione fino al nostro ritorno».
 
   Di lì a poco i tre avventurieri erano su una navetta di classe Hornet, in rotta verso la boa spaziale. Procedevano a velocità d’impulso, con i sensori all’erta. Quando furono a dieci milioni di chilometri vi fu una reazione alla loro presenza.
   «Ci siamo, la boa sta trasmettendo» disse Talyn, aprendo il canale.
   Sullo schermo apparve un emblema molto simile a quello della Federazione: un quadrante circolare spruzzato di stelle, contornato da una corona d’alloro. Ma il fondo era rosso anziché azzurro e le stelle apparivano disposte in maniera speculare, come se fossero riflesse.
   «Cittadini della Confederazione, state visitando un sito storico» disse una voce femminile stranamente familiare. «Qui, in Data Stellare 2576.187, gli eroici ribelli confederali inflissero la prima grande sconfitta alle forze oppressive dell’Impero Terrestre. Dopo aver organizzato gli ammutinamenti di massa nel Settore di Mira e il raid ai cantieri spaziali di Kessic, il Capitano Garm della Garuda riuscì a radunare una flotta di venticinque astronavi. Dopo aver attirato qui la Nona Flotta Imperiale, forte di quaranta astronavi, riuscì a coglierla di sorpresa con una brillante manovra. Sebbene in inferiorità numerica, i ribelli dettero prova di maggiore abilità e dedizione alla causa, riuscendo a sbaragliare gli Imperiali, il che dimostra come fossero dalla parte giusta della Storia. Dieci astronavi furono strappate all’Impero, andando a rafforzare l’armata della libertà. E sebbene il Capitano Garm sia rimasto ucciso nelle ultime fasi della battaglia, questa vittoria è indubbiamente sua. Oggi lui e gli altri martiri della libertà sarebbero fieri di sapere che il loro sacrificio ha permesso di rovesciare il tirannico Impero Terrestre, sostituendolo con la prima vera democrazia della nostra Storia».
   Mentre la voce narrava, apparve una serie di riprese che mostravano le fasi salienti della battaglia, il funerale di Garm e le celebrazioni della vittoria. L’ultima ripresa sembrava mostrare la firma della nuova Costituzione, al termine della Guerra Civile.
   «Oggi la Confederazione Unita dei Pianeti si batte per garantire pace, libertà, giustizia ed eguaglianza ad ogni cittadino. Ma affinché questi diritti siano realmente garantiti, ognuno deve fare la sua parte, ad ogni livello della società. Dunque esorto ciascuno di voi a impegnarsi nei propri doveri civici, denunciando qualunque manifestazione di Umanità vi capiti d’incontrare. E se siete Umani, vi ricordo che la vostra espiazione per i crimini collettivi della vostra razza è appena cominciata, ed è un impegno che durerà per tutti i giorni della vostra vita, trasmettendosi ai vostri discendenti. Solo a queste condizioni avremo assicurato un avvenire luminoso!».
   Terminate le immagini propagandistiche, l’oratrice fu finalmente inquadrata. Allora Rivera capì perché la sua voce gli era parsa così familiare. L’Umano impallidì nel fissare il compiaciuto viso segaligno di Rangda, la dittatrice che aveva gettato la Federazione nella Guerra Civile... o ad essere precisi, la sua alter-ego dello Specchio, anche lei insediata nello studio presidenziale e armata con la stessa retorica velenosa. Che ironia, essere sopravvissuto alle sue persecuzioni – mentre la sua famiglia non ce l’aveva fatta – solo per ritrovarsela lì, più potente che mai! E se nella Federazione c’erano stati eroi che l’avevano sconfitta, a carissimo prezzo, ben difficilmente nel torturato Specchio vi erano individui all’altezza del compito.
   «Capitano...» mormorò Shati, intimorita. Non aveva mai visto una collera così assassina negli occhi di Rivera.
   «Torniamo sulla Destiny» ordinò l’Umano, con voce controllata. «Urge una riunione di guerra».
 
   Un’ora dopo gli ufficiali superiori della Destiny erano raccolti attorno al tavolo tattico. C’erano anche Giely, giunta dall’infermeria, e Irvik, richiamato ai suoi doveri dopo la giornata di sciopero. Il loro atteggiamento era agli antipodi. Se la Vorta sembrava lieta che non fossero tornati alla Federazione, e che quindi non dovessero dividersi, il Voth al contrario era ancora rosso di rabbia.
   «Signori, dobbiamo guardare in faccia la realtà» disse il Capitano. «Siamo nell’Universo dello Specchio e non abbiamo altre coordinate da tentare. I nostri precedenti tentativi ci hanno condotti in realtà ancora più aliene e invivibili. Questa, malgrado tutto, resta la più simile alla nostra, al punto che potremmo incontrare i nostri alter-ego».
