Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: kamony    22/07/2023    2 recensioni
E se i nostri eroi del Corpo di Ricerca dovessero vivere le loro vicende in un universo alternativo che risultasse molto simile al nostro mondo attuale, chi potrebbero essere e contro CHI dovrebbero combattere per salvare il mondo?
E questa volta come andrà a finire la storia?
Una commedia- action- sci-fi - romance.
Una quasi canon-divergent-AU che spero vi diverta come ha divertito me scriverla!
[Varie OTP Levi X Hanji una delle tante, le altre vanno scoperte in corso di lettura]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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L’Isola dei Dannati 
A.o.T. Mission-almost-Impossible 


35
Orgoglio e 
Pregiudizio


Jean fu accompagnato nel retro del locale.
Fu molto sorpreso nello scoprire che lo stavano portando niente di meno che nel camerino di Claptone.
Ogni tanto il DJ, durante la sua performace, lasciava la sua postazione per fare degli intervalli e metteva una play list di musica soft come sottofondo, dando così modo agli avventori del locale di poter prendere fiato, farsi due chiacchiere e magari bersi un drink.
Si trovò nella stanza riservata al DJ, che lo attendeva di spalle con indosso una maglietta a maniche corte bianca. Jean stava per aprire bocca e chiedere del perché lo avesse convocato, quando quello si girò, tirò su la maschera e si tolse la mezza tuba dalla testa.
«Connie???» gli sfuggì di bocca allibito, non se l'aspettava proprio.
«Già, caro mio, sono proprio io».
«Ma... ma sei davvero Claptone?» gli chiese ancora incredulo, questa sì che era una sorpresa.
«Sì e no, per ora siamo in tre che lavoriamo su questo particolare progetto dell'agenzia. È un nuovo tipo di copertura con diversi alias in cui mi hanno inserito, per ora siamo in rodaggio per vedere se siamo credibili come unica persona e questo evento è un po' una sorta di test. Ci scambiamo a turno e testiamo se siamo verosimili, la maschera ovviamente aiuta. In più ho sempre sognato di fare il DJ» spiegò tranquillo.
«Beh, amico mio, direi che andate alla grande, io non ho notato nulla e sono del mestiere» si congratulò Jean.
«Ti pregherei per il momento di tenere la cosa per te, non la sa nessuno, neppure uno solo dei ragazzi, mi sto giocando la carriera rivelandotela perché per ora è top secret».
«Va bene, tranquillo, ma come mai quest'incontro? Non potevi dirmelo in un secondo momento? O c'entra in qualche modo il nostro lavoro?» chiese Jean un po' stranito non capendo bene che stesse accadendo.
«Caro il mio rincoglionito, non è lavoro e no, non potevo dirtelo "dopo"; sappi che ho imbastito tutto questo casino invitandovi alla festa solo per darti modo di dichiararti con Mikasa. Ero convinto che portassi lei, dato che all'ultima riunione abbiamo saputo che Eren sta definitivamente con Krista e la bambina, invece ti sei presentato con un'altra, sei proprio un deficiente!».
Jean aprì la bocca e poi la richiuse, quindi fece per parlare ma Connie fu più veloce di lui.
«Se la ami ancora va da lei e datti una mossa prima che finisca tutto a puttane definitivamente. Vediamo se salite una volta per tutte su questo treno che continuate a perdere. Muoviti, prima che lei ci salga con quel Galliard! E non preoccuparti della tua accompagnatrice, a lei ci penserò io».
L'orgoglio di Jean tentò un ultimo colpo di coda, infatti avrebbe voluto dirgli che si era dato tanta pena per nulla, che lui ormai aveva voltato pagina, ma il suo cuore sgomitò con prepotenza, si fece avanti e mise a cuccia l'orgoglio, del resto gli fu chiara una cosa, Connie aveva ragione: ora o mai più!
«Grazie amico mio, ma non sono certo che lei mi voglia» gli uscì spontaneo dalla bocca.
«Tu almeno lo sai che cosa vuoi?» gli chiese secco l'altro.
«Certo! Che domande ho sempre voluto lei e solo lei. Tu e Sasha sapete molto bene che sono cotto di Mikasa fin dai tempi dall'accademia!».
