Anime & Manga > Candy Candy
Segui la storia  |       
Autore: moira78    24/07/2023    4 recensioni
Candy e Albert partono per il viaggio in Africa che sognavano da tempo di fare insieme. Ma l'imprevisto, tragico e inaspettato, è dietro l'angolo e si ritroveranno immersi in un'avventura tra cielo e mare.
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Candy aprì gli occhi di scatto, con un senso di vivo allarme che le si diffondeva nel corpo. D'istinto, cercò quello di Albert accanto al proprio e non lo trovò. La sua mano incontrò un tessuto morbido e pensò che doveva aver dimenticato di tendere il lenzuolo per pescare, portandolo con sé nella caverna per chissà quale motivo. Strano però che il giaciglio fosse così morbido: erano forse nella zona boschiva? No, avevano deciso da qualche giorno di sostare sulla spiaggia, così da avvistare una nave in caso Luìs...

La nave. Luìs. Georges.... e il capitano Brown, il padre di Anthony che mi abbraccia come al funerale di Stair...

La realtà la colpì come un macigno e Candy provò dolore e sollievo al contempo. Si alzò a sedere così velocemente che le girò la testa e si portò una mano alla fronte. Indossava ancora il vestito estivo che aveva messo con l'aiuto di una cameriera dopo il bagno e quasi si sentì a disagio con tutta quella stoffa addosso. La cabina era davvero bellissima, il letto era stato coperto da lenzuola di cotone leggero e una coperta rosa antico come la federa del cuscino su cui aveva riposato per chissà quante ore. Dall'oblò poteva notare che la sera era già scesa.

Con gesti lenti, sentendosi ondeggiare leggermente, Candy mise i piedi a terra e trovò delle morbide pantofole che titubò se indossare o meno, abituata com'era a stare ormai sempre a piedi nudi o coperti da un pezzo di stoffa sulla sabbia calda.

Si reco in bagno, accese la luce e si lavò il viso gonfio di sonno ma più riposato e si domandò se anche Albert avesse dormito quanto lei. Tornò nella stanza, cercando delle scarpe e nell'armadio di fronte al letto ne trovò cinque paia ordinatamente in fila. Scelse quelle più basse e comode e uscì dalla cabina, cercando di ricordarsi dove fosse quella di Albert.

"Vai a riposare, Candy. Ci vediamo più tardi per mangiare insieme a Vincent e Georges, va bene?".

Invece, come al solito, lei aveva dormito troppo e quando colpì con le nocche la porta della cabina di Albert le rispose il silenzio. Fu quasi tentata di entrare comunque, ma ormai non erano più soli su un'isola e non poteva farsi vedere nella sua stanza come se niente fosse.

Uscì sul ponte e lo vide, di spalle, appoggiato alla balaustra che guardava l'orizzonte. Gli si avvicinò pensando che la sua vita l'aveva portata, un giorno, a conoscere un giovane scambiato per Anthony in maniera molto simile. Quell'uomo, che aveva rubato il suo cuore, era invece molto più simile al ragazzo morto così prematuramente: d'altronde, era suo zio.

"Non dirmi che la nave è tutta per noi", disse accostandosi a lui e incontrando i suoi occhi azzurri. Aveva messo una camicia bianca molto simile a quella che aveva sull'isola prima che andasse distrutta e indossava comodi pantaloni di lino chiaro.

"Vincent ha creato questa spedizione apposta. Oltre a Georges c'è solo il personale di bordo, qualche cameriera e un maggiordomo che voleva aiutarmi a fare il bagno come un bambino piccolo". Su quell'ultima frase, Albert fece una smorfia di disappunto che la fece ridere.

"Ma Albert! È normale nel tuo ambiente! Non dirmi che a Chicago non avevi un maggiordomo personale!".

Lui allungò una mano per riavviarle i capelli mossi dalla brezza e lei chiuse gli occhi al suo tocco: "Sì, ma non ho mai voluto che mi aiutasse a lavarmi o a vestirmi. Si tratta di qualcosa che ho sempre odiato. E il mio ambiente naturale rimane la natura".

Candy gli baciò la punta delle dita, il palmo e lo prese per il polso perché non interrompesse il contatto: "Ti capisco benissimo, io sono come te. Mi dispiace aver dormito troppo, hai mangiato?".

"No, confesso che mi sono alzato da poco anche io e aspettavo te per la cena. Forse è il caso di segnalare la nostra presenza o penseranno che ci siamo gettati in mare per tornare sulla nostra isola".

Lei rise, ripetendo le sue parole: "La nostra isola. Suona così bene! Eppure abbiamo fatto di tutto per fuggire da lì. E nonostante ciò... ce ne siamo anche un po' innamorati, vero?".

Albert sospirò, abbracciandola e facendole finalmente sentire di nuovo la solidità del suo petto: "È così. Stava diventando impensabile sopravvivere a lungo in quel luogo, specie ora che si avvicina l'autunno. Ma ho amato averti vicina notte e giorno, amarti senza filtri, averti tutta per me. Anima... e corpo. Senza regole. Senza nessuno che ci giudicasse".

Candy arrossì un poco ma annuì: era d'accordo su ogni singola parola. "A Chicago non sarà lo stesso, vero?".

