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Autore: A_Typing_Heart    05/08/2023    0 recensioni
- La Spada di Dio parte 3 - «Servire la Spada di Dio è il compito più alto che un Caduto possa vedersi affidato nella sua vita, e tu hai già snaturato il tuo ruolo sfruttando la Spada per una tua vendetta. Ora intendi lasciare che commetta un peccato mortale a causa di quello che hai scelto di non fare?»
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Guren Ichinose, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Yuu ne aveva fin sopra i capelli di quelle strade di campagna che si snodavano tra campi punteggiati di fienili, dopo più di un’ora passata a cercare di raccapezzarsi tra biforcazioni senza indicazioni e la stessa città in cui finiva per tornare come in un girotondo molto poco divertente.

Esasperato inchiodò nel parcheggio dell’emporio – dove aveva già fatto manovra due volte per tornare all’esplorazione della campagna – e cacciò la mano sotto il sedile. Doveva esserci una bottiglia d’acqua, lì da qualche parte.

Dal negozio uscì un uomo. Era sulla cinquantina, con capelli corti che sembravano tagliati da un barbiere con problemi di vista, e con una salopette di jeans scolorita e rammendata in più punti con delle toppe di tessuti diversi: lo stereotipo del bifolco.

Quando incrociarono lo sguardo lui gli fece un sorriso cordiale. Yuu abbandonò il suo proposito di bere e abbassò il finestrino.

«Ehi, puoi aiutarmi?»

«Che succede, amico? Ti sei perso?»

«Sto cercando Mikaela. Mi hanno detto che vive in una casa qua intorno, ma non riesco a trovarla.»

«Ma va’! Cerchi Lucky? Io lavoro là» l’informò l’uomo, animato di gioia all’improvviso. «Dammi uno strappo che ti indico la strada. Non è difficile trovarla, ma il temporale dell’altra sera ha rotto il cartello al bivio.»

Già rassegnato a rilavare gli interni della macchina Yuu gli fece un cenno della testa.

«Sali.»

Prima di lasciare i confini cittadini sapeva già che il suo passeggero si chiamava Gary, che viveva lì da quarant’anni, che aveva coltivato quella terra da trenta e che ora viveva alla Lucky farm house, lavorando come mezzadro insieme ad altri tre.

Fermò il suo monologo solo per indicargli la strada un paio di volte e allora Yuu capì che doveva aver rinunciato troppo presto al tentativo precedente: lo guidò più avanti dello spiazzo in cui aveva fatto inversione convinto di essersi allontanato troppo.

«Non veniva nessuno da un pezzo a vedere Mikey. Però tu non sei della Chiesa dell’Acqua, no? Non hai i vestiti dell’ordine né la croce.»

Yuu gli lanciò un’occhiata in tralice. In dubbio tra due domande scelse quella dai risvolti potenziali più allarmanti.

«Vengono quelli della chiesa, qui?»

«Chiamano spesso per chiedergli una cosa o un’altra… ogni tanto qualcuno è venuto a trovarlo. C’è una ragazza che si chiama Gloria, lei viene ogni anno prima del Ringraziamento, e in primavera. L’accompagna sempre qualcuno, tutti amici di quando ha fatto il noviziato.»

Yuu non commentò questa scoperta, ma almeno fu sicuro che non sarebbe stato un giro a vuoto.

«Se non sei della chiesa, come lo conosci Mikey?»

«Abbiamo frequentato la scuola insieme» replicò lui, asciutto.

«Ah, sì. Mikey non parla di quel periodo, però. Dice solo che era una canaglia, ma si fa fatica a crederci… ecco, quella» fece Gary, indicando la casa di legno scuro in fondo alla strada polverosa. «Lucky farm house!»

Un cartello dipinto in bianco su assi rosse come i granai della zona recava appunto il nome della proprietà. Yuu parcheggiò nello spiazzo sul lato della casa e, mentre Gary saltava giù dall’auto come un bambino che non vede l’ora di andare dalla mamma, poté notare i piccoli cartelli aggiunti sul palo di destra: bed & breakfast, confettura, uova, miele. Un’altra targa pendeva sotto, attaccata con delle piccole catene rugginose, e recava un numero di telefono per le lezioni di equitazione.

In che razza di posto si è andato a nascondere?

