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Autore: Nemesis01    25/07/2023    0 recensioni
One shot sequel di "Fortis Manes".
Dopo il triste epilogo della storia, James prova a fare pace con se stesso e inizia il suo viaggio a Vienna.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Draco Malfoy, Harry Potter, James Sirius Potter, Scorpius Malfoy
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più contesti, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Fortis Manes'
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Disclaimer!
Questa fan fiction tratterà di una coppia slash e l’OTP che ho scelto è James Sirius/Scorpius (come la storia madre che potete leggere qui). Per cui, se non vi piace lo slash né siete fan di questa coppia, vi chiedo il favore di tenere in considerazione questo dettaglio prima di iniziare a leggere. Capirò se deciderete di non farlo.
Grazie mille.

*


 

"Hey dad look at me
Think back and talk to me
Did I grow up according to plan?
And do you think I'm wasting my time doing things I wanna do?
But it hurts when you disapprove all along
And now I try hard to make it
I just wanna make you proud
I'm never gonna be good enough for you
[..] 'Cause we lost it all
Nothing lasts forever
I'm sorry
I can't be perfect"
- Perfect, Simple Plan

 


2. Perfect

 

Harry Potter era stanco, solo e triste.
Quando tre anni prima aveva assaporato l'idea di poter trovare un giusto equilibrio nel rapporto padre-figlio con la sua progenie, James era finito in overdose (e poi in carcere, dopo al San Mungo e, infine, alla "Heilige Josef krankenhaus für Zauberer" di Vienna) e Albus aveva ottenuto un bel biglietto d'ingresso per Azkaban (con l'accusa di produzione e spaccio di stupefacenti). Gli restava solo Lily, la dolce e tenera Lily che era troppo concentrata sul mondo del Quidditch per renderlo felice di fare il padre. Voleva bene a Lily, come ne voleva ai suoi altri due figli, ma era quella con cui era riuscito a legare di meno. Ed era tutto un dire, visto che era l'unica ad essersi salvata.
Presa coscienza dell'evidenza di essere la rovina dei propri figli, Harry si sentiva stanco, solo e triste.
Non aveva mai dato peso a questo tipo di sensazioni fino a quando aveva del lavoro da sbrigare (e rimproverare Scorpius era uno dei suoi incarichi preferiti), ma quando si prendeva una pausa il mondo gli crollava addosso. Era tutta colpa sua, lo sapeva bene. Aveva fallito come padre, come Auror e come uomo. Così, invece di tornare a casa, Harry era seduto al tavolo numero tredici de "I tre manici di scopa" da più di un'ora e non aveva ancora bevuto un sorso dalla Burrobirra che Madama Rosmerta gli aveva gentilmente offerto.
Il signor Potter si era tolto gli occhiali e li aveva lanciati distrattamente sul tavolo; era stanco, avrebbe avuto bisogno di dormire e invece era in quello stupido pub.
- Potter, perché diavolo mi hai fatto venire qui a quest'ora? Merlino, si gela. -
- Ciao Draco, anche a me fa piacere vederti. -
- A me non fa piacere vederti, Potter. Non quando potrei star già dormendo. Che faccia da Troll che hai, tutto bene? -
Harry, ormai, sapeva (o almeno sperava) che quello fosse il modo "à la Malfoy" di preoccuparsi per lui. L'unica cosa che aveva guadagnato dopo la perdita dell'autostima e della fiducia dei propri figli, infatti, era un amico. Strano che fosse proprio Draco Malfoy.
Gli era stato molto vicino durante la convalescenza di James, avevano iniziato a collaborare per altri casi e più di una volta si erano ritrovati a bere qualcosa al pub; così era nata una sorta di amicizia fuori dai canoni ma tremendamente consolatoria. Era bello poter stare un po' di tempo con un amico, per poter essere solo Harry.
- Cos'è, la piattola vuole il divorzio? Non la facevo così astuta. -
- No, Malfoy, smetti di fare l'idiota e siediti. Devo parlarti di Scorpius. -
L'espressione di Draco divenne immediatamente seria, tanto che si accomodò di fronte a lui senza fare storie.
- Dimmi pure. -
Prima di rispondere, Harry fece un lungo sorso dal boccale e si asciugò le labbra con il manico della felpa. - Oggi ho dovuto sospenderlo. -