«E allora diglielo! Magari anche lei potrebbe credere come te che tu non la voglia, ci hai mai pensato? Soprattutto ora che ti ha visto con quella ragazza».
Connie ancora una volta aveva ragione pensò illuminato Jean.
«Sono proprio un coglione!» ammise.
«Bravo e ora forza, muoviti! Sei ancora qui?» lo spronò buttandolo letteralmente fuori dal camerino e dandogli anche un bel calcio nel sedere a mo' d'incoraggiamento spiccio.
«Io me ne vado a casa. Ho già chiamato un taxi» esordì Mikasa alzandosi. Era avvilita e aveva voglia di stare da sola.
Non ci fu verso di farle cambiare idea.
«Dai vengo con te, d'altronde siamo venuti insieme...» disse alla fine Armin alzandosi.
«No, voglio che tu rimanga con Annie e io comunque preferisco andarmene da sola e per una volta lasciatemi fare come più mi piace, vi prego non ne posso più delle vostre interferenze non richieste» rispose stancamente passando in rassegna con lo sguardo uno per uno i suoi amici.
Armin non se la sentì di replicare e la lasciò libera di fare ciò che si sentiva. Fu imitato dagli altri, che si resero conto di aver esagerato facendole forse troppa pressione. Anche Galliard depose le armi e non fiatò, forse Mikasa era solo una guerriera a metà.
La ragazza uscì dal locale in fretta e scomparve oltre la porta d'ingresso, in quel momento, fatalità, sopraggiunse Jean.
«Mikasa dov'è?» chiese senza perdersi in troppi convenevoli.
«L'hai mancata per un pelo è appena uscita per tornare a casa» gli spiegò Falco.
«Vedi di raggiungerla e chiaritevi, non ne possiamo più di voi due che vi rincorrete senza incontrarvi mai come fanno Paolo e Francesca nel quinto canto dell'inferno di Dante!» sentenziò Sasha sempre più compenetrata nel suo ruolo di pseudo sibilla.
Jean strabuzzò appena gli occhi non capendo bene che stesse dicendo.
«A parte che Paolo e Francesca in vita furono amanti e questi due non credo neppure si siano mai baciati sul serio, ma poi mica si rincorrevano, venivano sbattuti dal vento sulle rocce!» la corresse Armin con fare da saputello.
«Beh un bel paio di craniate contro una roccia non potrebbe essere un'idea malvagia per ammorbidire le loro testacce dure, non ho poi detto niente di così sbagliato. E smetti di fare il maestrino pensa piuttosto anche alla tua di testa dura!» gli rispose la ragazza ammiccando con lo sguardo verso Annie.
«Tu mi farai morire dal ridere!» ammise Pieck davvero divertita. Per lei quella ragazza era una forza della natura.
Un mezzo sorriso timido incurvò anche le labbra della stessa Annie a dire il vero.
«Va bene grazie!» tagliò corto Jean dirigendosi a passo spedito verso l'uscita. Lui e Mikasa avevano perso troppo tempo prezioso, tra picche ripicche e orgoglio, senza capirsi, né chiarirsi ed era giunta l'ora di farlo.
Ovviamente fuori non c'era traccia della ragazza, lui si guardò sconsolato intorno sin quando non la intravide salire su un taxi.
Ebbe un sussulto, ma non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungerla correndo. D'istinto guardò l'orologio segnava le una e trenta passate, non era certo il caso di presentarsi a casa sua a quell'ora, l'avrebbe fatto l'indomani mattina presto, munito di cappuccino caldo, una pasta alla crema e magari anche una rosa. Voleva che tutto fosse perfetto, anche se la paura di essere respinto smorzava l'atmosfera idilliaca del film che si stava componendo nella testa. Era come se fosse eternamente impantanato in un minuetto tra aspettativa e paura che gli teneva alta l'adrenalina, ma gli frenava l'entusiasmo.
Si diresse alla macchina in preda ad un misto di delusione e attesa, mise in moto e si diresse verso casa.
Una volta arrivato parcheggiò nel posto a lui assegnato e con una certa indolenza si avviò alla porta di casa, girò la chiave entrò e accese la luce. Si lasciò cadere sulla poltrona del salotto  e si passò le mani tra i capelli come per darsi una tregua.