   «No, grazie! Non ci tengo a incontrare il mio doppione!» protestò Shati. «Propongo di tornare nel Vuoto e tentare altre realtà».
   «Se le proviamo a caso, non troveremo mai quella giusta» obiettò Talyn. «E anche provare a scremarle nel modo che dicevamo è rischioso. Se facciamo troppi tentativi, qualcosa finirà per guastarsi e resteremo bloccati, magari in una realtà ancora più inospitale».
   «Sentite, odio dirlo, ma... forse dovremmo smetterla di saltare da un Universo all’altro e restare qui» disse Losira. «Abbiamo un’astronave potente, e non dobbiamo per forza stare entro i confini della Confederazione. Possiamo tenercene fuori e continuare a vivere più o meno come prima».
   «E dire addio alle nostre famiglie? Non se ne parla!» insorse Irvik. «Se qualcuno vuol restare, che scenda adesso; noialtri proseguiremo senza!».
   «Non lascerò che questo equipaggio si disgreghi» avvertì il Capitano. «Andremo tutti o nessuno».
   «Se è vero che in questo Universo vivono i nostri alter-ego, allora non possiamo tornare alle nostre vite» notò Naskeel. «E questa nave è facilmente riconoscibile, per cui ovunque andremo, attireremo l’attenzione delle autorità. Crederanno che ci siamo impadroniti della loro Destiny e per questo ci daranno la caccia, anche oltreconfine».
   «Insomma, siamo fregati!» commentò Shati. Per qualche secondo cadde il silenzio.
   «Scusate la mia ignoranza... ma vorrei capire se questa Rangda è davvero così tremenda» intervenne Giely.
   «È peggio di quel che immagini» la gelò Rivera. «Quand’era Presidente ha perseguitato la mia specie, facendone un capro espiatorio per ogni problema sociale. S’è accordata coi Voth, vendendogli la Terra in cambio dell’aiuto per distruggere la Flotta Stellare e assumere poteri dittatoriali. Ha gettato la Federazione nella Guerra Civile, lasciandola indifesa contro l’invasione Borg. E quando s’è vista sconfitta, piuttosto che restituire la Terra agli Umani ha cercato di distruggerla, non una ma due volte! A conti fatti, ha massacrato più federali di qualunque nemico esterno».
   «Ma stai parlando della Rangda del nostro Universo» puntualizzò Giely. «Questa potrebbe essere diversa...».
   «Hai sentito cos’ha detto in quel messaggio propagandistico. No, non credo che sia diversa. Certe cose non cambiano mai!» insisté il Capitano. Ricordava fin troppo bene le frustate che aveva ricevuto da adolescente quando, per ordine di Rangda, gli Umani erano stati deportati dalla Terra e costretti a lavorare in cantieri spaziali e fabbriche d’armi. Lì nello Specchio le cose dovevano essere ancora peggiori. Si chiese in che condizioni fosse l’umanità dopo la caduta dell’Impero Terrestre. La Terra esisteva ancora o era stata distrutta? Gli Umani erano forse una specie in via d’estinzione?
   «Allora che cosa proponi?» chiese Losira. «Perché se vuoi lanciarti in una crociata personale contro questa Rangda, è pura follia. La Destiny sarà anche potente, ma non siamo soldati e non possiamo combattere una guerra. Del resto, gli Umani di questa realtà hanno raccolto ciò che hanno seminato».
   «Tranquilli, non vi chiedo di scatenare una guerra contro la Confederazione» assicurò Rivera, rivolgendosi a tutti i presenti. «Non ho ancora rinunciato alla speranza di tornare a casa. Vedete, il nostro Universo e lo Specchio sono sempre stati stranamente collegati. Il fatto che vi si trovino spesso gli stessi individui, malgrado l’evoluzione storica sia diversa, sembra indicare una correlazione quantistica. Non sono un esperto, ma... quello che voglio dire è che il passaggio tra le due realtà è più facile di quanto non accada con altri Universi. Nel corso dei secoli ci sono stati molti contatti, talvolta intenzionali, ma più spesso accidentali. Incidenti di teletrasporto, interfasi di spazio... persino il Tunnel Spaziale Bajoriano s’è rivelato in grado di fare da ponte. Quel che dobbiamo fare è esaminare le passate interazioni e trovare il modo di ripeterle. Irvik, credo che lei sia particolarmente motivato a tentare» notò.
   «Sì, visto che non c’è altra strada!» sospirò il Voth. «Comincerò subito a studiare le interazioni fra i due Universi, per vedere quale è ripetibile. Intanto vi consiglio di fare rotta per il wormhole bajoriano, visto che prima o poi tenteremo anche quello».
