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Autore: Nolowende    21/07/2023    0 recensioni
Tjaryk è ormai prossimo al giorno in cui inizierà a servire la sua terra – non come soldato, né come semplice mago, ma come la più potente delle armi. Perché il suo potere non è frutto del suo sangue, ma un dono degli dei, e tutto ciò che può fare per ripagare l'ordine che lo ha cresciuto è usarlo contro i nemici che li minacciano.
Le parole di un uomo misterioso trovato in una foresta rivelano la verità. Ci sono altri come lui. Una signora del deserto divenuta regina del cielo. Un capitano privato del suo esercito. Una guaritrice disposta a combattere per la salvezza del suo amore.
E soprattutto, gli dei non concedono doni senza motivo.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Anno 2836 dell'Era della Caduta
 
Nel silenzio della sera, il suono della cannula che scorreva sulla pergamena era l'unico a permanere, insieme alla pioggia che continuava a cadere, leggera ma fredda e incessante, all'esterno. Alla luce della candela, Kniriv osservava le lettere prendere forma sotto i propri occhi.
 
Il suo apprendista – se mai ne avesse avuto uno – avrebbe avuto bisogno di quel volume, un giorno. La loro arte era tanto utile quanto difficile da imparare, e il popolo di Othanar aveva bisogno di uomini come loro, in grado di curare le afflizioni del loro corpo, così come aveva bisogno di ognuna delle persone nel tempio.
 
Il quinto dio avrebbe provveduto alle loro anime. Lui doveva solo fare il proprio dovere come suo emissario.
 
Tracciò un'altra linea, cantando l'inno che aveva intonato con i suoi confratelli poche ore prima tra sé e sé, a bassa voce. Non aveva timore delle malattie che stava descrivendo su quelle pagine. Avrebbe salvato Othanar dal loro assalto, come aveva giurato di fare quando era entrato al servizio di Falham molti anni prima. In cambio, il suo dio avrebbe protetto lui e tutti gli uomini, come aveva sempre fatto.
 
Un suono proveniente dall'esterno interruppe i suoi pensieri. Il sacerdote smise di cantare, fermando la mano in tempo per evitare di sprecare inchiostro e rovinare il prezioso supporto.
 
Qualcuno stava battendo contro la porta esterna.
 
Per i primi istanti, Kniriv non si mosse, sperando che qualcun altro potesse aprire il portone al posto suo. Aveva ancora del lavoro da svolgere prima che arrivasse l'alba del giorno seguente, ed era sicuro che alcuni dei suoi confratelli fossero ancora svegli.
 
Ma chiunque stesse bussando alla porta si stava facendo sempre più frenetico. Appoggiando il volume e la cannula, Knivir si alzò dal suo scrittoio, sbuffando a bassa voce. Sembrava che non avesse altra scelta che andare ad aprire.
 
Nell'istante in cui poggiò la mano sulla maniglia bronzea, si chiese chi si trovasse dall'altra parte dell'uscio. Forse era un vagabondo in cerca di riparo, o un malato bisognoso di cure. Se si trovava di fronte al tempio, invece di restare in casa, al sicuro dalla pioggia, doveva esserci un motivo serio.
 
E lui doveva fare il suo dovere. Esitò solo un istante prima di aprire.
 
L'uomo di fronte ai suoi occhi non sembrava povero o malato. Nonostante il pallore del suo viso e il tremito che gli percorreva le braccia, la sua postura era eretta. I suoi abiti, tinti di viola, sembravano abbastanza pesanti da proteggerlo dal freddo. 
 
Ma gli occhi, di un verde intenso, che lo fissavano oltre una coltre di lunghe ciocche rosse bagnate dalla pioggia sembravano colmi di terrore.
 
Kniriv si sforzò di sorridere. “Avete bisogno di aiuto?” domandò con tutta la cortesia di cui era capace. Forse i suoi servigi non sarebbero stati necessari, e sarebbe presto potuto tornare ai suoi studi.
 
L'uomo deglutì prima di riuscire a parlare. “Mi serve uno dei vostri guaritori” cominciò con voce tremante, e il sacerdote fece del suo meglio per nascondere il proprio disappunto. “È per mia moglie... sta partorendo. Ho paura che...”
 