Avvertì il momento in cui Albert trattenne il respiro, prima di scostarla un poco per guardarla negli occhi: "All'inizio temo di no, Candy, ma ti ho ben detto che ho intenzione di sposarti. Non posso immaginare la mia vita lontano da te e appena sarà possibile tu diventerai mia moglie. Sempre che tu lo voglia...".

Candì chiuse gli occhi sulle lacrime nascenti: "Certo che lo voglio, ma la zia...".

"La zia e il clan non mi fanno paura, Candy. Sono io a prendere le decisioni e sono disposto a lasciare tutto per te, se sarà necessario".

"Albert!".

"Ma non lo sarà, credimi. Inoltre c'è qualcosa che devo fare, prima di tutte".

"La famiglia di Luìs...", mormorò Candy sentendo la tristezza avvolgerla di nuovo in un tocco gelido.

Albert annuì. "Una volta in America farò immediatamente delle ricerche e mi assicurerò che abbiano il necessario per vivere bene e per avere le cure mediche di cui necessita Beatriz". Candy si morse il labbro, cercando di non piangere più e affondò di nuovo il viso nel petto del suo principe, inalandone l'aroma che ora le evocava il sapone oltre al sale marino. "Che ne dici di andare a cena? Ho sentito parlare di arrosto, poco fa, da un marinaio di passaggio".

Candy sentì, suo malgrado, l'acquolina in bocca. Era da quando avevano provato a mangiare il piccione che non assaggiava della carne e il pensiero le fece brontolare forte lo stomaco. Albert scoppiò a ridere.

"Pensi che ci sarà anche un dolce?", chiese immaginando una torta al cioccolato.

"Credo che ci saranno almeno due o tre contorni e un mucchio di dessert. Prima che mi recassi in cabina, Georges mi ha chiesto se avessimo preferenze e io gli ho detto che andava bene tutto purché non fossero pesce o noci di cocco".

E anche lo stomaco di Albert ruggì, facendoli ridere di nuovo. "Bene, allora andiamo prima che cominciamo a mordicchiare questa balaustra".

Le offrì il braccio e la scortò dentro.

 
- § -
 
 
Georges osservò discretamente William e Candice per tutta la durata di quella cena intima cui si unì anche Vincent. Nonostante le prelibatezze e la quantità di cibo, i due sembravano non riuscire a mangiare più di tanto. Erano dimagriti molto e cominciò a essere in pensiero.

"Volete che faccia preparare altri piatti?", domandò tentando di capire se fosse una questione di gusti. Eppure, ricordava che nessuno dei due era mai stato schizzinoso.
"Oh, no, Georges, non so Candy, ma se mangio solo un altro boccone rischio di scoppiare", disse William portandosi una mano allo stomaco.

"Lo stesso vale per me. Ho finito il dolce al cioccolato per pura golosità, ma sono piena anche io".

"Grazie per questa cena deliziosa", dissero all'unisono guardando il capitano Brown, causando le risa generali.

"Bene, sono felice che abbiate apprezzato, se c'è qualcosa che desiderate non esitate a chiedermela, avremo almeno altri dieci giorni di navigazione prima di raggiungere New York".

William annuì: "Sei molto gentile, Vincent, e so che vi sembra che non abbiamo mangiato molto. In realtà credo che dopo tanto tempo nutrendoci solo con quello che ci offriva la natura, ci siamo abituati a saziarci con meno cibo". Accanto a lui, Candy annuì.

"Dovete perdonarmi se mi permetto, ma mi sentirei più tranquillo se vi faceste visitare dal medico di bordo. Avete passato quattro mesi su quell'isola e spero non mi fraintendiate se oso dirvi che è evidente che avete perso entrambi parecchio peso".

Il patriarca e Candice si guardarono con aria complice e li vide intrecciare le dita delle mani quasi inconsapevolmente. Non gli erano sfuggiti neanche quei due fili verdi intrecciati sui loro anulari, tuttavia avrebbe atteso che William gliene avesse parlato. Se avesse voluto farlo.

"Hai ragione, domattina andremo entrambi dal medico e ti prometto che tutto tornerà alla normalità. Non preoccuparti, immagino che una volta tornati a casa la nostra salute non potrà che migliorare. A proposito, come stava la zia Elroy quando l'hai lasciata per venire qui?".

Geroges si tolse il tovagliolo dalle ginocchia, rifiutando con un gesto educato il vino che uno dei camerieri voleva versargli. "Lei sa bene da quanto tempo la conosca. Ebbene, nonostante temessi per la sua salute, non l'ho mai vista tanto energica ed entusiasta. Sembrava... mi perdoni, ma sembrava ringiovanita di trent'anni e ha chiesto persino di venire con me sull'aereo".

I volti di William e Candice mostrarono uno stupore tale che persino Vincent sorrise: "Mi domando come hai fatto a convincerla a non farlo, Georges", gli disse il capitano battendogli una mano sulla schiena.

"Beh, le ho spiegato che non sarebbe stato il caso di sottoporsi a un simile strapazzo e lei ha voluto vedere di persona il velivolo per accertarsi che non sarebbe precipitato. Ma suppongo non fosse in pena per me, piuttosto per il fatto che non riuscissi a raggiungere suo nipote.