«Che fai, non entri?» gli urlò Gary dalla veranda. «Vieni di qua!»

Incuriosito e repulso al tempo stesso Yuu si decise a muoversi e attraversò lo spiazzo guardandosi intorno. C’era un furgoncino scassato accanto a un paio di pick up a ridosso di una costruzione che aveva l’aria di una rimessa. Una veranda correva tutt’intorno alla casa a due piani.

L’ingresso sul lato aveva una doppia porta con la zanzariera e appena l’ebbe superata Yuu si trovò in un angusto disimpegno dove erano abbandonati degli stivali impolverati, diversi cappelli a tesa larga e un secchio di metallo maleodorante. Lì dentro alcune spazzole con le setole di nylon erano ammollate nella candeggina.

«Gary, sei qui? Chi ti ha accompagnato?»

Sentire quella voce – al di là di una porticina tagliata che poteva essere chiusa a mo’ di cancelletto con solo la parte inferiore – a Yuu sembrò di fare un passo nel vuoto. Per un attimo, un folle e potente istinto gli urlò di andarsene. I piedi, comunque, non erano in grado di andare avanti né indietro.

«Ho incontrato uno che ti cercava all’emporio e son salito con lui per fargli strada. Sta qui nella scarpaia.»

«Me? Un cliente, dici? Perché non l’hai fatto entrare dal davanti, Gary, insomma» fece la voce, abbassata in un rimprovero fin troppo delicato. «Far entrare gli ospiti in mezzo alle scarpe da lavoro…»

Una figura apparve dalla cucina, e non era Gary. Quando rivide i suoi occhi azzurri gli sembrò di respirare qualcosa di più pesante dell’aria. Lo vide spalancare la bocca per la sorpresa e poi tendere un sorriso di bellezza straordinaria.

«Yuu! Oh, Dio, ma che fai tu qui?»

Si irrigidì, a disagio come non era stato mai tra le sue braccia. Rivedere Mika era stupendo e atroce insieme. L’emozione lo bloccava, impedendogli di comportarsi in maniera naturale, per prendere delle distanze o per ricambiare il suo affettuoso benvenuto. Mika, però, non sembrò accorgersi del suo imbarazzo.

«Vieni, vieni… ti offro qualcosa di fresco, fa un caldo tremendo oggi. Gary, sei veramente imperdonabile! Come osi far entrare il mio amico Yuu dalla porta di servizio? Ti prenderei a sberle!»

«Scusa, Mikey» bofonchiò lui, con la bocca piena.

«Non mangiare le focaccelle, sono per i bambini!»

L’ira di Mika sfumò come il profumo di una candela da pochi spiccioli all’ennesima scusa borbottata e accontentò il mezzadro con del pane casereccio e una fetta di formaggio dall’odore intenso, poi lo spedì a farsi il bagno. Yuu ricordava di essere stato strigliato molto più duramente anche solo per essere entrato nudo in una cucina in cui c’era soltanto il suo ragazzo.

Si è candeggiato anche la rabbia…

Caricò un vassoio di crostata dalla marmellata scura e focaccine con formaggio e lo sollevò con una mano, usando l’altra per arraffare una bottiglia dal frigo e due bicchieri. Sembrava avere più dita di una persona normale.

«Vieni, andiamo sulla veranda di dietro… tira un bel venticello, a quest’ora!»

Da un lato avrebbe preferito parlare della questione che gli premeva e andarsene, dall’altra però si era chiesto così a lungo come stesse e dove fosse che avrebbe voluto sapere di ogni minuto di ogni suo giorno da quando se n’era andato da New Oakheart.

Lo seguì in veranda e sedettero a un tavolo di legno grezzo che sembrava essere stato ricavato da un blocco unico di un tronco di dimensioni inimmaginabili per la gente di città. Mika sembrò cogliere lo sguardo al tavolo e sorrise con orgoglio.

«Bello, vero? L’abbiamo fatto io e Lucky quando abbiamo comprato la tenuta. C’era un albero morto nel bosco, là» e indicò una macchia di alberi al di là dei campi. «Era un peccato sprecare del buon legno, quindi l’abbiamo usato per qualcosa che restasse qui con noi. Ma dimmi qualcosa di te, Yuu. Dimmi qualsiasi cosa, non hai spiccicato una parola!»