Ma perché si era messo con Megan? Perché aveva pensato che chiodo potesse schiacciare chiodo? E comunque se era onesto con se stesso non era stato giusto neppure nei confronti di lei, che non aveva nessuna colpa se Mikasa lo faceva sempre dannare.
Mentre era preso dalle sue considerazioni il campanello trillò insistente facendolo sobbalzare.
Sicuramente è Megan e ora mi toccherà subirmi anche una parte di merda di quelle epiche! pensò. Ebbe la tentazione di far finta di non essere in casa, ma poi si disse che se voleva davvero provare a conquistare la ragazza che amava era giusto chiudere quella parentesi. Svogliatamente andò verso la porta, che una volta aperta, gli rivelò quello che mai avrebbe immaginato: due occhi grandi e scuri che intensi si fissarono subito dentro i suoi.
Lei era lì e no, non era una visione.
Deglutì, accennò una specie di sorriso e si schiarì la voce. Era impreparato a quel volto che proprio non si aspettava di trovare dietro l'uscio, soprattutto a quell'ora.
«Mi..kasa?» gli uscì dalla bocca in un soffio incerto.
Lei sembrava molto decisa rispetto al suo solito, sostenne il suo sguardo e arrossì in maniera impercettibile. I suoi occhi lo fissavano in modo cupo e intenso e sembravano celare un'imminente tempesta.
«È tardi. Inopportuno e folle, ma devo farlo» gli annunciò  decisa e bellicosa come se fosse pronta per dare battaglia.
Lui ancora scosso e imbambolato annuì senza sapere né il perché fosse lì, né di cosa stesse parlando, non ci stava capendo nulla, ma fu un attimo e si riprese, doveva cogliere quell'opportunità al volo.
«Mikasa, senti io ...» ma l'indice della ragazza repentino gli sigillò le labbra.
«Non ora. 'Sta zitto e baciami» gli ordinò con voce bassa ma decisa.
Quelle parole furono come un innesco ad una bomba. 
Qualcosa scattò e all'improvviso fu come se si fossero rotti gli argini di un fiume in piena che strabordando furioso li investì con foga e potenza.
Jean avrebbe voluto almeno pronunciare un sì di felice accondiscendenza, ma le sue le sue labbra si erano sigillate su quelle della ragazza. Non si rese neppure conto se fu lui a muoversi verso di lei o viceversa.
In un attimo le mani di Mikasa scivolarono avide sotto quella camicia bianca per carezzare la sua pelle e sentire la consistenza dei suoi muscoli. Prima di allora non aveva mai capito quanto desiderasse realmente farlo. 
Fremiti d'impazienza la fecero tremare sotto il tocco delle mani di lui che nel frattempo si insinuarono tra il tessuto del suo top e l'epidermide della sua schiena.
Jean come se avesse assunto una droga potente fu travolto da quel crescendo di sensazioni e si ritrovò come in un altro mondo, per un attimo chiuse gli occhi e si abbandonò appoggiandosi allo stipite della porta. Lasciò che lei conducesse le danze, era pazzesco, un desiderio che si avverava e Mikasa era proprio ghiaccio bollente. Era letale e non solo nell'arte della guerra. Sembrava quasi conoscesse ogni suo punto debole. Le sue braccia lo reclamavano con decisione e lui non aveva alcuna intenzione di opporre resistenza. Anzi non appena riprese un breve barlume di controllo l'afferrò saldamente per i fianchi, scoperti da quel provvidenziale crop top che l'aveva resa a suoi occhi, più sensuale di qualsiasi altra donna avesse visto quella sera e con decisione se la tirò su a cavalcioni e lei subito incrociò le gambe dietro la sua schiena. Finalmente abbandonarono la soglia ed entrarono in casa.
Le labbra di Mikasa non davano tregua a quelle di Jean, che avido di quella bocca come se fosse acqua nel deserto ricambiava quella fame con slancio ancora incredulo.
«Sei sicura?» gli chiese all'improvviso senza fiato, interrompendo di malavoglia quella delizia, ma doveva farlo.
