Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    01/08/2023    3 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 15: Watergun

 

When we were boys
We played pretend
Army tanks and army men
Hide and seek
Grow to be the kings we dream

Where did we go?
We're standin' on the frontline
Where did we go? We go?

I don't wanna be a soldier, soldier
I don't wanna have to play with real blood
We ain't playin' now
Can't turn and run
No water guns no, no

What we've become…
(“Watergun” – Remo Forrer)

 

Saltzmann non capiva perché Mellish fosse tanto turbato, in fondo era finito tutto bene, no? Il giovane era intervenuto per difendere lui e Upham e poi anche il Capitano Miller aveva rimproverato i soldati che si erano affrettati a scusarsi e a chinare il capo per non incorrere in qualche punizione esemplare. Tutto perfetto, non era così? Anzi, lui, Josef, si era sentito immensamente felice nel vedere che il suo Stan lo difendeva con tante belle parole e faceva così capire quanto lo amasse e tenesse a lui! Allora perché adesso il ragazzo era così abbattuto? Il tedesco aveva notato che non aveva parlato con nessuno a tavola, in realtà non aveva mangiato quasi niente, continuando a fissare il cibo nel piatto e a rigirarlo con la forchetta. Ma perché si comportava così? Cosa non andava?

La cena era più o meno a metà quando Mellish si alzò dal suo posto.

“Scusatemi, non ho molta fame stasera e mi sento stanco” disse, guardando i compagni e il Capitano. “Vado in camera a riposare. Buonanotte.”

Gli altri soldati e Miller avevano annuito, Upham era rimasto un po’ più sorpreso, ma poi aveva scambiato uno sguardo con Saltzmann.

“Io anche chiedo scusa” disse il tedesco, mentre Mellish già era uscito dalla sala. “Io andare con Stan, forse lui non stare bene.”

“Non sta bene? Perché? Forse uno di quei ragazzi lo ha colpito? Vuoi che venga con te?” si offrì subito Wade.

“Grazie, ma io andare da Stan e chiedere, se poi bisogno chiamo te, però non sapere… Insomma, forse lui solo bisogno parlare, ecco” rispose Josef, ancora piuttosto stupito per l’atteggiamento del giovane americano.

“Va bene, tanto mi trovate in infermeria se avete bisogno di me” assicurò Wade.

Ancora una volta uno sguardo d’intesa passò tra Saltzmann e Upham e il caporale si rasserenò rendendosi conto che, qualsiasi cosa avesse Mellish, Josef si sarebbe occupato di lui e lo avrebbe aiutato a superarla. Il tedesco diede la buonanotte a tutti e seguì il giovane, fingendo una sicurezza che non provava poiché non riusciva a comprendere perché fosse tanto turbato e mesto.

Mellish doveva aver praticamente corso lungo i corridoi, perché Saltzmann non riuscì a trovarlo fino a che non entrò nella camera che dividevano e lo vide seduto sul letto, nella penombra della stanza, con il capo tra le mani e gli occhi fissi nel vuoto.

Preoccupatissimo, corse subito da lui, gli prese le mani e cercò il suo sguardo.

“Stan? Cosa senti? Tu stare male? Parla a me, Stan” gli disse, cercando di tenere ferma la voce.

“No, non mi sento male, non è quello” mormorò il ragazzo, con un tono che smentiva quello che diceva. Beh, forse non stava male fisicamente, ma non si sentiva neanche bene, proprio per niente.

Saltzmann si sedette accanto a lui sul letto, gli circondò le spalle con un braccio e lo attirò a sé, facendogli appoggiare la testa sulla sua spalla.

“Tu stare male per cosa fatto soldati prima? Tu preoccupato per me e Upham?” domandò.

Mellish sembrò stupito che l’uomo avesse centrato subito il problema e questa sorpresa lo portò ad aprirsi prima di quanto avrebbe fatto in una situazione diversa.

“Io… sì. Insomma, lo so che è finito tutto bene, ma solo grazie al Capitano, io non sarei riuscito a difendervi” disse.

