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Autore: NyxTNeko    15/07/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 152 - In guerra, la metà di tutto è la fortuna -

Giuseppe Bonaparte, dopo essersi gustato il banchetto, controllando l'ora, decise di tornare in albergo. Salito in carrozza, ripensava a quella giornata: tutti gli avevano fatto numerose domande sul fratello, anche riguardanti la sfera personale. Il giovane avvocato, però, si era limitato nel riferire soltanto alcune notizie, Napoleone lo aveva messo in guardia sull'ambiente parigino, anche i muri avevano le orecchie.

"Al Direttorio, poi, piacerebbe molto conoscere parecchie informazioni su di lui, soprattutto in un momento di grandissima instabilità come quello che stanno vivendo" pensava ciò, osservava la capitale in silenzio, dietro la facciata festaiola "Napoleone ha scelto il momento adatto per tenersi il più lontano possibile dalla politica francese e potersi coprire di gloria, fama". Quei giorni non erano stati affatto tranquilli, Parigi era sempre più complicata da gestire, a causa delle varie parti, che escluse dalla gestione del potere, si stavano scontrando per avere comunque la meglio e rovesciare l'attuale governo.

Il 10 maggio, che corrispondeva al 21 floreale dell'anno IV del calendario rivoluzionario, c'era stato un tentativo di cospirazione da parte di Babeuf e dei suoi più stretti collaboratori, Filippo Buonarroti e Augustin Darthé, la cosiddetta Congiura degli Eguali, chiamata così in quanto i seguaci volevano garantire la vera uguaglianza ai cittadini, eliminando qualsiasi ostacolo che potesse impedire tale esito.

Tra questi vi era l'abolizione della proprietà privata, che ai loro occhi costituiva la più grande forma di disuguaglianza. I frutti della terra appartenevano a tutti. Avevano in mente di realizzare uno stato che avesse sovranità popolare e democrazia diretta, si rifacevano a Rousseau per quanto riguardava la presenza statale che avrebbe ridistribuito la ricchezza. Princìpi che potevano apparire nobili e migliori rispetto al governo attuale, ma che nella pratica sarebbero stato ardui, se non impossibili da realizzare. Era pura e semplice utopia.

La congiura non era andata a buon fine e i responsabili erano stati arrestati. Ma erano ancora in attesa di giudizio, per cui non si poteva essere ancora al sicuro. Vi erano molto seguaci che agivano e tramavano nell'ombra. Barras minimizzava e cercava di temporeggiare, mentre Carnot era deciso più che mai ad arrestarli e a giustiziarli, solo così si poteva garantire che nessun altro francese seguisse quel gruppo di esaltati.

"Era stato proprio mio fratello ad intuire la pericolosità che si celava dietro il Club del Pantheon, e che aveva fatto chiudere, arrestandoli la prima volta" rifletteva Giuseppe, ricordando quanto Napoleone gli avesse riferito a quel tempo. Aveva avuto modo di conoscere anche lui quel Buonarroti, in Corsica e non si era stupito molto nel saperlo a Parigi, era la città più influente d'Europa, l'unica in grado di fare attecchire un'idea e diffonderla. Si stava vedendo con la Rivoluzione.

Inoltre Napoleone gli aveva espresso pure la perplessità dell'atteggiamento di Barras, che in altre circostanze si era dimostrato brutale, spietato, mentre sembrava essere molto accondiscendente con questi ultimi. La giustificazione era il controbilanciare i monarchici, in questo caso avrebbero avuto meno seguito e secondo lui sarebbero stati più facili da controllare.

"Al contrario di Carnot, il quale sembra pensarla come me, devo ammettere che è l'unico tra i Direttori con il quale mi trovo d'accordo nelle idee, spero che la nostra collaborazione continui e si evolva" rimembrava le parole di Napoleone, gli aveva confessato ciò in uno dei pochi momenti di pausa che intercorrevano tra una battaglia e l'altra "Sarebbe un peccato farsi sfuggire un uomo simile..." Giuseppe sorrise divertito: suo fratello aveva centrato il punto ancora una volta, l'esperienza politica corsa gli aveva fatto aprire gli occhi sui giochi di potere, sia evidenti, sia occultati, assieme alla lettura del Machiavelli - Eh sì, Napoleone ha scelto il momento migliore...

Brescia, 29 maggio

- Generale Berthier - emise immediatamente Napoleone, non appena era arrivato al quartier generale posto nell'omonima città, un paio di giorni prima - Le rivolte sono state sedate, perciò dobbiamo approfittarne per ottenere vantaggio e dedicarci alle truppe nemiche, soprattutto ora che siamo in terra veneta...