- ...cosa? E perché mai? -
- Stava seguendo un caso, uno su un mago pericoloso, e... beh... la sua compagna è finita al San Mungo, gravemente ferita, a causa sua. Ha violato tutte le regole del Protocollo Auror e non è la prima volta. Non volevo farlo ma... senti, non dovrei nemmeno dirtelo, ma sono preoccupato per lui. -
Draco si accasciò contro lo schienale della sedia e rimase in silenzio per il tempo necessario che gli ci volle per riordinare i pensieri. - Pensa ancora a James, vero? -
- Sì, - ammise Harry. - Non voglio essere allarmista ma oggi ha detto che "non gli importa". Ha rischiato di morire, Draco. Lo fa sempre da tre anni a questa parte ma... -
- Dovevi sospenderlo prima, - lo rimproverò Malfoy.
- Sì, lo so. Ma... all'inizio pensavo fosse normale sentirsi giù di tono. Credo che Scorpius fosse davvero innamorato di James e, sai, il processo, il non vedersi più... il fatto che mio figlio non gli abbia più rivolto la parola... -
- Dici che ha, come si dice, il cuore spezzato? -
Harry annuì. - Io voglio bene a Scorpius, Draco. -
- Lo so. -
- Gli ho consigliato, già da tempo, di rivolgersi a uno Psicomago ma lui dice di non averne bisogno. Non può nemmeno continuare così. Si autodistruggerà. -
- So anche questo ma, vedi, lui è un adulto. Possiamo consigliargli cosa fare, ma fin tanto che non capirà di aver bisogno di aiuto non lo cercherà. -
- E se non dovesse mai capirlo? Se le cose degenerassero? Se, in una delle prossime missioni, lui dovesse morire? Ci pensi mai? -
- Ci penso fin da quando mi ha detto che voleva diventare Auror, - sbuffò Draco. - E chi meglio di te può capire i rischi del mestiere? -
Harry bevve un altro sorso di Burrobirra, esasperato. Draco aveva ragione ma lui non poteva arrendersi, non poteva lasciarsi sfuggire così il suo Auror migliore. Poi voleva davvero bene a Scorpius: quando lui e Albus erano solo due maghi in erba, lo aveva ospitato spesso per le vacanze estive o quelle natalizie. Lo aveva visto crescere, maturare, fino a diventare un mago adulto. Gli si era affezionato tanto da cominciare a vederlo come se fosse figlio suo. Ma lui come padre faceva schifo e Scorpius, per fortuna sua, era figlio di Draco.
- James invece sta meglio, - disse Malfoy. - L'ho sentito proprio stamattina. -
- Tu... tu ti senti con James? - chiese Harry allibito.
Draco fece cenno di sì con la testa. - Ci scriviamo regolarmente una volta alla settimana. -
- E perché tu scrivi a mio figlio e viceversa?! -
- Inizialmente è stata una comunicazione forzata dai Guaritori viennesi, sai, io stavo studiando gli effetti della pozione che ha tenuto James in vita... poi, quando è stato dimesso, abbiamo continuato con questa comunicazione epistolare. Prima prendeva almeno dieci pozioni al giorno semplicemente per restare vivo, sai? Ora siamo scesi a due al giorno, ed è pulito da tre anni. -
- Se non ti conoscessi direi che... -
- Sì, lo so cosa diresti e ti fermo subito: ho rivalutato molto James. È un bravo ragazzo, ha fatto le scelte sbagliate ma... ehi, ne è uscito e sta lottando per riprendersi la sua vita. È uno tosto. -
Harry restò in silenzio e bevve un altro sorso dalla Burrobirra. In un primo momento avvertì qualcosa pizzicargli il cuore, forse provò un briciolo d'invidia perché James scriveva a Draco e non a lui, poi si ricordò tutti i suoi errori da genitore e allora continuò a bere. - Parli di te o di mio figlio? -
- Stavo parlando di James, Potter! La Burrobirra ti è andata in testa o cosa? - si lamentò Draco con uno sbuffo sonoro.
- Sta facendo soffrire tuo figlio, - disse Harry tra i denti.
- Mio figlio ha fatto soffrire tuo figlio. Per anni. Oh, sia chiaro: ne vado fiero, - scherzò Malfoy. - Finalmente una vendetta dei miei geni suoi tuoi. -
- Malfoy... -
- Bla bla bla, Potter, non attaccare il solito discorso morale da Sono-Un-Grifondoro-Giusto-E-Leale! -
- Quindi sta bene? -
- Sta bene, sì. Fisicamente almeno. Sarà qui a Londra tra qualche giorno. -
- Ritorna in Inghilterra?! -
- Solo per un po', sai, il tour dei Sevendust e qualche faccenda burocratica da sbrigare. In realtà, pensa di trasferirsi definitivamente in Austria, ma chissà... -