“No, non sentire in colpa tu per questo, Stan. Tu fatto cosa coraggiosa, detto cose molto belle di me e Upham e io sentito commosso” lo rassicurò Saltzmann. “È vero, Capitano dare grande aiuto e spaventare soldati, ma loro già finito di picchiare e insultare me e Upham perché tu fermato loro e anche tuoi amici fermato loro. Cosa non va, Stan? Tu pensare loro continuare altri giorni, quando Capitano non vede loro?”

“No, non è questo, sono sicuro che abbiano capito la lezione e non daranno più fastidio né a te né ad Upham, però…” il giovane americano sembrava tormentato da qualcosa che andava oltre l’episodio di quella sera. “Io ho pensato tante cose e tutte per niente belle, ecco. Ho pensato che quello che loro dicevano di te e anche di Upham magari lo penseranno anche altre persone in America. Voglio dire, la guerra non è finita, anzi, nelle Ardenne combattono ancora e sembra addirittura che i tedeschi potrebbero ribaltare la situazione, questa maledetta guerra potrebbe durare ancora chissà quanti anni! Però noi ne siamo fuori e, se la situazione si calmasse, tra pochi mesi potremmo essere in America.”

“E questa non è cosa bella?” chiese sorpreso Josef.

“Dovrebbe esserlo, ma… hai visto, no? Quei ragazzi di stasera sono dei soldati, sì, ma sono anche degli americani che saranno mandati al fronte e che se la sono presa con te e Upham perché hanno paura” replicò Mellish. “E io ho cominciato a chiedermi: come ci accoglieranno in America? Come accoglieranno dei soldati che sono stati mandati a casa prima della fine della guerra, mentre tanti altri ragazzi come noi stanno morendo al fronte? Per non parlare di un prigioniero tedesco… se la guerra non sarà finita, tu sarai ancora il nemico per gli americani, a loro non importerà che tu abbia tradito i tuoi compagni, magari neanche ci crederanno.”

In effetti questo era proprio ciò che aveva turbato tanto Saltzmann qualche giorno prima, la possibilità che in America non lo avrebbero mai accettato. Allora, però, era stato proprio Mellish a rassicurarlo, perché adesso invece appariva ancora più preoccupato e spaventato di lui?

“Vedi, in un certo senso è come se questa sera mi fossi reso conto di quanto la situazione sia drammatica” riprese il giovane, abbandonandosi all’abbraccio dell’uomo come se sentisse la necessità di un conforto proprio mentre pensieri tanto orribili lo laceravano. “Io e i miei compagni ne abbiamo viste tante, cominciando dallo Sbarco in Normandia che è stata davvero un’esperienza apocalittica… poi la missione per cercare Ryan, Caparzo che è stato ucciso, la resistenza disperata a Ramelle, e quello… quello che mi stava per succedere quando tu mi hai salvato. Da un certo punto di vista mi sembrava che fosse giusto così, che noi avevamo già dato abbastanza e che era arrivato il momento di tornare a casa. Anche mentre eravamo ancora a Granville e poi qui a Versailles mi pareva quasi che la guerra fosse finita, o stesse per finire, che presto saremmo tornati tutti a casa, magari noi solo un poco prima degli altri. Ma oggi… oggi ho capito che non è affatto così, la guerra è in pieno svolgimento, tanti americani come noi stanno morendo e noi non facciamo niente! Cosa potranno pensare i civili a casa, quando ci vedranno tornare tranquilli e beati mentre la guerra è ancora in corso? Non ci considereranno davvero dei vigliacchi, dei traditori che hanno abbandonato i loro commilitoni? E cosa penseranno di te?”

Saltzmann avvertì il profondo dolore del suo giovane compagno, lo sentì dentro di sé e fece male anche a lui, ma proprio per questo doveva combatterlo e non abbandonarvisi. Prese il volto di Mellish tra le mani e lo obbligò a guardarlo negli occhi mentre gli parlava.

“Americani pensare queste cose di te e di tuoi amici, oppure tu pensare questo? Forse tu credere di tradire tuo Paese e tuoi compagni perché ora voi non fare più guerra?” gli chiese.

