Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: dimouniak    28/07/2023    1 recensioni
Zack è un ragazzo della campagna inglese che scopre che da millenni la sua famiglia pratica La Caccia, ma pur rimanendone turbato sceglie di entrare nel Mondo di Tenebra che si cela dietro la sua normalità; solo col tempo capirà che il mondo non è bianco e nero e le sfumature di cui è composto sono molto più ampie della proverbiale scala di grigi che credeva.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Spostiamo la nostra telecamera di nuovo, spostiamola lungo la linea di vista del nostro protagonista. Osserviamo, nell’incedere nella neve, la strada di campagna priva di qualunque ostacolo che improvvisamente incontra e costeggia un basso muretto di pietre; un muretto un po’ alla buona, fatto probabilmente anni ed anni prima e mai davvero curato. Dietro il muretto vediamo una casa con un’ampia base di pietra ed un’aggiunta di legno, dal tetto spiovente e mezza coperta da questa coltre pallida di neve depositata; quest’aggiunta possiede un piano rialzato; poco più in là, appena qualche metro, c’è un capanno più basso dove forse un tempo risiedeva qualche animale da fattoria. Per raggiungere la casa c’è un cancelletto di legno decisamente più nuovo del muro che spezza ed un palo con una lanterna appesa alla cima.
«E quella?» chiede mister Billings.
«La teniamo accesa quando siamo in casa, se qualcuno dovesse aver bisogno.»
«E non temete che possa avvisare qualche malintenzionato?»
«Di cosa dovrebbe avvisarli?» si intromise Zack.
«Beh, del fatto che c’è qualcuno in casa…»
Cullen rise «Ma tutti sanno che siamo quattro uomini in casa! Non preoccupatevi, caro amico: nessuno che voglia farci del male sarebbe così sciocco da entrare in casa nostra di notte, rischiano di prendersi un martello in testa!»
Ridendo e parlando della lanterna, i tre entrarono in casa.

Zachary non aveva mai effettivamente ragionato sul fatto che qualcuno potesse entrare in casa loro: come molte nozioni, la paura dell’”esterno”, di qualcuno che da fuori possa entrare a farti del male, era qualcosa che se non passata da un genitore o un fratello maggiore difficilmente si incastona nella corona di pensieri che dividono le abitudini domestiche da quelle pubbliche. Così ogni notte Zachary accendeva la lanterna, anche se era in casa da solo, aspettandosi prima o poi che qualche cliente o qualche vicino bussasse alla porta perché aveva bisogno d’aiuto, ma chiudeva la porta a chiave perché gli era stato insegnato che così si faceva e non aveva mai pensato che servisse a tenere fuori la persona che gli veniva a bussare.
Questo intrigo di pensieri lo accompagnò per tutto il pranzo, che andò bene e li mise tutti di buon umore: mister Billings aveva quel carattere allegro ed alla mano che gli permise di fare conversazione con entrambi i fratelli allo stesso livello; scoprirono che era di origine contadina, come loro, e nonostante possedesse terre lavorate da dipendenti suo padre aveva sempre preteso che della loro casa si occupasse lui personalmente; scoprirono che aveva quattro sorelle, ma solo due erano arrivate all’età adulta, che era scappato di casa a sedici anni per imbarcarsi su una nave diretta in Italia e che quando era tornato con la coda tra le gambe aveva messo la testa a posto ed aveva deciso di darsi all’artigianato. I suoi racconti ed i suoi discorsi presero la mente di Zachary come una favola di draghi e cavalieri prenderebbe un bambino e nonostante il loro ospite si rivolgesse più a Cullen che a lui il ragazzo si godette la giornata.
Poi, al termine del pasto, «Zack, fai vedere al nostro ospite la bottega mentre io sistemo questi piatti» si offrì Cullen.
Il nostro protagonista accompagnò mister Billings nella parte pubblica della bottega, ovvero la costruzione in pietra, il cuore principale dell’agglomerato di piccoli edifici di campagna; al centro c’era la piccola forgia al cui interno le braci erano ancora accese; «Le teniamo così» spiegò «Perché costa meno ravvivarle piuttosto che accendere il fuoco da capo ogni volta. Abbiamo del carbone, ma con quello che costa l’inverno dobbiamo stare attenti…» «Affascinante, affascinante» commentava l’altro.