William scosse la testa, ancora ridendo: "Povera zia, deve essere stato un colpo molto duro per lei. E Georges... immagino che non vi aspettaste di trovarci ancora vivi, vero?".

Quella era la domanda che temeva e, visto che da quando erano saliti sulla nave tutto era stato frenetico e avevano dovuto occuparsi come prima cosa del riposo e del cibo,
non aveva avuto tempo di raccontargli le ultime novità. Vincent scelse quel momento per alzarsi e congedarsi: "Signori, è stato un vero piacere. Ma ora devo tornare al timone. Ci vediamo domattina a colazione?". William e Candice acconsentirono nel medesimo istante, rivelando ancora di più la complicità che sembrava cresciuta in maniera esponenziale da quando avevano sostato sull'isola. E lui non poteva che esserne felice.

"Signorino William, se vuole possiamo discutere nel salottino dove possiamo prendere del whisky o un tè", propose guardando alternativamente lui e la signorina Candy.

"Quindi dopo la riunione e gli abbracci sulla spiaggia sono tornato a essere il signorino William?", gli chiese ironico, inarcando un sopracciglio e alzandosi.

"Io... mi dispiace, non volevo mancarvi di rispetto, ma ero così felice di rivedervi vivi...".

"Georges, non devi giustificarti. Anzi, dovresti smetterla una volta per tutte con tante formalità". Senza attendere la sua risposta, si rivolse a Candice. "Vieni anche tu?".

Lei scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli corti tirati indietro da un semplice nastro rosso. Chissà come aveva fatto a tagliarli. "No, Albert, immagino che tu e Georges dobbiate parlare di affari e questioni private. Io mi ritirerò nella mia stanza a riposare ancora un po'. Credo di avere accumulato un po' di stanchezza ultimamente".
William le strinse le mani, guardandola con serietà e Georges non osò nemmeno respirare per non interrompere il momento.

"Candy, non c'è nulla della mia vita che tu non possa o non debba sapere. Nulla che sia così privato. Quindi se vuoi riposare non ti costringerò, ma sappi che potrai entrare nel salottino quando vorrai".

Il viso della signorina si distese in un sorriso sincero e luminoso che parve emanare luce solo per William. Georges valutò seriamente la possibilità di girare i tacchi e lasciarli parlare da soli. "Ti ringrazio di cuore, lo terrò presente".

Si congedarono scambiandosi sguardi tanto intensi che suppose stessero trattenendosi a stento dall'abbracciarsi. O dal... baciarsi. Georges si costrinse a voltarsi verso la finestra della grande sala da pranzo per scrutare l'orizzonte, fingendo di interessarsi al tempo e alle nuvole, ma sentì i passi di William avvicinarsi e si incamminò con lui verso il salottino dando la buonanotte a Candice che stava facendo persino un leggero inchino. Nonostante le settimane passate su un'isola deserta, sembrava non aver dimenticato le buone maniere così come la sua fresca spontaneità.

Nella stanza, William accettò un dito scarso di whisky, suppose per mancanza di abitudine, e sedette sul divano di fronte alla stufa, mentre lui si accomodò su una poltrona alla sua sinistra.

"È così strano trovarsi davanti a una stufa e non a un falò sulla spiaggia o in mezzo alla foresta", disse con voce bassa e pacata.

"Ne parla come se le mancassero quei luoghi", osò osservare Georges scrutando il volto smagrito e rilassato.

"In parte sì, lo ammetto a costo di sembrare impazzito. Il senso di libertà che si respirava lì era... unico. Simile a quello che ho provato in Africa, ma per molti versi anche differente. Non sapevo quanto saremmo sopravvissuti con quelle risorse. Non sapevo se ci attendeva un inverno freddo e l'isola sarebbe diventata gelido e inospitale di notte. E non ero certo che non avremmo mai avuto imprevisti: sai che ci sono state anche scosse di terremoto? Avremmo potuto restare feriti o ammalarci e non avere cure. In realtà è accaduto anche questo, pur se è andato tutto bene. Ne avrei di cose da raccontare, Georges... E tuttavia, svegliarsi ogni mattina decidendo se avrei pescato con un lenzuolo o arpionando i pesci del fiume, insegnare a Candy ad accendere il fuoco, esplorare l'isola costruendo trappole o cercando le uova degli uccelli... è stata un'avventura che con le dovute precauzioni non mi dispiacerebbe ripetere".

Georges fu certo che avesse letto l'incomprensione nel suo sguardo sconvolto, ma sentì l'urgenza di dire qualcosa. Qualunque cosa per dimostrargli che a livello profondo lo comprendeva: "Capisco, signore. Anche se non del tutto...".

"Grazie, Georges, lo apprezzo", disse con un lieve sorriso. "E... dunque, aggiornami su come stanno le cose a casa".

Per un attimo, fu certo che volesse dirgli qualcos'altro e avesse deviato il discorso sulla domanda di poco prima, ma gli rispose comunque riferendogli delle ricerche, delle speranze sempre più flebili e infine dei funerali, per il dolore di tutti. Gli raccontò di come il giovane Archibald, con il consenso del Consiglio e di una distrutta signora Elroy, avesse preso le redini dell'azienda e la stesse conducendo in maniera eccellente.

