Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys
Segui la storia  |       
Autore: chelestine    15/07/2023    1 recensioni
"I'm down in the deep deep freeze,
what was I thinking of...
In the painful breeze,
by the frozen trees,
with a heart disease called love."

John Cooper Clarke
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Matt Helders, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

12.

 
«Ehi, Miles» rispose Andy al telefono entrando nel bar vicino all’ufficio.
«Ehi, bellezza! Come stai?» la investì lui con il solito entusiasmo. Involontariamente, Andy sorrise e si sedette al tavolo che sceglieva sempre. Stranamente, il posto era completamente deserto. Forse è più presto del solito?
«Dai, bene, diciamo bene… Tu come stai?»
«Bene, oggi sono in sala di registrazione, sai, l’ispirazione e tutte quelle stronzate… ho fatto volentieri una pausa per la mia inglese preferita.» Andy rise di gusto scuotendo la testa. Quando si avvicinò la cameriera, allontanò il telefono e le chiese un americano e un muffin al limone. «Be’? Sputa il rospo, dai, mi piace questo nuovo ruolo di confidente, mi sembra di essere in un romanzo della Austen!»
«Ieri notte Alex mi ha chiamato, alle 4… ed era sotto casa mia.» Andy sapeva benissimo che Miles avrebbe riferito tutto al suo migliore amico, ma non le interessava, aveva bisogno di parlare con qualcuno che lo conosceva bene, e soprattutto che conosceva il lavoro di rockstar di fama mondiale.
«Elegante, classico, romantico… Colpo da maestro. Vai avanti.»
«Abbiamo parlato, o comunque ci abbiamo provato… Alex mi sembrava abbastanza confuso.»
«Sì, non stento a crederci, ci siamo visti in questi giorni e non riusciva a mettere in fila i pensieri.»
«Okay… Be’, ha provato a dirmi qualcosa, che sembrava molto simile a un “riproviamoci”… nonostante non ci siano trascorsi di tentativi veri e propri, tra noi due… ma comunque…»
«Be’, era quello che voleva dirti, per quanto ne so, quindi direi che alla fine è riuscito a spiegarsi.»
Andy sospirò e ringraziò con un cenno la cameriera quando arrivò la sua ordinazione.
«Bene. Dopo tutto questo, mi ha anche detto che partiranno di nuovo in tour, per quattro mesi» finì scandendo con una certa lentezza le ultime tre parole. «Ora, io posso solo immaginare, mentre tu sai quanto deve essere folle un tour degli Arctic. Quindi dimmi: che senso ha? Perché io non lo so.» Miles fischiò dall’altra parte del telefono, come per sottolineare l’importanza della questione. Ma Andy non gli diede tempo di rispondere, e aggiunse: «Detto tra noi, non ho alcuna voglia di aspettare con le mani in mano che Alex Turner torni dal tour tra quattro mesi per starci insieme due settimane, e poi non rivederlo né sentirlo per altri otto, e ricascarci, e poi riperderlo, e ricascarci… Non sono fatta per resistere a una simile tortura».
Miles si schiarì la gola, impressionato da quelli che sembravano pensieri maturati in un certo quantitativo di tempo. Stette zitto qualche secondo e poi rispose: «Cosa vuoi che ti dica?».
Andy giocherellò con la tazza tra le dita. «La verità?»
«Be’, la verità è che è impossibile stare con un musicista in tour. Gli orari sono sempre diversi, si perde il focus, si perde la concezione del tempo e, onestamente, anche un po’ della realtà. Il tempo da dedicare a qualcun’altro, soprattutto per uno come Alex che vuole stare dietro a tutto ciò che riguarda la resa del live, è inesistente…» fece una pausa. «Ciò detto, ovviamente esistono musicisti felicemente sposati e padri di famiglia… Ma se vuoi la verità non credo che sia quello che vuole Alex. Nelle storie che ho visto funzionare, uno dei due deve seguire l’altro in tour.»
Andy si lasciò scappare una risatina sarcastica. «Sì, come no, non vedo l’ora di fare la groupie.»
Anche Miles rise. «Credimi a nessuno sano di mente passerebbe per la testa di proporti una cosa simile.»
Andy deglutì rumorosamente e annuì, nonostante Miles non potesse vederla. «Quindi, come pensavo, non c’è una soluzione.»
«Non ho detto questo.»
«Be’, non l’hai detto perché non ce n’è stato il bisogno.»
Miles tossicchiò, guadagnando tempo per risponderle. «Senti, Andy, tu sei una mia amica. Ti ho detto la verità, ma devi parlare con Alex. Soprattutto di questo.»
Lei annuì, sapeva benissimo di doverlo fare. Quella mattina lui le aveva scritto un messaggio verso le 10 – Stonem, buongiorno. Volevo dirtelo: ti sto pensando. Sto imparando a esprimermi, visto? Buona giornata –, ma lei non aveva risposto. Era ancora troppo infastidita dal loro ultimo scambio, non poteva credere che lui volesse veramente farla ricadere con tutte le scarpe in quell’infatuazione per poi mollarla per altri quattro mesi con una sola telefonata da ubriaco.
Di fatto, ciò che le aveva fatto capire la sera prima era che improvvisamente, avendola rivista, si era reso conto di volerla ancora – Ergo, non gli faccio schifo. Grande vittoria –, e solo perché Miles gli aveva raccontato di Ben lui si era sentito in dovere di marcare il territorio. Il resto lo aveva fatto lei, lo aveva baciato, gli aveva detto che gli piaceva ancora, e gli aveva chiesto del futuro, possibilmente condiviso: il tour.
«Okay Miles, hai ragione, grazie. Bacio.»
«Bacio a te, baby, ci vediamo domenica al brunch da Marg.»
«Sì, perfetto. Miles, grazie ancora.»
«Scherzi? È il minimo!» Il cantante chiuse la chiamata e Andy si ritrovò a guardare il salvaschermo del suo telefono. C’era una notifica di un messaggio.
 