Il capo di Stato Maggiore annuì velocemente, guardò il comandante, era determinato come sempre, ma aveva scorto in lui una preoccupazione che cercava di non rivelare, sicuramente stava pensando al fatto che la Serenissima Repubblica Veneziana stesse, in qualche modo, permettendo agli austriaci di restare nel proprio territorio, in cambio della sua "protezione", pur avendo ribadito innumerevoli volte di essere neutrale e indipendente - Credete che il governo veneziano possa interferire, comandante?

Bonaparte, stupito dalla grande capacità del sottoposto di intuire i propri pensieri, confermò - Ovviamente non credo che lo farà in maniera diretta, i veneti non hanno alcuna voglia di sporcarsi le mani e di perdere l'indipendenza, ciò che è rimasto della loro grandezza passata - lo sguardo cadde sulla cartina appesa, su cui era segnato il percorso fatto fino a quel momento - Però l'aver permesso il controllo del Quadrilatero agli austriaci non è di certo una notizia positiva per noi e fa dubitare della loro parola - il 'Quadrilatero' era il nome dato al sistema di fortificazione costituito dalle città di Peschiera, Verona, Legnano e Mantova, che permettevano a Beaulieu di potersi difendere dall'avanzata rivoluzionaria.

- Senza contare che il comandante austriaco ha appostato le sue truppe lungo il fiume Mincio, fino al Garda... - aggiunse Berthier, a braccia conserte, sapendo benissimo che Bonaparte aveva già messo in moto la prossima tattica. Poteva trovarsi anche dall'altra parte del mondo, ma avrebbe sempre gestito le varie mosse, come un'enorme partita di scacchi o di dama, era abilissimo nel far muovere le proprie pedine e mangiare quelle avversarie.

- Di questo non dobbiamo preoccuparci - disse Napoleone con il morale risollevato. Per sua fortuna Beaulieu non era in grado di gestire la sua armata al meglio. Pur disponendo di un numero superiore di soldati e di mezzi migliori, rispetto a quelli francesi, non sapeva sfruttarli e li aveva dispersi in modo confuso e disordinato - Borghetto sarà nostra domani, Berthier - quella piccola frazione della città di Valeggio sul Mincio era ubicata nella posizione perfetta per essere accerchiata, a nord da Verona e a sud da Mantova, mandando ben quattro divisioni: quella di Augereau, Masséna, Serurier e l'avanguardia guidata dal nuovo comandante della cavalleria Kilmaine, un generale irlandese che prestava servizio presso i francesi.

Fervente sostenitore della rivoluzione e della repubblica, Charles Edward Saul Jennings, nato a Dublino, sin da bambino aveva vissuto in ambiente francese, il padre decise persino di cambiare il cognome in Kilmaine per dimostrare la sua totale appartenenza alla nuova patria, aveva anche combattuto durante la Guerra d'indipendenza americana. Tale esperienza instillò in lui il bruciante desiderio di aderire alla causa rivoluzionaria francese, sperando che un giorno anche la sua terra di origine sarebbe stata indipendente e libera dal giogo inglese.

Combattè nell'armata del Nord e in quella delle Ardenne, tuttavia la sua origine irlandese fu vista come sospetta da molti, poteva essere una spia, però riuscì a dimostrare comunque il proprio valore e la fedeltà alla Francia. Ma fu messo in carcere e dovette aspettare la caduta di Robespierre per tornare in servizio e dal 1795 divenne vice del comandante Stengel, che aveva sostituito dopo la sua tragica morte in aprile.

Napoleone aveva bisogno di una vittoria, dopo un periodo di riposo e di quasi totale assenza di battaglie importanti, sentiva il necessario bisogno di ribadire la sua posizione di assoluto controllo della zona. Il pensiero era rivolto alla Serenissima, assieme alle altre parti d'Italia, come i ducati confinanti della zona padana e toscana e dello Stato della Chiesa.

Su quest'ultimo il Direttorio aveva puntato lo sguardo, voleva i suoi tesori e anche un indebolimento della sua influenza "Quando avrò l'occasione li accontenterò...anche perché la Chiesa deve avere una lezioncina, così imparerà a non intralciare i miei piani di conquista e a fomentare rivolte contadine anti-francesi" sapeva che prima o poi la Santa Sede lo avrebbe contattato per avere degli accordi "Anche se quelle sono più volute da certa pretaglia, che dall'istituzione papale stessa, ho avuto modo di notarlo in questi giorni". Continuava a pensare che la dinamica fosse simile a quella Vandeana, l'unica differenza era l'estensione delle ribellioni italiane, era piuttosto limitate e averle sedate in tempo ha comunque impedito la loro diffusione "Tuttavia instillare un po' di paura anche al papa e ai cardinali non è un male".