"Cerco sempre di dargli il mio supporto, ma ormai non ne ha quasi più bisogno", disse con orgoglio. "Lui e la signorina Brighton vi attendono al molo e la signorina Pony ha fatto sapere che vorrebbe una vostra visita quanto prima, non potendosi muovere per via dei bambini".

William sospirò, come assorbendo tutte quelle informazioni: "Sarà una delle prime cose che faremo, anche se io non potrò trattenermi molto, purtroppo. C'è qualcosa che devo fare e sarà il primo impegno cui voglio prestare fede".

Georges indovinò subito: "Si tratta della famiglia del capitano Costa, non è vero?".

"Hai indovinato. Se non ci fossimo trovati nelle condizioni in cui eravamo vi avrei chiesto di fare una deviazione per cercarli, ma voglio fare le cose per bene da dove ho il pieno controllo".

"Sarà mia cura telegrafare a Chicago per chiedere subito ai nostri collaboratori di cominciare le ricerche delle persone interessate".

Il sorriso sul volto abbronzato di William si allargò: "Non mi aspettavo niente di meno da te, grazie Georges". Lui annuì, discreto, attendendo che continuasse o che lo congedasse. E, come quasi si aspettava, fece la prima cosa. "Te ne sei accorto, vero?".

Ebbe per un attimo il dubbio di fingere di non capire, ma seppe che sarebbe stato inutile: "Immagino che abbia confezionato lei stesso i due anelli che avete al dito, vero?".

William ridacchiò, quasi imbarazzato, guardandosi l'anulare: "L'ho realizzato in maniera sommaria e con il poco che avevo a disposizione...". Si morse il labbro, come impedendo ad altre parole di lasciare le sue labbra. "L'ho sposata sull'isola e intendo farlo anche una volta tornati a Chicago. Non subito, certo, ma non voglio aspettare troppo".

Georges prese un respiro profondo: "Bene, in tal caso vi faccio le mie congratulazioni", disse con sincerità.

"Grazie di cuore, Georges, per tutto. Anche tu hai bisogno di riposo. Hai fatto una grande impresa a sorvolare l'Atlantico per noi, sai?".

"Lo rifarei altre mille volte se servisse a riportarla a casa... William".

Lui annuì, compiaciuto del fatto che fosse stato un po' meno formale. Quando si lasciarono all'ingresso della fila delle cabine, Georges lo vide indugiare con lo sguardo verso la stanza della signorina Candice prima di proseguire verso la sua. Senza indugio, entrò nella propria: William aveva detto che l'aveva sposata e la loro vita privata non era affar suo.

 
- § -
 
 
Dormire lontano da Candy, senza sentire il suo respiro ritmico, il profumo dei suoi capelli e sì, anche i suoi borbottii nel sonno era stato strano. Albert aveva dovuto riabituarsi a vederla solo durante il giorno, condividendo solo pochi minuti da soli, rubandole un bacio casto di tanto in tanto e avvertendo anche da lei la destabilizzazione per quella nuova eppure vecchia realtà.

Ma tornare a casa e vedere la zia Elroy in lacrime gettarglisi fra le braccia chiamandolo 'figlio mio', fu davvero qualcosa fuori dal mondo. Lei era stata una delle prime a insegnargli come nascondere i propri sentimenti al mondo, mantenendo sempre un contegno dignitoso in ogni caso della vita. E ora eccola lì, trasformarsi in una signora anziana che singhiozzava aggrappandosi alla sua giacca, costringendolo a dirle parole dolci per calmarla mentre la circondava con le braccia e la sentiva fragile come non mai.

E per fortuna che aveva deciso di ricambiare il suo abbraccio disperato, perché la sentì accasciarsi e la sorresse, allarmato. Il maggiordomo e Georges gli furono subito accanto e Candy chiese che venisse stesa sul primo divano disponibile all'ingresso, dove le fece poggiare le gambe su un bracciolo e il capo su un cuscino basso. Senza scomporsi, mantenendo la freddezza e la lucidità di un'infermiera professionista, le sentì il battito con due dita sul polso e le toccò la fronte con il dorso della mano.
E, Dio lo perdonasse, quella Candy così seria e adulta, a dispetto di dove si trovavano e della situazione di emergenza, gli fece solo desiderare di baciarla finché non avesse avuto più fiato.

"È solo svenuta per lo shock, non è nulla di grave. Ma sarebbe meglio portarla in camera sua e chiamare il dottor Leonard perché la visiti".

"Ci penso io", si offrì subito Albert, guadagnandosi gli sguardi allarmati della servitù. "Tranquilli, sarò dimagrito ma ho lavorato sodo su quell'isola, ce la posso fare". Fece l'occhiolino e trasportò la zia, che gli parve leggerissima, fino alla sua stanza, dove la cameriera la coprì e preparò una brocca d'acqua oltre a una bacinella per inumidirle la fronte secondo i suggerimenti di Candy.

Un'altra ragazza arrivò con i sali e li passò a Candy, che lo guardò: "Credo sia meglio che lo faccia tu, io penso che andrò subito alla Casa di Pony. Fammi sapere come sta, ovviamente".

Albert fu colto dal panico, molto più di quando vivevano alla Casa Magnolia e aveva deciso di andarsene per il suo bene. "No, Candy, ho intenzione di ospitarti e, se vorrai, domattina presto chiederò all'autista di accompagnarti".