Mellish restò allibito, ma non cercò di liberarsi dalla stretta e dallo sguardo dell’uomo. Non si era reso conto che ciò che lo turbava davvero, in fondo al suo cuore, non era la paura di come sarebbe stato accolto in patria ma, piuttosto, il senso di colpa perché lui e i suoi compagni non erano più costretti ad andare al fronte e a rischiare la vita, mentre altri ragazzi come loro morivano. Ancora una volta Saltzmann era riuscito a leggere la verità dentro il suo animo prima ancora che se ne rendesse consapevole lui stesso!

“E non è forse così? Ryan ha ragione, aveva ragione anche quando a Ramelle rifiutò di venire via con noi” disse in tono amaro. “Non siamo migliori degli altri soldati, non abbiamo fatto niente per cui ci meritiamo di tornare a casa in anticipo. Abbiamo vissuto esperienze terribili, certo, ma come tutti gli altri ragazzi che sono al fronte. Di sicuro quando ci siamo arruolati non pensavamo che fosse così atroce, la guerra ci pareva un’avventura, come nei libri, e poi abbiamo avuto un duro impatto con la realtà, ma lo stesso vale per i soldati che stanno morendo in Belgio e altrove e per i ragazzi che aspettano di essere inviati al fronte. In cosa siamo migliori di loro? In niente! Perciò non meritiamo di tornare a casa prima e se ci dovessero insultare e chiamare codardi e traditori avranno ragione!”

“No, questa cosa non è vera” lo interruppe Josef. “Tu e tuoi compagni non essere codardi e traditori, voi combattuto tanto e perso tanto, io so cosa è guerra, anche io soffrire e stare male e perso mia famiglia. Io penso che ora merito vita tranquilla e in pace.”

“Sì, magari tu sì” ribatté Mellish, che però temeva che diversa gente, in America, non avrebbe visto Saltzmann sotto questa luce positiva… “ma tu hai fatto una scelta precisa: hai lasciato i tuoi compagni, hai sparato a un commilitone per salvare me e Upham. Per i tedeschi sei un traditore, ma per gli Alleati hai compiuto un atto generoso ed eroico. Ma noi non abbiamo fatto niente di speciale, niente che non abbiano fatto, non facciano e non faranno migliaia di altri ragazzi come noi che però devono continuare a combattere!”

“Questo non vero, Stan” disse pacato Saltzmann, accarezzando il viso del giovane. “Tu e tuoi compagni fatto vostra parte in guerra, voi fatto Sbarco, so quanto quello è stato orribile, poi cercato Ryan, perso tuo amico Caparzo, e trovato Ryan e difeso Ramelle anche se pochi soldati e poche armi. Voi fatto cosa eroica a Ramelle e… e tu poi quasi morto là, soldato SS infilato baionetta e…”

“No, no, smettila, non è successo niente, tu mi hai salvato!” lo interruppe Mellish, veemente. Comunque fosse, non riusciva ancora ad accettare di sentir parlare di quei momenti e della vera entità della ferita ricevuta. “Però forse… forse è vero che a Ramelle abbiamo fatto una cosa importante, eravamo pochi e siamo riusciti a tenere la cittadina fino all’arrivo dei rinforzi, altrimenti i tedeschi l’avrebbero presa e forse, dico forse, avrebbero cambiato le sorti della guerra. Sì, forse è così, ma questo lo possono capire solo altri soldati. Chi mi assicura che la gente comune non ci accuserà di essere dei vigliacchi e dei disertori?”

“Perché tu ancora paura di ricordare fatto di Ramelle” mormorò Josef, avvicinando il viso a quello del ragazzo, “tu non riuscire a parlare di quello. Tu avuto grande paura e trauma e nessuno osare dire a te vigliacco, povero ragazzino…”

Lo strinse tra le braccia e lo baciò dolcemente, poi si staccò da lui e lo accarezzò di nuovo sul volto e sui capelli.

“Io so che andare tutto bene in America, tu e io stare bene, trovare posto per vivere e stare bene” riprese, parlandogli con tenerezza e in tono rassicurante. “Non importa gente che pensa male, importa essere insieme e con tuoi amici, persone che vogliono bene a te… e forse anche a me un po’.”