Yuu non riusciva a staccare gli occhi da Mika. Il tempo sembrava quasi non essere passato per lui: aveva conservato la sua bellezza e l’eleganza dei suoi tratti, anche se una vita in campagna aveva leggermente intaccato il suo modo di sedersi, di muoversi, e un poco il suo accento. Neanche i vestiti sciupati, come i suoi jeans slavati e la camiciola stampata a quadri rossi, riuscivano a infiacchire il suo bel viso d’angelo. Era ancora una splendida Cenerentola, solo dormiva di nuovo nel caminetto.

«Non sei cambiato quasi per niente» commentò allora Yuu, quasi deluso.

«Trovi? Io non mi sento più la stessa persona che prese l’autobus nel luglio del 2021.»

«Di sicuro quella persona non starebbe mai qui di sua volontà» osservò lui, guardandosi intorno. «Si lamenterebbe del caldo, della polvere, delle mosche e del menù. Quel Mika non mangiava mai il formaggio, e stava a dieta due settimane per un pacchetto di biscotti.»

Mika rise divertito.

«Anche per questo dico che non sono io quel ragazzo lì. Come mi hai trovato, comunque? Te l’ha detto Ferid dove sto?»

«No, ho… controllato un po’ di dati. Ho trovato la tua macchina, e poi la residenza sulla tua patente.»

Lui reagì ridacchiando e gli versò da bere. Quella bevanda odorava di pesche.

«Non c’era bisogno di arrivare a tanto, in fondo non mi sto nascondendo. E come mai sei venuto proprio adesso, dopo tanto tempo?»

Evitò la domanda ancora una volta, bevendo un sorso. Sembrava un tè che sapeva di pesche e di albicocche, ed era dolce.

«Sei felice, qui?»

La domanda prese di sorpresa Mika. Dopo un momento di stupore, tuttavia, si sciolse in un sorriso e a Yuu sembrò che gli occhi gli si inumidissero.

«Che bello che mi hai fatto questa domanda prima di tutte le altre» commentò lui, passando il dito sulla condensa del bicchiere. «Sì. Sono felice.»

Nel profondo del cuore non era la risposta che sperava di sentire. Lottò interiormente tra la delusione di essere un capitolo chiuso senza rimpianti e il disgusto che provava per se stesso per avere dei sentimenti tanto egoistici, ma un vociare di bambini da dentro casa impedì a Mika di accorgersi del suo disagio.

«Oh, sono già qui! Serviti con comodo, Yuu, e se ti serve il bagno è al primo piano in fondo a destra. Devo dare la merenda ai bambini, poi torno da te. Scusami tanto!»

Mika sparì dentro la cucina e Yuu ringraziò una divinità generica per quell’intervento provvidenziale. Restare un momento da solo, avere forse anche la possibilità di andarsene senza dare delle spiegazioni e sparire per altri sette anni, era quello che gli serviva per acquietare la mente.

Aveva ragione. Sette anni fa mi ha detto che aveva bisogno di cercare, senza sentirsi obbligato a tornare… e non è mai tornato. Non aveva bisogno di me… non ha avuto bisogno di me per trovare la felicità.

Girò lo sguardo tutt’intorno, ma non vide altro che campagna, una campagna sconfinata. Campi su campi, macchie di bosco, un cielo immenso dello stesso colore degli occhi di Mikaela. Sentiva solo uccelli, frusciare di piante mosse dal vento, cicale lontane, e odore di cucina rustica mista a un vago odore di erba e paglia.

Quando posò lo sguardo sulla sua auto tastò le chiavi dentro la tasca, con la voglia di alzarsi, saltare su e tornare a casa sua; una casa che non aveva una singola cosa in comune con quella Lucky farm, alla sua vita che non aveva un punto di contatto che fosse uno con quella che Mika si era scelto e aveva così tanto voluto.

Solo il pensiero della posta in gioco lo persuase a rimanere seduto lì dov’era. Bevve quell’intruglio di frutta, mise i piedi sulla sedia accanto e si ficcò in bocca il panino al formaggio, ammorbidendo il suo rigetto istintivo inculcandosi l’idea di essere ospite a un campeggio estivo per ragazzini.

 

*

 

 

Yuu fu obbligato a partecipare alla cena della grande famiglia della Lucky farm e la tollerò a malapena, con quell’atmosfera felice e amichevole. Gli ricordava lontani tempi alla tavola di Crowley ed era un dolore flebile ma perpetuo dentro il petto.