"Albert... non credo che per la zia sia il momento...". Esitò, distogliendo lo sguardo. "Non voglio che sia sconvolta o contrariata in un momento così delicato, capisci?".

Lui sospirò: "Candy, sono certo che è come dici tu e la zia Elroy non ha nulla di grave. Avrai la tua stanza e magari potrebbe essere utile un'infermiera nelle prossime ore. Ti prego, resta".

La cameriera e Georges erano gli unici ad aver assistito a quello scambio di battute e Albert aveva dovuto usare tutto il suo autocontrollo per non prenderla fra le braccia e pregarla di non andarsene così all'improvviso. Non credeva che di punto in bianco il bisogno di lei sarebbe diventato così forte, ma di fatto era diventata sua moglie a tutti gli effetti e non si biasimava più di tanto.

"E va bene, resto. Ma non facciamola agitare, va bene?".

Albert le sorrise: "Non succederà, tranquilla".

Candy annuì e, una volta accertatosi che il dottor Leonard fosse in arrivo, accompagnò di persona Candy nella stanza che era da sempre assegnata a lei. Quella con i mobili verde menta che le aveva regalato per il suo compleanno.

"Albert, potrebbero vederci". In un passo, l'aveva stretta a sé e baciata come anelava da ore. L'ultima volta era accaduto solo la sera prima e non poteva davvero attendere oltre. Dopo il primo momento di diniego e di imbarazzo, Candy rispose al suo bacio, abbandonandosi alla sua stretta e passandogli le mani nei capelli. Portandolo a un passo dal chiudere la porta a chiave per fare l'amore con lei lì, in quel letto alle sue spalle.

Smise di baciarla solo per scongiurare quell'eventualità che avrebbe solo finito per nuocere alla reputazione della donna che amava, come se già non la stesse rischiando abbastanza: "Quando la zia starà meglio renderò pubblica la mia intenzione di fidanzarmi con te", disse con voce roca, senza allentare troppo la stretta.

Candy lo fissò, anche lei col fiato ancora corto: "Sei certo che... andrà tutto bene?".

"Da quando in qua hai timore del giudizio degli altri?".

"Non temo il giudizio degli altri, temo che possano... non so, crearti dei problemi perché hai scelto me invece di una donna del tuo stesso ceto sociale".

Albert lasciò ricadere le braccia con un sospiro, il desiderio bruciante di lei che si intiepidì a quelle parole: "Siamo partiti insieme quando già sapevano che non eri più sotto la tutela della famiglia, direi che un'idea di cosa stesse cambiando fra noi se la sono già fatta".

"Sì, ma...".

"Candy", disse guardandola con serietà, i sensi del tutto all'erta. "Hai dei dubbi? Giuro che preferisco sapere ora se per caso...".

"Ma cosa ti salta in mente?!". Per buona misura, gli si avvicinò di nuovo ponendogli le mani sul viso e lui si affrettò a coprirle con le proprie. "Se sono stata proprio io a... rompere i tuoi indugi quando... oh, lo sai quando!", concluse arrossendo, vedendolo inarcare le sopracciglia come se non capisse.

"E allora smettila di farti tutti questi problemi. Detterai tu i tempi, con i tuoi impegni di lavoro, se vorrai riprendere. Potrai decidere di stare con i tuoi amici alla Casa di Pony quanto desideri". Le scostò i capelli dal viso con tenerezza. "Ma non farmi aspettare troppo, va bene?".

Finalmente Candy sorrise: "Non ci penso nemmeno".

 
- § -
 
 
Elroy Ardlay odiava sentirsi così fragile e perdere il controllo, ma era stato inevitabile. Rivedere il suo unico nipote diretto, il patriarca della propria famiglia dopo mesi in cui lo credeva morto era stato più di quanto il suo vecchio cuore potesse sopportare. Ma non era il momento di tergiversare, doveva alzarsi da quel letto e risistemare le cose perché tornassero come erano un tempo! Sapeva che a breve sarebbe tornato il dottor Leonard con un'infermiera e non ci voleva un indovino per capire chi sarebbe stata.
L'aveva vista, quella Candice, all'entrata della villa, nascosta quasi volesse scomparire e non disturbare il momento della riunione fra lei e William. Aveva in parte apprezzato il suo gesto, tuttavia si era anche chiesta come mai non fosse andata direttamente al suo orfanotrofio per incontrare i suoi amici.
E, anche a quella domanda, aveva una sua personale risposta.

"Avanti", rispose con voce risoluta e, quando il buon medico entrò, il primo dei suoi sospetti divenne reale. Candice era poco dietro di lui, anche se non cercava più di nascondersi, e aveva persino indossato l'uniforme. Sembrava addirittura professionale.

"Bene, signora Elroy, la sua pressione è tornata nella norma, ma le raccomando di riposare oggi e anche domani. L'infermiera White si preoccuperà di monitorare i suoi parametri vitali ogni tre-quattro ore".

"Non ce n'è bisogno", disse quasi stizzita. "Non le sarà sfuggito che ci sono un mucchio di affari da sistemare, ora che William è tornato".