Gli occhi di lei lucidi, le guance in fiamme, il fiato spezzato dal desiderio crescente erano già una risposta chiara, a cui si aggiunse un sì, che gli soffiò sulle labbra prima che le loro lingue si lambissero di nuovo.
Mikasa si era resa conto di averlo sempre voluto, soprattutto quando lo negava.
Jean avvertì i suoi seni sodi e generosi premuti contro il suo petto e un brivido caldo lo pervase.
Se stava sognando che non lo svegliassero, o avrebbe ucciso qualcuno.
Finalmente trascinandola in modo anche un po' goffo, urtando un paio di volte contro il muro e gli arredi, arrivarono sul letto dove le loro bocche e le loro mani continuarono a cercarsi smaniose, fin quando lui dovette chiederle di nuovo: «Sei sicura?». La desiderava fino a stare male, ma voleva che per lei fosse lo stesso, questa volta non avrebbe accettato niente di meno.
Mikasa in preda all'ebbrezza del desiderio annuì semplicemente e poi si sfilò il top cominciando ad armeggiare febbrilmente con il reggiseno, Jean subito la imitò strappandosi quasi di dosso la camicia e guerreggiando per sfilarsi pantaloni in minor tempo possibile. In breve tempo furono liberi e nudi e cominciarono a baciarsi la pelle del collo, del viso, del seno, del petto, mentre le mani stringevano febbrili natiche, spalle, fianchi. Si esploravano avidi, centimetro per centimetro, per poi risalire e riscendere di nuovo. Gli occhi chiusi, entrambi in debito d'ossigeno con i cuori impazziti che battevano ad un ritmo impetuoso come fusi all'unisono. Le loro bocche umide si tormentavano mentre i loro corpi in un groviglio sensuale li stavano conducendo in luogo agognato e sconosciuto. Finché non aderirono perfettamente l'un l'altra, incastrati, occhi negli occhi e labbra su labbra muovendosi in armonia con esasperante e struggente lentezza, per non affrettare quel culmine che premeva impaziente, aumentando il ritmo di quel saliscendi fino a farsi divorare da quell'incendio che covava sotto la cenere e che finalmente prese fuoco e divampò devastante fino a consumarli in un'unica fiamma.

*

«Questa palazzina è di proprietà di Dae Tanaka, americano di nascita ma figlio di una coppia di immigrati asiatici. Coreano da parte di Madre e giapponese da parte di padre. Abbiamo fatto il liceo e università insieme» cominciò a dire Marie accompagnandoli verso l'androne dell'edificio.
«All'ultimo piano c'è un attico, diciamo personalizzato, ed è una sorta di "club" che si può prenotare esclusivamente per eventi privati» continuò mentre stavano salendo veloci verso la cima del palazzo con un'ascensore esterna in vetro, che dava loro modo di ammirare Boston colorata da mille lucine, che cominciavano ad accendersi timidamente su un tramonto aranciato. 
Erwin era completamente assorbito dalla sua Marie e dalla bellezza panoramica che li circondava facendo da cornice ad una serata, che sentiva sarebbe stata indimenticabile, almeno per lui. Non le staccava gli occhi di dosso ammaliato. Era davvero felice di essere lì con la donna che amava e altre due persone molto importanti della sua vita, con cui aveva condiviso esperienze pazzesche al limite del fantascientifico.
Hanji, dal canto suo voleva solo godersi la serata, dopo tutto ciò che avevano vissuto negli ultimi tempi un'uscita "normale" era oro prezioso, inoltre era sempre più curiosa e affascinata da questa singolare location che veniva loro svelata poco a poco. Levi invece era sempre più contrariato. Queste cose così particolari, un po' da ricconi annoiati, a lui proprio non piacevano, anzi gli davano molto sui nervi e se ne stava appoggiato di spalle al panorama, imbronciato, fissando ostinatamente la pulsantiera dorata. Se non diceva una parola era per rispetto ad Erwin perché sapeva quanto ci tenesse a questo strampalato incontro.
L'ascensore si aprì direttamente nell'appartamento di Mr. Tanaka rivelando un'arredo particolare tutto in legno, pietra e piante verdi, per lo più cespugliose e tagliate a sfera in grandi vasi di pietra grigia. 