"Inoltre ho dato ordine di far distruggere tutte le campane delle chiesette nei dintorni di Tortona, con esse venivano chiamati i ribelli" diceva tra sé nel mentre si preparava a raggiungere Borghetto "E anche di fare fucilare tutti quei preti da strapazzo, che guidavano tale gentaglia incontrollabile e del tutto incapace di comprendere il cambiamento del mondo" Nonostante avesse avuto in famiglia uomini di chiesa, tra cui il prozio Luciano, questi erano davvero dei timorati di Dio e mettevano in pratica i precetti religiosi, per questo Bonaparte li aveva sempre rispettati, pur non condividendone il culto. Questi sacerdoti, invece, avevano in bocca le parole di Dio, ma il cuore duro del Faraone d'Egitto, Ramses II.

Valeggio sul Mincio, 30 maggio

L'esito della battaglia di Borghetto fu scontato, ancora una volta i francesi erano riusciti a battere il nemico con una semplicità che si poteva dire disarmante. Ma era soltanto l'apparenza, tutti i suoi generali, ufficiali e soldati sapevano quanto studio ci fosse dietro ogni marcia che il comandante aveva ordinato loro di eseguire - Beaulieu, come al solito, è caduto dritto nella trappola, ormai è prevedibile - aveva detto Napoleone non appena era stato certo della vittoria - Possibile che non abbia ancora capito come mi muovo?

Anche perchè non era la prima volta che utilizzava quel modo di fare la guerra, di condurre una battaglia. Seppur fosse innovativo rispetto agli anni in cui viveva, non era di certo originale, rielaborava ciò che era stato pensato ed eseguito nel passato, adattandolo al suo presente: innovazione e tradizione, due termini che voleva applicare il più possibile in ogni ambito della sua esistenza.

- Meglio che non lo abbia capito, comandante - emise il generale Masséna, seduto poco distante da lui, in una delle sale del Palazzo Guarienti, residenza principale della piccola città di Valeggio, in stile neoclassico, costruito nella seconda metà del Settecento e residenza dei marchesi Guarienti di Verona. Bonaparte aveva deciso di sostarvi momentaneamente, assieme ad alcuni suoi ufficiali e aiutanti di campo - Lo abbiamo potuto ingannare con molta facilità! Ci voleva a quello stupido di un cane austriaco! - emise con orgoglio malcelato il nizzardo.

- Non bisogna mai disperdere le forze sul campo - ripeté Napoleone, aveva detto esattamente la stessa cosa una volta spiegato il piano e fatto mettere in pratica - Ma concentrare l'attacco in un unico punto, dando però l'illusione di voler attaccare anche gli altri - aveva fatto credere all'austriaco di star preparando un attraversamento del Garda. In questo modo lo aveva distratto e aveva potuto inviare le quattro divisioni a Borghetto, trovando poca resistenza: il ponte sul Mincio era sorvegliato da un solo battaglione di fanteria e di ussari - Un uomo dalla grande esperienza come lui dovrebbe saperlo no? Sarà pure un ufficiale alla vecchia maniera ma è la base di ogni guerra!

- L'età non lo aiuta - si intromise Murat, aggiustandosi alcune mostrine sul petto - Mi chiedo se l'imperatore d'Austria abbia ufficiali giovani e capaci oppure sono tutti dei vecchi da mandare in pensione - si grattò il mento un po' ispido di barba.

- Probabilmente è la seconda opzione che avete detto Murat - confermò Napoleone poggiando i piedi sul tavolo davanti a lui - E credo proprio che sua maestà non lo lascerà ancora al comando di questa armata, se vuole che il prestigio della casata Asburgo abbia ancora un briciolo di dignità... - dopodiché il giovane corso decise di starsene per conto suo, godendosi un po' di silenzio e di tranquillità. Erano stati giorni intensi, pieni di lavoro, per cui non aveva avuto il tempo nemmeno di chiudere gli occhi. Messosi in una stanzetta, si avvicinò al letto e vi si sedette - Credo che mi riposerò un po', prima di riprendere... - trattenne uno sbadiglio, era veramente stanco.