Andy? Dove sei?
 
Era di nuovo Alex. Sempre così asciutto, senza superfluo, sempre così perfetto.
Lei fece un respiro profondo e decise di darsi il tempo di finire il caffè e il muffin prima anche solo di pensare di rispondergli. Ovviamente voleva vederlo, voleva baciarlo e portare fino in fondo ciò che avevano iniziato la sera prima, voleva chiarire con lui e farsi rassicurare che adesso era il loro momento, che potevano davvero iniziare a conoscersi, finalmente.
«No! Una stalker! Ti denuncio!» Andy sollevò lo sguardo confuso verso il ragazzo apparso davanti al suo tavolo.
Ben fece fatica a trattenere una risata, vedendo la sua espressione persa e anche un po’ impaurita. «Che fai? Mi segui? E poi ero io, eh?» Lei non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Ben annuì soddisfatto del suo operato. Indossava un paio di pantaloni verdi e una camicia di jeans Levi’s appena usurata. Si mise a sedere davanti a lei senza chiedere e si strinse nelle spalle. «A dirla tutta, speravo di trovarti qui.»
Lei arrossì, finora Ben era sempre stato a dir poco timido e cauto con frasi simili. In tutta risposta, arrossì anche lui, infiammando le adorabili lentiggini dorate sulle sue guance. «Be’, eccomi qui» rispose lei sorridendo e offrendogli il suo americano.
Lui prese un sorso e fece una smorfia schifata. «Il solito sciacquone. Grazie mille di averlo condiviso con me.» Lei si strinse nelle spalle sorridendo, comunque soddisfatta. «Senti, devo assolutamente finire un lavoro, ma se mi aspetti ci possiamo prendere una birra.»
Andy deglutì e si drizzò sulla sedia. Ben. Come aveva fatto a non pensare a Ben fino a ora? Lui la guardava, un po’ confuso ma comunque entusiasta, sincero e senza fronzoli. Un ragazzo interessato a una ragazza, senza tanti problemi o pensieri ingarbugliati. E le piaceva. I suoi occhi grandi, color nocciola, indugiarono sulle sue labbra per un attimo, in attesa di una risposta.
«Io… Ben, oggi non posso» rispose distogliendo lo sguardo.
«Non fa niente» si affrettò a intervenire lui. «Ti faccio compagnia il tempo di un thè e ti lascio in pace.» Le sorrise, sornione. «Anzi, meglio, così non mi distrai» la prese in giro prima di ordinare un thè verde. Andy non poté fare a meno di notare che non era scappato, né si era scoraggiato, né aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti. Ben sembrava, senza dubbio, una delle persone più genuine che avesse mai conosciuto.
«Come stai?» gli chiese, avvicinando un po’ la sedia alla sua.
«Bene, dai. Ti avevo raccontato di quel lavoro importante per cui oggi finiva la gara, no?» Andy e Ben si sentivano più o meno una volta al giorno via messaggio, si raccontavano qualcosa o si facevano semplicemente un saluto, niente di impegnativo, ma di quel lavoro le aveva parlato. Lei annuì, prendendo un morso di muffin. «Be’, voglio farti vedere l’illustratore che ha vinto: è straordinario» felice, tirò fuori il Mac dallo zaino per farle vedere delle tavole.
Andy si concesse il tempo per studiare il suo volto. I capelli castani e scompigliati gli ricadevano sulla fronte e le labbra piene erano contratte in un momento di concentrazione. Era il suo tipo, decisamente. Molto più di quanto non lo fosse Alex. Alex. Merda, il messaggio. Di sottecchi, Andy controllò lo schermo del telefono: non erano arrivati altri messaggi. Certo, Alex non era il tipo da farsi sentire due volte in caso di non risposta. Comunque, non gli rispondeva da troppo, pur avendo visualizzato il messaggio. Non voleva che pensasse che lo stava evitando… Anche se…
«Guarda qua» disse Ben riportandola alla realtà. Lei tentò di sembrare concentrata ed entusiasta, ma la sua testa stava viaggiando alla velocità della luce. Si avvicinò a lui poggiando una mano sul suo avambraccio tonico. Ben, spontaneamente, sorrise e la guardò a sua volta.
«È bravissimo» commentò lei con un tono sincero.
«Già! Verrà un libro stupendo.» Andy sorrise per l’entusiasmo contagioso del ragazzo. Poi gli diede un bacio sulla guancia.
«Devo andare, scozzese.»
Lui fece un mezzo sorrisetto imbarazzato e la guardò alzarsi. «Ci vediamo sabato, vero?»
Sabato. La festa di compleanno della sua amica a cui l’aveva invitata. Gli aveva detto che sarebbe passata. Cazzo. «Sì, ci vediamo sabato.» Che male poteva fare una festa di compleanno con un sacco di invitati, in fondo? In qualche modo doveva pur passare i suoi fine settimana. Ben annuì, soddisfatto.
«Ciao Andy» la salutò con un cenno della mano.
 