Accolse quindi con gioia l’invito ad accomodarsi fuori – con una bottiglia di birra – e lasciare che Mika sparecchiasse e finisse le sue faccende serali. Si insediò in veranda, sorseggiando, ad ascoltarlo accordare la colazione con gli ospiti del bed&breakfast, dare la buonanotte ai suoi mezzadri uno ad uno, e infine a scusarsi con Lucky.

«Resto un po’ fuori a chiacchierare con Yuu. Non ti dispiace, no?»

«Amore, certo che no. Non ti preoccupare di far tardi, faccio io la colazione agli ospiti domattina quando mi alzo.»

«Grazie, tesoro, ma non ce n’è bisogno» fece lui, e gli diede un bacio. «Faccio io, tanto si alzano verso le nove. Buonanotte.»

Lucky gli mormorò parole così sdolcinate che Yuu non trattenne una smorfia e affogò il suo fastidio con un sorso di birra amara. Quando la porta cigolò aprendosi si stampò il miglior sorriso possibile sulla faccia per accogliere Mika, che aveva in mano una birra e si sedette con lui.

«Scusami se non sono stato molto ospitale… è un periodo pieno per noi. Sono aperte le lezioni di equitazione, siamo ancora in periodo di raccolto, e abbiamo ospiti al bed&breakfast…»

«Tranquillo. In fondo, non ho mica avvisato.»

«C’è una cosa che ti volevo chiedere, Yuu, già da oggi pomeriggio…»

Ebbe un leggero fremito ed esitò nel portarsi alla bocca la bottiglia.

«Cioè?»

«Ma dove accidenti sei stato? Hai preso un accento veramente strano!»

La tensione scese di colpo. Si aspettava una domanda molto personale, forse su di loro, o su come avesse superato la rottura. Il suo sorriso uscì più simile a un ghigno.

«Un po’ qua, un po’ là. Ho visto tanti posti anche io… e tu… dove sei stato, prima di venire qui?»

Credeva, quasi temeva, di coglierlo in fallo e scoprire che non era stato da nessuna parte, che l’aveva semplicemente mollato per stare con un altro uomo e non per andare a cercare chissà cosa, in giro per il grande mondo.

Invece Mika gli raccontò di Miami, poi di Los Angeles, di un paio di settimane passate in Arkansas e di veloci tappe a Chicago, Columbus, Dallas, poi del suo approdo in Kentucky. Fu però molto vago riguardo a che lavori avesse fatto, dove avesse abitato o – Yuu non si dava risposte scontate in merito – con chi.

A quel punto pensò che fosse il caso di mettere la barra a dritta verso l’argomento che contava di più. Iniziò raccontandogli di Quantico e Mika rimase sbalordito di scoprire che aveva preso il suo posto nell’FBI.

«Yuu, è straordinario! Io m’ero convinto che ormai fossi detective a New Oakheart, che magari stessi puntando alla carica di tenente com’era stato Crowley… e invece tu eri un agente speciale! Straordinario…»

Mika fece un sospiro sognante, e Yuu ne percepì un genuino orgoglio.

«Congratulazioni in ritardo, Yuu. Sono molto fiero di te… anche se so che quando vuoi qualcosa alla fine la ottieni sempre, è bello vedertelo fare.»

Mika si abbarbicò di sbieco sulla sedia, sporgendosi un po’ sul tavolo.

«E una storia, ce l’hai? O adesso pensi solo alla carriera?»

Iniziò a pensare a cosa rispondere per non sbilanciarsi, ma l’arrivo di una macchina di colore chiaro interruppe la loro conversazione. Dopo aver parcheggiato un po’ più velocemente del consigliabile l’uomo alla guida scese e con passo malfermo venne loro incontro.

Mika mollò la bottiglia sul tavolo e gli corse incontro, come se non fosse la prima volta che capitava che gli arrivasse a casa un ubriaco. Con una mossa che a Yuu sapeva di falso l’uomo gli collassò addosso appena gli fu a portata di braccia, aggrappandoglisi.

Incapace di ignorare del tutto una fitta di gelosia, seppur ovattata come un suono sott’acqua, Yuu sollevò un sopracciglio quando vide la mano di quell’uomo strizzare il sedere di Mika come tastasse una prugna per sapere se era matura.