Nel frattempo i due ufficiali controllavano che le guardie stessero facendo il loro lavoro di sorveglianza, avevano vinto ma il nemico era sempre nei paraggi. La scorta personale del generale Bonaparte, anche se affaticata, non si sottrasse al proprio dovere neppure stavolta. Napoleone riusciva quasi a dormire a comando, non appena si era sdraiato si era appisolato, eppure non aveva il sonno pesante, infatti, quando sentì qualcuno bussare, aprì gli occhi. Intuì che fosse accaduto qualcosa, il silenzio di poco prima era stato soffocato dal rumore dei fucili, delle baionette e di passi concitati. Quanto tempo era passato da quando aveva poggiato la testa sul cuscino? Non ne aveva idea.

- Comandante! - udì dall'esterno - Ci sono gli austriaci, scappate, mettetevi in salvo, noi proveremo a farli allontanare! - Napoleone non se lo fece ripetere due volte, sapeva che se lo avessero catturato, per il nemico sarebbe stato un ottimo bottino "Ma non vi darò questa soddisfazione" alzatosi lentamente in piedi, per non fare rumore, prese la giacca, gli stivali e si allontanò furtivamente "Per fortuna non ho tenuto gli stivali, altrimenti con i tacchetti sarei stato scoperto". Si stupiva del sangue freddo che dimostrava in una situazione come questa, poteva essere rintracciato all'istante, percepiva distintamente le frasi tedesche che risuonavano nell'aria. Quel poco che sapeva di quella lingua tanto ostica, quanto odiata, gli fu comunque utile.

Il minimo che aveva compreso da quel manipolo di uomini, degli ussari, a giudicare dal rumore metallico delle armi e delle uniformi, potevano essere un centinaio o poco più, era che si erano mossi per la fame e lo ripetevano borbottando. Ovviamente Napoleone non aveva alcuna voglia di distogliere le loro attenzioni e i loro bisogni primari verso di sé: il coraggio non gli mancava, ma non era di certo uno sprovveduto o uno sciocco da provocarli senza alcun motivo.

Raggiunse una finestra sul retro, qui trovò nuovamente Masséna e Murat, che preoccupati per lui, erano corsi per assisterlo in caso di pericolo - Siete voi, andiamo via presto - sussurrò Napoleone, lanciò gli stivali oltre il davanzale, poi si calò fino a terra, seguito dai due omaccioni - A quanto pare essere nato e cresciuto per qualche periodo su di un'isola selvaggia come la Corsica non è stato poi così svantaggioso - rivelò ai suoi, colpiti dal suo spirito di adattamento. L'apparenza ingannava, quel fisico macilento e malaticcio era ben addestrato. Sin da bambino aveva imparato, per divertimento, sfida e necessità, ad arrampicarsi o calarsi da qualcosa, che fosse un albero o una roccia. Poi la corporatura smilza e leggera lo aiutava non poco, poteva muoversi e nascondersi facilmente.

Sentì del sangue scendere dalle ginocchia, si erano sbucciate, "Se mi vedesse mia madre..." Ridacchiò al pensiero di quanti ceffoni aveva ricevuto durante l'infanzia ogni qualvolta era tornato a casa con le vesti tutte squarciate e le ferite su tutto il corpo - Comandante... - si allarmò Murat, ma Napoleone lo fermò, con aria serena, rassicurandolo - Non è nulla colonnello, non è di certo la prima volta che mi accade e poi è niente in confronto alle ferite di guerra che voi e il generale Masséna avete accumulato nel corso di queste battaglie, no? - sorrise leggermente. Poi tornò serio e concentrato.

- Comandante, dovremo raggiungere il ponte non è così? - chiese il nizzardo, mettendosi davanti a lui, in modo che Bonaparte potesse infilarsi gli stivali, la giacca e raggiungere una zona più sicura. Napoleone sistematosi, si tolse un po' di terra di dosso e si rialzò e annuì - È sotto il nostro controllo, per cui non si avvicinerebbero o quantomeno non riuscirebbero a catturare me - era davvero sotto una buona stella quel giorno.

- E se dovesse accadere noi vi difenderemo sempre comandante - si ringalluzzì Murat, poggiando il pugno sul petto ampio.

- Saprei comunque come agire e difendermi, ci vuole ben altro per avermi in pugno, colonnello, non dovreste sottovalutarmi - gli puntò il dito sul petto. Ci teneva al suo orgoglio. Effettivamente i due si erano preoccupati anche troppo per lui, si erano fatti ingannare anche loro dal suo aspetto. Bonaparte aveva la forza e il cervello necessari a ribaltare una situazione svantaggiosa - Il fatto che siate più grandi di me non garantisce vantaggi

- Certo che voi corsi siete davvero dei tipi sorprendenti e dalle mille risorse, non erano affatto delle voci - sentenziò Masséna a braccia conserte, Bonaparte non era il solo proveniente da quell'isola a combattere in quell'armata, vi erano interi battaglioni e tutti dimostravano la stessa caparbietà, lo stesso vigore e forza d'animo del comandante.