---------
 
Adesso sono a casa. Tu?
 
Rispose una volta seduta sul divano del suo appartamento.
Non voleva mentirgli, quindi aveva omesso dove si trovava nelle ore precedenti. L’ultima cosa di cui Alex aveva bisogno era un ulteriore motivo per chiamarla alle 4 di notte, e in fondo il suo rapporto con Ben non era affar suo. Così come il suo rapporto con Alex, per il momento, non doveva interessare Ben. Non si erano neanche baciati.
«Non ci credi davvero alle stronzate che hai appena detto, vero?» chiese James quando lei si spiegò con lui.
Andy rimase in silenzio. … No, ovviamente non ci credeva. Sapeva benissimo di sbagliare a non parlare della situazione generale a entrambi, ma sperava solo che si risolvesse al più presto per non dover affrontare argomenti spinosi con persone che – tutto sommato – non conosceva così bene. Erano entrambe relazioni pronte a sbocciare, una evidentemente destinata a finire in catastrofe, l’altra con prospettive ben più rosee, e serene.
«Devo dire ad Alex di Ben?»
«Sì! Quantomeno accennargli che non hai intenzione di smettere di uscire con questo scozzesino rubacuori.» James l’aveva conosciuto: l’aveva seguita al loro primo appuntamento, e ci aveva subito stretto amicizia. D’altronde, con Ben era facile andare d’accordo.
 
Riunione con il team organizzativo per il Sud America.
 
Nel leggere con lei la risposta, James fece una smorfia di disagio.
«Oh-oh» disse. «Qui qualcuno se l’è presa…»
Andy si sbatté il palmo della mano sulla faccia. Se solo con Alex fosse stato facile come lo era con Ben…
 
Possiamo parlare?
 
Ne avremo ancora per ore, e domani partiamo per un paio di giorni per uno shooting a Las Vegas.
 
Andy alzò le sopracciglia, stupita da quella risposta.
«Che presa per il culo…» mormorò, rivolta più a se stessa che a James. «Prima mi sveglia alle 4 per dirmi che mi vuole e poi perché non rispondo a un messaggio mi bidona senza nemmeno chiedermi scusa.»
James annuì. «Se posso, un po’ me lo aspettavo, visto il personaggio.»
Il telefono vibrò ancora e le loro teste curiose si fiondarono all’unisono sullo schermo.
 
Scusa. Non sai quanto mi piacerebbe passare la giornata con te. Domenica ho tutto il tempo che vuoi. Te l’ho detto, non mi scappi.
 
James fece una faccia soddisfatta e incrociò le braccia sul petto. «Be’, decisamente meglio…»
Lei non poté fare a meno di sorridere. Gli rispose subito, presa dall’entusiasmo del momento.
 
Domenica ci sarebbe il brunch da Marg…
 
Ti passo a prendere alle 11, andiamo insieme? Per cena cucino io.
Abbiamo un conto in sospeso, io e te.
 
Okay, se Marg ti fa entrare…
 
James le lanciò un’occhiata piena di giudizi e si alzò dal divano. «Ti lascio a scrivere le tue porcate, vado a finire Sense8
Andy quasi non sentì le sue parole, e con un sorriso chilometrico in faccia poggio la nuca contro il divano. Nonostante tutto, non vedeva l’ora che arrivasse domenica.
 