Prima che decidesse se lanciargli un avvertimento generico o no Mika spinse l’alticcio indietro e gli tirò uno schiaffo dritto in faccia. La sua espressione però non era stupita, né rabbiosa: era come se per lui un ceffone di quel tipo fosse un saluto del tutto ordinario.

«Vattene a letto, Steven.»

«Ah, mi hai fatto male, Mikey…»

«Tieni le mani a posto, se non vuoi che ti faccia male… e che lo dica a tuo fratello.»

«Mhh… ma è solo un gesto affettuoso, davvero…»

«Va’ a letto, Steven, non dare spettacolo davanti al mio amico.»

Solo allora Steven, un uomo alto e ben piazzato, sollevò un paio di occhi chiari su Yuu. Non gli diede più peso di quello che avrebbe dato a un vaso di primule e tornò a guardare Mika con quello che – secondo lui – era uno sguardo fin troppo lascivo.

«Sono ubriaco, mi accompagni?»

«Se sei capace di trovare il mio culo a botta sicura troverai anche la tua camera. Fila dentro, imbecille.»

Steven barcollò meno vistosamente fino alla porta e non lanciò neanche un’occhiata a Yuu, che invece lo fissava come un corvo. Scomparve in cucina e i suoi passi si persero nello scricchiolio della scala mentre Mika tornava a sedersi.

«Chi è?»

«Steven, il fratello maggiore di Lucky… lavora in una distilleria qua vicino e lo alloggiamo qui da un po’ di tempo. È una specie di ospite a lunga permanenza, paga la stanza come gli altri.»

«Ho l’impressione che abbia dimestichezza» commentò Yuu, con un ricercato tono neutrale. «Come se ti toccasse spesso.»

«Sei diventato bravo a leggere le persone» lo lodò, con una vena di acredine non diretta a lui. «Sì, è che… io e Steven siamo stati a letto una volta. Qualche anno fa… oh, Lucky lo sa, glielo abbiamo detto. Da allora però allunga le mani quando è brillo…»

Gli emerse un sorrisetto di amaro divertimento. In qualche perversa maniera si sentì gratificato di non essere l’unico a cui Mika avesse riservato una coltellata.

«Il tradimento ce l’hai per vizio, allora.»

L’espressione di Mika si indurì appena.

«Non credo che debba importare a te, se non importa a mio marito.»

L’enfasi che mise sulle ultime due parole voleva essere un colpo di risposta alla sua stilettata. Yuu reagì dipingendosi in faccia un sorriso finto, inquietante, soprattutto nella luce pallida della lampada della veranda.

«Lucky ha cinque fratelli, mi pare d’aver capito… Steven è l’unico o è solo l’unico di cui si è accorto?»

«Non fare lo stronzo, Yuu. Non ti ho mai chiesto di perdonarmi per quella relazione che ho avuto con lui, sei stato tu a dirmi che una situazione speciale richiede regole speciali, così dicesti. Non te ne fregava un accidente allora, e dopo sette anni me lo rinfacci?»

«Sai, Mikey, non m’importa… ma pare che a te bruci, e molto. Non sarà che nonostante tu sia stato perdonato due volte sai di non meritartelo?»

Mika si alzò con un movimento brusco che mandò all’aria la sedia.

«Sei venuto fin qui solo per pungolarmi? Non posso credere che proprio tu mi dica qualcosa di così orribile!»

«Già che ci siamo, c’è una cosa che ho qui in gola da un po’, che ti voglio dire.»

Era ancora più facile di allora capire Mika. Sapeva che quell’esca lo incuriosiva e lo spaventava in egual misura, tanto che non accennò a sedersi né ad allontanarsi.

«Ci hai messo cinque mesi ad arrivare in Kentucky… hai fatto in fretta a vedere il resto del mondo e decidere che l’uomo col grosso pene era quello che volevi.»

Dar voce a quel pensiero era come liberarsi di un calcolo renale che lo tormentava da anni. Scoprire che alla fine Mika l’aveva lasciato non per un desiderio di scoperta e di indipendenza ma per mettersi con un uomo che non lo conosceva, che non sapeva neanche il suo vero nome, solo perché era un amante migliore di lui l’aveva torturato per tante notti insonni da non poterle neanche contare.