Furono invitati a togliersi le scarpe nell'apposito andito adibito proprio a quello, cosa che piacque molto a Levi dato che denotava una bella attenzione all'igiene, che ovviamente apprezzava particolarmente. Sapeva perfettamente che era una tradizione culturale asiatica, ma disincantato com'era, non si aspettava che fosse rispettata anche in un locale, sebbene particolare, nel pieno centro di Boston. Benché fosse un vero maniaco in fatto di pulizia e appunto igiene, alla fine era dovuto scendere a patti con se stesso e, per quanto riguardava il suo occhio "bionico" evitava accuratamente di inserire la modalità infrarossi, o microscopio, quando non si trattava strettamente di lavoro, o avrebbe finito per perdere la ragione, scorgendo ogni singolo granello di polvero e sporco. Così preferiva ignorare, non vedere e non sapere, anche se gli ci voleva un'autodisciplina ferrea per poterlo fare senza dare di matto, ogni volta che era in posti sconosciuti.
Ad accoglierli c'era un uomo, vestito con un tradizionale kimono giapponese, molto alto con un sorriso affabile, occhi scuri a mandorla che spiccavano su un volto delicato e bianco come il latte: Mr. Dae Tanaka in persona.
«Benvenuti all'Other Hanok. Sono felice di avervi come miei ospiti» disse facendo il tradizionale inchino tipico di ambedue culture a cui apparteneva.
«Seguitemi, vi mostro la casa» fece loro cenno, e mentre camminavano cominciò a dar loro delle informazioni.
«Dunque gli hanok erano delle abitazioni tipiche della Corea risalente al XVI secolo, epoca della dinastia Joseon che governò la terra di mia madre per cinque secoli. Erano caratterizzati da un cortile centrale, ed erano progettati per essere in armonia con i flussi energetici della terra e i ritmi delle stagioni. Nulla era affidato al caso. Ho pensato di ricreare, per quanto possibile, questa corrispondenza in questo posto speciale che ho fatto arredare proprio da mia mamma, architetto e donna con grande buon gusto. Questo appartamento in qualche modo rimanda, sebbene in chiave moderna, a quel tipo di abitazione fondata sul concetto di armonia tra uomo e ambiente. Ovviamente è rigorosamente eco-friedly. Per garantire la continuità tra antico e contemporaneo, mia madre ha optato per un adattamento dello stile, sostituendo le caratteristiche porte decorate con ampie vetrate trasparenti, che danno sulla grande terrazza, che sostituisce il cortile centrale, in cui ho voluto un karesansui che voi conoscete come giardino Zen. Mi preme specificare che questo nome non è corretto e i giapponesi non lo chiamano mai così». Era affascinante come in lui convivessero, molto radicate queste due anime orientali così simili, ma anche così diverse.
Il giro della bellissima casa era quasi finito mancavano solo due stanze. 
«Prego, questa è la Tado Room» disse aprendo una tipica porta a separé che li introdusse in ambiente spartano quanto incantevole.
«Potremmo definirla "La stanza del tè". Anche questa rivista e corretta, ovviamente. Oltre al prezioso tatami e al tavolino basso in tek è stata inserita un'area lettura che ricorda gli usi della nobiltà della dinastia Joseon, che era solita radunarsi all'aria aperta per studiare, scrivere poesie e rilassarsi. Il materiale protagonista, come vedete è sempre il legno ma impreziosito da lavorazioni artigianali che ci riportano indietro nel tempo».
Era così pacato mentre mostrava l'ipnotica bellezza di quello spicchio d'oriente, che stava incantando tutti e anche Levi tutto sommato era piuttosto sorpreso. Quindi era una sala da té -per inciso la sua bevanda preferita - riservata unicamente a loro quattro e sembrava proprio di essere in Corea, neppure avessero avuto a disposizione il teletrasporto di Star Trek! Pensò piacevolmente colpito il capitano.