Kniriv trattenne un sospiro. Aveva assistito a molti parti da quando era entrato nel tempio, e la maggior parte si era conclusa senza che una vita andasse perduta. Aveva anche incontrato abbastanza padri ansiosi da sapere come comportarsi con lo sconosciuto.
 
Senza smettere di sorridere, fece un passo indietro. “È il vostro primo figlio?” chiese distrattamente. L'uomo annuì. “Che Vizma ci aiuti” aggiunse a bassa voce. Kniriv si voltò e rientrò nel tempio. Avrebbe dovuto immaginarlo. L'altro sembrava ancora troppo giovane e agitato perché non fosse la prima volta in cui si trovava in quella situazione. “Torno subito” annunciò. 
 
Mentre correva a prendere i propri strumenti, lanciò un'occhiata di rammarico al libro che giaceva incompiuto sul suo scrittoio. Aveva sperato di trascorrere una serata più tranquilla, ma in poche ore sarebbe potuto tornare, e tutto sarebbe tornato come prima. 
 
La nascita di un bambino in più, in fondo, non era nulla di speciale.
 
Tirò il cappuccio della veste sul capo e uscì dal tempio. Lo sconosciuto lo stava ancora aspettando, guardandosi intorno inquieto. “Possiamo andare” lo informò Kniriv, e l'altro non si voltò nemmeno nella sua direzione prima di incamminarsi lungo la strada.
 
Il sacerdote tentò di seguirlo, a passi molto più lenti. Poteva capire la fretta dell'altro, ma non aveva intenzione di rischiare una caduta. C'erano già stati abbastanza inconvenienti quella notte. 
 
Non camminarono per più di una decina di minuti, svoltando appena due volte. Almeno, se fosse dovuto tornare al tempio a chiedere l'aiuto di un altro guaritore o a cercare una nutrice, non sarebbe stato lontano. Sperava di poter rientrare definitivamente in poche ore.
 
Affrettò il passo e raggiunse l'altro uomo, che si era fermato di fronte a una casa, piccola ma di solida pietra. Quando la porta fu spalancata, c'era una figura ad attenderli sull'uscio.
 
Mentre il suo compagno faceva un passo indietro, Kniriv osservò la donna che aveva di fronte. Appoggiata alla parete, sembrava più piccola di quanto non dovesse essere. Aveva la carnagione ambrata e gli occhi allungati tipici degli abitanti di Uaxhakil, ma lui se ne stupì solo per un istante. Era raro che coloro che vivevano sotto l'impero lo lasciassero, ma prima che scoppiasse la guerra molti commercianti si erano stabiliti nella capitale e nelle città della costa. Non aveva mai aiutato nessuna delle loro donne a dare alla luce i propri figli, ma non sarebbe stato un ostacolo.  
 
Si concentrò piuttosto sulla sua espressione sofferente e sulla mano premuta con forza sul ventre. 
 
“Yuzin” mormorò l'uomo che lo aveva accompagnato. “Cosa stai facendo?” “Non stavi tornando” replicò lei a denti stretti, irrigidita dal dolore. Kniriv li interruppe, porgendo il braccio alla donna perché si reggesse a lui. Non riuscì a trattenere una smorfia quando lei lo strinse con troppa forza. Il marito sarebbe dovuto essere grato di non essere al suo posto.
 
Si voltò verso di lui. “Aspettatemi qui.” “No” gemette a fatica lei, girandosi a sua volta per cercare gli occhi del proprio sposo. “Voglio che mi stia vicino...” Kniriv riuscì a trattenere un sospiro. “Non ce n'è bisogno” rispose, cercando di sembrare rassicurante. “Potrò essere più concentrato se siamo solo in due.” La giovane lo guardò in silenzio, e quando una smorfia le segnò il viso il sacerdote non riuscì a capire se fosse a causa delle sue parole o delle doglie.
 
La vide scambiare un ultimo sguardo con il marito – e scorse un lampo di angoscia negli occhi verdi dell'uomo – prima di provare a camminare. 
 
Mentre lasciava che lei lo guidasse verso il letto, sperò che, come quasi tutte le altre nascite a cui aveva assistito, anche questa si concludesse senza difficoltà e senza lutti.
 
                                                                                                                 …
 
Kniriv stava iniziando a pentirsi di avere accettato la richiesta dello sconosciuto.
 