"Posso immaginarlo, però mi trovo costretto a insistere chiedendole di delegare qualcuno finché non si sarà ristabilita". Elroy restrinse le palpebre, fissando gli occhi su Leonard e su Candice alternativamente. La ragazza distolse i propri solo dopo qualche istante. Era pallida, ma pareva risoluta.

"E va bene, non ho intenzione di discutere la parola del dottore. Ma spero di poter almeno ricevere persone per definire alcuni dettagli", cercò di patteggiare appoggiando di nuovo la schiena sui cuscini.

"Magari nella giornata di domani", concesse il medico facendo cenno a Candice di avvicinarsi. "Per qualunque cosa, faccia riferimento alla sua infermiera. Per fortuna la conosce bene e sa quanto possa seguirla in maniera eccellente".

Elroy non rispose, ma si limitò a scambiare uno sguardo con lei, che stavolta lo sostenne, fiera ma senza traccia di arroganza. Era come se sapesse che si stava muovendo su un territorio a lei familiare e che poteva svolgere il suo compito in modo impeccabile, come aveva detto Leonard.

L'uomo si congedò e rimasero sole. Candice posò sul comodino alcuni medicinali: "Queste sono le prescrizioni del dottor Leonard, dovrebbe prenderne una già adesso. Sono davvero felice che stia meglio, zia Elroy".

"Non sono più tua zia", sbottò più duramente di quel che intendesse. Sopportava a malapena quella condiscendenza e ripensò al giorno in cui aveva pregato Dio di restituirle il nipote, anche se fosse stato al fianco di quella donna senza origini. Ebbene, a quanto pareva era stata esaudita, anche se non sapeva ancora fino a che punto si fosse sviluppata la loro relazione. E tuttavia, faticava ancora ad accettarlo, in bilico tra la necessità di non lamentarsi dopo il compimento di un miracolo e quella di mantenere saldi i propri principi.

"Mi perdoni, signora Elroy, ha ragione. Non sono più una Ardlay da quando ho compiuto i ventuno anni. Ma quello che ho detto è vero, sono lieta...".

"Dovresti essere alla tua Casa di Pony dopo tanti mesi di assenza! Hai almeno fatto sapere loro che sei ancora in vita?". Indagare sulle sue prossime intenzioni fingendo di preoccuparsi per la sua famiglia acquisita le diede modo di non scoprirsi troppo.

"Io... io... sì, so che Georges ha telegrafato loro poco prima di partire per venire a prenderci. Ma Albert mi ha chiesto di restare almeno un giorno o due e a me fa piacere prendermi cura di lei".

Albert, si ostinava a chiamarlo con il suo secondo nome con tutta quella confidenza! Se solo pensava alle implicazioni che quella vacanza fuori programma poteva aver causato le tornava il mal di testa!

"Per me puoi andare via anche subito, ma non si discute la parola di William", disse calcando sul nome che riteneva corretto. "E lungi da me farlo arrabbiare appena tornato".

Candy si limitò ad annuire e le diede la medicina prima di prenderle la pressione e appuntare i risultati su un foglio. "È un po' più alta di prima, ma tutto sommato nella norma".

"Non mi sorprende", disse Elroy voltando il capo e sentendola rimettere a posto l'apparecchio nel cassetto.

Candice fece un sospiro discreto e cominciò a parlare: "Signora Elroy, so benissimo che la mia presenza qui non le è gradita e le assicuro che sono stata io la prima a chiedere ad Al... a William di poter andare via oggi stesso. Ma lui era preoccupato per il suo malessere e, che ci creda o no, anche io. Per cui temo che dovrà sopportarmi come sua infermiera almeno fino a domani sera, quando andrò alla Casa di Pony per riabbracciare le mie madri e i miei amici".

Elroy rimase interdetta di fronte a tanta forza d'animo, ben lontana dalla sfacciataggine, ma sufficiente a emanare una certa autorità. Eppure, non voleva farsi confondere da quella ragazzina. "Cosa è successo su quell'isola?", chiese a bruciapelo, quasi pentendosi subito dopo di averlo domandato.

Gli occhi di Candice, infatti, si spalancarono neanche l'avesse schiaffeggiata e la bocca si socchiuse come se volesse dire qualcosa. Fece persino un passo indietro. Non poteva essere più eloquente e Elroy si domandò se avrebbe avuto un infarto in quel momento, rovesciando la situazione di qualche settimana prima in una manciata di minuti. "Cosa... cosa intende dire? Abbiamo cercato di sopravvivere, abbiamo persino costruito una zattera insieme a un naufrago che...".

"Oh, ti prego, risparmiami i particolari, non lo voglio più sapere!", disse alzando una mano come se non le stesse raccontando nulla di più che la storia di come erano infine stati salvati.

"La prego, non si agiti a causa mia. Ho promesso a William che avrei avuto cura di lei e intendo essere l'infermiera che merita". Per una volta, poté dirsi d'accordo con lei.

"Bene, Candice, stabiliamo una tregua per amore di mio nipote. Se qui hai finito, che ne diresti di chiamarlo? Vorrei parlare un po' con lui". La sua voce ora era più bassa e conciliante.

"Ma il dottor Leonard ha detto...".

"So cosa ha detto il dottore, ma ti prometto che non mi agiterò e che la prossima volta che misurerai la mia pressione avrà valori normali". Non era affatto certa di poter mantenere quella promessa. A dirla tutta, non sapeva in che condizioni avrebbe versato dopo aver parlato con William, ma era qualcosa che andava definito subito.