- Non sono più corso, ma un francese, generale! - tuonò quasi infastidito Napoleone, non voleva ricordare quell'isola che gli aveva procurato tanto male, non aveva più nulla da spartire con chi lo aveva fatto esiliare - E le mie origini sono toscane e genovesi, chiaro? - Con questo chiuse definitivamente il discorso. I due sottoposti si guardarono perplessi e passarono oltre, era meglio non farlo innervosire. Per tutto il breve tragitto Napoleone rimase in silenzio, sovrappensiero, nessuno osava parlare, per evitare di disturbarlo, era comunque difficile comprendere una persona così tanto complicata. Finché ad un tratto, arrivati in tenda domandò - Colonello Murat, voi conoscete bene un vostro collega di Bessières?

- Ah parlate di Jean-Baptiste? - chiese stupito il ricciuto colonnello - Sì è il mio amico più caro, comandante, ci conosciamo da anni, vivevamo in paesi vicini e abbiamo studiato insieme per qualche tempo - riferì sempre più sorridente. Se gli stava chiedendo di lui, significava che aveva in mente di affidargli qualche incarico importante. Conosceva abbastanza bene Bonaparte da capire quando fosse realmente interessato a qualcuno - Anche se ci vedevamo da un po' di anni...

- Sì parlavo di lui, colonello - lo interruppe Napoleone - E ditemi è dotato di molta fortuna? - La fortuna era uno dei requisiti fondamentali per il giovane corso, era convinto che senza di essa non si era in grado di fare nulla, pur avendo qualità e capacità elevate.

- Assolutamente sì comandante, ma non è soltanto fortunato, è pure molto educato, composto, prudente, potrei dire che sia il mio opposto - ridacchiò Murat. Sperava di averlo convinto nella sua decisione, Joachim era davvero molto legato a Bessières, il quale gli aveva riferito della grande fiducia e ammirazione che provava per Bonaparte. E ciò non poteva che fare felice Murat, la loro amicizia si era rafforzata ancora di più da quando si erano rincontrati a marzo.

Lo difendeva persino quando alcuni colleghi insistevano sul fatto che si incipriasse l'elaborata capigliatura al pari di un aristocratico, pur avendo umili origini come lui, era figlio di un chirurgo barbiere benestante. Coraggioso ma di indole buona, obbediente, leale e mai scomposto, il ventisettenne Bessières aveva conservato quella religiosità che aveva maturato negli anni in cui aveva studiato a Cahors, senza scadere nel fanatismo. A differenza di Murat che non era mai stato devoto e che aveva accettato inizialmente di intraprendere la carriera ecclesiastica per accondiscendere alla volontà paterna. Ciò che accomunava i due era la cura che avevano per l'aspetto, seppur Bessières fosse decisamente più sobrio dell'amico.

Allo scoppio della Rivoluzione si unì alla guardia nazionale della sua città natale Praysacc, per poi diventare Guardia Costituzionale del Re accanto al suo amico di sempre. L'incarico durò poco e il giovane entrò a fare parte della Legione dei Pirenei, presso i Pirenei Orientali appunto, qui si distinse nel guidare alcuni reggimenti di cavalleria e in poco tempo scalò le gerarchie, arrivando al grado di capitano. Successivamente venne trasferito nell'Armata di Italia, dimostrando sempre grande valore.

- Ma come mai mi fate tutte queste domande su di lui, comandante? Volete affidargli qualcosa è così? - domandò Murat.

Napoleone lo fissò intensamente, dal tono e dalle parole usate dall'aiutante di campo, comprese quanto profonda fosse l'amicizia che li univa, non c'era neppure quella rivalità che poteva nascere tra colleghi, era un rapporto quasi fraterno - Stavo pensando di cambiare completamente la mia scorta personale, mi sono reso conto che non è più sufficiente per un generale del mio calibro - rivolse lo sguardo in direzione del battaglione della cavalleria appostato poco distante - E ho deciso di creare un'unità speciale con lo scopo di proteggermi, la Compagnie des guides, che affiderò proprio al capitano Bessières, per questo vi ho rivolto quei quesiti...

- Non vi deluderà comandante, affiderei la mia stessa vita nelle mani di Jean-Baptiste e della sua fedeltà nei vostri confronti non dovete minimamente dubitare - era sincero nell'ammettere questo. A Bonaparte tanto bastò per metterlo a capo della Compagnie, tale scelta avrebbe cambiato la vita e il destino di entrambi.

 

   
 
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