Era appena l'alba, e lui era esausto. Aveva trascorso le ultime ore a cercare di tenere fuori dalla stanza l'uomo, ignorando le sue proteste, e ad ascoltare i lamenti della donna, sempre più flebili mentre perdeva le energie. Aveva manipolato il suo corpo abbastanza volte da essere quasi sicuro che il bambino fosse nella posizione giusta, ma non era servito a farlo progredire abbastanza velocemente. Lei aveva smesso di urlare dopo l'ultima manovra, limitandosi a mormorare tra sé parole che Kniriv, nonostante gli anni in cui aveva studiato la lingua di Uaxhakil, non era riuscito a comprendere quasi per nulla.
 
Alla luce del sole nascente che filtrava dalla finestra, la donna sembrava terribilmente pallida. I suoi occhi brillanti di lacrime erano fissi sul soffitto, ma non sembravano vederlo veramente. Ma, anche se si muoveva appena, stava ancora respirando. 
 
Continuando a mormorare parole di incoraggiamento senza troppa convinzione – non era neanche sicuro che lei potesse capirlo – Kniriv si preparò mentalmente ad aspettare ancora ore prima che fosse tutto finito. Doveva solo sperare che la sua paziente fosse in grado di resistere fino a quel momento.
 
Quando – dopo un tempo che parve interminabile – la sentì emettere un gemito strozzato e si abbassò per vedere la testa del bambino che iniziava a diventare visibile, si rese conto che ci sarebbe voluto meno tempo del previsto.
 
Stava per alzarsi per andare a chiamare il marito della donna, ma cambiò idea quasi subito. Era meglio che rimanesse a controllare la situazione, e lei aveva bisogno di non rimanere sola in quel momento.
 
Si limitò a guardare mentre, con straziante lentezza, l'ultimo atto della nascita si compiva. Per lui era diventato uno spettacolo abbastanza consueto da essere insignificante, ma per la donna che lottava e piangeva al suo fianco non lo era, e continuò a incoraggiarla e a sussurrare suggerimenti, offrendole una mano perché avesse qualcosa a cui aggrapparsi al di fuori del dolore.
 
Lo aveva visto accadere decine di volte, ma non poté trattenere un sospiro di sollievo quando il neonato scivolò fuori dal corpo della madre, piangendo con forza. Aveva iniziato a temere che non vivesse abbastanza da prendere il primo respiro, dopo tutto il tempo che era stato necessario a farlo venire alla luce. Invece, anche quella volta gli dei erano stati benevoli.
 
Quasi meccanicamente, Kniriv raccolse le sue pinze e recise il cordone ombelicale. Prese il bambino tra le braccia e si preparò a porgerlo alla madre, cercando le parole per congratularsi con lei, anche quando tutto ciò a cui riusciva a pensare era al meritato riposo che lo attendeva.
 
Una scossa sembrò percorrerlo nell'istante in cui toccò il neonato. Il sacerdote rimase paralizzato, e per un istante il mondo esterno parve sparire.
 
Sapeva che Falham gli stava parlando. Quando era entrato nel tempio, era stato avvertito che un giorno avrebbe potuto ricevere un messaggio dal dio. Non si era aspettato una simile esplosione di luce, un simile calore. La voce nella sua testa non era fatta di suoni e parole, ma lui la comprendeva.
 
Quel messaggio poteva significare una cosa sola.
 
La donna al suo fianco emise un gemito, riportandolo alla realtà. Senza lasciare andare il bambino, Kniriv abbassò lo sguardo sulle lenzuola su cui giaceva la puerpera, e sul rosso vivido del sangue che le macchiava, sempre più abbondante.   
 
Volle credere che fosse solo il segno del distacco della placenta, ma aveva abbastanza esperienza da sapere che non era normale.
 
Lei tese le braccia verso di lui, e Kniriv si chiese se fosse consapevole di quello che le stava per accadere. Non riuscì a dire nulla. Si limitò a lasciarle il bambino e ad andare a chiamare il marito.
 
L'uomo entrò nella stanza quasi correndo. Il guaritore scorse il modo in cui i suoi occhi si illuminarono e le sue labbra si incurvarono quando vide il bambino – poi la sua espressione che cambiava bruscamente mentre si rendeva conto della quantità di sangue che sua moglie stava perdendo.
 