---------
 
Sabato pomeriggio prese la metro rail per andare da Marg a provare qualche vestito per quella sera, come le aveva promesso. Aveva lavorato tutto il giorno all’intervista a Lady Gaga del lunedì successivo, che sarebbe diventato una sorta di speciale per la KROQ, di più di un’ora. Il suo nuovo boss, a capo dell’area scrittura, credeva molto in lei e le aveva lasciato praticamente carta bianca, ma per le quattro del pomeriggio aveva dovuto inviargli la bozza definitiva per una revisione.
Scese alla fermata corretta scorrendo le mail di lavoro per vedere se ci fosse qualche feedback. Ancora niente. Dopo qualche minuto suonò il campanello di Marg e salì in ascensore fino al quinto piano. L’amica la stava aspettando con addosso una tuta da casa sulla soglia della porta. Le rivolse subito uno sguardo inquisitore e puntò l’indice accusatore contro di lei.
«Qualcuno ha fatto la spia e mi ha raccontato di un incontro notturno…»
Andy sorrise ed entrò in casa. «Te lo volevo raccontare oggi, okay?»
«Sì, sì… come no.» Marg la abbracciò e le diede due baci sulle guance. Andy si tolse il cappotto e lo poggiò sull’attaccapanni: ormai casa di Marg per lei non aveva segreti, si conoscevano da appena un anno ma ci era stata talmente tante volte che non avrebbe saputo indicare un numero preciso. «Dai, vieni» disse Marg prendendola sotto braccio e portandola in camera da letto, doveva aveva parte dei suoi innumerevoli armadi.
Al pensiero del casino che potenzialmente poteva far scoppiare principalmente nella sua testa – e nella sua vita –, Andy si sedette sul letto con un tonfo, abbassando la testa come farebbe un peluche. «Che casino, Marg» borbottò.
La sua amica la imitò e le si sedette accanto, ma non poté fare a meno di ridacchiare e di esclamare, sarcasticamente: «Melodrammatica… due uomini che ti vogliono, che tragedia!».
Andy le diede una gomitata amichevole prima di tornare su con la testa e guardarla negli occhi. Marg era serena, anzi, divertita dalla situazione. La sua espressione la rassicurò: tutto si può risolvere, non sono questi i problemi della vita. «Dai, fammi vestire alla moda, una volta ogni tanto…»
Marg non se lo fece ripetere due volte e iniziò a mostrarle tutta la selezione che aveva fatto per lei. Mille volte le aveva suggerito di sfruttare il suo guardaroba, ma Andy si sentiva sempre a disagio e quindi aveva rifiutato sempre; tuttavia Miles le aveva confessato che a Marg sarebbe molto piaciuto, che è uno dei suoi modi di dimostrare affetto, quindi alla prima occasione buona aveva approfittato della vastissima scelta dell’amica. Le fece vedere – e provare – cinque abiti differenti, ma alla fine si incaponì su un vestito in seta verde simile a una sottoveste con le spalline a canottiera che lasciava molto poco all’immaginazione, visto che il tessuto cadeva su ogni singolo avvallamento del suo corpo. Per convincere Andy ci volle almeno mezz’ora: non era assolutamente il suo stile, e dovettero trovare un compromesso con una giacca oversize di velluto bianca da portare sopra il vestito. «Perfetto, così mi rovini tutto il look, inglese dal pessimo gusto» si lamentò Marg. Ma Andy sorrise e le baciò una guancia prima di ributtarsi a sedere sul letto.
«Okay, quindi abbiamo un vestito approvato e indossato. Quindi cosa farai… qual è il piano?»
Andy sospirò, prendendosi la testa tra le mani. «Il piano è un casino. Diciamo che vorrei prima passare la giornata di domani con Alex, parlarci, e provare a capire cosa voglio davvero…»
Marg sollevò un sopracciglio, dubbiosa: «E la sera di stasera la passerai con Ben?».
Andy sospirò di nuovo, lasciandosi cadere all’indietro sul letto dell’amica. Marg la imitò e si distese accanto a lei. «Possiamo venire qui al brunch domenica, vero?»
«Se proprio dovete…» rispose lei spintonandola con fare canzonatorio.
 