   «Partiremo non appena sbrigata un’altra faccenda» promise il Capitano. «Visto che la Destiny attirerà l’attenzione, voglio almeno evitare che tutti capiscano al volo che veniamo da un altro cosmo. Irvik, mandi gli Exocomp a ridipingere lo scafo» ordinò, riferendosi ai robottini riparatutto che aiutavano gli Ingegneri. «Devono cambiare il registro, da USS a CSS».
   «Una giusta precauzione, Capitano» riconobbe Naskeel. «Raccomando di limitare al massimo i contatti coi nativi dello Specchio, e se proprio dovremo aprire dei canali, di limitarci all’audio».
   «Annotato» annuì Rivera. «Talyn, tieni i sensori in allerta per qualunque trasmissione. Più ci addentreremo nella Confederazione, più il traffico subspaziale sarà fitto; e ci servono ancora molte informazioni. Dobbiamo capire qual è la situazione politica».
   «Programmerò degli algoritmi di ricerca» promise l’El-Auriano.
   «Bene, avete le vostre consegne» concluse il Capitano. «Al lavoro, ci aggiorneremo quando ci saranno novità».
 
   Agli Exocomp bastarono pochi minuti per cancellare la U dipinta sullo scafo, sostituendola con una C nella stessa grafia. Dopo di che rientrarono nell’astronave attraverso gli appositi boccaporti di manutenzione. L’appena ribattezzata CSS Destiny balzò in cavitazione, lasciando il cimitero spaziale. La sua rotta portava verso il sistema bajoriano, in profondità nello spazio della Confederazione.
   Nei giorni seguenti, come previsto, il traffico subspaziale aumentò a dismisura, finché Talyn riuscì a connettersi alla rete Olonet, scaricando imponenti quantità di dati. Per il Capitano e gli ufficiali cominciò un periodo d’intenso studio: dovevano mettersi in pari con la storia locale, se volevano comprendere l’attualità politica della Confederazione. Il compito era reso difficile dal taglio fortemente propagandistico delle fonti. Rivera e gli altri, tuttavia, notarono una strana tendenza. Fino ad allora era prassi che gli stessi individui esistessero nei due Universi, in ruoli talvolta simili, talvolta specularmente invertiti. Tuttavia negli ultimi decenni qualcosa era cambiato: una buona metà delle figure di spicco del loro Universo sembravano non esistere nello Specchio, e viceversa. Anche le differenze tecnologiche, e in vari aspetti culturali, parevano sempre più marcate. Quale che fosse il misterioso legame che univa i due piani d’esistenza, pareva indebolirsi col passare del tempo; e forse un giorno si sarebbe reciso del tutto.
 
   In quei giorni, Giely si trovò spesso a chiedersi se da qualche parte là fuori c’era la sua omologa dello Specchio. Si sarebbero mai incontrate? La Vorta ne dubitava. La sua fuga dal Dominio era stata così azzardata che difficilmente la sua alter-ego poteva esserci riuscita, sempre che avesse mai tentato. Inoltre le trasmissioni locali parlavano pochissimo del Dominio, tanto che era difficile capire quale fosse la sua situazione, e quali i rapporti con la Confederazione. Per vederci chiaro sarebbero dovuti arrivare al sistema bajoriano.
   Fu così che le ricerche di Giely si concentrarono progressivamente sulla figura della Presidente Rangda. Da quando Rivera l’aveva messa in guardia sul suo conto, la Vorta voleva saperne di più. Per prima cosa consultò il database della Destiny riguardo la Rangda del loro Universo, e ne restò scioccata: Rivera non aveva affatto esagerato la portata dei suoi crimini. Poi la dottoressa consultò le informazioni recentemente acquisite sulla Rangda dello Specchio. Certo era un peccato che, mentre tante persone del loro Universo non avevano più un alter-ego, Rangda invece ce l’avesse. Forse dipendeva dalla sua età avanzata: quand’era nata, oltre un secolo prima, i due Universi erano più vicini e la loro specularità era ancora elevata.