Mellish restava stretto al petto dell’uomo e si rendeva conto che quello che Josef stava dicendo era la stessa cosa che gli aveva detto lui alcune sere prima, dopo che altri soldati lo avevano insultato a tavola e Saltzmann si era scoraggiato e aveva pensato di non andare più in America. Il giovane lo aveva tranquillizzato assicurandogli che avrebbero potuto ignorare la gente che non capiva e che lo considerava un nemico, perché tanto avevano i loro amici e poi erano insieme loro due, il resto non contava… e adesso Josef gli stava ripetendo le stesse cose, ma lui non riusciva più a crederci perché l’uomo aveva ragione, era lui il primo a sentirsi un vigliacco e un disertore, a pensare di non meritare il privilegio di tornare a casa prima che la guerra fosse finita e quindi proiettava sugli altri quello che lui stesso pensava. Eppure, stranamente, nell’abbraccio caldo e protettivo di Saltzmann sembrava che tutto potesse davvero sistemarsi e che in America avrebbero costruito una nuova vita insieme e con gli amici più cari…

“Me lo prometti?” mormorò Mellish. “Mi prometti che tutto andrà davvero bene e che tu… che tu non mi lascerai mai da solo? Perché io non lo so, non credo più a niente!”

Saltzmann lo sentiva tremare nel suo abbraccio, pareva ancora più giovane e indifeso, proprio come il giorno in cui lo aveva salvato dal soldato delle SS e lo aveva stretto a sé, tremante, singhiozzante, terrorizzato.

“Sì, io prometto a te questo. Tutto andare bene in America, noi costruire nostra vita insieme e vivere felici” assicurò il tedesco. “E io non lascio mai te perché io amo tanto te, amo tantissimo te, io non potere vivere senza di te, Stan. Noi felici perché stare insieme in America, io amo te e tu impari ad amare me e questa è nostra felicità, tutto andare bene, io prometto.”

E, come per suggellare queste parole rassicuranti, gli regalò un nuovo bacio, un bacio lungo e appassionato mentre si distendeva sul letto con lui e continuava ad accarezzarlo e toglieva di mezzo i vestiti ormai divenuti inutili. Mellish dimenticò ogni preoccupazione, anzi, perse del tutto il senso del tempo e dello spazio, ritrovandosi chissà come sotto il corpo di Josef e iniziando a corrispondere timidamente al suo bacio, sospirando incredulo. L’uomo si insinuò in lui con delicatezza, paziente, come se temesse di rompere una fragile statuetta di cristallo, finché non si trovarono uniti, incuneati insieme come a completarsi a vicenda, un’unica essenza nel corpo e nel cuore. Ancora una volta fu fuoco e stelle, abbracci, baci, coccole e tenerezze nell’amore fino a giungere al culmine insieme, tra ansiti e gemiti, disfatti ma felici.

“Io amo te, Stan, tu mia felicità in America” gli disse dolcemente Saltzmann alla fine, continuando a stringerlo al suo petto e baciandolo con delicatezza.

In quel momento tutto sembrava possibile anche a Mellish. Chissà come i problemi e le ansie che si era fatto venire non esistevano più, dissolte dalla luce stellare dell’amore, e anche lui pensava che, se fosse stato sempre insieme a Josef, non sarebbe accaduto niente di male, tutto sarebbe stato bello e perfetto. Accanto a Saltzmann, anche lui sarebbe stato in grado di superare qualsiasi ostacolo e difficoltà avessero potuto trovare in America e tra le sue braccia sentiva nascere nel cuore il coraggio e la determinazione a cui non credeva più.

Mellish non poteva sapere che il giorno della partenza per l’America era più vicino di quanto pensasse ma che, prima di arrivare alla loro agognata meta, ci sarebbe stato davvero un ostacolo grande e doloroso che lui avrebbe dovuto trovare la forza di superare, per se stesso, per Josef e per la vita che sognavano di costruirsi nel Paese delle opportunità.

Fine capitolo quindicesimo



   
 
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