Hanji era senza parole, totalmente affascinata da quell'atmosfera che li avvolgeva. Grazie al suo occhio "bionico", che lei usava fregandosene della polvere, era in grado di apprezzare ogni infinitesimo dettaglio di quella meraviglia architettonica dall'arredamento di raro pregio. Con la mente vagava e sull'onda delle parole di Mr. Tanaka, già si trovava nell'epoca del Joseon, in cui i primi attriti tra Corea e Giappone erano già sorti, stupefatta da come, con così tanta dedizione, quell'uomo aveva invece ricreato una fusione tra le due culture creando quella magia nel cuore di Boston.
Nel frattempo li fece accomodare. 
Marie era molto felice e soddisfatta, si era già resa conto di avere fatto bene ad avere quell'idea ricordandosi del suo vecchio compagno. Erwin non aveva avuto dubbi sapeva quanto fosse attenta ed empatica, le aveva raccontato un sacco di cose su Hanji e Levi e lei evidentemente ne aveva fatto tesoro. Gli fu subito chiaro che il bersaglio che voleva colpire fosse il più ostico tra i due, ovvero Levi e capì che probabilmente lo stava centrando in pieno, ma non poteva sapere che non era finita lì tutta la sorpresa della serata.
Nel frattempo sopraggiunse la madre di Tanaka, vestita con il tradizionale costume coreano, l'hambock. Era una donna bellissima dall'età indefinibile, che li accolse con un tenue e dolce sorriso e li fece accomodare tutti e quattro sul tatami.
Cominciò la cerimonia del tè, facendo scivolare con grazia l'acqua calda per riscaldare le tazze da un recipiente  attraverso un cilindro di bambù. Poi preparò l'infuso mettendo del tè nella teiera e versandovi sopra acqua calda, ma da un altro recipiente adibito solo a quell'uso. Mentre aspettavano che la bevanda fosse pronta, la donna dalla voce gentile e delicata, tanto da ricordare a Levi l'ASMR, cominciò a spiegare loro il rito del tè.
«Sappiate che non siete qui per caso. Chi giunge a noi ha di sicuro un animo nobile, guerriero, ma anche empatico e gentile. Durante questa cerimonia spesso molti cuori si aprono e si illuminano quindi potreste avere delle rivelazioni interiori. Questa tradizione che ci viene tramandata nei secoli dai nostri avi presuppone che il silenzio, durante l'infusione, sia un momento meditativo di concentrazione spirituale e che sia sacro. Infatti antichi resoconti storici, narrano di cruenti scontri fra guerrieri, che a un certo punto del combattimento interrompevano il duello, deponevano le spade e si sedevano l'uno di fronte all'altro per la cerimonia del tè. In quell'intervallo di tempo ogni odio e ogni disturbo esterno doveva essere dimenticato e la mente doveva concentrarsi solo sulle azioni di questa cerimonia e sul silenzio interiore, per rigenerare lo spirito del combattente e dare pace alla sua anima. Terminata la cerimonia, si inchinavano l'un l'altro e poi  riprendevano lo scontro.
Per rispettare questo principio intrinseco, riportandolo però ai giorni nostri, gli ospiti che partecipano a questo evento di solito sono persone che colgono questa occasione per regalarsi un momento molto intimo, per rinsaldare un'intesa solida e profonda. Potete ben capire che è una cosa del tutto diversa dalle abitudini occidentali in cui sorbendo il tè, si chiacchiera del più e del meno.
Noi, rispettando questi principi, lo abbiamo trasformato in un momento in cui persone che hanno un legame speciale condividono un'esperienza diversa e intima, in armonia tra di loro e ciò che li circonda».
Poco dopo, appena conclusasi l'infusione, cominciarono a gustare la bevanda calda a base di tè bianco(1) . Scelto dalla signora appositamente per loro.
Prima della seconda tazza di tè vennero loro offerti dei dolci  tipici sia coreani che giapponesi per accompagnare il resto della degustazione, che si sarebbe conclusa con la terza tazza di tè. 
Fu un  momento molto piacevole e in certo senso anche rilassante.
Erano tutti a loro agio e per Levi era una cosa davvero inusuale.
«Ho un'affezione particolare per il tè e devo dire che ho gradito molto questo interludio orientaleggiante, senza contare che adoro il tè bianco» ammise Levi fissando Marie.
«Beh allora siamo stati fortunati perché è stato scelto da madame Yeona, la madre di Tanaka, appositamente per noi» confessò soddisfatta Marie.