Guardarono ogni strumento, ogni angolo, mister Billings gli fece anche un sacco di domande sulla legna che utilizzavano «Nel mio lavoro» gli spiegò «Ogni modello ha un’anima lignea diversa, per adattarsi a determinati contesti: uno stivale da cacciatore deve proteggere il piede da rovi e spine e serpenti, mentre il panettiere deve essere protetto dalle teglie bollenti del forno, se gli dovessero cadere addosso!»
«Non sapevo vendeste anche a gente del popolo.»
«Sono i miei miglior clienti, in verità, ma non mi pagano il cibo in tavola se devo essere sincero!» e rise, dandogli una pacca sulla spalla.
A quel punto furono raggiunti anche da Cullen, che gli mostrò i chiodi ed i ferri a cui avevano lavorato nella settimana precedente; nella bottega si concessero di fumare una pipa: Zachary non aveva mai fumato in vita sua ma scoprì che per suo fratello non era la prima volta; con suo dispiacere, ascoltò il seguente aneddoto:
«Io e papà eravamo a Formby, un villaggio costiero del Merseyside - non vi tedierò spiegandovi come ci siamo finiti. Sappiate solo che se a Venezia avete imparato a costruire scarpe, lì io imparai cos’è la vera noia! Ed alloggiammo presso la casa di un, pensate un po’, un ottomano! Un ottomano vero! Uh, la sua storia sì che sarebbe interessante… Ma non distraetemi, devo finire di dirvi: lì, beh, il nostro ospite s’era portato da casa ogni comodità, tra cuscini, incensi, datteri e mogli. Oh, sì, ne aveva ben tre, tant’era ricco. E dopo cena, dopo che avevamo assaggiato questo e quest’altro ci portò delle pipe. Non come queste: pipe alte, col bocchino, tutte decorate d’argento e d’ottone! Insomma fumammo attendendo l’alba insieme. Ah, che serata, che nottata!»
Fu allora che forse si accorse dello sguardo di Zachary e lasciò scemare il tono finché non rimase solo mister Billings a commentare il racconto ed a fare domande che non ricevettero risposta in quel momento.
«Non mi avevi mai raccontato questa storia, Cullen.»
«Beh, non era davvero importante…»
«Avrei potuto giudicarlo da me: credevo ti avrebbe fatto piacere raccontarmi qualche bella storia dei tuoi viaggi con nostro padre.»
«Zack, non cominciare, abbiamo un ospite.»
«E che sareste andati a fare a Formby?» a quel punto s’era alzato in piedi, troneggiando sui due «Il porto più vicino è a Workington, che già di suo è un bel viaggio, avreste potuto farvi mandare lì qualsiasi cosa aveste bisogno, no?»
Cullen si alzò a sua volta, paonazzo. Non era tipo da perdere le staffe, né da alzare la voce, ma certamente provava vergogna delle scenate, forse più di chiunque altro nella famiglia. Quindi, alzandosi, nascose il viso imbarazzato al loro ospite e si piantò a pochi centimetri dalla faccia di suo fratello, sussurrandogli venefico «Adesso porto il nostro amico a prendere un caffè di là. Accendi il fuoco e mettiti a lavorare, e non farti vedere finché non ti chiamo io» Zack fece per spostarsi indietro, improvvisamente agitato dalla rabbia di Cullen, che di rimando gli strinse dolorosamente una spalla ed abbassò ancora più il tono «Altrimenti assaggerai da me tutto ciò che non ti è stato dato da nostro padre nel corso degli anni. Sono stato chiaro?»
Zack annuì e, veloce come una bandiera durante una tempesta, Cullen si girò sorridendo di ottimo umore a mister Billings «Permettete che vi offra qualcosa di caldo, un digestivo!» lo invitò allegro «E più tardi potrei mostrarvi la legnaia: sapevate che qui a Penrith cresce un particolare tipo di edera che produce un ottimo olio per conservare la quercia?»
Uscirono dalla stanza e Zack rimase lì. Contemplò il sapore del fumo sulla lingua mentre cercava di trattenere un pianto di rabbia e vergogna: ancora una volta era stato messo da parte. Ancora una volta aveva dimostrato impazienza. Ma stavolta aveva rischiato di rovinare i rapporti con un cliente che, a detta di Cullen, aveva tra le mani la loro sopravvivenza.