Infine, Candice acconsentì, raccomandandosi di chiamarla in ogni momento. Non era solo William ad apparire dimagrito e provato, ma anche lei. Eppure, non aveva esitato a indossare la sua divisa da infermiera, evitando di riposare e persino di tornare a casa dai suoi cari pur di fare il suo lavoro. Che lo facesse per amore di William era certo, che fosse anche perché tenesse a lei... beh, stentava a crederlo.

Quando suo nipote entrò, gli chiese di prendere una poltrona e sederle accanto. Lui lo fece stringendole una mano. "Sono contento che tu ti senta meglio, zia. Candy si prenderà cura di te".

"È proprio di lei che ti voglio parlare, William. E non guardarmi così! Hai bisogno di riposare anche più di me, ma da domani l'assetto del clan verrà di nuovo stravolto, grazie al Cielo, e io ho bisogno di sapere alcune cose". Era vero. La strada per l'accettazione la vedeva lunga e tortuosa, ma non poteva neanche fingere che il problema non sussistesse. Meglio togliersi subito quel dente e stabilire delle regole.

"Zia, te ne avrei parlato quando fosse stato il momento, ma oggi...". Ecco, lo sapeva! Gliene avrebbe parlato! Oh, che gli antenati la sostenessero...

"Voglio sapere fino a che punto la situazione è compromessa". Lo chiese di nuovo fuori dai denti e l'espressione di William, benché fosse più controllata, non era molto dissimile da quella di Candice. Ricordava una reazione molto diversa quando gli aveva domandato come avessero convissuto per due anni sotto lo stesso tetto come infermiera e paziente. Non v'era stata traccia di imbarazzo o pallore. E, anche se ben nascosti, quelle due caratteristiche si dipinsero sul volto smagrito di suo nipote.

 
- § -
 
 
Albert aveva incrociato Candy nel corridoio giusto il tempo di sapere che la zia voleva parlare con lui. Sembrava abbastanza tranquilla, ma purtroppo non erano soli perché la cameriera si stava adoperando per portare in camera della zia alcune lenzuola. Stava per indurla a seguirlo altrove, ma lei aveva scosso la testa: "Meglio se vai subito da lei, non contrariamola più di quanto lo sia già. Ha provato a farmi delle domande, però ho cercato di... non risponderle".

Albert aveva annuito: "Riposa un po', finché puoi. E grazie".

Nonostante la stanchezza che doveva affliggerla, Candy era rimasta per lui e per la zia, tuttavia desiderava che avesse il meritato riposo. Così si era accertato che potesse dormire qualche ora, perlomeno fino a che non avesse dovuto procedere con i controlli ordinati dal dottor Leonard. Ci sarebbero state davvero tante cose di cui parlare, ma Albert era certo che non fosse il momento.

Eppure quando la zia Elroy si metteva in testa qualcosa, non ci si poteva proprio esimere. E nonostante il suo tentativo di rimandare la questione eccolo, davanti a lei, come un ragazzino colto in fallo. Gli aveva fatto una domanda così diretta che si trovò a dover dire la verità senza rivelarle nulla.

"Non mi piace definire così il mio rapporto con Candy. Non c'è nulla di compromettente fra noi. Tutto è sempre stato basato sul rispetto reciproco". Ed era vero. Anche se Candy era praticamente già sua moglie, lo avevano deciso insieme, in piena coscienza, quindi non era affatto una bugia.

E tuttavia la zia insistette: "Siete stati soli per quattro mesi su quell'isola e non voglio neanche sapere in quali condizioni! Non venirmi a dire che avete convissuto come in quell'appartamento perché non me la bevo. Sarò vecchia ma non stupida. Lo avete scritto in viso e il fatto che quella ragazza abbia deciso di restare perché glielo hai chiesto tu mi conferma quanto tenga a te. O ai tuoi soldi e alla tua posizione...". Aveva inclinato la testa un po' di lato, quasi a chiedere conferma.

"No, zia, questo non devi dirlo", rispose subito. "Candy è rimasta quella di sempre e se fa qualcosa è perché segue il suo cuore. Ormai dovresti averlo capito anche tu".

La donna si accigliò, insistendo: "Quindi è vero! Hai intenzione di sposarla per il suo buon cuore. E magari anche per salvare la sua reputazione!".

Albert aveva perso il controllo della sua conversazione. A quanto pareva la zia, anche se si era lasciata andare poco prima tanto da ammalarsi, non intendeva lasciar cadere la questione ed esigeva risposte immediate. Ebbene, le avrebbe avute. Albert cercò di essere il più delicato possibile per non nuocerle, però visto che insisteva si risolse a confessare.

"Zia Elroy, io e Candy siamo innamorati, se è questo che vuoi sapere. Penso che lo fossimo da molto, molto prima di partire, solo che non abbiamo mai affrontato l'argomento in maniera esplicita". La vide portarsi una mano al capo e deglutì in attesa, incerto se continuare. Lei gli fece un cenno spazientito, quindi sì, doveva continuare. "Voglio sposarla, ma non c'entra nulla la reputazione, mentre c'entra molto il suo buon cuore. È una delle cose che me l'ha resa cara da sempre. Attenderemo il tempo necessario per ristabilire i giusti equilibri e poi annuncerò il fidanzamento. Volevo però attendere qualche giorno per parlartene".