Kniriv uscì dalla stanza senza guardarlo, lasciandoli soli. Al di là della porta, poteva sentire le loro voci – quella della donna sempre più flebile, quella dell'uomo che a poco a poco perdeva ogni parvenza di calma – ma non riuscì a distinguere le parole.
 
Presto rimase solo una voce. Dal modo in cui si spezzò, Kniriv fu quasi sicuro di avere individuato con certezza l'istante in cui lei aveva smesso di respirare.
 
                                                                                                                …
 
Non osò rientrare nella stanza. Erano passati mesi dall'ultima volta che una delle sue pazienti era morta in quel modo, e ricordava ciò che aveva provato vedendo il cadavere. Non voleva ripetere l'esperienza ora. Chiudendo gli occhi, cercò di ricordare che almeno il bambino era sopravvissuto e che non sembrava troppo piccolo o debole per passare indenne i primi mesi di vita.
 
Già, pensò risollevando le palpebre mentre un pensiero lo trafiggeva. Il bambino.
 
Il messaggio di Falham lo aveva raggiunto – proprio lui aveva ottenuto quel privilegio e quella benedizione. Sapeva che ciò che aveva udito era vero. Sapeva chi sarebbe diventato il piccolo che aveva appena visto venire alla luce.
 
Il suo ordine aveva aspettato quel momento per troppi anni, e lui era stato presente quando la loro attesa aveva avuto fine.
 
Doveva parlare con il padre del bambino. Non poteva svelare il loro segreto, ma aveva bisogno di convincerlo dell'importanza del loro intervento. Falham non avrebbe tollerato che fallissero ancora una volta.
 
L'uomo riemerse dalla stanza dopo un tempo che parve infinito. I suoi occhi continuavano a versare lacrime, ma erano fissi e spenti. Stringeva a sé il neonato come se temesse che gli venisse strappato via da un momento all'altro. 
 
Kniriv si schiarì la voce, sperando di attirare la sua attenzione. “Mi dispiace per vostra moglie” iniziò. L'altro voltò la testa nella sua direzione, guardandolo con scarso interesse, ma non disse nulla. 
 
Il guaritore prese fiato. Doveva scegliere bene le parole. Aveva un compito da svolgere – e quando era diventato novizio non aveva mai creduto che sarebbe stato lui a esserne incaricato, ma ora che era successo doveva agire. La salvezza dell'ordine dipendeva da ciò che stava per dire. “Devo parlarvi” cominciò. “A Lunyan... c'è qualcosa che insegnano a tutti noi. Ed è un'abilità che oggi mi è tornata utile.”
 
Dopo un attimo di esitazione, si avvicinò all'uomo e gli sussurrò la sua proposta.
 
L'altro reagì più violentemente di quanto Kniriv si fosse aspettato. Si ritrasse da lui, facendo un passo indietro e avvicinando ancora di più il neonato al petto. “Assolutamente no!” Il sacerdote lo fissò battendo le palpebre, credendo per un istante di avere solo immaginato le sue parole. Nessun uomo ragionevole avrebbe potuto rifiutare la sua offerta.
 
“Ma... è un privilegio” tentò di protestare. Il suo interlocutore distolse lo sguardo da lui, abbassandolo sul figlio. “Non è una scelta che ho intenzione di compiere” ribatté freddamente, anche se la sua voce tremava ancora. “Non sta a me decidere.”
 
Kniriv strinse le labbra ed espirò, cercando di calmarsi. Aveva sperato di essere abbastanza convincente. Lo sconosciuto non aveva idea di cosa potesse significare il suo rifiuto.
 
Ma non doveva essere impaziente. Forse avevano solo bisogno di attendere per qualche tempo. Lui e i suoi compagni lo avrebbero convinto a cambiare idea e a favorire il piano che avevano delineato da secoli.
 
“Molto bene” replicò con calma. “Farò mandare una nutrice dal tempio.” Non aspettò che l'altro reagisse – anche se tutta la sua attenzione sembrava concentrata sul piccolo. Si voltò e attraversò l'uscio. Fuori non pioveva più, e la luce rosata del sole nascente stava iniziando a dissipare il grigiore del cielo. Mentre percorreva la via per il tempio, i suoi passi risuonarono solitari nella strada.
 
Non doveva soffermarsi troppo sul proprio fallimento. Presto, avrebbero ottenuto ciò che volevano. Era solo questione di tempo. 
   
 
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