   Seguendo la sua ascesa al potere, Giely notò che Rangda era salita alla ribalta della scena politica all’indomani della Guerra Civile, cioè quando ormai il pericolo era finito. In quel periodo, quasi tutti i protagonisti della liberazione dall’Impero Terrestre erano improvvisamente usciti di scena. Alcuni erano morti in strane circostanze, altri erano caduti in disgrazia per varie accuse ed erano stati arrestati, o comunque estromessi dal potere. Questo era oltremodo sospetto. Più s’informava, più la dottoressa si convinceva che Rangda avesse atteso il momento opportuno per cogliere i frutti delle fatiche altrui, sbarazzandosi dei veri artefici della liberazione. La senatrice di Zakdorn era stata eletta Presidente della neonata Confederazione nel 2582, cioè ben trent’anni prima. Da allora era rimasta ininterrottamente al potere, grazie a una serie di provvedimenti d’emergenza che avevano esteso il suo mandato. Un’intera generazione era cresciuta sotto il suo governo, senza mai conoscere nient’altro. Allo stesso modo, il suo partito aveva conservato la maggioranza al Senato per tutto quel tempo. Sembrava che le aspirazioni democratiche della Confederazione fossero state soffocate sul nascere...
   Sempre più inquieta, Giely consultò fonti ancora più vecchie, cercando di rintracciare gli esordi della carriera politica di Rangda. Avvertiva infatti che conoscere la giovane Zakdorn era essenziale per comprendere il suo successivo operato politico. E finalmente trovò la registrazione del primo discorso pubblico che Rangda avesse tenuto in vita sua. Risaliva a quando la Zakdorn si era appena laureata in scienze politiche sul suo pianeta natale e non aveva ancora avviato la propria carriera. In effetti il discorso non riguardava la politica: era un’orazione funebre tenuta per suo padre. Giely verificò che all’epoca, sebbene l’Impero Terrestre fosse ancora al potere, il pianeta Zakdorn non ne faceva parte. La popolazione era divisa tra filo-imperiali e anti-imperiali; entrambe le parti potevano manifestare le loro opinioni senza troppi timori di ripercussioni. La famiglia di Rangda era tra le più ricche e influenti del pianeta; e sorprendentemente il padre aveva posizioni filo-imperiali. Che fosse stato questo a scatenare nella giovane Rangda la reazione opposta?
   Incuriosita, Giely avviò la registrazione. Vide la Zakdorn, già magra e rigida come sarebbe stata per il resto dei suoi giorni, che parlava da una tribuna accanto al feretro del padre. La vasta folla comprendeva certo parenti e amici di famiglia, oltre che soci in affari del defunto; ma c’erano anche molti giovani, probabilmente compagni di corso di Rangda. La futura Presidente aveva impostato il discorso rivolgendosi idealmente al padre, ma ne aveva fatto a tutti gli effetti una dichiarazione politica.
   «Caro padre, sebbene io sia ben consapevole e grata di tutto ciò che hai dato alla nostra famiglia, resta il fatto che non mi manchi» disse la giovane Rangda, leggendo i suoi appunti. «Quando sei morto, ho sentito un vuoto dentro di me. Qualcosa mi mancava, ma non eri tu. Era l’idea di cosa saresti potuto essere. Mi manca di non poter più sperare e desiderare che un giorno avresti visto la Galassia dalla mia prospettiva. Mi manca l’idea che avresti potuto aiutarmi a combattere per le cose che valgono. Perché la tua morte ha reso ineluttabile il fatto che sei stato ciò che sei stato, e non ciò che avresti potuto essere. E non sei stato altro che un collaborazionista degli Umani, vale a dire un patetico maschio misogino, razzista e xenofobo. Questo è tutto ciò che sei stato per me. E padre, prima che tu mi dica di rispettare i defunti, ricorda che tu hai mancato di rispetto alla vita e alla morte d’intere comunità, con la tua perversa ideologia. Quindi getterò via la tua sordida mentalità, ma in compenso prenderò i tuoi soldi, e giuro che li userò per rendere il nostro mondo un posto migliore. Questo non grazie a te, ma in totale opposizione a te!».
   Gli applausi scrosciarono, segno che Rangda stava cavalcando il sentimento predominante fra la sua gente. Nessuno si fece avanti per farle notare come avesse strumentalizzato il funerale del suo stesso padre. E per quanto egli potesse essere stato davvero criticabile, magari anche pessimo, Giely avvertì un profondo disgusto per quegli insulti sputati sulla sua bara. La Vorta ricordò quanto aveva sofferto per la morte di Ome’tikal, il suo mentore. Poi vide Rangda che sorrideva soddisfatta, raccogliendo gli applausi per le accuse lanciate contro chi non poteva più difendersi.
   In tutta la sua vita, Giely non era mai stata una persona malevola. Non aveva mai augurato il male a nessuno; non era capace di odiare nemmeno coloro che l’avevano fatta soffrire. Ma in quel momento, osservando il sorriso compiaciuto di Rangda, la dottoressa sentì di disprezzarla come mai prima d’ora aveva disprezzato qualcuno. E intanto la Destiny continuava ad addentrarsi nella Confederazione, dove Rangda regnava incontrastata da trent’anni...
 
   
 
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