La donna si appoggiò ai cuscini come se fosse infinitamente stanca, le sopracciglia aggrottate e il sudore che le imperlava la fronte. Temette che potesse sentirsi male e provò ad allungarle un bicchiere d'acqua.

"Hai idea di cosa diranno i giornali quando annuncerai un fidanzamento con una ragazza simile dopo aver passato mesi da solo con lei in un luogo deserto?". Il tono era quasi rassegnato e rifiutò il bicchiere. A dirla tutta, non ci aveva mai pensato in quei termini.

"Possono dire ciò che desiderano, zia. La cosa non mi tocca. Non abbiamo nulla da nascondere perché i nostri sentimenti sono sinceri".

La zia fece una smorfia: "Da quando in qua sei così sdolcinato, William?!".

"Volevo solo dire...".

"Potrebbe essere incinta...?". L'allarme sul suo volto si unì a un pallore improvviso e Albert sperò che il dubbio non s'insinuasse sul proprio. Non avevano mai avuto certezze matematiche, ma era piuttosto tranquillo da quel punto di vista.

"Ora basta, zia", disse cercando di essere gentile e di eludere ancora una volta quell'argomento scomodo. "Non è mia intenzione creare scandali e faremo in modo che la nostra unione porti solo prestigio nella nostra famiglia". Non amava esprimersi in quei termini, ma desiderava accontentare quelli che erano i desideri della zia. D'altronde, lui era il capofamiglia e doveva curare anche l'aspetto sociale, suo malgrado.

"Come potrebbe portare prestigio l'unione fra te e una ragazza orfana che avevi addirittura adottato?".

"Non l'avevo adottata personalmente e il fatto che sia orfana è irrilevante", spiegò con pazienza.

"Irrilevante? Irrilevante, dici?! Tu sei l'erede di uno dei clan più importanti del Paese e dovresti unirti in matrimonio con una donna di pari ceto sociale!". Aveva persino battuto il pugno sul letto.

"Zia, questa conversazione ti sta facendo agitare e non va bene. Non sei solo felice che io sia tornato sano e salvo?". Domandò conciliante e la vide esitare. "Davvero in tutti questi mesi la tua preoccupazione più grande è stata salvare l'onore della famiglia? Quando sono entrato non mi sembrava. E comunque se il mio futuro matrimonio ti causa tanto imbarazzo, possiamo semplicemente lasciare le cose così come sono. A quanto pare Archie se la sta cavando egregiamente".

La zia impallidì di più e Albert si allarmò: "Lasceresti persino il patriarcato per lei?!".

Le prese una mano e, di nuovo, cercò le parole più adatte: "Zia Elroy, lungi da me fare minacce o cercare soluzioni drastiche. Ma prima accetterai che Candy, nonostante le sue origini, è la donna che voglio al mio fianco, prima smetteremo di discutere. Non riesco a immaginare il mio futuro con nessun'altra che non sia lei e per quanto riguarda il fatto che non abbiamo notizie della sua precedente famiglia... ebbene, non è così".

La donna sbatté le palpebre, presa in contropiede: "Vuoi dire che hai fatto delle ricerche di cui io non sono a conoscenza?".

Albert sorrise, scuotendo la testa: "No, zia, ma so che è stata adottata da una nobile e ricca famiglia di origini scozzesi, quando aveva solo tredici anni. Il suo tutore legale ne era il patriarca. E solo di recente ha lasciato il loro cognome perché ha raggiunto la maggiore età".

Lei si accigliò: "William Albert Ardlay, ti stai prendendo gioco di me!".

"No, non è mia intenzione. Voglio solo farti capire che se è il nome che ti interessa, ebbene, ha avuto il nostro per ben otto anni. Ed è educata, gentile e sa come comportarsi a un ballo di gala. Non sono condizioni sufficienti per te?". Entrare nella mentalità della zia era abbastanza sgradevole, ma Albert tentò di farlo pur di calmare le acque e non risultare troppo drastico. A dirla tutta, era pronto a riprendere la prima nave, riempirla di viveri e tornare sull'isola con Candy in quello stesso istante, se fosse stato necessario. Tuttavia la sua mente pragmatica sapeva che non poteva semplicemente abbandonare tutto su due piedi e doveva conciliare il cuore con i suoi doveri.

La zia Elroy strinse tanto le labbra che quasi sparirono in una linea sottile e bianca: "Mi farai diventare matta, William. È da quando eri piccolo che sei la causa principale dei miei mal di testa! Tu e i tuoi animali, le tue fughe pericolose, le tue decisioni irrevocabili! E va bene, sposati pure con quella... Candice, ma aspetta almeno un anno e mezzo!".
Albert deglutì: un anno e mezzo non era affatto la tempistica che aveva in mente. Non gli si avvicinava neanche un po'. Tuttavia, baciò educatamente la mano della zia e la ringraziò per la comprensione, sancendo l'armistizio e sapendo di aver appena vinto la battaglia più grande di quella piccola, grande guerra familiare.
 
 


 
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo!
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Candy Candy / Vai alla pagina dell'autore: moira78