***

Prima di suonare il campanello, James cercò di darsi una sistemata. Tolse gli occhiali da sole, si abbottonò per bene il cappotto, sistemò i pantaloni sulle ginocchia e tirò un grosso sospiro.
Non andava a Grimmauld Place da quando, poco dopo aver compiuto quindici anni, era scappato da casa per andare a vivere con Ted e Victoire. Rientrare a casa dei suoi genitori gli suscitava un po' d'ansia, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Sospirò ancora e suonò alla porta.
Fu Harry ad aprire e fece non poca fatica a nascondere la paura dietro lo stupore che provò quando si rese conto di avere il suo primogenito di fronte.
- James? - chiese. Batté gli occhi un paio di volte prima di abbozzare un sorriso. - Merlino, sono... sono felice di sapere che stai bene. -
James sollevò un sopracciglio. Non vedeva suo padre da... da quando? Da quando era andato al San Mungo? Dal processo? Dalla partenza per l'Austria? Beh, da tanto tempo.
C'era da dire che nessuno dei due aveva scritto all'altro, ma a James avrebbe certamente fatto piacere notizie di Harry durante la seconda parte della terapia, ma era stata una speranza vana e, come previsto, non era accaduto.
- Non mi inviti a entrare? - domandò James.
- Io... eh, io... - Harry apparve confuso e leggermente trasandato. Aveva un'inconsueta peluria sotto al mento e i capelli erano più spettinati del solito.
- Sono pulito, - chiarì James. - Da due anni, in verità. -
- Perché sei qui? Ti... ti servono soldi? -
- Non te li ho chiesti quando avevo quindici anni e dovevo acquistare i libri per Hogwarts, figurati se te li chiedessi ora che sono ricco sfondato. -
Harry si scostò dalla porta e lo lasciò entrare.
Entrare in casa fu davvero uno schianto al cuore. Per un breve attimo, James fu colto da una strana sensazione di nostalgia: le pareti su cui si era schiantato provando la sua prima scopa per bambini erano ancora lì ma avevano cambiato colore; lo stipite della porta su ci avevano tutti scritti era stato sostituito; il parquet che lui e Albus avevano distrutto quando "giocavano a picchiarsi" era stato messo a nuovo... era come se anche la sua prima casa fosse stata stravolta fino a trovare una nuova forma, proprio come era successo a lui.