«Ma come puoi pensare che sia stato questo? Tu mi conosci, mi conosci meglio di chiunque… come puoi pensare che fosse solo per sesso che ho cambiato vita?»

«Proprio perché ti conosco so quanto ti piace.»

«Santo Dio, Yuu» sbottò lui, e rimise in piedi la sedia. «Certo che mi piace, e allora mi piaceva fin troppo, ma non puoi credere veramente che fosse quella la ragione! Sei pazzo o stai solo convincendoti che dipende da qualcosa al di fuori del tuo controllo come la dimensione del tuo pisello?»

«Ahh, ora risento un po’ del vecchio Mika psicologo. Allora, dottore, dopo sette anni di tormento spiegami il perché. Il vero perché.»

Mika si era seduto e lo guardava. L’imbarazzo era scomparso e al suo posto aleggiava un’aria di compassione che l’urtò più del suo risentimento vecchio di anni.

«Perché io, quando immaginavo la nostra vita insieme a trent’anni, ti vedevo sempre al lavoro. A chiudere un caso dopo l’altro, a lavorare di notte e di giorno, come faceva Crowley nei suoi periodi peggiori… e vedevo me fare lo stesso, inseguito dall’urgenza di salvare un altro bambino, un altro genitore, un’altra famiglia dall’ennesimo culto ossessivo e distorto. Vedevo te inseguire un idolo e io che seguivo la mia angoscia… noi due, fantasmi dello stesso castello, morti senza neanche accorgercene. E non la volevo questa fine.»

Yuu restò senza parole, con la mano stretta intorno a una bottiglia bagnata di condensa e gli occhi fissi sul volto afflitto di Mika, più drammatico nella luce della lanterna.

«T-tu… Mika… tu vedevi… davvero questo nel nostro futuro?»

I suoi occhi azzurri rimandarono il riflesso della luce del portico sulle lacrime che tratteneva mentre annuiva. Yuu, stravolto da una realtà del tutto diversa da qualsiasi spiegazione si fosse dato in quella lunga separazione, ammutolì e rimuginò, con lo sguardo fisso sull’etichetta della birra e la mente ai ragazzi Hyakuya che erano stati.

Passarono minuti su minuti prima che riuscisse a comprendere ogni parola ed elaborarla.

«Cosa… che cosa… ti ha fatto pensare che… lui ti potesse rendere felice, invece?»

Mika prese un sorso, lo deglutì, posò la bottiglia. Girò l’etichetta e asciugò la condensa. Poi finalmente rispose.

«Lucky… non aveva mire ambiziose. Non si considerava speciale, né degno di me, se è per questo… ma prima ancora di sapere chi fossi, quando pensava che non avessi nessun altro e nessun posto dove andare fuori da Bluefields, mi disse che avrebbe dedicato la sua vita a me. Che non mi poteva offrire molto, ma che mi avrebbe dato tutto quello che mi serviva… e…»

Sollevò la bottiglia per bere ma ci ripensò.

«Ho pensato che, se era sincero, allora io sarei sempre stato quello più importante… che nessun lavoro, nessun sogno o progetto sarebbe mai stato sopra di me… che lui… non sarebbe mai arrivato a ignorarmi. Immaginavo la mia vita adulta con lui esattamente come ho vissuto la mia adolescenza con te, Yuu: al centro del suo mondo…»

Era fin troppo da sostenere. Se bruciava l’idea che un amante migliore se lo fosse portato via, quella che fosse bastato tanto poco a persuaderlo tagliava come un rasoio sulla pelle.

«Credi che non valesse lo stesso per me?» sbottò allora, sbattendo appena la bottiglia sul tavolo. «Credi che, se me lo avessi chiesto, non ti avrei messo al di sopra di qualsiasi cosa?!»

«Ma tu non l’hai fatto, Yuu… mi hai lasciato andare, senza neanche provare a trattenermi, senza neanche una di quelle stupide promesse che si fanno quando si è disperati… non mi hai cercato, non mi hai mai chiamato… non hai mai provato a riprendermi.»

Il tono di Mika non era accusatorio. Era quasi dolce e questo, se possibile, inaspriva Yuu anche di più.