«Caro Erwin direi che questa volta hai trovato la scarpa giusta per il tuo piede» ammiccò Hanji rilassata.
«Già direi proprio che se te la fai scapare sei proprio una fava(2)!» rincarò Levi con il suo modo di fare diversamente ricercato.
«Non fare caso a lui, il turpiloquio è la sua massima espressione di approvazione» spiegò serafica Hanji assaporando l'ennesimo gustoso dolcetto.
Erwin rise e si rivolse a Marie: «Vedi? sono esattamente come te li avevo descritti».
«Se avete voglia possiamo anche fermarci a cena, ma prima dobbiamo visitare l'ultima stanza» aggiunse sorniona Marie.
«Molto volentieri!» trillò Hanji eccitata, quel posto le piaceva un sacco.
Levi annuì concordando, tutto sommato quella serata si stava davvero dimostrando piacevole anche per un misantropo come lui.
Furono nuovamente raggiunti da Mr.Tanaka.
«Se avete finito, prima di accompagnarvi sul terrazzo, nel nostro karesansui, dove stanno apparecchiando per voi, avrei l'immenso piacere di  farvi visitare la mia Buki-shitsu, in pratica l'armeria, dove custodisco gelosamente la mia collezione privata di armi antiche».
«È un privilegio riservato a pochi, perché Dae non è solito mostrarla a chiunque» spiegò solerte e molto compiaciuta  Marie.
Tanaka sorrise e annuì dandole ragione. «So che tra voi c'è un fine cultore di armi da taglio e non potevo non gioire con lui della bellezza di un'autentica e rara katana appartenuta niente meno che al grande Hattori Hanzō(3)».
Levi sussultò e strabuzzò gli occhi.
Erwin rise molto divertito.
Hanji, premurosamente, si avvicinò al suo uomo e gli strinse la mano perché non avesse un mancamento.
Marie salì diretta al settimo cielo: bingo! Aveva fatto centro.
Passarono circa un'ora in quell'armeria dove Levi sembrava nel suo Eden personale, totalmente ammaliato da tanta letale magnificenza e dove si gustò ogni particolare di quelle antiche armi appartenute a famosi e indomiti samurai.
Erwin seguiva anch'egli molto affascinato e colpito da quella collezione così rara e preziosa.
Hanji e Marie pur apprezzando infinitamente tutta quella antica bellezza, colsero anche l'occasione per fare due chiacchiere rimanendo appena qualche passo indietro ai due uomini che comunque rapiti, da quelle armi di antica foggia, non le avrebbero comunque calcolate.
«Sono davvero felice che vi siate ritrovati tu ed Erwin. Non sapevo quasi nulla di te, ma mi è sempre stato chiaro che lui ti ha costantemente portata con sé. Sai non è uno che parla molto, né fa capire ciò che sente, ma io ho un'empatia particolare con gli zittoni e gli introversi, ne ho sposato uno, che sembra che si sbottoni senza filtri, ma in fatto di sentimenti è speculare ad Erwin. Perché anche se sono molto diversi, per certe cose sono davvero simili. Ho capito da tempo che si sentiva incompleto, ora invece lo vedo con una luce nuova negli occhi» confessò la caposquadra all'altra donna.
«Per me è stato più o meno la stessa cosa. Ho sofferto molto quando ci siamo lasciati, ma la vita trova sempre il modo di sorprenderti. Ancora siamo cauti e in fase di rodaggio, ma non posso nasconderti quanto io sia felice che sia tornato da me. Un regalo prezioso e inaspettato che non ho intenzione di sciupare per nessuna ragione al mondo».
La serata continuò con una cena di due portate: sushi, di parte giapponese e Bulgogi di parte coreana, annaffiati da Somaek (Soju e birra miscelati) e te macha per i più pavidi.
Mentre finivano di gustarsi la cena, in attesa dei dessert, anche quelli una gustosa miscellanea tra prodotti tipici giapponesi e coreani, da tutt'altra parte, nel quartier generale della CIA era stata convocata d'urgenza una riunione a tre tra Pixis,  Zachary è il  referente diretto del presidente in persona.