---------
 
James l’aveva raggiunta a casa di Marg e da lì, insieme, avevano preso un Uber verso l’SOS, il locale in cui si sarebbero trovati tutti gli amici di Georgia, la festeggiata.
Andy lo aveva ringraziato infinite volte per averla accompagnata, ma ovviamente non era stato abbastanza, per cui gli aveva promesso di offrirgli una cena fuori nel suo locale indiano preferito. Uno scambio equo agli occhi di entrambi.
«E smettila di mangiarti le unghie che sembri una dodicenne!» la rimbrottò passeggiandole accanto sul marciapiede.
«Cristo santo se sei un rompipalle» borbottò lei ficcandosi le mani nelle tasche del cappotto.
Arrivarono di fronte al locale, e da dietro Andy si sentì toccare da due mani le spalle. Trasalì e sobbalzò, spaventata come se fosse in un film dell’orrore: forse era un po’ troppo nervosa. Davanti a sé trovò solo Ben, una camicia verde, un paio di jeans e un sorriso mozzafiato.
«Ehi! Ti ho fatto paura?!» chiese ridendo. La abbracciò prima di abbracciare anche James e scambiare due parole con lui.
«Scusala, è allergica a incontrare persone nuove» la prese in giro James. Andy rise e diede una spintarella al suo coinquilino borbottando «Idiota».
«Venite, dai, vi presento i miei amici» disse James prima di passarle un braccio attorno al collo e guidare entrambi verso una dozzina di persone, poco distanti. Una ragazza stava raccontando qualcosa facendo grandi gesti, circondata da risate sguaiate.
Al loro arrivo si aprì un varco e Andy rivolse un sorriso imbarazzato alla comitiva. Il sorriso, tuttavia, svanì all’istante: davanti a lei c’era, innegabilmente, Alex Turner. Non appena lo notò, i suoi occhi si fissarono su di lui, confusi e spaventati. Cosa? Come è possibile… Perché?! Perché a me?!
Alex ebbe la stessa reazione: il sorriso che aveva sulle labbra rivolto evidentemente alle chiacchiere con i suoi amici svanì in un nanosecondo e i suoi occhi si gelarono in quelli di lei. Per entrambi, il tempo parve rallentare. La sigaretta che Alex stava portando alle labbra rimase ferma a mezz’aria, e la sua bocca si aprì di un centimetro scarso per la sorpresa. Era stato preso totalmente in contropiede.
«… Lea, la festeggiata, Georgia, e ovviamente Alex, che conoscerai come il cantante di una delle band più famose del mondo…» riuscì a sentire Andy quando le parole scalfirono il mondo ovattato in cui era caduta in un solo istante. Le sembrava di aver fatto un incidente frontale, ma nel mentre Ben stava tentando di presentarle i suoi amici con il suo solito tono spensierato e gioioso.
James abbassò lo sguardo e prese a stringere le mani dei presenti per cercare di togliersi dall’imbarazzo, mentre Alex fu costretto a prendere coraggio, notando che Andy era ancora paralizzata sotto il mezzo abbraccio di Ben. «In realtà, io e Andy già ci conosciamo, mi intervistò tempo fa alla KROQ» accompagnò le parole con un sorriso imbarazzato.
Lei, completamente nel panico, passò lo sguardo da Ben ad Alex, e da Alex a Ben. Poi si schiarì la voce e, annuendo, provò a blaterare: «C-ciao… Piacere di conoscervi, piacere e… tanti auguri».
Ben si voltò a guardarla, un po’ stranito da quel comportamento impacciato, e le tolse il braccio dalle spalle. «Ah, fico! Non lo sapevo. Io e Al ci conosciamo da qualche anno, ha lavorato con Georgia al lancio di un libro di Cooper Clarke e sono rimasti in contatto» spiegò Ben ad Alex con il solito tono vivace. Andy fece un sorriso di circostanza e annuì senza avere veramente capito che cosa le aveva appena detto. Si morse un labbro con forza per il nervosismo, deglutì e annuì di nuovo.
«Capito… capito.» Porca puttana.
«Ciao, Andy» disse Alex dopo aver fatto un tiro di sigaretta. Si stava atteggiando da rockstar. Indossava un paio di pantaloni neri di sartoria e una maglietta bianca a maniche corte perfettamente stirata con degli stivaletti in pelle. Gli occhiali da sole pendevano dal colletto. Lei lo guardò in silenzio, cercando di indagare con cautela su quale fosse stata la sua reazione a quell’improvvisata micidiale e le sembrò di scorgere solo una grande amarezza.
Andy avrebbe solo voluto scomparire. In tutta onestà, in quel momento ebbe la sensazione di non aver fatto una sola scelta corretta in vita sua: una lunga sfilza di idiozie doveva averla portata a essere lì in quel momento, a presentarsi sorridente e sotto il braccio di un ragazzo adorabile di fronte a quel cazzo di enigma impossibile che era Alex Turner… con cui avrebbe dovuto passare tutto il giorno seguente, in quello che sperava fosse un misto di romanticismo e passione sfrenata. Quell’Alex che non sapeva niente di dove fosse, men che meno che fosse a fare serata con il tipo di cui gli aveva parlato Miles.
Andy sospirò e strinse le mani in due pugni nervosi nelle tasche del cappotto di velluto. «Ciao, Alex.»
La verità è che non poteva scomparire, né far tornare indietro il tempo, doveva però capire come uscire da quell’impiccio il prima possibile. Come sempre, il suo primo istinto fu quello di dire la verità: gridare VOGLIO USCIRE CON ENTRAMBI! SCUSATE! FORSE DOVEVO PARLARVENE!, ma le parve un gesto di eclatante egomania, quindi, semplicemente, si zittì.
Per dieci minuti buoni, quando Ben tentava di coinvolgerla in una conversazione con i suoi amici, lei si limitava ad annuire e sorridere timidamente, oppure conversava sottovoce con James di argomenti il più lontani possibile da quella situazione tremenda: come, per esempio, a proposito dei vincitori dell’Eurovision.