Ci pensò per un’ora, forse di più, mentre aveva il petto sconquassato dai singhiozzi.

Quando si riprese a sufficienza si nascose il viso rosso nella fuliggine, ravvivò la brace e si scaldò un po’ davanti al fuoco, prima di andare a vedere come procedeva il pomeriggio.
Varcò la porta che dalla bottega portava nella casa aspettandosi di sentire il chiacchiericcio dei due, ma c’era solo silenzio. Strano. Non credeva fosse passato così tanto da quando si erano divisi. Si prese un bicchiere di vino per scaldarsi un po’, osservando da lontano pallide nubi nevose in avvicinamento.
Attese, ma non si vide nessuno.
Iniziò a vagare per casa con un’orribile sensazione che gli attanagliava le viscere: tornò alla bottega un paio di volte per controllare il fuoco, salì al piano superiore per vedere se Cullen fosse in camera sua; forse Billings se n’era andato, ma era impossibile che, pur avendo litigato, il fratello se ne fosse andato senza averlo avvisato, non era da lui. Ed il pensiero di quella lanterna accesa e quella porta sprangata tornò a bussare alla sua mente.
Solo dopo aver vagato inutilmente per tutta casa aprì la porta per cercarlo fuori. C’era una luce accesa nella legnaia. Zack si rilassò e rimproverò sé stesso per essere così sciocco: li aveva anche sentiti, mentre parlavano della legna.
Li attese per un po’, ma nessuno tornava e la notte era ormai calata da un pezzo.
Era quasi ora di cena, quando si decise ad andare a chiamarli: si gettò sulle spalle un mantello ed attraversò la neve fino alla porta della capannina, tirò la maniglia della porticciola… e la trovò bloccata. «Cullen?» chiamò. Sentì un mugolio. «è quasi ora di cena.»
Fece un po’ di forza e riuscì ad aprire quel tanto da poter sbirciare all’interno.
Venne investito da due cose innaturali, appena avvicinò il viso all’apertura: c’era aria calda, dentro il magazzino, ed odore di sudore. E quando individuò i due, li trovò tra una catasta di legna ed un paio di sacchi di carbone. Di mister Billings vedeva solo la testa e le mani che si arrampicavano lungo il petto di Cullen, che troneggiava coperto solo del suo sudore e del rossore che i morsi e le unghiate del suo amante gli avevano lasciato addosso.
Zachary non aveva mai conosciuto il tocco di una donna, ma aveva visto abbastanza animali in vita sua da sapere cosa stava succedendo. E Cullen, che allarmato dall’aprirsi della porta aveva intercettato il suo sguardo, non poté mentire a sé stesso. Ma Zachary era già schizzato indietro e scappato verso la porta.

Fu in quel momento che successe.
Seguendo l’istinto che ci impone di fare finta di non aver visto niente, di evitare la situazione scomoda, la punizione, l’imbarazzo, il piccolo di casa si rifugiò nella camera che condivideva con quel fratello ora estraneo; la voce di padre Leander che gridava da un pulpito fatto dalle rovine della sua casa lo infestava gridando “sodomia! sodomia!”; iniziò a mettere a soqquadro nella speranza di trovare una via d’uscita che gli impedisse di avere quel confronto, finché non gli capitò tra le mani un taccuino di pelle che preso da un turbine di pensieri iniziò a sfogliare senza far veramente caso a ciò che guardava.
Finché non fu colto dal pensiero che nessuno della sua famiglia sapeva leggere e scrivere.
Ed iniziò a guardarlo meglio.
A guardare le incomprensibili annotazioni prese nelle angolazioni più assurde. Come assurde erano le figure grottesche che qualcuno aveva scarabocchiato prima a carboncino e poi ripassato con l’inchiostro per rendere l’orrore che rappresentavano ancora più palpabile. Cose che avevano zanne. Che avevano artigli. Demoni la cui sete di sangue era pari alla follia in cui trascinavano la mente ignorante che li osservava troppo a lungo.
La gola di Zack si riempì di bile amara.
Poi la porta si aprì di scatto e lui gettò quell’orrore tra le cose di suo fratello.
   
 
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