James seguì suo padre fino al soggiorno, ma prima di entrare si voltò di scatto: gli era parso di aver visto qualcuno correre verso la porta d'ingresso. Nessuno, però, era entrato o uscito dall'appartamento, quindi a James non restava altro che stringere le spalle e seguire suo padre nella stanza. 
Harry si accomodò su una vecchia poltrona di velluto, probabilmente una di quella che era appartenuta alla famiglia Black, e guardò suo figlio quasi ammirandolo. - Ti sei fatto crescere i capelli? -
James annuì e li sciolse: erano così lunghi che gli arrivavano al fondoschiena. - Devo tagliarli, ma ho scoperto che così riesco a tenerli a bada. Dovresti provarci anche tu, - suggerì.
- Beh... non mi ci vedo molto con i capelli così lunghi, ma, se funziona come metodo, quasi quasi ci penso sul serio. -
James sorrise debolmente, infilò le mani in tasca e si guardò intorno. Era davvero raro che si trovasse a disagio in qualsivoglia situazione, ma restare in quella stanza, in piedi davanti al camino, di fronte a suo padre, gli aveva portato alla mente la scena vissuta un bel po' di anni prima, quando subito dopo i G.U.F.O. era andato via da lì. Con addosso chiari segni di violenza e le lacrime che gli sgorgavano senza che potesse frenarle, il James quindicenne urlava disperato contro sua madre nello spiegarle che no, essere gay non era una malattia e non avrebbe modificato il suo orientamento sessuale a suon di mazzate.
Ora si trovava nello stesso posto, in piedi davanti al camino, con addosso il peso di quelle vecchie sensazioni che era stato costretto a somatizzare. Provò una strana tenerezza per il se stesso del passato, ma anche una grande sete di riscatto. - Tua moglie non c'è? -
Harry annuì. - Tra un po' arriverà per chiedere chi era alla porta. -
James continuò a guardarsi intorno sospettoso.
- Non ti siedi? - chiese l'uomo. Sembrava felice di rivederlo, ma allo stesso tempo intimidito dall'uomo che il figlio era diventato.
- No, preferisco stare in piedi. Sarò breve, - specificò.
- Come stai? - Harry si morse immediatamente la lingua. Si aspettava una risposta del tipo "e me lo chiedi solo ora? Dov'eri quando avevo bisogno di te? Stronzo!", ma fu piacevolmente sorpreso dall'atteggiamento mansueto del figlio.
- Benissimo, - rispose il ragazzo con un sorriso. - Tu? -
- Come al solito, - rispose Harry. Fece per aggiungere qualcos'altro, ma la voce di Ginny lo interruppe.
- E tu cosa ci fai qui? - domandò la donna stizzita verso il figlio. - Non ti vergogni? -
- Ciao anche a te, - rispose ironicamente il ragazzo. - Di cosa dovrei vergognarmi stavolta, di grazia? -
- Beh, la tua storia col figlio di Malfoy... -
- ...vecchia di tre anni fa... -
- ...non potevi tenerla nascosta, no? Dovevi per forza sbandierare le tue perversioni sui giornali? -
- Sai com'è, sono un personaggio famoso. I miei dischi hanno superato quelli dei The Weird Sister, ogni radio passa la mia musica, ho un pub di successo. È ovvio che ai giornalisti interessasse la mia perversione con Malfoy, - ironizzò James. - Resta comunque che è una storia vecchia di almeno tre anni. Non fa più notizia. -
- E dovevi proprio far sapere a tutti che sei frocio? -
- Ginny, - la riprese Harry, stanco. - Per favore... -
Un nuovo e rapido flashback e James fu catapultato nuovamente ai suoi quindici anni. "Sei un frocio di merda, non ti voglio sotto al mio tetto!" gli aveva urlato contro sua madre. James scosse la testa, strinse forte i pugni e incassò il colpo.
- Io non ho assolutamente nulla di cui vergognarmi, - rispose a denti stretti.
- Sei un drogato! Un frocio drogato e dici di non aver nulla di cui vergognarti? -
- Ginny, e che cazzo! -