Alex, da parte sua, era calato in un mutismo assoluto e non fingeva neanche di rispondere alle domande dirette che di tanto in tanto venivano sparate nella sua direzione. Finì il suo drink in appena due sorsi e fumò la sigaretta in non più di tre tiri. Non le rivolse neanche l’accenno di uno sguardo: si era voltato di tre quarti ed evidentemente stava cercando di escluderla completamente dal suo campo visivo.
«Vado a prendere da bere» annunciò Andy a un tono più alto del normale, rivolta un po’ a tutti, un po’ a nessuno. L’ultima cosa che voleva era mettersi a parlare con Ben come se fosse il suo ragazzo e sussurrarglielo nell’orecchio. Lui si voltò e fece per dirle qualcosa, probabilmente voleva offrirsi per farlo al posto suo – cazzo, adorabile –, ma Andy non gli diede il tempo: girò i tacchi e si avviò con uno sprint verso l’interno del bar, stracolmo di gente.
Adesso mi rannicchio a terra e resto qui tutta la sera, pensò. Una mano le toccò la spalla e il terrore la colse, ma quando si voltò trovo solamente James, che la guardava con un’espressione di disagio.
«Che dire… è un bel casino» disse, raggiungendola tra la gente. Doveva praticamente urlare per farsi sentire oltre al frastuono della musica dal vivo. Un gruppo di cinque componenti stava suonando un repertorio di musica indie. In quel momento, toccava a una cover dei Vampire Weekend.
«È un bel cazzo di casino, James… Come faccio?» quasi gridò, disperata, continuando ad avvicinarsi al bancone. Finalmente lo raggiunsero e iniziarono a cercare di incrociare lo sguardo di un barista benevolo. Per il caldo e il nervosismo, si legò i capelli in una coda alta.
Il suo coinquilino scosse la testa, incredulo anche lui per quell’assurda coincidenza. «Voglio dire… chi cazzo avrebbe pensato…»
«Esatto! Chi cazzo avrebbe pensato! Ma come ne esco?!» Ormai Andy era praticamente isterica.
Dopo aver tamburellato il dito sul bancone, lui la guardò e bisbigliò: «Puoi far finta di avere un’emergenza… di stomaco… il cagotto?».
Andy gli lanciò un’occhiataccia e si sbracciò per catturare l’attenzione della barista. «Ciao! Scusa, ci fai due Negroni? Fortissimi, grazie.» Pagò subito con la carta e si mise ad attendere il drink.
James la studiava: aveva paura di essere sbranato alla prima parola errata. «Sul serio, che vuoi fare?» le chiese poggiando i gomiti sul bancone alto.
«Sul serio, non lo so» gli rispose, rivolgendogli uno sguardo terrorizzato. Era sull’orlo di una crisi di nervi: non aveva idea di come uscire da quella situazione agghiacciante senza ferire nessuno o mandare all’aria un potenziale futuro felice. A ondate arrivava anche una sorta di consapevolezza che non avesse fatto davvero niente di male: non era fidanzata con nessuno, e per quanto ne sapeva sia Ben che Alex potevano troncare tutto dopo due giorni, o potevano uscire con altre cento persone. In fondo, non era così grave. Voglio dire, Alex aveva passato due volte la notte con la sua coinquilina e il giorno stesso voleva baciarla a Griffith Park.
«Possiamo restare qui un po’?»
James annuì, prendendo il drink tra le mani e dando subito una bella sorsata. All’istante, fece un’espressione disgustata. «Dio, quant’è forte…» tossicchiò un po’ e seguì Andy per spostarsi in un angolo meno affollato del locale, dove presero posto su due sgabelli e osservarono un po’ la band in silenzio. «Alex sembra incazzato nero» constatò poi lanciando un’occhiata di sottecchi verso Andy.
Lei ricambiò l’occhiata e bevve il Negroni. «Già… giust’appunto, mi sa che mi nasconderò qui per un paio d’ore» rispose Andy con un tono a metà tra il lamento e il sarcasmo.
James e Andy finirono i drink e ne ordinarono altri due: ormai erano spariti da almeno quaranta minuti dal resto della compagnia, che alla spicciolata ogni tanto entrava nel bar per ordinare da bere. Ogni volta, Andy faceva il possibile per voltarsi e non essere riconoscibile. Lanciò un paio di occhiate al telefono, nella speranza che Alex le scrivesse qualcosa… Qualcosa del tipo “è tutto okay” o “dove sei?”. Lo schermo le restituì il silenzio assoluto che lui aveva deciso di riservarle.
«Che serata del cazzo…» commentò Andy con un sospiro. «Ancora non posso credere che conosca Ben. In tutta questa enorme città doveva proprio conoscere lui!»
«Se non altro non sembrano migliori amici… Poteva andare peggio» replicò James prendendo un altro sorso dalla cannuccia.
All’improvviso all’altro lato del bar si sentì un gran trambusto, tra grida e applausi. La folla parve aprirsi come l’acqua di Mosè per far spazio a qualcuno, che dopo qualche minuto di confusione salì sul palco. A cinque metri di distanza da loro, Alex Turner prese il microfono in mano, tra gli applausi scroscianti del pubblico e dei suoi amici presenti, che apparivano esaltati per aver finalmente convinto il cantante a esibirsi al compleanno di Georgia. I musicisti, ovviamente, sembravano tutti entusiasti, e perfino il cantante si fece da parte volentieri: non capita tutti giorni di poter vedere una star internazionale esibirsi in una serata casuale e in un locale tanto piccolo.
Andy voleva affogare nel suo drink, ma rimase ferma a guardarlo: purtroppo, la sua visuale era perfetta, il che implicava che anche Alex poteva vederla benissimo, con James e il suo drink nascosta in un angolo.
«Be’, forse può andare peggio…» commentò sottovoce il suo coinquilino.