«Quando me ne sono andato tu sei andato dritto a Quantico, inseguendo la carriera… hai messo l’avanti veloce ai tuoi progetti, quando non ti ho rallentato più. Questo mi dice che lasciarci era la scelta giusta» aggiunse con quella voce setosa. «Abbiamo potuto mettere a fuoco quello che davvero cercavamo e diventare quello che volevamo essere.»

La rabbia di Yuu, che stava montando come una mareggiata, si spense di colpo. Ripensò ai suoi ultimi anni, alla sua casa, la sua città, i suoi conoscenti, il suo lavoro. Si portò la birra alle labbra e scolò quel che ne restava. Si era scaldata.

Era questo quello che volevo essere? O sarò una persona diversa, quando il cappio che viene dal mio passato mi lascerà libero?

«Ti prendo un’altra birra.»

Yuu fissò lo sguardo su Mika che si alzava. C’era un solo modo per rispondere a quelle domande.

«Dove si trova l’Acqua di Cristo, Mika? Tu lo sai?»

Lui si bloccò mentre gli passava accanto con le bottiglie vuote in mano. Sul suo volto non c’era confusione né perplessità, ma paura. Yuu fu certo di essere andato a chiederlo alla persona giusta.

«Mi serve per la mia missione. Mi serve come esca per far uscire allo scoperto persone che cercano roba di quel genere. Tu sai dove si trova adesso, no?»

«Io… non ho idea di che cosa sia.»

«Certo che lo sai. È una reliquia della Chiesa dell’Acqua, che era a Bluefields» insistette Yuu, con un’inflessione minacciosa. «Un’acqua con dei poteri misteriosi, dicono…»

«Non c’era niente del genere a Bluefields, né nessuno ha mai parlato di una reliquia che la Chiesa dell’Acqua custodisse» tagliò corto Mika. «Non posso darti né farti trovare qualcosa che non esiste.»

Yuu artigliò l’avambraccio di Mika per trattenerlo.

«So che esiste. Lo so per certo. Quello che non so è se l’hai portato via tu da Bluefields o se ce l’ha Ferid…»

«Lascia Ferid fuori da questa storia» sibilò lui, divincolandosi. «Lui non ha niente. Lui non sa niente. Non osare presentarti da lui a dargli fastidio per delle voci di corridoio che avrai sentito da chissà chi.»

«Non me ne andrò di qui finché non l’avrò o non saprò dove si trova. Come hai detto tu, Mika, se voglio una cosa io la prendo, non importa quanto ci vuole. E quell’Acqua, qualsiasi cosa sia, io la voglio.»

Il volto di Mika si fece pallido, poi le sue sopracciglia assunsero l’esatta forma delle ali di un falco e quasi lo stesso vigore della sua picchiata.

«Ah! Ecco perché ti sei fatto rivedere! Non sei venuto qui per vedermi, o per sapere come stavo… sei venuto pensando che bastasse fare due moine perché ti dessi questa cosa che vuoi e che pensi che io abbia! Beh, perdi tempo, Yuu!»

Ebbe uno scatto esagerato non appena si sentì sfiorare la spalla e gli puntò la bottiglia contro come fosse un’arma carica.

«Anzi, sai cosa? Vorrei averla solo per potertela negare ancora, ancora e ancora, per la faccia tosta con cui mi hai preso in giro!»

Yuu, seccato, abbassò la mano e gli lanciò uno sguardo di sufficienza.

«Hai le tue cose? Datti una calmata. Non sopporto la gente isterica.»

«Fuori da casa mia» gli sibilò, dandogli una spinta contro il petto. «Non m’interessa dove vai. Dormi in macchina, se ti pare, ma spostala dalla mia proprietà. Fuori dalla mia vista.»

Mika rientrò in cucina e si sbatté la porta alle spalle così forte che il cartellino lì accanto – con la scritta “per l’ufficio la porta a destra” – cadde sulle assi del portico. Da solo in mezzo ai grilli e a campi di coltivazioni che non riconosceva Yuu scese i gradini diretto alla sua auto, sospirando.

Beh, lo sapevo che non poteva essere così facile…

Alzò lo sguardo su qualcosa che non aveva mai visto tanto nitidamente in vita sua: uno sconfinato manto scuro punteggiato di stelle. Rimase un po’ lì fermo a guardarlo, con le mani in tasca, almeno finché l’aria calda e umida della notte non ebbe la meglio su di lui.

Il piano C faceva probabilmente al caso suo.

 

   
 
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