- Sono un mago onesto, sono pulito dalla roba che produceva l'altro figlio tuo, - disse James. - Ho seguito una terapia e sto bene. E sì, l'avrò detto duecento volte, ma se ti piace sentirlo lo ripeto: mi piace il cazzo. Se hai problemi con questa cosa posso consigliarti almeno tre Psicomagi solo nei dintorni, - concluse con un sorriso divertito.
La donna tacque e Harry fissò il figlio con un'insolita aria di ammirazione.
- In ogni caso, non sono qui per parlarvi della mia vita sessuale. -
- E allora che vuoi? -
Harry sembrò molto stressato e si accasciò sulla poltrona stancamente.
- Vado subito al sodo, - disse James. - Secondo alcune leggi del Wizengamot, a seguito di quanto mi è accaduto, voi due siete designati come miei eredi. -
L'espressione di Ginny divenne più interessata.
- Io non voglio che voi lo siate. Quindi vi ho portato dei documenti da firmare per rinunciare alla cifra affinché io possa scegliere un destinatario più consono, - chiarì James e subito dopo, con un incantesimo d'appello, fece apparire dei documenti sul tavolino. A Harry non interessava granché dei soldi del figlio: voleva solo che fosse felice come meritava. Sua moglie, invece, non era dello stesso avviso. - Non credo proprio, - rispose Ginny. - Dopo tutto quello che ho sopportato anche solo per farti nascere... -
James rise. - A parte che, nel caso in cui non avreste voluto avere un figlio, potevate usare un preservativo, voglio ricordarti che non ho chiesto io di nascere. E poi... quello che hai sopportato tu? - chiese e sollevò un sopracciglio.
- Con tutto il disonore che ci hai vomitato addosso dovremmo averti già fatto causa! -
- Hai rotto il cazzo, - disse James con un sorriso. - Tu e questa cazzo di storia del disonore. Sai cosa avrei potuto fare? -
- Dire ai giornali come lo trattavi quando era piccolo, - intervenne Harry spazientito. James lo guardò sorpreso ma lasciò che suo padre continuasse.
C'era da dire che Harry non si era mai davvero scontrato con sua moglie per difendere suo figlio. James gli rivolse uno sguardo esterrefatto ma si limitò ad ascoltare. - E avrebbe dovuto farlo, - continuò Harry. - Perché lui era solo un bambino e tu... -
- Io lo dovevo educare prima che diventasse un maniaco sessuale! -
- Soltanto perché gli piacciono i maschi? - domandò Harry retorico. - Io non potrò mai perdonarmi per non averlo difeso o per non essere mai stato davvero di supporto per lui! -
- Ah, no? - Ginny sollevò un sopracciglio. - E allora i soldi che mandavi a Teddy per cos'erano? -
James, sorpreso, si voltò verso il padre; fece per dire qualcosa ma Harry lo anticipò.
- Mio figlio doveva andare a Hogwarts, - urlò Harry. - E doveva avere tutto quello di cui avrebbe potuto aver bisogno. Di certo non ci avresti pensato tu! -
- Papà? - lo interruppe James. - Davi dei soldi a Teddy? -
Con un incantesimo di appello, Harry chiamò a sé dell'inchiostro e una piuma. Prima di rispondere al figlio, firmò i documenti con rapidità. - Sì, James. Teddy non voleva prenderli, ho dovuto insistere molto. Non volevo che voi tutti foste in difficoltà, ed ero sicuro che con Ted e Victoire saresti stato in un posto più tranquillo, dove ti saresti sentito accettato e amato. Cosa che, qui, non sarebbe mai potuta accadere. -
Il ragazzo non rispose e guardò i due genitori. Non sapeva se sentirsi arrabbiato, felice, disgustato o provare pietà per entrambi, ma rimase in silenzio ad ascoltare i borbottii della madre. Harry e Ginny continuarono a gridarsi contro per un po', almeno fino a quando James, già in ritardo per un appuntamento, li interruppe. - Quanto vuoi? - chiese a Ginny. Utilizzò un tono frettoloso, quasi avesse voglia di spicciarsi prima possibile.
- Diecimila galeoni, - sparò la donna assottigliando gli occhi.
Harry fece per insultarla, ma James estrasse il libretto della Gringott e compilò un assegno con la cifra richiesta. - Non darle niente, - ringhiò Harry.
- Se questo è il prezzo che devo pagare per togliermela dai coglioni, sono ben felice di spendere diecimila galeoni. -