Nonostante la sua fama mondiale, Alex pareva a disagio, continuava a toccarsi i capelli e a sorridere gentilmente ai musicisti che sembravano inondarlo di parole. Annuiva e lanciava sguardi agitati, evidentemente era stato costretto, forse per far contenta la festeggiata.
Andy spostò appena lo sguardo e, sotto il palco, notò la comitiva di amici che aveva conosciuto poco prima. Tra loro, Ben gridava gioioso di iniziare a cantare e, in coro, intonava il nome di Alex con altri ragazzi. Andy sospirò: per fortuna non si era allarmato della sua assenza. Conoscendolo, pensò che si fosse impegnato nel rendere contenta la festeggiata dandosi una qualche giustificazione alla sua ormai prolungata sparizione.
Andy prese un lungo sorso del suo secondo drink fino a finirlo. Lo poggiò su un tavolino e tolse la giacca di velluto per legarla in vita. Tutto quell’alcol iniziava a farle sentire caldo. Si passò una mano sulla fronte per sistemare tutti i ciuffetti che le erano scappati dalla coda e si preparò a soffrire. Ecco la mia punizione.
«Signori e signore…» tuonò d’un tratto il microfono, la voce profonda di Alex riempì il locale. Lei lo guardò, rassegnandosi definitivamente a dover assistere a quello spettacolo. «… sono Alex Turner. Vi dispiace se canto un paio di pezzi per voi?» Il poco pubblico presente impazzì, e anche le persone che erano fuori sul marciapiede si precipitarono dentro al locale per capire cosa stesse succedendo. «Assicuriamoci prima che questi gentlemen conoscano il repertorio» borbottò divertito voltandosi verso i membri della band per consigliarsi con loro.
Nelle prime file iniziarono ad alzarsi alcuni telefoni, pronti a riprendere quella fortunata e inusuale performance intima. Dopo qualche assenso e risata entusiasta dei componenti della band, che sembravano pendere dalle labbra di Alex, il cantante si riavvicinò al microfono con un’espressione concentrata e compiaciuta al tempo stesso. «Qualcuno qui conosce per caso una canzone chiamata Do I Wanna KnowDomanda, a dir poco, retorica. Di nuovo, i presenti risposero con delle grida intellegibili. Si sarebbe detto che sì, conoscessero la canzone chiamata Do I Wanna Know, loro e l’intera popolazione mondiale.
Quasi all’istante, la band dal vivo replicò le prime note del brano di AM e, nonostante l’acustica non fosse delle migliori, la voce di Alex iniziò a risuonare contro le pareti come la più soave delle sirene incantatrici, e i presenti non poterono fare a meno di gridare di nuovo. Andy, dal canto suo, rimase paralizzata a osservarlo fare la sua magia – nella speranza che non si accorgesse di lei in fondo alla sala ­–: sembrava un’altra persona. Era infinitamente sicuro di sé, la sua voce non aveva il minimo accenno di indecisione e iniziò a muoversi a tempo di musica con piccoli movimenti di bacino, aggiustandosi il microfono con le salde dita bianche. Tra un verso e l’altro lanciava sguardi tra l’arrogante e il sensuale attorno a sé. A forza di guardarsi casualmente attorno per coinvolgere il più possibile i presenti, sul ritornello inevitabilmente scorse Andy tra la folla.
«… busy bein’ yours to fall for somebody new, now I thought it through… Crawlin’ back to you» terminò non staccandogli gli occhi di dosso. Andy, a sua volta, lo fissava. Lo aveva già visto in concerto, ovviamente, tanto tempo prima, ma al di là dei propri confusi sentimenti e del casino che aveva infiocchettato doveva ammettere che era contenta di assistere a un momento simile: veder cantare Alex Turner a così pochi metri di distanza non succedeva tutti i giorni. Lui proseguì con la sua performance, impeccabile come sempre, totalmente inscalfibile in quella che era, a tutti gli effetti, la sua casa: il palco. Andy sapeva perfettamente che un professionista di tale portata non si sarebbe fatto distrarre da niente, tantomeno da lei, che lo fissava dal fondo della sala.
Di tanto in tanto lanciava qualche sguardo alle persone in prima fila accompagnandoli alle – sensualissime – parole della canzone. Oltre all’emozione di sentire dal vivo di nuovo la voce di Alex, Andy non poté fare a meno di pensare che, comunque, quella canzone si adattava benissimo alla loro situazione. Anzi, perfettamente.
«But we could be together, if you wanted to…» cantò anche Andy con il resto del pubblico presente imitando Alex. Poi, con James, cantarono insieme il ritornello con trasporto, come se fossero davvero a un concerto degli Arctic Monkeys. «Ever thought of callin’ daaaarliin’…» proseguirono scambiandosi un sorriso. Che pezzo fantastico, è senza tempo, si trovò a pensare Andy.
Alla fine del brano, si unirono al coro di applausi e di gridolini. Alex alzò una mano in segno di riconoscenza. «Facciamo un bell’applauso a Georgia: buon compleanno amica mia» disse con la sua voce vellutata. La comitiva di Ben si esibì in applausi e grida da stadio, mentre Georgia rideva imbarazzata, in prima fila. Il resto dei presenti applaudì con meno convinzione, cercando tra la gente il volto della festeggiata per poter invidiare la beneficiaria di quella performance tanto speciale.
«Okay, solo un altro pezzo e poi tolgo il disturbo e lascio suonare questi bravi ragazzi… Scusate l’imposizione» si leccò le labbra beandosi per l’adorazione generale. «La prossima è meno conosciuta, un pezzo che si potrebbe definire… storico» proseguì con un tono basso sensuale. «Quasi un anno fa mi è stato detto essere il mio testo più bello: sarete voi a giudicare.»