«Dopo questa novità inaspettata dovete convocare tutti  gli agenti e subito. Dobbiamo comunicargli che cosa è stato deciso del loro futuro. Prima accetteranno la loro nuova condizione e prima il progetto sarà avviato. Il tempo in certi casi è assai prezioso, quindi, forza, muovetevi!».



I monologhi dell’autrice

Un caro e sudato saluto a chiunque stia leggendo!
Sappiate che le note sono mooooooooolto lunghe, siete avvitati!
Note:
1) Il tè bianco viene così chiamato perché ottenuto selezionando unicamente i germogli di tè ricoperti di una peluria bianco-argento. Viene prodotto facendo appassire all'aria le foglie di tè dopo la raccolta. È parzialmente ossidato (l'ossidazione è una reazione chimica che avviene spontaneamente nelle foglie di tè). Per le sue peculiari caratteristiche nutrizionali, il tè bianco è considerato il più pregiato dei tè. In particolare risulta ricco di polifenoli, sostanze antiossidanti che esercitano sull'organismo dell'uomo diverse azioni benefiche e protettive: queste sono infatti in grado di ridurre i danni a carico delle cellule, con effetti antietà e antitumorali. Apportano inoltre benefici al sistema cardiovascolare in quanto prevengono l'ipertensione, l'aterosclerosi e altre patologie a carico del sistema cardiovascolare. I polifenoli del tè bianco agirebbero positivamente anche sul cervello, proteggendolo dall'invecchiamento e dalla demenza; sulla pelle, mantenendola giovane più a lungo e su denti e ossa, rinforzandoli. Diversi studi ascrivono inoltre a questo tipo di tè proprietà antibatteriche e anti-stress. (fonte: https://www.humanitas-care.it/)
2) parolaccia in dialetto toscano che letteralmente significa: membro maschile, ma che viene anche usata con l'accezione di testa di cazzo (miii paio la Treccani, ahahaha!)
3) Hattori Hanzō (Mikawa, 1541 – 23 dicembre 1596) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku. Conosciuto anche come Hattori Masanari o Hattori Masashige, salvò la vita di Tokugawa Ieyasu ed ebbe un ruolo chiave nella sua salita al potere e nell'unificazione del Giappone.
Un personaggio omonimo di Hattori Hanzō è stato usato nel 2003 da Quentin Tarantino in Kill Bill vol. 1; nel film, Hanzō è un maestro samurai e un abilissimo forgiatore di spade. (fonte wikipedia)

Le informazioni su usi e costumi della Corea sono state reperite su:
www.corea.it

Come potete intuire sono una cultrice delle culture asiatiche, più di quella coreana che di quella giapponese in realtà, anche se a loro modo mi affascinano entrambe.
Avrete anche potuto notare che (chi mi legge da tempo già lo sa) non metto mai nulla a casaccio (vedi Claptone) e ci tengo a specificate (anche se è un mio personale piacere) che amo molto documentarmi e curare nei dettagli ciò che scrivo. Spero dunque di non avervi annoiati con la serata Corea-giappo in quel di Boston, ma mi piaceva regalare a queste due coppie un'esperienza diversa dalle solite cene e/o aperitivi vari.
Inoltre...
EVVIVA! tanto tuonò che piovve! Jean e Mikasa hanno quagliato! Spero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative (se mai ne avete avute)
Detto questo (finalmente) mi congedo. Ci tenevo a postare questo capitolo nei tempi semi-promessi, ma sappiate che il prossimo è letteralmente da scrivere di sana pianta, quindi suppongo (e spero di cuore) di scriverlo quanto prima, ma non ho idea di quando potrò postarlo, sicuramente entro la fine di agosto e probabilmente non sarà l'ultimo, perché in questo ho scritto la metà di ciò che mi ero riproposta, ma non volevo fare un capitolo di 20 pagine, quindi ci saranno almeno altri 2 capitoli se non addirittura 3 alla fine.
Ora basta, mi fermo davvero!
Vi auguro buone cose e ringraziando di cuore come sempre chi mi legge, mi commenta,  mi mette tra preferiti, ricordati e seguiti, ci sentiamo entro la fine del prossimo mese! 

  
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