- Ma non è giusto, James! Sono soldi tuoi, lei non se li merita e non ne ha bisogno! Piuttosto falle causa, fai causa a tutti e due! -
James ignorò il consiglio del padre, staccò l'assegno dal libretto e piegò il foglio in due parti. - Metti una firma su quei fogli e ti consegno l'assegno. Puoi andare alla Gringott anche adesso per far trasferire il denaro sul tuo conto. -
- E a me chi lo dice che non è un bluff? -
- Metti quella cazzo di firma, Ginny! - urlò Harry. - E, per la barba di Merlino, giacché ti sei ricordata come si fa a scrivere va' a firmare anche i documenti del divorzio! -
Ginny lanciò uno sguardo carico d'astio verso il marito poi firmò i documenti che aveva portato il figlio. James li ritirò prima che i due potessero cambiare idea e consegnò l'assegno alla donna.
- Spero che tu li spenda per andare dallo Psicomago, - aggiunse. Infilò poi le mani in tasca e desiderò abbracciare il se stesso dei flashback.
La donna, felice del compromesso ma anche di aver chiuso definitivamente con il figlio di cui si vergognava, afferrò l'assegno e lasciò la stanza senza salutare, nello stesso modo in cui era entrata.
- Che stronza, - bisbigliò James tra i denti.
Harry sbuffò, si alzò dalla poltrona e si avvicinò al figlio. Avrebbe voluto abbracciarlo e scusarsi ma gli mancò il coraggio. - James... mi... mi dispiace davvero tanto. Ti risarcirò io personalmente tutta la cifra. -
- Non me ne frega un cazzo dei soldi, - disse. Si rese conto, poi, di avere le mani tremanti e capì che sarebbe stato meglio andare via. - Io... io ho un appuntamento. Vado via. -
- James, - sussurrò Harry.
- Che c'è? -
- Mi dispiace davvero. Per tutto. -
- Non importa, - rispose il ragazzo stringendo le spalle. - Il passato è andato, ora sono più concentrato sul mio futuro. -
James, senza attendere oltre, si diresse verso la porta di ingresso e l'aprì per abbandonare definitivamente Grimmauld Place numero dodici. Ora era davvero libero: aveva affrontato sua madre, risolto il problema dell'eredità e poteva sentirsi libero da quel tipo di catene emotive. - Allora ciao, - borbottò James facendo per mettere un piede fuori dalla casa a pugni stretti.
Ma, prima che uscisse per davvero, Harry trovò tutto l'ardore che aveva sepolto sotto anni di delusioni e malumori e abbracciò il figlio con forza. James fu sorpreso ancora una volta, ma non riuscì a dire o fare nulla. Voleva davvero quell'abbraccio, lo aveva desiderato per quasi tutta la sua vita e ora che finalmente era arrivato era rimasto completamente inerme.
Nell'esatto momento in cui le braccia di Harry gli avevano avvolto le spalle, il James del momento si fuse con quello del passato e, senza accorgersene, cominciò a piangere silenziosamente. Un singolo abbraccio era stato più emozionante di vincere la Coppa del Quidditch e la Coppa delle Case per tre anni di fila a Hogwarts (e di certo i festeggiamenti non erano mancati nella Sala Comune di Grifondoro), più del suo primo concerto fuori da Hogsmeade, più dei fan che l'acclamavano dal sottopalco. Il calore del corpo di Harry gli stava riscaldando il cuore e sembrava dirgli che, davvero, da oggi in poi l'avrebbe protetto con orgoglio. Un gesto semplice, caloroso, che sembrò spazzare via un arresto immeritato senza il quale, probabilmente, James non avrebbe mai davvero avuto la possibilità di riscattarsi.
Lentamente, il ragazzo rilassò le dita e poi allungò le braccia per ricambiare il gesto del padre.
- Ti voglio bene, James. So di non avertelo mai detto e... mi scuso. Mi sono comportato male con te, sono stato un idiota. Però ti voglio davvero bene, James, e sono davvero orgoglioso dell'uomo che sei diventato. Per favore, non dimenticarlo. -
- Anche io ti voglio bene, papà. -

 

   
 
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