Partirono le note di She’s Thunderstorm. Andy sorrise. Era quello che gli aveva detto la prima volta che si erano visti, quando aveva intervistato lui e Matt. Lo fissò e assunse un’espressione grata quando gli occhi del cantante si poggiarono su di lei per un secondo, senza l’intenzione però di restare.
«In an unusual place, when you’re feeling far away… She does what the night does to the day…» si unì al coro con trasporto Andy chiudendo gli occhi.
Stavolta, lo show di Alex non era sexy, ma sognante. Per la maggior parte del tempo fissò il vuoto davanti a sé. Aveva una voce splendida, perfetta e vellutata. La maggior parte del pubblico non conosceva la canzone, ma qualche fan appassionato sì, e continuò a registrare video della performance. Anche Andy non poté fare a meno di tirare fuori il telefono e scattargli una foto, solo per ricordo. Nello scatto il cantante aveva gli occhi chiusi, stava di profilo e una mano era alzata sopra la testa, le dita in movimento come per suonare un tamburello immaginario.
Al termine della canzone, Andy ripose il telefono nella tasca del cappotto e applaudì con il resto del pubblico. Alex la guardò per un istante ma senza espressioni particolari, poi fece un inchino per tutti i presenti. «Grazie, e ringrazio anche i miei amici che mi hanno obbligato a fare questa improvvisata, causandomi immenso imbarazzo… Buona serata a tutti» concluse tra le risate sguaiate del gruppetto in prima fila.
Il suo taglio alla moda sparì tra le tante teste, e Andy si voltò finalmente verso James: «Posso usarti come scusa?».
Lui roteò gli occhi, sbuffando. «Cristo santo… Okay, va bene. Cos’ho, stavolta? Una gamba rotta? Mi hanno rubato la bici? Ho la meningite? Ho perso un parente stretto?» Andy non poté fare a meno di sorridere, era così plateale, con quelle mani sempre a gesticolare.
«Adesso vediamo che mi invento… Mettiamo in atto la grande fuga, dai.» Andy si alzò e con non poca difficoltà per la calca raggiunse prima il palco e poi si diresse verso l’uscita. Con la coda dell’occhio, notò che Alex era stato placcato da almeno tre ragazze, non vide Andy neanche quando gli passò di fianco. In compenso, la ragazza scorse la testa castana e scompigliata di Ben sul marciapiede, così si diresse verso di lui con un’espressione contrita.
Una volta raggiunto, venne investita all’istante dalle sue parole divertite: «Andy! Dove eri finita? Tutto bene? Hai visto la performance di Alex? È stato fighissimo!». Annuì, sì, aveva visto la performance di Alex. Sorrise guardandolo dritto negli occhi: era leggermente accaldato per via dell’alcol e della calca sotto il palco, sicuramente aveva cantato e sbraitato più di tutti, ed era adorabile, con i capelli bagnati dal sudore qua e là. Si sentiva in colpa, non voleva dirgli una bugia e raccontargli che doveva andarsene per via di James: era grande abbastanza.
«Ben, scusami… oggi è proprio una giornata no, devo tornare a casa. Mi permetti di spiegarti tutto, con calma, la prossima settimana?» Lui le rivolse subito uno sguardo confuso e preoccupato, le sopracciglia folte a incorniciare i grandi occhi nocciola.
«Ma… sì, sì, certo, assolutamente. Hai bisogno di qualcosa?» le chiese toccandole un braccio nudo, come per assicurarsi che non cadesse a terra. Andy scosse la testa prima di abbracciarlo spontaneamente: era impossibile non farlo, con uno come lui. Si alzò leggermente in punta di piedi e strinse le braccia attorno al suo collo, mentre lui le poggiava le mani sulla schiena, coperta solo dal vestitino di seta.
Quando Andy si staccò, notò che si era imbarazzato, ma comunque le lasciò un bacio sulla guancia. «Chiama se hai bisogno di qualsiasi cosa, okay?»
«Okay» rispose lei prima di dargli un cinque scherzoso. «Ci sentiamo, e scusa ancora.» Quando si voltò per cercare James e andarsene finalmente da quell’inferno, scorse la figura di Alex a qualche metro di distanza, stava ancora parlando con una delle ragazze di prima, stavano fumando una sigaretta con una birra. Per andarsene, doveva passargli davanti.
Dopo essersi bloccata a metà passo, prese coraggio e si avviò sul marciapiede. Dopo qualche secondo Alex alzò lo sguardo e la notò, ammutolendo. La fissò negli occhi e lanciò anche un rapido sguardo alla sua intera figura. Andy, forse rinvigorita dall’abbraccio di Ben e dall’abbondante alcol dei due cocktail, prese il coraggio a due mani, pur sempre con la consapevolezza che con ogni probabilità, dietro di lei, scozzese la stava guardando andare via. Si fermò davanti ad Alex e rivolse un sorriso gentile alla sua interlocutrice.
«Ehi… noi torniamo a casa.» Fece una pausa di un paio di secondi per sondare una qualsiasi reazione ma Alex continuava a fissarla, imperterrito. «Fammi sapere per domani, okay? Se vuoi ancora farlo o no.» Dopo quella che le parve un’eternità lui annuì, sempre in religioso silenzio. La ragazza al suo fianco, in compenso, iniziò a squadrare Andy con un’espressione confusa, ma lei non ci fece minimamente caso. Se adesso mi preoccupo pure di questa stanotte mi conviene farmi internare alla neurodeliri: mi devo preoccupare di una cosa alla volta.
«Buonanotte» riuscì finalmente a dire Alex. Fece un tiro di sigaretta sprezzante.
«Buonanotte» ripeté Andy con amarezza mentre lo sorpassava.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys / Vai alla pagina dell'autore: chelestine